Il 2023,
bi-anniversario della nascita (19 aprile 1923) e della morte (15 dicembre 1953)
di Rocco Scotellaro.
Fioccano iniziative, video,
patrocini per i 70 anni dalla morte (e 100 dalla nascita) dello scrittore di
Tricarico, che in vita fu rinchiuso in carcere per un’ingiusta accusa di
peculato, in realtà per aver organizzato da giovane Sindaco (il più giovane
d’Italia, 23 anni) le lotte per la terra del suo territorio; considerato dai
più saccenti e dall’accademia troppo ingenuo e primitivo, come i contadini che
cantava con dolente malinconia in cerca di un loro riscatto (“siamo entrati in
gioco anche noi, con le facce e i panni che avevamo”), Rocco prefigurava anche
un nuovo paradigma di civiltà legato alla terra e al lavoro. E alla libertà,
innanzitutto dal bisogno e dalla sofferenza. La stessa accademia oggi lo
incensa per imbalsamarlo, cercando anche di renderlo balocco remunerativo per
esotico turismo. Ma Scotellaro, da socialista del Mezzogiorno
dell’”arretratezza”, incarnava la figura di intellettuale ‘organico’ gramsciano,
proprio di quella classe contadina che finora secondo il filosofo marxista
sardo, non ne produceva autonomamente, se non per delega agli intellettuali
tradizionali. ‘Organico’ alla classe, non a un partito e men che mai a una
linea politica. Ebbe tra i suoi mentori sostenitori Carlo Levi, che per questo
dovette anche lui nel medio periodo sopportare critiche sull’”arretratezza”
<stracciona> di certo meridionalismo, legato troppo alla terra e poco
alle mirabilie industrialiste che avrebbero portato ‘progresso’ e ‘civiltà’,
nonchè centralità della classe operaia. Per questo e per altro ebbe tra i suoi
critici aspri Mario Alicata, alla morte di Scotellaro responsabile cultura del
PCI, in nome dell’emancipazione necessaria a quell’”arretratezza” rassegnata e
indolente, inseguendo la linea politica dell’italiana strada verso il
socialismo. Nel famoso articolo di critica, però,
(vedi ‘Cronache
meridionali‘ nr. 9 del 1954 - link http://www.etesta.it/materiali/2018_19_Alicata_1954.pdf),
Alicata giudicava “stroncature
rabbiose quanto idiote” quelle pubblicate dalla Gazzetta del Mezzogiorno,
allora organo pugliese della Democrazia Cristiana, a firma di tal Gustavo
D’Arpe in data 5 e 11 agosto 1954. È la stessa testata oggi punta di diamante
delle ricorrenze 100-70.
- Molti lo
scoprono e lo ri-scoprono dunque oggi che si celebra un bi-anniversario,
100anni dalla nascita 70anni dalla morte. A Matera, Tricarico, suo paese
d’origine, altrove, anche al nord, nonostante l’egemonia della falsa cultura
dell’autonomia differenziata. Ma quello che fu definito ‘poeta contadino’ (con
buone intenzioni, Carlo Levi voleva valorizzarlo e porlo all’attenzione sia del
mondo culturale che di quello politico, nel crogiolo di quella che era definita
la ‘quistione’ e l’analisi ‘meridionalista’ storica) non fu ‘vate’ di una
civiltà che stava per morire, fra miseria, sofferenze, religiosità
superstiziosa e rassegnazione, ben rappresentata, tra l’altro, proprio dal Levi
del “Cristo si è fermato ad Eboli”, opera pubblicata nel 1945, ma intellettuale
critico e organico, gramsciano perchè “persuasore permanente”, organizzatore di
lotte, ricercatore-attivista del riscatto (il demartiniano escatòn) a partire
dalla terra, la propria, e dalle sue radici culturali, senza sposare
acriticamente la sostituzione del ‘paradigma’ della civiltà rurale con quella
industrialista-sviluppista che era tipica della sua cultura politica di
riferimento, socialista e comunista, marxista, e di cui la critica (posteriore)
di Alicata, in qualche modo, fu l’emblema. La centralità della classe operaia
come soggetto motore della lotta di classe e della trasformazione
rivoluzionaria, si sovrapponeva alla creazione dello stereotipo
industria-progresso-civiltà e alla marginalizzazione del mondo contadino,
‘arretrato’ per antonomasia, senza propri organici intellettuali, come aveva
sottolineato proprio Gramsci, perchè formato da gruppi sociali popolari
frammentati e ‘primitivi‘. La poesia (e l’azione), la inchiesta sociale
(‘Contadini del Sud’) portarono la mediazione politico-culturale di Rocco
Scotellaro alle radici della modernità, al confronto con gli strumenti
interpretativi dello storico meridionalismo latitudinario per riscrivere una
‘quistione’ allargata all’intero mondo ‘grande e terribile’. Davvero l’ultima
fermata era stata Eboli. / fe.d. - per i cento anni di Rocco Scotellaro.
- LA ‘MEDIAZIONE CULTURALE’ dell’intellettuale che si fa ‘organico’ alla classe
-Originale, pertanto, fu la
responsabile consapevolezza del fatto che, per ragioni di classe, si desse, tra
l’intellettuale formatosi nei licei classici di Matera, Potenza e Trento, e gli
strati subalterni, uno iato inevitabile, e che il lavoro culturale di mediazione
dovesse pertanto risiedere nel tentativo di accorciarlo, senza l’illusione
buonista di eliminarlo, in un inesausto sforzo di approssimazione alle esigenze
popolari, di identificazione con il punto di vista dei dimenticati e di
interpretazione sintetica di un nuovo modo di rappresentarne il protagonismo
politico. Insomma, la cifra distintiva del modello-Scotellaro, al di là delle
artefatte mitologie sortegli attorno, sta nella coscienza realistica della
regressione, vissuta tuttavia non come diminutio del proprio statuto culturale,
ma come opportunità di allargamento dei confini ristretti dell’idea stessa di
sapere e letteratura.
Marco Gatto,
Rocco Scotellaro e la questione
meridionale - Letteratura, politica, inchiesta, Carocci, 2023, pag.17.
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