Il
filosofo libertino erudito pugliese, che girovagò come Giordano Bruno
nell’Europa da frate carmelitano fino al 1612, ha necessità di essere studiato
anche oltre l’accademia e l’erudizione, appunto. Se filosoficamente il
confronto, l’analogia, l’accostamento, vanno elaborati naturalmente con le
concezioni olistiche del Nolano, che lo precede, con il panteismo di Spinoza e
i presupposti dell’Illuminismo, che lo seguono, con le suggestioni di
Schopenauer, che lo cita e lo apprezza; dal punto di vista della più generale
teoria politica della filosofia, andrebbe sviluppato un confronto analitico con
l’anarchismo libertario, sia nella forma (i dialoghi, come quelli scritti da
Errico Malatesta) sia nei contenuti. Contenuti che costarono a Vanini, come già
a Bruno e in seguito agli anarchici, la persecuzione, la condanna a morte, i
roghi dei corpi e dei libri. Non senza, nel caso di Vanini, avergli prima
strappato con le tenaglie la lingua. Per farlo nonostante ancora parlare, oggi,
tocca a noi.
Can Vanini speak?
-
Il libertinismo erudito di Vanini è un libertinismo radicale, senza mediazioni
con il potere, politico ed ecclesiastico. Con l’arte della dissimulazione, che
permea i suoi scritti, la critica razionalista, che pone non solo in dubbio i
dogmi, ma li sbeffeggia (al modo dell’’”asinità” di Giordano Bruno, “O santa
asinità, santa ignoranza, santa stoltezza” - Cabala del cavallo Pegaseo) come
imbroglio ideologico. Una concezione panteistica permea la riflessione
filosofica sull’umano e il suo mondo, che è integralmente, olisticamente,
natura senza trascendenza.
Quando GRAMSCI cita
VANINI
“I
grandi editori deperiscono in Italia.”
Nei
suoi Quaderni del carcere, scritti tra il 1929 e il 1935, Antonio Gramsci,
commentando la reazione ecclesiastica della Controriforma, si lascia andare a
un’amara constatazione editoriale, nell’ambito della quale cita Vanini: “Le
opere complete del Machiavelli furono stampate per l’ultima volta in Italia nel
1554, e nel 1557 il Decamerone integro; l’editore Giolito dopo il 1560 cessò di
stampare anche il Petrarca. Da allora cominciano le edizioni castrate dei
poeti, dei novellieri, dei romanzieri. La censura ecclesiastica infastidisce
anche i pittori. (..) I grandi editori deperiscono in Italia: Venezia resiste
di piú, ma infine gli autori italiani e le opere italiane (del Bruno, del
Campanella, del Vanini, del Galilei) sono stampate integralmente solo in
Germania, in Francia, in Olanda. Con la reazione ecclesiastica che culmina
nella condanna di Galileo finisce in Italia il Rinascimento anche fra gli
intellettuali.” nota +
Da
notare la disinvoltura - non scontata ai tempi in cui scrive - con cui Gramsci
accosta Vanini a giganti acclarati come Bruno, Campanella e Galilei.
+
Cfr. Antonio Gramsci, Quaderni dal carcere, 4 voll., Einaudi, Torino 1977,
vol.III, Quaderno 17 (IV), §15, pag.1919.
Mario
Carparelli, Giulio Cesare Vanini - Il filosofo, l’empio, il rogo, Liberlibri,
2021, p. 49
Giulio
Cesare Vanini è un personaggio storico purtroppo poco conosciuto in Italia, ma
che andrebbe riscoperto e valorizzato perché rappresenta un importante
precursore del materialismo. I contenuti del suo pensiero sono incredibilmente
radicali e avanzati rispetto all’epoca in cui vive, e per certi versi anche
rispetto al giorno d’oggi, se si considera la cultura dominante, egemonizzata
da un pensiero intriso di moralismo confessionale, e allo stesso tempo dove
l’irrazionalismo superstizioso ha ampissimo spazio nel senso comune.
Il
contesto storico in cui vive Vanini – nato a Taurisano (Lecce) nel 1585 e arso
vivo a Tolosa nel 1619 – è quello del periodo barocco dell’Inquisizione,
descritto magistralmente nella sua caccia a streghe ed eretici nel romanzo La
Chimera di Sebastiano Vassalli, anche se la condanna al rogo per “ateismo e
bestemmie contro il nome di Dio” di Vanini non viene inflitta dall’Inquisizione
ma dal Parlamento di Tolosa, in un’epoca in cui mettere in discussione Dio era
considerato un atto sovversivo anche dal potere temporale.
Adriana
Bernardeschi de La città futura https://www.lacittafutura.it/unigramsci/giulio-cesare-vanini-un-precursore-del-materialismo-e-della-laicità-del-pensiero-parte-i
“L’uomo
barocco è «chiuso». Le «finestre» sono cieche e artificiose. Non sul petto
dovrebbero aprirsi. Ma direttamente sul cuore squarciato. Sulle sue fughe in
profondità. Il segreto fonda l’uomo barocco. E, nell’ombra, o nel silenzio, lo
rende libero. Nel bene e nel male”, Salvatore Nigro in Introduzione a Torquato
Accetto, Della dissimulazione onesta, Einaudi, 1997
Michel
Onfray, nel suo noto Trattato di ateologia, sostiene la tesi che Vanini non
fosse ateo: “questo pensiero ossimorico non nega la provvidenza, il
cristianesimo, il cattolicesimo, ma in compenso rifiuta nettamente l’ateismo
[…] Tutto ciò non ne fa un ateo […] quanto più probabilmente una specie di
panteista eclettico”. La sua condanna quindi sarebbe dovuta alla sua
eterodossia e non al suo ateismo., Michel Onfray, Trattato di ateologia, Fazi
Editore, 2005, p. 37.
Un
ambito imprescindibile per capire l’opera di Vanini è quello dell’aristotelismo
naturalistico di Pomponazzi, con i suoi spunti averroistici di forte
separazione fra verità e fede: anche qui ci si inserisce in un contesto di
parziale giustificazione del dissimulare. La necessità di dissimulare è
esplicitata da Giordano Bruno e Tommaso Campanella. Bruno, ne La bestia
trionfante, la definisce “scudo della verità”. Campanella dedica ampio spazio
al tema del “teatro del mondo”, di uno strutturale portare una maschera che
toglieremo solo nel giorno del giudizio.
secretior
philosophia - “tutto ciò che è nuovo modifica
profondamente la sensibilità”, G.C.Vanini, De admirandis naturae reginae
deaeque mortalium arcanis – edizione italiana: Dei meravigliosi segreti della
natura, a cura di F. P. Raimondi e L. Crudo, Congedo editore, Galatina (Lecce),
p. 3.
Nelle
prime pagine del De admirandis naturae
reginae deaeque mortalium arcanis – una delle sue due opere fondamentali,
scritta in forma di dialogo – Vanini accenna, tramite una domanda del suo
interlocutore, a una sua secretior philosophia (“filosofia più segreta”).
Questo avvertimento fornisce al lettore una chiave di lettura: tutto il testo è
implicitamente costruito su due piani, uno dei quali (essoterico) serve da
maschera all’altro (esoterico). Il concetto di scrittura “sovrapposta” è alla
base dell’intrecciarsi delle tecniche di dissimulazione utilizzate da Vanini, è
il filo conduttore che le lega.
La
secretior philosophia è un discorso sotterraneo che appare in superficie
tramite segnali che il lettore deve cogliere e collegare, i quali, suggerendo
un contesto implicito, compongono un mosaico dotato di senso. Si tratta dunque
di un messaggio cifrato, che solo gli iniziati sapranno decodificare.
Interessante è rilevare come la secretior philosophia vaniniana è allo stesso tempo inganno in quanto utilizza il camuffamento, e verità, che si serve dell’inganno stesso per demolire l’inganno e l’impostura che permea tutta una cultura, passata e presente. -
Adriana Bernardeschi, - https://www.lacittafutura.it/unigramsci/giulio-cesare-vanini-un-precursore-del-materialismo-e-della-laicità-del-pensiero-parte-ii
si nollet Deus pessimas ac nefarias in orbe vigere actiones, procul dubio uno nutu extra mundi limites omnia flagitia exterminater profligaretque: quis enim nostrum divinæ potest resistere voluntati? Quomodo invito Dio patrantur scelera, si in actu quoque peccandi scelestis vires subministra? Ad hæc: si contra Dei voluntatem homo labitur, Deus erit inferior homine, qui ei adversatur, et prævalet. Hinc deducunt, Deus ita desiderat hunc mundum, qualis est, si meliorem vellet, meliorem haberet”
“… Se Dio non volesse che si
diffondessero nel mondo azioni pessime e delittuose, senza dubbio, con un sol
cenno, annienterebbe e bandirebbe fuori
dai confini dell’universo ogni infamia. Chi di noi, infatti, può resistere alla
volontà di Dio? E in che modo si può commettere un delitto contro la volontà
divina, ammesso anche che nell’atto di peccare Dio fornisca al reo la forza per
farlo? E ancora, dicono, se l’uomo cade in peccato, contro la volontà di Dio,
allora questi sarà inferiore all’uomo, che riesce ad opporglisi e a prevalere
su di Lui. Da ciò deducono che Dio desidera questo mondo così come è. Ché se lo
volesse migliore, lo avrebbe”.
(Amphitheatrum
æternæ providentiæ, Lugduni MDCXV, p. 103 – , trad. it. F.P. Raimondi – L.
Crudo, Galatina 1981, p.131).
Gli
strapparono la lingua prima di soffocarlo e bruciarlo in quel di Tolosa il 9
febbraio 1619, diciannove anni dopo il rogo di Giordano Bruno. È ora che
ritorni a parlare. “Ils prefiguraient la libre pensee et la raison“, si legge
sulla lapide della ville francese di Toulouse. Infatti, quello che
rappresentavano l’infinito e gli infiniti universi per il domenicano Giordano
da Nola, erano per il carmelitano Giulio Cesare da Taurisano la materia e la
natura.
a cura della
Scuola di Filosofia “Giulio Cesare Vanini”, Manduria (TA) - https://t.me/scuolafilosofiaVanini
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