di Carla Pasquinelli
Si è già
ricordato come De Martino abbia partecipato al movimento dell’occupazione delle
terre da parte dei poverissimi braccianti del Meridione e come dopo la
sconfitta di quella stagione di lotte abbia continuato a occuparsi della
Questione meridionale. Ai popoli primitivi egli accosta adesso le classi
popolari e le plebi rustiche delle campagne del Sud che rivendicano il proprio
accesso alla storia per “rovesciare l’ordine che le tiene subalterne”, come
aveva vigorosamente affermato sulle pagine di “Società” nel 1949 in un articolo
che suscitò polemiche e riserve tanto a destra che a sinistra.
Ernesto de Martino, "Intorno a una storia del mondo popolare subalterno",1949
A
scandalizzare era stato tra l’altro l’accostamento irriverente e profetico, per
quegli anni, tra la lotta dei popoli del Terzo Mondo e quella delle classi
subalterne della società capitalistica occidentale.
Un anno dopo
vengono pubblicate le Osservazioni sul folclore di Gramsci che permetteranno a
De Martino di riprendere da una prospettiva più ampia la riflessione sulla
cultura popolare. Secondo Gramsci il folklore non va visto come un “elemento
pittoresco “ o “curiosità erudita”, bensì è cosa “ molto seria e da prendere
sul serio”. É infatti “una concezione del mondo e della vita, implicita in
larga misura di determinati strati della società in contrapposizione (anch’essa
per lo più implicita, meccanica,oggettiva) con le concezioni del mondo
“ufficiali” (o in senso più largo delle parti colte della società) che si sono
successe nello sviluppo storico” +(Gramsci, 1975, p.2311)+.
In questo
brano così denso si intuisce la presenza di un concetto di cultura che, sebbene
non venga espresso nel linguaggio dell’antropologia, emerge tra le righe
soprattutto in quel carattere “implicita” e “oggettivo” che, come scrive
immediatamente dopo, costituisce “ un insieme determinato di massime per la
condotta pratica e di costumi che ne derivano o le hanno prodotte” un sostrato
muto “che ha la stessa energia di una forza materiale o qualcosa di simile”.
Questa idea del folklore come concezione del mondo delle classi subalterne va
ricollegata all’indipendenza e all’autonomia che ha la società civile nella
riflessione di Gramsci. In alcune delle pagine più note dei Quaderni del
carcere troviamo un paragone tra la Russia pre rivoluzionaria e il resto
d’Europa, che dimostra come la strategia fondata sulla guerra di manovra, che
aveva portato alla vittoria della Rivoluzione di Ottobre nel 1917, non avrebbe
potuto essere applicata in Europa a causa del diverso rapporto tra Stato e società
civile. Mentre “ in Oriente lo Stato era tutto, e la società civile era
primordiale e gelatinosa”, per cui era bastato l’assalto al Palazzo d’Inverno
perché i rivoluzionari comunisti conquistassero il potere, in Occidente occorre
invece una strategia diversa, “ una guerra di posizione “ a causa della
“robusta struttura della società civile”. Per Gramsci lo Stato è solo una “
trincea avanzata dietro cui sta una robusta catena di fortezze e casematte”,
che richiede una penetrazione capillare nel tessuto sociale che lo trasformi
dall’interno sui tempi lunghi. Tra queste casematte rientra anche il folklore,
con la sua arretratezza, “conservativa e reazionaria”, ma anche con
caratteristiche innovative, “spesso creative e progressive”, che vanno
valorizzate ai fini non solo di una migliore comprensione della società
meridionale, ma anche della sua trasformazione in senso progressivo.
+ Antonio Gramsci, Quaderni dal carcere, a cura di Valentino Gerratana, Einaudi, 1975+
da PASQUINELLI, MELLINO , Cultura - Introduzione all’antropologia, Carocci, 2017, pp.210/211
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