Subaltern studies Italia

L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

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mercoledì 30 settembre 2020

CITAZIONI per L’ALTERNATIVA PEDAGOGICA di GRAMSCI


L’intenzionalità pedagogica è l’intenzionalita’ della coscienza e per la trasformazione rivoluzionaria del mondo c’è dunque la necessità della formazione di questa coscienza. Non è l’indottrinamento, tipico delle religioni e del senso comune veicolato dalle classi dominanti (dogmatismo) ma la consapevolezza critica l’obiettivo educativo primario. La riforma intellettuale e morale passa dalla scuola, come istituzione sovrastrutturale dell’egemonia. 


“L’alternativa pedagogica” è il titolo di una antologia di scritti sui principi educativi del filosofo e dirigente comunista Antonio Gramsci curata da Mario Alighiero Manacorda, storico della pedagogia e intellettuale marxista. Pubblicata dagli Editori Riuniti per la prima volta nel 1972, essa è stata riedita nel 2012 proprio per l’attualità che i principi pedagogici, le riflessioni sui metodi e la filosofia dell’educazione, in particolare nei “Quaderni dal carcere” e nelle lettere, dimostrano davanti a problematiche costanti che investono la contemporaneità: la scuola come istituzione sovrastrutturale per l’egemonia, l’organizzazione scolastica e della cultura per l’emancipazione delle classi subalterne, la disciplina cosciente dell’educando in funzione dello sviluppo della libera personalità creativa e dell’autonomia morale, conformismo, folclore e senso comune. Gramsci intreccia i temi della formazione a un umanesimo “integrale”, che, secondo Manacorda, delinea il profilo della nuova società socialista dell’”autogoverno dei produttori”, nella critica ai fondamenti dell’attivismo pedagogico e del neoidealismo italiano, confronto che diventa essenziale per comprendere anche le attuali dinamiche che oggi investono la battaglia politica per una strutturale e vera riforma della scuola, storico impegno politico-sociale del PCI e lontana dalle controriforme in atto ormai da troppo lungo tempo in Italia. (fe.d.)


L’interesse pedagogico per il pensiero di Gramsci ha conosciuto una svolta circa mezzo secolo fa. Difatti, nel Convegno di Studi gramsciani di Cagliari, del 1967, sono presenti due sezioni a tematizzazione pedagogica: Educazione e Scuola in Gramsci (con una relazione di Borghi e interventi di Bertoni Jovine, Lombardi, Masucco Costa, Dentice di Accadia); Il problema dell’educazione e l’organizzazione della cultura, con relazioni di Manacorda, Lombardi e Vasoli.

Inoltre, sempre nel 1967, per i tipi degli Editori Riuniti, esce una ponderosa antologia del pensiero di Gramsci intitolata La formazione dell’uomo. Si tratta di una capillare raccolta degli scritti gramsciani inerenti alle questioni formative e scolastiche, a partire da quelli giovanili fino alle Lettere e ai Quaderni. La raccolta è preceduta da un’ampia introduzione del curatore, Giovanni Urbani, intitolata Egemonia e pedagogia nel pensiero di A. Gramsci. (..) 

Sul nesso tra egemonia e educazione, tornerà cinque anni dopo Broccoli, mentre nel 1970 aveva visto la luce l’opera di Mario Alighiero Manacorda su Il principio educativo in Gramsci, la cui interpretazione ruotava però sul nesso tra americanismo e conformismo.


BROCCOLI, ANGELO, 1972, Antonio Gramsci e l’educazione come egemonia, La Nuova Italia, Firenze.

MANACORDA, MARIO ALIGHIERO, 1966, Marx e la pedagogia moderna, Editori Riuniti, Roma. 

ID., 1970, Il principio educativo in Gramsci, Armando, Roma.

 

Nella letteratura pedagogica su Gramsci, il tema industrialista, sviluppato innanzitutto (ma non solo) nelle problematiche pagine del Q. 22 e negli scritti dell’«Ordine Nuovo», ha avuto un’eco non indifferente. Già dalla fine degli anni ’60, prima che il Q. 22 diventasse oggetto di approfondimenti in altri ambiti disciplinari, Manacorda avanzava l’idea secondo cui se una pedagogia gramsciana esisteva, essa andava studiata a partire dalle note sull’americanismo-fordismo. Sicché, il principio educativo del «conformismo [...] dinamico» [Q. 12, p. 1537] e l’anti-spontaneismo gramsciano scaturirebbero dalle meditazioni industrialiste, da leggere «sub specie paedagogiae».

Sebbene in una missiva precedente l’istanza ginevrina fosse già stata bersaglio di una critica [L. 30/07/1929 a Julca], il pedagogista romano si concentra su una comunicazione epistolare del dicembre del ’29 e la considera paradigmatica dell’approdo al volontarismo. Lì Antonio rimprovera alla moglie e alla di lei famiglia una concezione pedagogica «metafisica», la quale presuppone «che nel bambino sia in potenza tutto l’uomo e che occorra aiutarlo a sviluppare ciò che già contiene di latente, [...] lasciando fare alle forze spontanee della natura» e così dimenticando che «l’uomo è tutto una formazione storica, ottenuta con la coercizione». Quindi, «concepire l’educazione come sgomitolamento di un filo preesistente» [L. 30/12/1929 a Giulia] sarebbe errore esiziale, che condurrebbe a modellistiche pedagogiche da rifiutare al pari di quelle definite gesuitiche, proprie della scuola tradizionale e foriere di dispositivi grettamente autoritari, «ipocrit[i] e meccanic[i]» [Q. 12, p. 1536]. Ne viene una collocazione del congegno pedagogico gramsciano affatto «originale», come tentativo di scoprire percorsi educativi altri tanto rispetto all’«autoritarismo» quanto al «libertarismo roussouiano», i quali trovino nello sviluppo storico la propria raison d’être. Quanto alla seconda scelta, spiega Manacorda, il richiamo, in varie occasioni, nelle Lettere, al gioco del meccano ed i dubbi e le oscillazioni sulla sua valenza educativa esemplificherebbero il «problema del rapporto tra la tradizionale cultura e formazione umanistica [...] e la moderna cultura e formazione meccanico-matematica»; alternative, al postutto, parimenti da piegare alla necessità di «conciliare il rigore metodologico [...] della fabbrica e l’apertura mentale [...] della esigenza umanistica». 

Pietro Maltese - Disciplina e conformismo nelle riflessioni industrialiste di Antonio Gramsci

 https://oajournals.fupress.net/index.php/sf/article/download/9266/9264/

 

Il rapporto egemonico-pedagogico può inscriversi tanto in un percorso diretto all’emancipazione dei subordinati, quanto in un quadro orientato al mantenimento della loro subalternità. Ciò premesso, l’opzione di Gramsci è per un rapporto pedagogico dinamico, che pur movendo da una prevalenza dell’elemento coercitivo, lo inscrive in un percorso di emancipazione dei soggetti subalterni, e lo considera perciò solo una tappa necessaria per procedere a una fase successiva, basata sulla preminenza del momento della persuasione e del consenso, a misura del progresso intellettuale e morale realizzato dai soggetti formati. Parallelamente a questa transizione dall’autoritarismo all’autonomia, si pone quella dal dogmatismo alla consapevolezza critica, con lo scopo di giungere, infine, a una piena emancipazione intellettuale e morale. Gramsci opta decisamente per quest’ultima soluzione, come si evince ancora dalla nota Q11, §1:

«Mi pare che storicamente il problema sia da porre in altro modo: se, cioè, una nazione o un gruppo sociale che è giunto a un grado superiore di civiltà non possa (e quindi debba) “accelerare” il processo di educazione dei popoli e dei gruppi sociali più arretrati [...] può darsi benissimo che sia “necessario ridurre i papuani alla schiavitù” per educarli, ma non è necessario meno che qualcuno affermi che ciò non è necessario che contingentemente, perché esistono determinate condizioni, che cioè questa è una necessità “storica”».

E più sotto aggiunge:

«Che nelle scuole elementari sia necessaria una esposizione “dogmatica” delle nozioni scientifiche [...] non significa che il dogma sia quello religioso [...] Che un popolo o un gruppo sociale abbia bisogno di una disciplina esteriore coercitiva, per essere educato civilmente, non significa che debba essere ridotto in schiavitù».

Materialismo Storico, n° 1-2/2016 (vol. I)

Egemonia e pedagogia. Una critica delle interpretazioni di Gramsci, Massimo Baldacci (Università di Urbino), pag. 15/16 

 

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Nel dodicesimo dei Quaderni del carcere, Gramsci evidenzia come

«Occorre persuadere molta gente che anche lo studio è un mestiere, e molto faticoso, con un suo speciale tirocinio, oltre che intellettuale, anche muscolare-nervoso: è un processo di adattamento, è un abito acquisito con lo sforzo, la noia e anche la sofferenza. »

“In realtà un mediocre insegnante può riuscire ad ottenere che gli allievi diventino più istruiti, ma non riuscirà ad ottenere che siano più colti”. perché la

"Cultura, non è possedere un magazzino ben fornito di notizie, ma è la capacità che la nostra mente ha di comprendere la vita, il posto che vi teniamo, i nostri rapporti con gli altri uomini. Ha cultura chi ha coscienza di sé e del tutto, chi sente la relazione con tutti gli altri esseri. (…) Cosicché essere colto, essere filosofo lo può chiunque voglia.“

“La cultura é organizzazione, disciplina del proprio io interiore; é presa di possesso della propria personalità, e conquista di coscienza superiore, per la quale si riesce a comprendere il proprio valore storico, la propria funzione nella vita, i propri diritti, i propri doveri.”

 

Fonte: https://le-citazioni.it/frasi/523414-antonio-gramsci-cultura-non-e-possedere-un-magazzino-ben-fornito-d/





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