venerdì 14 maggio 2021
In croce e nel cuore: KAMI BERSAMA PALESTINA- VITTIME E CARNEFICI - Hanan Ashrawi
PADRE, perchè hai abbandonato la Palestina?
Il neosegretario PD Letta immortalato insieme a Salvini alla manifestazione in favore di Israele seguito da una pletora di servizi giornalistici a senso unico, non svela nulla, semmai conferma che la patina di conformismo del “politicamente corretto” è il farisaico deteriore senso comune che il potere imperialista cerca di affermare con la forza militare e la violenza e che i diritti umani, così come quelli politici e sociali, così come l’autodeterminazione dei popoli, non abitano più, neanche formalisticamente, sulle sponde d’Occidente. ~ fe.d.
KAMI BERSAMA PALESTINA
VITTIME E CARNEFICI - Hanan Ashrawi
È stata il volto e l’immagine internazionale della delegazione palestinese che avviò i negoziati di Oslo-Washington. La prima donna ad essere nominata portavoce della Lega Araba. Più volte ministra dell’Autorità nazionale palestinese, parlamentare, paladina dei diritti umani nei Territori palestinesi, tra i numerosi riconoscimenti ricevuti, ricordiamo il Mahatma Gandhi International Award for Peace and Reconciliation e Sydney Peace Prize.
extract. dall’intervista su Il Riformista, 15 maggio 2021
Cosa c’entra il diritto di difesa con le punizioni collettive che da quindici anni Israele infligge a due milioni di palestinesi assediati, isolati dal resto del mondo? Le punizioni collettive sono contrarie al diritto internazionale, a quello umanitario, alla stessa Convenzione di Ginevra sulla guerra. E cosa c’entra il diritto di difesa con la pulizia etnica in atto a Gerusalemme Est, con l’espulsione di decine di famiglie palestinesi dalle loro case a Sheikh Jarrah (un quartiere arabo a Gerusalemme Est, ndr)? E cosa c’entra il diritto di difesa con l’ampliamento degli insediamenti israeliani in Cisgiordania, con le terre palestinesi confiscate, con le risorse idriche negate dalle forze occupanti?
L’asimmetria delle forze in campo è sotto gli occhi di tutti. E a testimoniarlo è anche il bilancio delle vittime. (..)
Bombe, razzi, morti, feriti. La storia si ripete.
La storia non si ripete. Ciò che si reitera è l’occupazione israeliana, che nel corso degli anni si è fatta sempre più sistematica, asfissiante. Oltre trent’anni fa esplose una rivolta popolare contro l’occupazione, oggi dobbiamo fare i conti con qualcosa di più strutturato di un’occupazione: dobbiamo lottare contro un regime di apartheid instaurato nei Territori, contro la pulizia etnica portata avanti a Gerusalemme Est nei riguardi di centinaia di migliaia di palestinesi. Trentaquattro anni fa quella rivolta portò al centro dell’attenzione internazionale la causa palestinese, oggi, sbagliando, le priorità in Medio Oriente sembrano essere altre. Resta la rabbia, e la difficoltà a trasformare quella rabbia, diffusa, radicata, in un progetto politico e di lotta.(..)
Prima di sedersi a un tavolo c’è bisogno di far tacere le armi. C’è bisogno di una tregua.
Una tregua, certo, e poi? La tragedia della gente di Gaza è nella quotidianità, quando le armi tacciono ma la fame resta. E quello che cresce è la disperazione, è il sentirsi condannati a vivere in una prigione a cielo aperto. La situazione nella Striscia è sempre più tragica: il 38% della popolazione vive in povertà assoluta; il 54% soffre per insufficienza alimentare; il 39% dei giovani sono senza lavoro; oltre il 90% dell’acqua non è potabile. Tregua certo, ma come primo passo per un “nuovo inizio”. Per un vero negoziato di pace.
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