Riprendiamo i classici del meridionalismo storico politico di impostazione gramsciana per ridefinire un nuovo meridionalismo non latitudinario che può essere inscritto nella più generale critica postcoloniale alle forme della modernità.
Come il giovane Gramsci che scrive nel 1917 lo splendido articolo della rivoluzione russa “contro il capitale”, caratterizzando crediamo per sempre il suo marxismo come creativo e antideterminista; così Scotellaro intende il suo ruolo attivo di intellettuale “organico” alle classi subalterne, nonostante Gramsci avesse riflettuto che la civiltà contadina del mondo rurale si affidasse agli intellettuali ‘tradizionali’ e non producesse suoi propri intellettuali. Era iniziato il riscatto dei gruppi subalterni del Mezzogiorno.
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- E’ impressionante la
rimozione che la cancellazione richiede. Se si pensa che si deve all’oggi scomparso studioso
statunitense John Cammet, l’inizio di una seria e rigorosa bibliografia
gramsciana internazionale, vien da pensare come purtroppo sia proprio l’Italia
il paese dove il lavoro su Gramsci presenta le maggiori difficoltà e addirittura
ostracismo quando se ne rivendica l’impegno comunista militante. Segno di un
clima culturale (e politico) regressivo o, peggio, del ripudio sostanziale
della sua eredità. E per Scotellaro non va meglio, appena se ne rivendichi la
sua appartenenza ideale e politica al marxismo. L’autore de ‘I contadini del
Sud’ che ben figurerebbe oggi, lui poeta e scrittore con poca dimestichezza sociologica,
accanto ai Cultural Studies (che hanno in Inghilterra in Stuart Hall, il loro
rappresentante più significativo) e ai Post Colonial Studies, (e dunque negli
Stati Uniti con la figura del noto studioso Edward Said), entrambi di matrice
gramsciana.
Quelle facce di ‘come eravamo’ che
ricompaiono, nello stesso 1953 che a dicembre registrerà la sua prematura morte, nelle “Note di viaggio”
di Ernesto de Martino.
Ernesto de Martino, dinanzi a quegli stessi contadini lucani raffigurati poeticamente dal poeta tricaricese e dipinti dal piemontese Carlo Levi pur ferito dal confino, svilupperà la categoria della ‘presenza’, dell’’esserci-nel-mondo”, unico tramite per arrivare alla coscienza di sé e del proprio riscatto. E l’esserci-nel mondo è ben lontano dall’essere una categoria filosofica fenomenologica, ma, come nel Mondo magico, è preso in esame come problema collettivo, tramite, appunto, della coscienza di classe. Per de Martino si trattava di un passaggio “dall’astratta impostazione idealistica” al “terreno concreto dei rapporti di classe”, così scrisse il mio indimenticabile maestro all’Università di Firenze, Cesare Luporini, “Intorno alla storia del mondo popolare subalterno”, in Società, vol.VI, nr.2, 1950, ora in Rauty (a cura di), Cultura popolare e marxismo, Editori Riuniti, 1976, pp.74 sgg. E’ stupefacente come quell’articolo, riletto oggi, possa costituire una delle forti ragioni della ripresa di Gramsci dei Subaltern Studies che dagli anni ’80, sotto la guida dell’indiano Ranajit Guha, hanno ridefinito una feconda attualità delle riflessioni meridionaliste (dei paesi post-coloniali e di tutti i Sud del mondo).
Perché il riscatto
senza cancellazione è nella loro mente e nei loro cuori. Se noi oggi scegliamo
loro come compagni di viaggio è perché, nonostante i loro sforzi e il loro travaglio,
non c’è stato alcun riscatto per le nostre terre, mentre la cancellazione si fa
progressiva e devastante.
dalla prefazione
dell'autore
Ferdinando Dubla, A fare il giorno nuovo. Il nuovo
ruolo dell'intellettuale meridionalista in Gramsci e Scotellaro e breve
percorso antologico - nota introduttiva di Massimo Giusto, Chimienti ed., 2015
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