«Un
nuovo spettro si aggira nelle società bianche e rende insicuri i teologi. Si
chiama “teologia nera”. Dopo i socialisti, che hanno criticamente messo in
discussione il posto che la teologia cristiana occupa nella società
capitalista, è ora la volta dei neri, oppressi dalla colonizzazione e dalla
schiavitù, che denunciano la nostra teologia come “teologia bianca”, perché
condizionata e influenzata dalla situazione determinata dal predominio bianco
nel mondo.» Con queste parole Jürgen Moltmann apriva un dibattito fra teologi
sulla teologia nera negli anni '70. La nuova realtà teologica nasce dai
movimenti per i diritti civili di Martin Luther King, dal costituirsi di Potere
Nero e dall'emergere del gruppo rivoluzionario di presa di coscienza nera
(Black Awareness Movement) e dell’impegno di Angela Davis, militante del
Partito Comunista degli Stati Uniti d’America.
Il Dio/dio degli
oppressi - La teologia dei neri americani, di qualsiasi chiesa e religione
(specialmente il cristianesimo delle chiese nere e l’Islam nero), è
incomprensibile senza accettare l’idea che la tradizione teologica di origine
biblica è una teologia della liberazione, specialmente per i non bianchi e per
coloro che furono soggetti al potere dei bianchi europei, in America e negli
altri continenti. Questa è l’architrave della Black Theology di James Cone
(1936-2018), nero dell’Arkansas che si appassionò anche alla musica blues e
alla sua anima, agli spirituals e ai loro significati per l’antropologia del
sacro; una Subaltern Theory dunque, ma ancor più propriamente una Post Colonial Theology.
James
H. Cone insegnò teologia dal 1970, a New York, nel
prestigioso seminario dell’Union Theological
e nel 1977 raggiunse l’apice della sua fama di teologo “sistematico”,
conseguendo la cattedra di teologia “sistematica”, appunto, che era stata di
Charles A. Briggs (1841 - 1913), già scomunicato dalla Chiesa presbiteriana per
eresia a causa della sua teologia liberale riguardo alla Bibbia.
Accanto a Malcom X e
Martin Luther King, James Cone, come d’altra parte Cedric Robinson e il ‘black
marxism’, assurge a simbolo antimperialista e postcolonialista del razzismo
classista dell’Occidente.
vedi anche su questo
blog
http://ferdinandodubla.blogspot.com/2023/01/il-black-marxism-e-i-margini-di-marx.html
STORIA,
SPERANZA E LIBERTÀ secondo JAMES CONE
La libertà è quella struttura e quel movimento nell'esistenza umana che permettono di lottare contro la
schiavitù e l'oppressione. La storia è il luogo
in cui si attua la libertà. La speranza è l'anticipazione
della libertà che si attua poi nella storia. La speranza è la visione della libertà, e la storia è il contesto in cui la visione diventa realtà. Libertà, storia e speranza sono
tra loro collegate in quanto esprimono l'essenza dell'umanità, il suo posto e
anche la sua realtà futura. Quando la libertà è separata dalla storia, non è
più vera libertà: è un oppio, un sedativo che rende gli uomini contenti perfino
della negazione della libertà, cioè dell'oppressione. Si nega pure la libertà
quando la si scinde dalla speranza, dalla visione di un nuovo cielo e di una
nuova terra. La speranza è la trascendenza della libertà, è il riconoscimento
da parte dell'anima che ciò che 'è' si suppone che non sia. La storia è
l'immanenza della libertà, il riconoscimento che ciò che 'è' è il luogo in cui
siamo chiamati a dare testimonianza al futuro, è il "non ancora"
dell'esistenza umana. La libertà è dunque un progetto, non un oggetto. E' la
proiezione dell'io nella storia contro le strutture che negano la libertà, per
dare testimonianze al regno futuro della perfetta libertà.
James H.Cone, da Contesto sociale della teologia: libertà,
storia e speranza, sta in Teologie
dal terzo mondo - Teologia nera e teologia latino-americana della liberazione,
a cura di Archie Le Mone, Queriniana, Brescia, 1974, pp.17-18. Si tratta delle
relazioni tenute nel simposio teologico tenutosi a Ginevra dal 1 al 5 maggio
1973 da James H. Cone, Hugo Assmann, Paulo Freire, ed Eduardo I.
Bodipo-Malumba.
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