Subaltern studies Italia

L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

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martedì 12 novembre 2019

Bolivia de los proletarios y los indios tarde o temprano te enterrará y para siempre


INDIOS, Coyas e Aymaras, la revolución debe ser defendida y ganará
- le democratiche elezioni e i suoi esiti solo quando conviene. Vince Morales, allora non vales.
Il colpo di Stato, come questo in Bolivia, dimostra come i poteri capital-imperialistici e le eversive destre politiche (Mesa sotto di 10 punti!), ingrassati dagli USA e dai suoi manutengoli, sono i peggiori nemici di quelle prerogative democratiche che invocano retoricamente.
Tacete invece di parlare di democrazia e diritti umani, il potere del popolo termina dove iniziano i vostri interessi. Pagate i vostri scribacchini per il muro del pianto, non piangete però sulle vittime dei vostri colpi di stato. Capitalisti e imperialisti, reazionari e manutengoli, destre eversive e serve di ogni padrone largo di tasche, non vincerete,
Bolivia de los proletarios y los indios tarde o temprano te enterrará y para siempre ~ fe.d.

stralci da Il Manifesto del 12 novembre 2019

- […] A COMPIERE L’ULTIMO ATTO del golpe, quello decisivo, è stato il comandante generale delle forze armate Willimas Kaliman, che ha “suggerito” a Morales di dimettersi, «consentendo la pacificazione e il mantenimento della stabilità». Ma, prima di allora, si erano già registrati vari ammutinamenti della polizia, nel momento in cui la violenza golpista, a cui era stato lasciato campo libero, dilagava nel paese in mezzo a incendi appiccati alle case dei dirigenti del Mas (Movimiento al socialismo), ad attacchi ai mezzi di comunicazione e ad atti di violenza squadrista, come quello contro la sindaca di Vinto, Patricia Arce, a cui i manifestanti hanno tagliato a forza i capelli e versato addosso della vernice rossa.(..) INTANTO, mentre si è consumato in America Latina il quarto golpe in dieci anni, dopo quelli in Honduras (2009), Paraguay (2012) e Brasile (2016), il Comitato politico del Mas ha annunciato l’avvio di «un lungo cammino di resistenza, per difendere i successi storici del primo governo indigeno» della storia del paese: «Resistere, per tornare domani a combattere». […] Claudia Fanti

“ È un colpo di stato fascista quello che ha costretto alle dimissioni e alla fuga il presidente boliviano Evo Morales. Un colpo di stato d’estrema destra orchestrato da una destra populista, bianca e oligarchica, con la connivenza aperta degli Stati uniti.
Come ben racconta l’ inchiesta «The Us embassy in La Paz continues carrying out covert actions in Bolivia to support the coup d’état against the bolivian president Morales» del sito Behind Back Door del 19 ottobre scorso – e che, con l’appoggio determinante di polizia e Forze armate, ha abbattuto il miglior governo che il paese abbia mai avuto.
Per «il bene della Bolivia» e per evitare uno spargimento di sangue, sia Evo Morales sia il suo vice Alvaro García hanno rinunciato all’incarico dopo che da giorni squadracce dei cosiddetti comitati civici di Santa Cruz e Potosí e i “motoqueros” di Cochabamba hanno bastonato, rapito e torturato indigeni e membri del Movimento al socialismo (Mas) e del governo, e assaltato e incendiato sedi del Mas e abitazioni di personalità del partito e del governo, compresa l’abitazione di Morales. Ancora una volta si dimostra che in America latina le forze preposte alla difesa della democrazia e dello stato di diritto sono invece al servizio di un’oligarchia e dell’impero nordamericano. È un copione già seguito dai golpe contro Arbens in Guatemala, nel Cile di Allende, con l’operazione Condor in Argentina, poi con Chavez in Venezuela. Prima una campagna nazionale e internazionale di accuse mai provate ma diffuse dai media. Poi una seconda fase di agitazione di classi medie che prepara l’intervento finale dei militari. Ci eravamo augurati e illusi che fosse roba del secolo passato. Questo «muro» invece non cade.
Ancora una volta vi è un mondo che si definisce democratico che applaude la caduta di Evo Morales per mano di tali turbe violente e razziste. E sostiene che è stata debellata una «gigantesca frode» organizzata «da una dittatura» che in tredici anni di governo ha abbassato l’indice di la povertà dal 38% al 18%, ha dimezzato la disoccupazione e ha portato il salario minimo da 60 a 310 dollari. Che ha usato le risorse naturali per finanziare salute e scuola. Che ha ridato dignità alle popolazioni indigene, coyas e aymarás, da cui proviene anche il presidente deposto. Un mondo «democratico» che ha bisogno di essere difeso da squadracce come quelle di Fernando Camacho, Bibbia in mano e conti a Panama – come fu dimostrato dai Panama Papers.
Ancora una volta, purtroppo, le Forze armate in America latina hanno deciso che la pace si ottiene difendendo i diritti di una minoranza e dell’impero del nord.
Evo Morales è stato votato da più del 47% dei boliviani. Voti che ora non sarebbero validi a causa di quella che chiamano la «gigantesca frode» decisa e sbandierata ancor prima delle elezioni dai Camacho e Mesa (il secondo arrivato a dieci punti di distanza da Morales) e poi confermata – ma senza prove – dai tecnici dell’Oea, l’Organizzazione degli Stati americani, praticamente il «ministero delle colonie Usa», peraltro invitati dallo stesso Morales. Ora con l’arresto in massa dei membri dei tribunali elettorali, non vi è dubbio che le prove salteranno fuori. I torturatori della Cia hanno fatto scuola.
Non bisogna essere grandi analisti per prevedere il ritorno del Fondo monetario internazionale e delle grandi multinazionali. Il litio e gli idrocarburi non serviranno a finanziare politiche sociali ma finiranno in poche mani come nei secoli scorsi accadde ad argento e stagno. Sarà il ritorno alla vecchia Bolivia dei cento golpe, dello sfruttamento e dell’emarginazione delle popolazioni indigene. Ma dove il seme lasciato da Morales non scomparirà.“
Roberto Livi, (integrale)





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