“L’alternativa
pedagogica” è il titolo di una antologia di scritti sui principi educativi del
filosofo e dirigente comunista Antonio Gramsci curata da Mario Alighiero
Manacorda, storico della pedagogia e intellettuale marxista. Pubblicata dagli
Editori Riuniti per la prima volta nel 1972, essa è stata riedita nel 2012
proprio per l’attualità che i principi pedagogici, le riflessioni sui metodi e
la filosofia dell’educazione, in particolare nei “Quaderni dal carcere” e nelle
lettere, dimostrano davanti a problematiche costanti che investono la
contemporaneità: la scuola come istituzione sovrastrutturale per l’egemonia,
l’organizzazione scolastica e della cultura per l’emancipazione delle classi
subalterne, la disciplina cosciente dell’educando in funzione dello sviluppo
della libera personalità creativa e dell’autonomia morale, conformismo,
folclore e senso comune. Gramsci intreccia i temi della formazione a un
umanesimo “integrale”, che, secondo Manacorda, delinea il profilo della nuova
società socialista dell’”autogoverno dei produttori”, nella critica ai
fondamenti dell’attivismo pedagogico e del neoidealismo italiano, confronto che
diventa essenziale per comprendere anche le attuali dinamiche che oggi
investono la battaglia politica per una strutturale e vera riforma della
scuola, storico impegno politico-sociale del PCI e lontana dalle controriforme
in atto ormai da troppo lungo tempo in Italia. (fe.d.)
L’interesse pedagogico per il pensiero di Gramsci ha conosciuto una svolta circa mezzo secolo fa. Difatti, nel Convegno di Studi gramsciani di Cagliari, del 1967, sono presenti due sezioni a tematizzazione pedagogica: Educazione e Scuola in Gramsci (con una relazione di Borghi e interventi di Bertoni Jovine, Lombardi, Masucco Costa, Dentice di Accadia); Il problema dell’educazione e l’organizzazione della cultura, con relazioni di Manacorda, Lombardi e Vasoli.
Inoltre, sempre nel 1967, per i tipi degli Editori Riuniti, esce una ponderosa antologia del pensiero di Gramsci intitolata La formazione dell’uomo. Si tratta di una capillare raccolta degli scritti gramsciani inerenti alle questioni formative e scolastiche, a partire da quelli giovanili fino alle Lettere e ai Quaderni. La raccolta è preceduta da un’ampia introduzione del curatore, Giovanni Urbani, intitolata Egemonia e pedagogia nel pensiero di A. Gramsci. (..)
Sul
nesso tra egemonia e educazione, tornerà cinque anni dopo Broccoli, mentre nel
1970 aveva visto la luce l’opera di Mario Alighiero Manacorda su Il principio educativo in Gramsci, la
cui interpretazione ruotava però sul nesso tra americanismo e conformismo.
BROCCOLI, ANGELO,
1972, Antonio Gramsci e l’educazione come
egemonia, La Nuova Italia, Firenze.
MANACORDA, MARIO
ALIGHIERO, 1966, Marx e la pedagogia
moderna, Editori Riuniti, Roma.
ID., 1970, Il principio educativo in Gramsci,
Armando, Roma.
Nella letteratura
pedagogica su Gramsci, il tema industrialista, sviluppato innanzitutto (ma non
solo) nelle problematiche pagine del Q. 22 e negli scritti dell’«Ordine Nuovo»,
ha avuto un’eco non indifferente. Già dalla fine degli anni ’60, prima che il
Q. 22 diventasse oggetto di approfondimenti in altri ambiti disciplinari,
Manacorda avanzava l’idea secondo cui se una pedagogia gramsciana esisteva,
essa andava studiata a partire dalle note sull’americanismo-fordismo. Sicché,
il principio educativo del «conformismo [...] dinamico» [Q. 12, p. 1537] e
l’anti-spontaneismo gramsciano scaturirebbero dalle meditazioni industrialiste,
da leggere «sub specie paedagogiae».
Sebbene
in una missiva precedente l’istanza ginevrina fosse già stata bersaglio di una
critica [L. 30/07/1929 a Julca], il pedagogista romano si concentra su una
comunicazione epistolare del dicembre del ’29 e la considera paradigmatica
dell’approdo al volontarismo. Lì Antonio rimprovera alla moglie e alla di lei
famiglia una concezione pedagogica «metafisica», la quale presuppone «che nel
bambino sia in potenza tutto l’uomo e che occorra aiutarlo a sviluppare ciò che
già contiene di latente, [...] lasciando fare alle forze spontanee della
natura» e così dimenticando che «l’uomo è tutto una formazione storica,
ottenuta con la coercizione». Quindi, «concepire l’educazione come
sgomitolamento di un filo preesistente» [L. 30/12/1929 a Giulia] sarebbe errore
esiziale, che condurrebbe a modellistiche pedagogiche da rifiutare al pari di
quelle definite gesuitiche, proprie della scuola tradizionale e foriere di
dispositivi grettamente autoritari, «ipocrit[i] e meccanic[i]» [Q. 12, p.
1536]. Ne viene una collocazione del congegno pedagogico gramsciano affatto
«originale», come tentativo di scoprire percorsi educativi altri tanto rispetto
all’«autoritarismo» quanto al «libertarismo roussouiano», i quali trovino nello
sviluppo storico la propria raison d’être. Quanto alla seconda scelta, spiega
Manacorda, il richiamo, in varie occasioni, nelle Lettere, al gioco del meccano
ed i dubbi e le oscillazioni sulla sua valenza educativa esemplificherebbero il
«problema del rapporto tra la tradizionale cultura e formazione umanistica
[...] e la moderna cultura e formazione meccanico-matematica»; alternative, al
postutto, parimenti da piegare alla necessità di «conciliare il rigore
metodologico [...] della fabbrica e l’apertura mentale [...] della esigenza
umanistica».
Pietro Maltese - Disciplina e conformismo nelle riflessioni industrialiste di Antonio Gramsci
https://oajournals.fupress.net/index.php/sf/article/download/9266/9264/
Il
rapporto egemonico-pedagogico può inscriversi tanto in un percorso diretto
all’emancipazione dei subordinati, quanto in un quadro orientato al
mantenimento della loro subalternità. Ciò premesso, l’opzione di Gramsci è per
un rapporto pedagogico dinamico, che pur movendo da una prevalenza
dell’elemento coercitivo, lo inscrive in un percorso di emancipazione dei
soggetti subalterni, e lo considera perciò solo una tappa necessaria per
procedere a una fase successiva, basata sulla preminenza del momento della
persuasione e del consenso, a misura del progresso intellettuale e morale
realizzato dai soggetti formati. Parallelamente a questa transizione
dall’autoritarismo all’autonomia, si pone quella dal dogmatismo alla
consapevolezza critica, con lo scopo di giungere, infine, a una piena
emancipazione intellettuale e morale. Gramsci opta decisamente per quest’ultima
soluzione, come si evince ancora dalla nota Q11, §〈1:
«Mi
pare che storicamente il problema sia da porre in altro modo: se, cioè, una
nazione o un gruppo sociale che è giunto a un grado superiore di civiltà non
possa (e quindi debba) “accelerare” il processo di educazione dei popoli e dei
gruppi sociali più arretrati [...] può darsi benissimo che sia “necessario
ridurre i papuani alla schiavitù” per educarli, ma non è necessario meno che
qualcuno affermi che ciò non è necessario che contingentemente, perché esistono
determinate condizioni, che cioè questa è una necessità “storica”».
E
più sotto aggiunge:
«Che
nelle scuole elementari sia necessaria una esposizione “dogmatica” delle
nozioni scientifiche [...] non significa che il dogma sia quello religioso
[...] Che un popolo o un gruppo sociale abbia bisogno di una disciplina
esteriore coercitiva, per essere educato civilmente, non significa che debba
essere ridotto in schiavitù».
Materialismo
Storico, n° 1-2/2016 (vol. I)
Egemonia e pedagogia. Una critica
delle interpretazioni di Gramsci, Massimo Baldacci (Università di Urbino), pag.
15/16
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Nel dodicesimo dei Quaderni del carcere, Gramsci evidenzia come
“In realtà un mediocre insegnante può riuscire ad ottenere che gli allievi diventino più istruiti, ma non riuscirà ad ottenere che siano più colti”. perché la
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