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agosto 2021
di Paolo Capuzzo
extract.
Contadini e subalterni in Ranajit Guha
- Ranajit
Guha, il fondatore dei Subaltern Studies, appartiene a una generazione
precedente rispetto a quella della maggior parte degli esponenti del gruppo,
come Chakrabarty, Chatterjee, Spivak. I suoi riferimenti culturali erano ben
lontani da quelli dei teorici degli studi postcoloniali nell'ambito dei quali
sarebbe stata poi recepita la sua opera. Nei suoi lavori sulla storia delle
ribellioni contadine, infatti, Guha faceva riferimento alle opere di Mao degli
anni Venti sulla centralità e l'autonomia delle rivolte contadine nello Hunan,
allo strutturalismo, sia sul versante antropologico di Lévi-Strauss, sia su
quello linguistico di Roman Jakobson, e infine a Gramsci, dal quale egli
mutuava una serie di concetti, in particolare quelli di subalternita’ ed egemonia.
Tra queste varie influenze, quella di Gramsci sembra avere una posizione
speciale nell'elaborazione di Guha. Gramsci è l'unico autore che viene citato
nella breve prefazione al primo volume dei Subaltern Studies intesa a spiegare
le finalità di questo nuovo progetto scientifico. Qui Guha mostra di accogliere
la nozione relazionale di subalterno che è stata elaborata da Gramsci, vale a
dire che la subalternità sta sempre in relazione con un'egemonia e che questa
condiziona evidentemente le modalità attraverso le quali si esprime
l'insubordinazione sociale: «I gruppi subalterni subiscono sempre l'iniziativa
dei gruppi dominanti, anche quando si ribellano e insorgono: solo la vittoria
"permanente" spezza, e non immediatamente, la subordinazione». Ma non
è tanto in questa molto citata presentazione che va cercata l'influenza di
Gramsci in Guha, quanto piuttosto nelle sue voluminose ricerche. Accanto
all'opera di animatore del collettivo Subaltern Studies, infatti, Guha ha
scritto libri importanti che mostrano una straordinaria capacità di coniugare
l'innovazione tematica e teorica con un'ampia ricerca archivistica e,
soprattutto, con un grande acume nell'interpretazione delle fonti, quanto mai
necessario per chi si arrischia nel difficile compito di scrivere la storia dei
subalterni sulla base degli archivi prodotti dai dominatori. I subalterni,
infatti, per definizione, non producono le proprie fonti; di essi parlano le
fonti di chi cerca di mantenerli in uno stato di soggezione. Eppure Guha è
riuscito a riconoscere la soggettività dei subalterni negli archivi e nei
racconti dei dominatori. Queste tracce sono state lasciate dai subalterni
proprio nel momento in cui hanno scelto di rovesciare l'ordine che li
condannava alla miseria e alla sottomissione. Il libro del 1983, con il quale
Guha ha avviato una nuova stagione della storiografia sull'India coloniale, si
intitola Aspetti elementari della rivolta contadina nell'India coloniale, e
rinvia fin dal titolo al testo di Durkheim sulle forme elementari della vita religiosa.
Dall'analisi di un gran numero di rivolte che hanno avuto come protagonisti i
contadini indiani tra la fine del Settecento e l'inizio del Novecento, e dal
loro confronto con analoghe sollevazioni avvenute altrove, soprattutto in
Europa e in Cina, Guha ha cercato di costruire la grammatica elementare che ne
definisce i caratteri. Alcuni elementi di base, infatti, ritornano in tutte le
rivolte e sono in grado di definire un linguaggio politico e delle modalità di
azione che rappresentano la specificità della politica dei
contadini-subalterni. In quest'opera uscita quasi contemporaneamente all'avvio
delle prime pubblicazioni dei volumi dei Subaltern Studies, l'ispirazione
gramsciana mi sembra permeare l'intero testo. Guha rende esplicito, fin dall'avvio
del suo testo, il dissenso da Hobsbawm e da tutte le letture che negano valore
politico alle rivolte contadine: quale che sia la sua validità per altri paesi,
la nozione di rivolta contadina prepolitica poco aiuta a comprendere
l'esperienza dell'India coloniale perché non c'era nulla nei movimenti
militanti delle sue masse rurali che non fosse politico. E sarebbe stato
difficile accadesse altrimenti, date le condizioni nelle quali si trovarono a
lavorare, vivere e concepire il mondo. Guha sostiene infatti che queste letture
presuppongono il linguaggio della politica occidentale, vale a dire l'idea che
la coscienza politica implichi necessariamente una leadership chiara e coerente
e un'organizzazione, mentre il linguaggio politico dei contadini indiani si era
elaborato sulla base di una propria specificità culturale, esprimendosi
attraverso modalità d'azione coerenti con quell'elaborazione." Guha
prendeva perciò in seria analisi le espressioni della cultura contadina, così
come Gramsci aveva preso sul serio il folclore, come espressione della
concezione del mondo delle classi subalterne.
+ la
citazione di Gramsci è dal Quaderno 25 § 2, ed. Einaudi, 1975, p. 2283.
Gramsci in India e i Subaltern Studies
Il richiamo
a Gramsci nei Subaltern Studies non ha nulla di rituale o di meramente
simbolico, ma investe invece il cuore dell'elaborazione delle categorie e degli
strumenti analitici di questa corrente storiografica. E utile sottolineare gli
scarti tra la visione gramsciana dei subalterni e quella dei Subaltern Studies
per capire come il pensiero di Gramsci sia stato assunto produttivamente in
contesti di ricerca e da posizioni teoriche molto lontane da quelle della
tradizione interpretativa che ci è più consueta; riflettere cioè sulle
peculiarità di questa nuova appropriazione del pensiero gramsciano, sul perché
certe sue idee siano state utilizzate e altre no. Riflettere sul carattere
selettivo dell'appropriazione del pensiero gramsciano può insegnare molto
perché ci permette di comprendere nuovi punti di vista, che contribuiscono
all'elaborazione di un pensiero critico all'altezza delle sfide poste da un
mondo globalizzato. Gramsci è stato forse il primo marxista occidentale a
manifestare un interesse autentico per la cultura popolare. E non si trattava
certo di un interesse accademico perché nulla nel pensiero di Gramsci poteva
avere un tratto semplicemente accademico. L'interesse per la cultura popolare
era eminentemente politico perché in essa si manifestava una produzione di
significati e interpretazioni del mondo che provenivano dalle classi
subalterne. Se la strategia politica comunista voleva avere a che fare con
delle masse concrete, insomma, doveva ascoltare questi significati e riferirsi
a essi. È un passaggio importante perché significa riconoscere l'eterogeneità
del mondo popolare, rispettarne le ragioni, farne il perno di un'azione
politica.
(..) “ Gramsci ricostruisce l’evoluzione politica dei
subalterni verso il superamento della propria condizione, che diventa compiuta
quando i subalterni si fanno Stato. E questo è il risultato di un percorso che
ha nel partito un proprio perno, e nel rovesciamento dell’egemonia nella
società civile e dei rapporti di forza nella società politica la via che
conduce ad un nuovo Stato.”,
Paolo Capuzzo, da Gramsci, le
culture e il mondo, Viella 2009, paragrafo titolo corrispondente
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