Franco Molfese - Storia del brigantaggio dopo l'Unità, Milano,
Feltrinelli 1ed. marzo 1964
cit.
da seconda edizione 1974
IV cop.
Il
brigantaggio che flagellò il Mezzogiorno continentale dal momento stesso dell'unificazione fin verso il 1870,
costituisce una delle pagine più fosche e meno note della storia dell'Italia
moderna.
Franco Molfese (Roma,
1916/+2001)
E' stato vicedirettore della Biblioteca della
Camera dei deputati. Fra le sue opere citiamo il saggio Lo scioglimento dell'Esercito Meridionale apparso nel 1960 su "Nuova rivista storica" e
l'intervento al Secondo convegno di studi gramsciani raccolto nel volume
‘Problemi dell'Unita' d'Italia’ (1962). Ha collaborato alla rivista Studi storici.
---- estratti da L'Ufficio
Stampa del P.C.I.M-L., 12 agosto 2007
Franco Molfese, nelle
considerazioni conclusive del suo monumentale e tuttora fondamentale libro sul
brigantaggio dopo l'unità d'Italia, si
chiede se era possibile evitare l'immane sperpero di vite umane e di ricchezze,
provocati dal brigantaggio contadino e dalla repressione statale. Se esisteva
nel Sud la possibilità di una diversa
soluzione dei rapporti tra classe borghese-liberale e masse contadine.
Consapevole comunque che una risposta a tali domande appare sul terreno
storiografico sempre azzardata, perchè la storia non si scrive con i se del
senno di poi. Tuttavia, essendo implicito nei fatti storici anche il possibile
che non si è realizzato, un ripensamento del genere arricchisce certamente la
comprensione dell'accaduto.
(..)
La Destra moderata,
minoritaria nel Sud, fece ricorso alla dittatura militare per reprimere
l'offensiva del grande brigantaggio contadino. I salariati-briganti aspiravano
al pane, alla libertà , anche alle vendette come forma di rozza giustizia,
dibattendosi nelle strette del carovita, della disoccupazione, dei redditi
insufficienti. La risposta governativa fu una repressione armata in funzione
anti-contadina ed anti-popolare. I contadini del Sud combatterono per anni,
contro forze preponderanti, una lotta senza speranza, condannata
all'insuccesso. Ma posti di fronte all'alternativa di vivere asserviti in
ginocchio o di morire in piedi, scelsero la seconda.
Il libro del Molfese
parte dalle prime ondate della guerriglia contadina sviluppatasi dall'autunno
del 1860 a tutto l'inverno del 1861, quando agli spontanei movimenti contadini
comincia a soprapporsi la reazione borbonico-clericale imprimendo loro un
orientamento politico. Il brigantaggio consegue rapidi successi nel
Beneventano, nel Molise, in Terra di Lavoro, negli Abruzzi. I moti contadini si
intensificarono e si radicalizzarono successivamente in Calabria, Basilicata,
Puglia.
Lo scioglimento
dell'esercito meridionale garibaldino, con la conseguente frustrazione per le
speranze deluse, infoltirono sia di uomini che di rivendicazione le bande
brigantesche.
La fine del Regno
borbonico delle Due Sicilie, con la resa finale di Gaeta, Messina, Civitella
del Tronto e la fuga di Francesco II a Roma presso la corte pontificia, fu un
altro elemento che si interseca con il brigantaggio. I Borboni in qualche modo
tentarono di sfruttarlo ai fini di un improbabile tentativo di restaurazione
del Regno di Napoli.
Intanto bande armate si
andavano costituendo dappertutto, capitanate da valenti e coraggiosi capibanda.
Il Molfese, nell'appendice terza del suo libro, pubblica un elenco delle bande
brigantesche attive fra il 1861 e il 1870 e ne individua ben 388
(trecentottantaotto), dalle piccole, composte di pochi individui (5-15), fino
alle grandi, che raggiunsero e superarono talvolta i 100 uomini, con punte fino
a 300-400.
Fra le grandi bande,
Molfese cita quelle di Giovanni Piccioni, Giacomo Giorgi, Berardo Stramenga
nell'Abruzzo Teramano ed Aquilano; di Pasquale Mancini e Salvatore Scenna,
Domenico Valerio [Cannone] e Policarpo Romagnoli, Giovanni Di Sciascio,
Domenico Saraceni (Pizzolungo) nell'Abruzzo Chietino; di Domenico Coja
(Centrillo), Luigi Alonzi (Chiavone), Cedrone, Capoccia, Alessandro Pace,
Francesco ed Evangelista Guerra, Domenico Fuoco, Luigi Andreozzi, Tristany
nella Terra di Lavoro, Sorano e Stato Pontificio; di Nunzio di Paolo, Giuseppe
Schiavone nel Molise, Sannio e Beneventano; di Cipriano e Giona La Gala,
Agostino Sacchitiello nell'Irpinia e Salernitano; di Carmine Donatelli
(Crocco), Giuseppe Nicola Summa (Ninco-Nanco), Giovanni Fortunato (Coppa),
Paolo Serravalle, Pasquale Cavalcante, Donato Tortora, Angelo Antonio Masini,
Giuseppe Caruso in Basilicata; Michele Caruso, Angelo Maria Villani (lo Zambro)
in Capitanata; Sergente Romano in Terra di Bari e Terra d'Otranto; Mittica in
Calabria; Vincenzo Barone in Provincia di Napoli
Sproporzionato appare
il numero di quasi 120.000 soldati impegnati dallo stato piemontese nell'opera
di repressione, ma questo testimonia come il brigantaggio in quegli anni sia
stato un fenomeno di massa, che andava ben al di là dei briganti alla macchia. Questa forza imponente,
che rappresentava quasi i due quinti dell'intero esercito italiano, non
riusciva, però, a venire a capo della ostinata guerriglia contadina condotta da
un numero infinitamente minore ed estremamente fluttuante di armati.
Nel dicembre 1862, dal
parlamento torinese, venne istituita la Commissione Parlamentare d'Inchiesta
sul Brigantaggio (CPIB), con l'obiettivo di indagare le cause del brigantaggio,
studiare l'oggettiva situazione sul campo e proporre i mezzi per sconfiggerlo.
Della Commissione facevano parte due parlamentari della sinistra democratica,
un indipendente di sinistra, quattro moderati e governativi, due generali
dell'esercito (ex garibaldini). Le Relazioni conclusive della Commissione
d'inchiesta vennero presentate alla Camera dei deputati nel maggio 1863.
Il 15 agosto 1863 venne
promulgata la legge Pica che dava ai tribunali militari la competenza a
giudicare i briganti e i loro complici e comminava la fucilazione a chi avesse
opposto resistenza a mano armata. Ebbe così inizio una legislazione eccezionale
che durò fino al 31 dicembre 1865. Quanti furono i cosiddetti briganti fucilati
o uccisi? Il numero preciso non lo si saprà mai, ma furono tantissimi. Molfese,
dal secondo bimestre del 1861 e tutto il 1865, ne documenta 5.212. Ma vi è chi
ha scritto che i guerriglieri caduti in combattimento in quel decennio furono
155.620 e i fucilati o morti in carcere 120.327. Un massacro. L'olocausto del
Sud.
La Storia del
Brigantaggio del Molfese è un libro che richiede grande fatica nella lettura;
ma chi vuol capire cosa veramente è accaduto in Italia nel decennio 1860-1870,
non può fare a meno di leggerlo. Sono riportati e sintetizzati i numerosi
dibattiti che si tennero in quegli anni nel Parlamento italiano sulla questione
del brigantaggio, sono spiegate le ragioni per le quali agli spontanei
movimenti contadini andarono pian piano a sovrapporsi le ragioni dei borbonici
e degli ambienti clericali, sono riportati dettagliatamente i moltissimi
episodi della guerriglia contadina che i briganti combatterono in tutto il Sud.
L’’opera di Franco Molfese
(Roma, 1916-+2001), Storia del
brigantaggio dopo l’Unità, pubblicata a Milano nel 1964, è rimasta per più
di mezzo secolo la migliore sintesi sul tema per ampiezza d’indagine e quantità
di fonti d’ogni sorta esaminate (archivistiche, memorialistiche, cronache
locali etc.), abilità nell’analisi della politica italiana di quegli anni.
A detta di questo
autore, studioso marxista, il brigantaggio postunitario sarebbe stato
fondamentalmente una manifestazione di lotta di classe dei contadini contro i
proprietari terrieri e la borghesia in generale, sebbene una fazione del ceto
dominante d’idee legittimistiche avrebbe cercato di controllare e sfruttare il
fenomeno per una restaurazione borbonica.
a cura di #SubalternStudiesItalia
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