I 'QUADERNI ROSSI', CHE NACQUERO
NELLE PROVINCE MERIDIONALI
Rodolfo
Morandi elabora [dopo il 1946+, ndr] un'idea di partito che attraverso un
mutamento qualitativo, basato cioè sulla formazione dei quadri, avrebbe potuto
tessere un fitto legame con le masse e liberare, in tal modo, il partito dai
legami clientelari che ancora lo condizionavano. (..)
Panzieri
viene inviato alla federazione socialista di Bari [x1] perchè avrebbe dovuto
collaborare con la corrente di sinistra in previsione di una scissione
socialdemocratica, che poi avverrà. Qui entra in contatto con gli esponenti
della sinistra locale come Anna Macchioro De Martino, Paolo Franco, Mario
Potenza , ma soprattutto ha l'occasione di approfondire la conoscenza con la
personalità più eminente del gruppo, ovvero l'antropologo Ernesto De Martino, con
cui aveva già avuto modo di stringere rapporti al Centro di studi sociali per
la pubblicazione di Mondo magico, che
però non avvenne perchè Lombardi giudicò lo storicismo di De Martino come
impigliato a metà strada tra la "staffa crociana" e il
"destriero marxista". De Martino era in effetti ancora influenzato da
Croce e fu interesse di Panzieri orientarlo alla lettura dei "sacri
testi". Ma chiaramente, per l'enorme spessore culturale di De Martino,
l'influenza non potè che essere reciproca ed entrambi contribuirono allo
sviluppo di quel particolare modus
operandi che negli anni successivi
al '56, e per tutti gli anni Sessanta, verrà denominato "conricerca"
o "inchiesta"; una metodologia culturale che tenterà continuamente di
reagire a un marxismo ortodosso "citazionistico" (l'espressione è di
Stefano Merli, nota in calce); proponendosi di riempire quel vuoto politico tra
la base e il vertice che caratterizzerà tutta la critica panzeriana alle organizzazioni
storiche del movimento operaio e che rappresenterà, nella fase matura di
Panzieri, il metodo tout court del
lavoro teorico-politico culminato nell'esperienza dei "Quaderni
rossi".
Marco
Cerotto, «Raniero Panzieri e i 'Quaderni rossi'. Alle radici del neomarxismo
italiano», DeriveApprodi, 2021, pp.20-21.
+
Dall’11 al 16 aprile 1946 si era tenuto a Firenze il XXIV Congresso nazionale
del PSIUP che aveva visto le dimissioni del Morandi dalla carica di segretario
nazionale. Dopo il Congresso, insieme al giovane Panzieri, si era impegnato
nella rivista del partito “Socialismo”. Un periodo caratterizzato dal dissidio
con Lelio Basso.
x1. In
vista del congresso successivo, gennaio 1947.
Recensione di Francesco Festa a «Raniero Panzieri e i 'Quaderni rossi'. Alle radici del neomarxismo italiano» di Marco Cerotto, pubblicato da DeriveApprodi, 2021 - il rapporto con Scotellaro e de Martino e il metodo della ”conricerca”.
su Il Manifesto, 4 giugno 2021
[integrale]
Cos’hanno
in comune Raniero Panzieri e Rocco Scotellaro? Di primo acchito, niente. Molto,
nella formazione politica. Entrambi hanno forgiato la propria militanza nelle
campagne meridionali. Il poeta contadino denunciò, nel vivo delle lotte per la
terra del dopoguerra, «la cultura italiana» che «sconosce la storia autonoma
dei contadini, il loro più intimo comportamento, colto nel suo formarsi e
modificarsi presso l’azione».
DISTANZIANDOSI
dalla stessa cultura italiana, Panzieri volle toccare con mano quei contadini.
Chissà, forse, ne intravedeva in nuce la potenza, sebbene fossero classi
subalterne frammentate, disunite, irretite dall’egemonia della cultura italiana
esercitata dagli intellettuali borghesi, tanto crociani-gentiliani quanto
togliattiani.
Nel
1947, Panzieri si trasferì a Bari presso la Federazione Socialista e conobbe lo
«spessore culturale di De Martino», con cui sviluppò un particolare «modus
operandi»: un’inchiesta sociale in grado di interagire con la cultura profonda,
le convinzioni e le condotte personali, e negli anni ’60 sarà denominata
«conricerca».
METODOLOGIA
che, l’anno dopo, Panzieri sperimentò in Sicilia, durante le lotte contadine, e
dopo il ’56 contro la cultura italiana e il marxismo ortodosso, riempiendo il
vuoto tra la base e il vertice delle organizzazioni del movimento operaio, e
che sarà «il metodo tout court» dei «Quaderni rossi». In Raniero Panzieri e i
«Quaderni rossi». Alle radici del neomarxismo italiano di Marco Cerotto
(DeriveApprodi, pp. 128, euro 10), viene fuori un profilo molto interessante di
Panzieri. Un volume agile che indaga tratti biografici trascurati dalla
storiografia passata e da quella prodotta per i quarant’anni dalla sua morte.
L’AUTORE
SVOLGE uno scavo archeologico sulla formazione di Panzieri: ne illumina aspetti
del percorso giovanile che appaiono fondamentali per comprendere la prassi e la
teoria sviluppati negli anni ’50. In particolare, l’apprendistato nel
Mezzogiorno. Il che spiega le scelte professionali e politiche successive, come
quella di pubblicare – poi rigettata dall’Einaudi tanto da costargli il posto –
un’inchiesta coraggiosa di Goffredo Fofi sulla nuova classe operaia,
L’immigrazione meridionale a Torino. Oppure l’avvicinarsi con metodi innovativi
alla conoscenza degli operai meridionali a Torino: la «rude razza pagana», la
nuova composizione operaia, irriducibile alla disciplina del Pci e alla cultura
italiana, con cui ha interagito, seppur velocemente, ma senza perdersi
l’entrata in scena dell’operaio massa nella rivolta di piazza Statuto del
luglio ’62.
UN
FIL ROUGE innestato nel tronco dell’operaismo, che lo ritroviamo nelle
organizzazioni e nelle lotte operaie degli anni ’70, e nello studio magistrale
di Luciano Ferrari Bravo e Alessandro Serafini, Stato e sottosviluppo. Il caso
del Mezzogiorno d’Italia, sulla formazione della classe operaia a partire dal
Sud.
Il
libro di Cerotto ha un enorme pregio: illuminare il passato panzieriano, dove
si trovano le radici della lettura innovativa del Capitale e dell’operaismo
(«neomarxismo»). E si chiude con un capitolo sintesi del primo operaismo e
della parabola dei «Quaderni rossi»: Divergenze teoriche tra Panzieri e Tronti.
Le ragioni potrebbero sembrare inverosimili, ma i dissapori si reggevano su una
profondità teorica oggi inconcepibile. La consapevolezza di vivere una fase
storica completamente diversa in cui s’imponeva una continua ricerca sia del
capitale che della classe operaia: da una parte, la posizione di Panzieri,
sulla «scientificità del marxismo dall’altra, quella trontiana, sulla
«rivoluzione copernicana».
Essa
stessa dogmatica, ché vedeva nella classe operaia un antagonismo per
antonomasia, non il «capitale variabile»; invece Panzieri sapeva come il
passaggio dalla «classe in sé» alla «classe per sé», non era automatico,
richiedeva un metodo scientifico d’inchiesta (conricerca). Metodi simili li
aveva visti all’opera, nel suo passaggio a Sud, scoprendo «la storia autonoma
dei contadini»; dove, forse, conobbe Scotellaro, attorno al quale nel ’54
promosse a Matera il convegno «Intellettuale del Mezzogiorno».
Con
questo libro Panzieri è riportato lì dove si forma la sua militanza eretica. E
se l’operaismo si sviluppa fuori i cancelli di Mirafiori, la sua ontologia è
nelle province meridionali.
a cura
di Subaltern studies Italia
Nessun commento:
Posta un commento