La voce scritta dallo storico delle religioni Vittorio
Lanternari (1918-2010) su Ernesto de Martino per il Dizionario biografico degli
italiani (vol.38), Istituto dell’Enciclopedia italiana, 1990
Vittorio Lanternari (1918-2010) - antropologo e storico delle religioni
I titoli dei
paragrafi sono redazionali. #SubalternStudiesItalia
- Ernesto De Martino
- La drammatica realtà del mondo
subalterno
- I quaderni dalla fine del mondo
- Etnocentrismo critico vs.
relativismo culturale: l'umanesimo etnografico
1.parte. La
stagione ”meridionalistica” dell’etnologo partenopeo, la più fertile dal punto
di vista subalternista, definita dal Lanternari “fase intercalare relativamente
autonoma”, dopo aver evidenziato un esagerato debito filosofico verso l’ontologia
esistenzialistica di Heidegger.
ERNESTO DE MARTINO
Nacque a
Napoli il 1° dicembre 1908 da Ernesto, ingegnere delle Ferrovie dello Stato, e
da Gina Jaquinangelo. All'università di Napoli seguì la scuola di Adolfo
Omodeo, con cui si laureò nel 1932 con una tesi in storia delle religioni e che
lo introdusse nella cerchia di B. Croce. Della filosofia crociana, anche
attraverso l'insegnamento dell'Omodeo, il de Martino assorbì l'indirizzo
storicista che difenderà fino all'ultimo con tenacia, pur sviluppandolo e
integrandolo con apporti speculativi eterogenei, e ampliandone l'applicazione a
settori praticamente esclusi dal Croce, come la storia delle religioni e
l'etnologia. Il de Martino allargò la prospettiva della speculazione crociana
fin dal suo primo libro, Naturalismo e storicismo nell'etnologia (Bari l941),
che segnò l'inizio di una laboriosa e metodica riflessione critica nel campo
delle teorie etnologiche dominanti in ambito internazionale. Le varie correnti
di pensiero, dal prelogismo di L. Lévy-Bruhl, al sociologismo di Emile
Durkheim, alla scuola di Vienna di Wilhelm Schmidt con la sua teoria
storico-culturale o diffusionista, al funzionalismo di B. Malinowski in Gran
Bretagna, fino all'appendice dell'antropologia applicata statunitense, venivano
passate al vaglio di un pensiero critico che intendeva dimostrarne un comune
presupposto antistoricista - per il de Martino "naturalistico" -
dichiarato o implicito. Il contatto con Raffaele Pettazzoni, che a cominciare
dal 1934 ne pubblicava vari contributi nella rivista da lui fondata e diretta,
Studi e Materiali di Storia delle religioni, maturò e orientò sempre più gli
interessi del de Martino verso l'etnologia religiosa e la storia delle
religioni (in cui conseguirà la libera docenza rispettivamente nel 1952 e nel
1956). Particolare impegno egli pose fin dalla prima fase della sua attività di
studioso nell'affrontare i problemi interpretativi connessi con i fenomeni di
magia, a ciò spinto anche da un suo preliminare interesse psicologico.
A questa
prima fase di ricerche appartengono infatti vari contributi che rivelano
precisi interessi per la metapsichica, il magismo e i fenomeni sciamanici
(Percezione extra sensoriale e magismo etnologico, ibid., XVIII [1942], pp.
1-19, e XIX-XX [1943-1946], pp. 31-84; Lineamenti di etnometapsichica, ibid.,
XVIII [1942]. pp. 113-139; Di alcune condizioni delle sedute metapsichiche alla
luce del magismo sciamanistico, in Rivista di antropologia, XXXIV [1942-1943],
pp. 479-490). In questo senso il de Martino si dimostrava pionieristicamente
avviato ad affrontare temi che avrebbero, ma solo più tardi in Italia,
sollecitato, entro gli ambienti psichiatrici, crescenti contatti e rapporti con
l'etnologia, così da sviluppare una nuova branca autonoma, nell'ambito delle
discipline psichiatriche, che avrebbe preso corpo nella psichiatria
transculturale o etnopsichiatria.
Ne Il mondo magico (Torino 1948) - primo
volume della collana di studi religiosi, etnologici e psicologici diretta da C.
Pavese e poi dallo stesso de Martino - egli legava vistosamente i problemi
d'interpretazione dei mondi culturali "primitivi" di livello
etnologico, con i problemi d'interpretazione riguardanti la realtà dei poteri
magici in generale. Qui per la prima volta il de Martino prendeva le distanze
dal crocianesimo ortodosso sostenendo la tesi della storicizzabilità delle
categorie crociane. Contro la filosofia implicitamente etnocentrica del Croce,
che ignorava o poneva in parentesi i mondi culturali delle società
"primitive" extra occidentali, egli rivalutava il mondo culturale di
magismo delle società tradizionali, che faceva oggetto di una autonoma
problematica storiografica.
Il mondo
della magia, di cui le società "primitive" offrono imponenti
manifestazioni ch'egli assume a documento, ha per lui una sua realtà
precategoriale ed è visto come una primordiale rappresentazione del mondo,
funzionale al bisogno - per usare i termini da lui adottati - di
"garantire la presenza". Sensibile fin da quest'opera è l`influenza
dello esistenzialismo di Heidegger, da cui egli mutua alcuni concetti-base e in
parte il linguaggio, introducendo nel campo dell'antropologia religiosa nozioni
quali quella di "crisi della presenza" e quella di "riscatto
dalla crisi": un riscatto attuato, secondo il de Martino, per il tramite
del rituale magico religioso, inteso come tecnica. di superamento della crisi e
della "angoscia della storia".
Sviluppando
la sua speculazione etnologico-religiosa, il de Martino si avvale sempre più
della psicologia e dell'ausilio offerto dalla sua conoscenza delle scienze
psichiatriche, secondo un criterio che sarà da lui stesso più tardi ripreso con
il massimo impegno, nell'ultimo periodo della sua attività di studioso, cioè
nell'opera cui attendeva prima della prematura morte e che sarebbe stata
pubblicata postuma, La fine del mondo.
In ciò si rivela una continuità di pensiero e di interessi che procede dai
primissimi contributi fino agli ultimi e più impegnativi, attraverso una fase
intercalare, pur essa di fondamentale importanza, ma relativamente autonoma e
che abbraccia il periodo delle opere "meridionalistiche". / fine
parte 1.
Su Vittorio
Lanternari leggi voce della stessa Enciclopedia Treccani al link https://www.treccani.it/enciclopedia/vittorio-lanternari/
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#VittorioLanternari
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#antropologiafilosofica,
#storiadellereligioni
2. parte
Insuperata analisi di Lanternari sul
de Martino ’subalternist’: dalla ricerca sul campo all’interdisciplinarietà, il
popolo senza storia del Mezzogiorno d’Italia si pone come soggetto attivo agli
occhi del ricercatore. #SubalternStudiesItalia
LA DRAMMATICA REALTÀ DEL MONDO SUBALTERNO
- Una svolta
decisiva nell'esistenza e nell'attività del de Martino fu determinata dalla sua
esperienza di militante nei partiti della Sinistra e dal proprio impegno
ideologico-sociale. Dal 1945 egli si trovò ad agire, come segretario di
federazione del Partito socialista (PSIUP poi PSI), nell'Italia meridionale: a
Bari, Molfetta, poi Lecce (qui in veste di commissario). Dal 1950 egli aderiva
al Partito comunista italiano. Il contatto diretto con i contadini del Sud, e
con i problemi del Meridione, impresse un marchio originale sulla personalità
dello studioso, che in quell'esperienza ricevette lo stimolo a muoversi verso
un'etnologia o antropologia fatta di ricerche sul terreno. Da allora fu spinto
ad assumere come problema centrale della propria ricerca l'analisi del folklore
religioso nella cultura contadina del Sud.
Se il
Meridione d'Italia costituiva da tempo un problema nella coscienza di storici,
economisti, sociologi, nessuno aveva fin allora affrontato nella sua autonomia
il problema della "cultura" contadina del Sud, vista come complessa e
specifica concezione del mondo e collocata sul fondo di una società
storicamente determinata. Il de Martino sentì l'urgenza di colmare questo
vuoto. Oltre che dall'esperienza della militanza politica, egli fu indotto a
questa scelta anche dalla convergenza di alcuni altri fattori o eventi: in
particolare l'uscita del “Cristo si è fermato a Eboli“ di Carlo Levi nel 1945 e
il conseguente incontro con Levi; l'incontro con Rocco Scotellaro,
poeta-contadino lucano, e infine l'uscita dei Quaderni del carcere di Antonio
Gramsci nel 1948.
- Scoperta -
anche attraverso Levi e Scotellaro - la drammatica umanità di quel mondo
subalterno, il de Martino si avviò al suo compito di analisi e interpretazione,
valendosi degli strumenti offertigli dalla sua consapevolezza di storico, dalle
tecniche della ricerca etnologica e dalla chiave interpretativa - marxista e
classista - che Gramsci gli offriva relativamente alle forme di quel folklore
meridionale che Gramsci stesso raccoglieva nella categoria del "cattolicesimo
popolare". Le origini, il significato, il persistere di credenze e
pratiche magico-religiose arcaiche tra i ceti rurali del Sud sono infatti
studiati dal de Martino nel contesto di una storia sociale che ne costituisce
la base determinante. Così, con una serie di missioni etnografiche dai primi
anni '50, egli raccolse una quantità di documenti relativi a manifestazioni
magico-religiose e ne studiò le origini storiche, i rapporti con le condizioni
storiche e sociali attraverso i secoli, i motivi impliciti che ne
giustificavano il persistere. Tutti i fenomeni posti al centro della sua
indagine avevano in effetti origini arcaiche, precristiane, da un antico fondo
di civiltà agrarie, ed erano stati a lungo oggetto di polemiche, di
repressioni, di interventi adattivi da parte della Chiesa ufficiale. Oggetto
della sua investigazione particolarmente furono: il complesso mitico-rituale
della fascinazione in Lucania (Sud e
magia, Milano 1959); le persistenze del pianto funebre in Lucania (Morte e pianto rituale nel mondo antico,
Torino 1958); il tarantismo del Salento (La
terra del rimorso, Milano 1961).
Il perdurare
di tali rituali e di tali credenze, con le varie manifestazioni connesse di
sincretismo pagano-cristiano, è interpretato come espressione di una resistenza
implicita, inconsapevole e disorganica alla cultura ufficiale cristiana,
rappresentata dalla Chiesa. La storia delle varie polemiche del clero e dei
sinodi ecclesiastici contro tali manifestazioni è dallo studioso ripercorsa a
prova della sua interpretazione, che spiega anche gli adattamenti della
politica culturale ecclesiastica nell'assorbire e riplasmare culti e credenze
d'origine arcaica. D'altra parte il de Martino spiega il perdurare di tali
arcaismi secondo ragione storica, come espressione di una concezione del mondo
propria di una società rimasta per secoli nell'isolamento da parte dei poteri
centrali e delle istituzioni ufficiali che l'emarginarono e la sfruttarono. La
"miseria culturale", - egli afferma - è lo specchio di una miseria psicologica
determinata a sua volta da condizioni storico-sociali imposte all'intero
Mezzogiorno da un regime di subalternità plurisecolare e che pure in epoca
contemporanea in certa misura persiste o fa pesare le sue conseguenze a lungo
termine. Il folklore religioso appare dunque come il riflesso della "non
storia" del Sud, e cioè della continua repressione subita.
Nel loro
insieme le tre opere meridionalistiche costituiscono un nucleo paradigmatico di
studi di storia socialreligiosa e culturale, condotti sulla base di inchieste
dirette e reiterate, operate da lui sul posto mediante interviste, osservazione
partecipante e con l'ausilio dei mezzi d'inchiesta allora aggiornati, quali
registratore, macchine da ripresa, ricostruzione di momenti e sequenze di vita
locale. Con queste opere s'inaugurò in Italia un importante filone di ricerche
di antropologia culturale, o etnologia della società meridionale metropolitana,
destinato ad avere sviluppi crescenti, dopo la morte del de Martino, da parte
di antropologi di più giovane generazione, che in queste opere hanno trovato
una fonte di stimoli e di sollecitazioni. Infatti, anche se negli ultimi anni
le tecniche e le metodologie della ricerca antropologica dispongono di un
apparato empirico più sofisticato e hanno sviluppato problematiche via via più
penetranti, gli studi pionieristici del de Martino costituiscono un inevitabile
punto di riferimento. Particolare importanza come tecnica innovativa da lui
inaugurata è quella dell'indagine interdisciplinare, che egli adottò
soprattutto nello studio del tarantismo pugliese, con l'unione in un'unica
équipe di uno psichiatra, di una psicologa, oltre allo storico delle religioni,
a un'antropologa culturale, all'etnomusicologo e al documentarista
cinematografico. Il criterio della interdisciplinarità sarebbe poi rimasto come
un'acquisizione ed un'esigenza definitiva negli studi etnoantropologici. / fine
parte 2.
Su Vittorio
Lanternari leggi e controlla la voce di Wikipedia che abbiamo contribuito a
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3. parte
I QUADERNI DALLA FINE DEL MONDO
Secondo Lanternari, anche negli appunti e schede per
‘La fine del mondo’, si riaffermano valori e funzioni del ‘riscatto’ di
impronta marxista, antropologia filosofica della liberazione, confrontati con
le dimensioni ontologiche, fenomenologiche ed esistenzialiste. #SubalternStudiesItalia
- Divenuto
professore di ruolo di storia delle religioni nella facoltà di lettere
dell'università di Cagliari dal dicembre 1959, al periodo meridionalista
successe un periodo di approfondimenti e sviluppi problematici. Il de Martino
da un lato scoprì e pose in questione una serie di manifestazioni religiose o
parareligiose di tipo extraufficiale nel cuore della società borghese
occidentale: rigurgiti di magismo in Germania, feste carnevalesche a carattere
orgiastico-contestativo nella Svezia di fine anni '50 (il capodanno di
Stoccolma), insieme con altre manifestazioni rituali d'ambito ufficiale nella
società socialista dell'URSS, come il simbolismo cerimoniale sovietico (Furore,
simbolo, valore, Milano 1962). D'altronde egli dette avvio ad una ricerca
interdisciplinare intorno ad una tematica nuova, quella dell'apocalisse e dei
miti escatologici. Per l'analisi di questo tema raccolse materiale non solo dal
campo della storia religiosa in un'accezione ampia che include accanto al
giudeo-cristianesimo anche le religioni "primitive", ma anche dalla
letteratura moderna della crisi - J.P. Sartre, A. Moravia, A. Camus -, dalla
filosofia e dai teorici del marxismo classico, dalla psichiatria. Alle prese
con tale complessa tematica, la sua personalità poliedrica si dispiegò
interamente avvalendosi dell'apporto delle diverse discipline suindicate,
dimostrando la natura multiforme dei suoi interessi culturali, che travalicavano
le partizioni accademiche e le etichettature formali. Del resto la poliedricità
delle sue aperture speculative inducevano in lui una particolare ambivalenza
sul piano dell'impostazione epistemologica. Infatti egli tendeva a unificare
prospettive di per sé eterogenee come quella storicista di derivazione
crociana, ma riveduta in chiave marxista, con quella fenomenologico-ontologica,
volta tipicamente alla identificazione di "universali" e di strutture
invarianti d'ordine psicologico. Il saggio Apocalissi culturali e apocalissi
psicopatologiche (in Nuovi Argomenti, LXIX-LXXI [1964], pp. 105-141),
introduceva la tematica a cui egli lavorava dai primi anni '60 e che,
interrotta dalla morte, doveva trovare una elaborazione, sebbene incompiuta e
frammentaria, nel libro postumo La fine del mondo. Contributo all'analisi delle
apocalissi culturali (Torino 1977).
Pur nella
incompiutezza che la caratterizza e che ne fa, salvo per la parte psichiatrica,
piuttosto una silloge di appunti e di trascrizioni da testi e da autori vari
con note e riflessioni personali, quest'opera documenta la somma degli
interessi speculativi e culturali dell'ultimo de Martino. Vi ritorna il tema
della crisi e sua reintegrazione religiosa, visto però in una sua autonomia
ontologica e non più nel preciso rapporto di condizionamento storico-sociale
entro cui era collocato e interpretato nelle precedenti opere
meridionalistiche. Un riaccostamento all'impostazione fenomenologica prevalsa
ne ll mondo magico distacca quest'ultima fase della riflessione demartiniana da
quella più legata allo storicismo gramsciano che domina nei tre libri dedicati
al folklore del Sud: e ciò si dica anche se già nella seconda edizione de Il
mondo magico (1958) l'autore aveva ritrattato la precedente sua tesi che poneva
la magia in una fase precategoriale dello sviluppo del pensiero umano, per
riaderire ai fondamenti delle critiche mossegli dal Croce.
Ne La fine
del mondo lo storicismo assoluto del primo de Martino - secondo il quale il
senso e le forme delle civiltà umane e delle religioni si risolvono per intero
e senza residui nella loro storia - sfuma, lasciando notevole spazio ad una
prospettiva fenomenologico-psicologistica. Nel contempo è vigorosamente
riaffermata la funzione liberante della visione del mondo laica marxista.
Pertanto l'apocalittica marxiana è contrapposta a quella alienante delle
religioni, mentre per la prima volta il de Martino prende atto del valore
innovativo e creativo che studi recenti hanno riconosciuto nei movimenti
profetici, millenaristi e apocalittici di liberazione delle popolazioni
excoloniali del Terzo Mondo.
ETNOCENTRISMO CRITICO VS. RELATIVISMO CULTURALE:
L’UMANESIMO ETNOGRAFICO
Anche
nell'ultimo e incompiuto lavoro si rivelavano, da squarci di apertura geniale,
la ricchezza e la densità di riflessione tipiche del de Martino. In questo
lavoro, come nei precedenti, egli parte da esperienze dell'oggi e del qui, da
problemi, situazioni, crisi incombenti nella nostra civiltà contemporanea, per
risalire da qui - in uno sforzo di comprensione storica universale -
all'osservazione e all'analisi di mondi "altri" in senso psicologico
(il mondo della psicopatologia), ovvero in senso storico cronologico (il mondo
del cristianesimo primitivo), ed in senso storico-culturale (il mondo delle
culture extraoccidentali oggetti di studio dell'etnologia). Precisamente di
fronte all'arduo compito assuntosi di una comprensione storica universale, il
de Martino si pone metodicamente il problema della giusta prospettiva spettante
allo scienziato che guarda all'"alieno" e alle culture
"altre". Di qui si sviluppa la sua riflessione intorno al tema degli
etnocentrismi: una riflessione che aveva impegnato l'autore, ma su un piano
pratico-operativo diretto, fin dall'epoca delle sue ricerche nel Mezzogiorno,
nel sistematico incontro-scontro con i portatori di modelli culturali
fondamentalmente "alieni" per uno scienziato cresciuto e formatosi
nel seno della società borghese ufficiale e colta. Infatti già allora il de
Martino non aveva perduto occasione per esprimere un proprio "senso di
colpa" di fronte alla miseria culturale e psicologica delle plebi meridionali:
un senso di colpa che intorno a quella stessa epoca ispirava pagine e
riflessioni di un altro illustre esponente del pensiero antropologico in
Europa, Claude Lévi-Strauss.
Nello
sviluppare in forma riflessa e metodica la sua tesi sull'etnocentrismo, il de
Martino rifiutava come decisamente superata ogni forma di etnocentrismo
dogmatico, con i suoi condannevoli corollari del razzismo e del pregiudizio
sociale. Tuttavia egli respingeva altrettanto decisamente la prospettiva del
relativismo culturale d'origine americana, per il quale ciascuna
"cultura" vale per sé stessa né deve essere valutata dall'esterno se
non in riferimento ai parametri validi per i suoi diretti esponenti. Egli
infatti ravvisava la doppiezza e la contraddittorietà di questa posizione
teorica e speculativa, la quale, sotto la specie di un liberalismo teorico,
nascondeva ogni riserva di intervento pratico-politico sui portatori delle
culture aliene.
Il de
Martino affermava e proponeva la validità di una posizione che egli stesso
aveva assunto nel confronto della cultura contadina meridionale nel corso delle
sue precedenti indagini: posizione definita da lui "etnocentrismo
critico". Questo è da intendersi come sforzo supremo di allargamento della
propria coscienza culturale di fronte ad ogni cultura "altra", e come
sofferto processo di presa di coscienza critica dei limiti della propria storia
culturale, sociale, politica. L'etnocentrismo critico pone in questione
"le stesse categorie di osservazione di cui lo studioso dispone all'inizio
della ricerca". Con questa tensione etico-speculativa si può realizzare,
secondo il de Martino, quell'"umanesimo etnografico" che implica
un'opera di storicizzazione di sé e della propria cultura, e di autocritica in
base al confronto storico-culturale, ma senza rinunziare - com'egli ribadisce -
alla idea del primato della civiltà occidentale. Il modello della civiltà
europea più avanzata sul piano del sapere scientifico, della tecnologia, dello
sviluppo culturale, non può cedere, per il de Martino, ai modelli di culture
altre per le quali, pur nell'indispensabile sforzo di conoscerle, capirle e
giustificarle sul piano storico, logico e psicosociale, la prospettiva di
sviluppo proposta è pur quella di adeguarsi al modello occidentale nelle sue
espressioni socialmente più avanzate. Questa visione eurocentrica, per quanto
critica ed autocritica, avrebbe dato avvio poi a discussioni e interventi
variamente orientati, negli sviluppi postdemartiniani del pensiero
antropologico in Italia.
Per la
complessità poliedrica dell'approccio del de Martino allo studio dell'uomo, per
la forte tensione etico-sociale-ideologica che permea i suoi scritti, per
l'efficacia scandagliatrice delle sue analisi, per la soggettività fascinosa
del suo linguaggio - per cui la sua opera si impone anche per il suo valore
letterario - la sua produzione si pone al di sopra delle specializzazioni
accademiche più o meno settoriali, e pare destinata a riscuotere risonanze
durevoli nell'ambito di molteplici discipline, dei più vari orientamenti di
studio che hanno a che fare con il problema dell'uomo e di tutti coloro che a
tale problema rivolgono un personale e sensibile interesse.
- Il de
Martino morì a Roma il 6 maggio 1965. / fine
Si ringrazia
l’Archivio Internazionale De Martino per la messa a disposizione della voce. Si
rimanda all’Archivio per fonti e bibliografia complete: http://archivio.ernestodemartino.it/index.php?ID=2
ultima
modifica 15 January 2018 13:46:08.
Sulle tre edizioni de ’La fine del mondo’ di de Martino
Il ’lamento‘ intellettuale demartiniano sulla Rabata di Tricarico
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