Anche la società civile è politica -
dallo Stato-nazione sovrano alla provincializzazione democratico-radicale delle
reti associative autogestite sui bisogni dei subalterni / questa è la
negoziazione tecnica della “governamentalità“ postcoloniale.
Partha Chatterjee
Honorary Professor of Political Science
Ph.D. (University of Rochester, USA), Former Director(1997–February 2007)
Centre for Studies in Social Sciences, Calcutta
R–1, Baishnabghata Patuli Township, Kolkata – 700 094, India
https://www.cssscal.org/faculty_partha_chatterjee.php
- Partha
Chatterjee (पार्थ चटर्जी; Calcutta, 5 novembre 1947) è un sociologo indiano, membro fondatore del
collettivo Subaltern Studies, è attualmente direttore del Centre for Studies in
Social Sciences di Calcutta e Visiting Professor di Antropologia alla Columbia
University.
Ha
effettuato studi interdisciplinari, quali scienze politiche, antropologia e
storia.
Si è
laureato in scienze politiche a Calcutta e si è specializzato presso
l'Università di Rochester, a New York.
È professore
di scienze politiche ed è stato direttore del centro studi in scienze sociali a
Calcutta, ed è attualmente docente alla Columbia University di New York.
Collabora
alla pubblicazione della rivista letteraria Baromash.
Fra le sue
pubblicazioni si ricordano Nationalist
Thought and the Colonial World (1986), The
Nation and Its Fragments (1993) e Oltre
la cittadinanza (2003).
[scheda
compilata per wikipedia]
In italiano
per Meltemi, 2006: Oltre la cittadinanza.
La politica dei governati. ~ l’opera, curata con dovizia da Sandro Mezzadra,
che ne ha redatto la postfazione, è esaurita nelle librerie, il nostro invito
all’editore è a ristamparla. /
dalla
recensione di Michele Spanò
extract.:
- Foucault e
Gramsci: questi i numi tutelari – l’uno implicitamente, l’altro in forme più
latenti – del lavoro teorico di Partha Chatterjee. È, in particolare, il riuso
di alcune griglie di intelligibilità offerte da Foucault, a permettere al
discorso di Chatterjee di distendersi, non senza un salutare effetto di
straniamento: Foucault è infatti strappato agli anfiteatri del Collège de
France e trasportato a Calcutta, dove le sue invenzioni teoriche devono
vedersela con occupanti abusivi di terreni demaniali, maestri molto poco
elementari, amministratori comunisti che paiono democristiani nostrani d’antan
e ferventi devoti di santoni pronti a reincarnarsi.
Fuor di
metafora: è proprio all’arsenale concettuale della governamentalità che
Chatterjee fa ricorso per raccontare «la politica popolare nella gran parte del
mondo». Una politica che è il prodotto o l’effetto dell’attività governamentale
che, trasversalmente, è dispiegata da ogni Stato secondo tecnologie politiche
le più varie. Una politica che, propriamente, raccoglie la costellazione di
rivendicazioni, istanze e negoziazioni prodotte e agite da quanti – nella gran
parte del mondo – sono stati espulsi dall’immaginifico racconto della
modernità. Cittadinanza, nazione, titolarità di diritti e via elencando,
risultano così una rete concettuale a maglie troppo larghe per catturare realtà
e movimenti che ne eccedono integralmente i presupposti discorsivi e pratici.
Lo dice bene, Chatterjee, e con la giusta dose di perentorietà: «I cittadini
abitano la teoria, le popolazioni il campo delle politiche» (p. 50).
In fondo,
l’operazione teorica che il volume di Chatterjee implica e sollecita è nel
segno di una radicale ‘provincializzazione’ del lessico giuridico-politico
della modernità. Laddove, per l’autore, modernità è sinonimo, da un lato, di
Occidente e, dall’altro, del modo di produzione – anche discorsivo – del
capitalismo avanzato. Ebbene, all’omogeneità che struttura il tempo e lo spazio
concettuale di questa parte di mondo, fa da contraltare un’eterogeneità
complessiva dell’esperienza politica di quel resto del mondo – di cui l’India
di Chatterjee costituisce un privilegiato osservatorio – che, con consapevole
arroganza, la concettualità occidentale oblitera ed espunge. Eterogeneità che,
però, ha effetti retroattivi sulla stessa esperienza occidentale, producendo
crepe e faglie nella costruzione narrativa di se stessa e delle proprie
presunte alterità. (..) Questa eterogeneità del sociale, che costituisce la
materia bruta di ogni governamentalità è però anche, in potenza, un soggetto
politico. Non già la società civile, entità creata ad arte dai teorici della
sovranità dello Stato-Nazione proprio perché facilmente integrabile dagli
addentellati dei diritti e dei doveri, ma società politica, figura politica
dell’eterogeneo che, secondo tattiche e strategie puntuali – il più delle volte
esondando il fragile argine della legalità – guadagna spazio in autonomia ed
emancipazione lavorando politicamente sullo stesso terreno delle tecnologie
governamentali che sono intese a controllarla, produrla e gestirla. Comunità
nazionale e proprietà, “interrotte” dalle politiche assistenziali del Welfare,
divengono il terreno di uno scontro negoziale, frutto di strategie paralegali
che pretendono di riscrivere – dunque: di tradurre – un codice che ha parlato
per troppo tempo la lingua muta del monolinguismo dell’altro. (..). fine
extract.
leggi tutto in:
https://www.syzetesis.it/doc/rivista/prima_serie/2008/Chatterjee.pdf
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