Subaltern studies Italia

L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

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martedì 27 giugno 2023

DIPESH CHAKRABARTY ED ERNESTO DE MARTINO: UN CONFRONTO POSSIBILE

 

Gli autori che fanno parte dei Subaltern Studies propongono nuovi modi di considerare le categorie giudicanti della storia, facendo emergere il ruolo degli individui e dei gruppi emarginati

 


MA QUEL CONFRONTO ‘S’HA DA FARE’ (1.)

 

Nell’ambito di un confronto possibile e necessario fra l’opera e la metodologia di lavoro storico del più vicino degli allievi e collaboratori di Ranajit Guha, Dipesh Chakrabarty, lo studioso indiano dell’Università di Chicago autore dell’importante saggio “Provincializzare l’Europa” (Meltemi, 2016 - ed.or. 2000) ; e l’opera e la metodologia storicista della ricerca antropologica ed etnografica di Ernesto de Martino, da noi considerato importante e internazionale figura di intellettuale e scrittore dei Subaltern studies, in particolare per la cosiddetta ‘trilogia meridionalista’, sottoposta, specie negli ultimi tempi, continuamente ad interpretazione critica da chi separa la antropologia filosofica e l’ontologia etnologica e i fondamenti teoretici dello stesso autore. In effetti il confronto Chakrabarty - de Martino è sostanzialmente funzionale a un tema posto dallo stesso Ranajit Guha e su cui insiste Chakrabarty: il ruolo della religione e ancor di più della ritualità simbolica nella 1. ricostruzione narrativa dei subalterni; 2. traduzione nell’impegno politico-culturale alla soggettività ‘agente’ dei subalterni.

Se ne occupa una tesi di laurea delle Università di Padova e Cà Foscari di Venezia (Corso di Laurea Magistrale interateneo in Scienze delle Religioni) di Enrico Brisol (relatrice la prof.ssa Chiara Cremonesi): “Ernesto De Martino e Dipesh Chakrabarty: un confronto indispensabile ed inadeguato” che citiamo e titoliamo per una parte specifica. /

fe.d. #SubalternStudiesItalia

pubblicata su Academia.edu

 

L’Ethos del trascendimento, fondamento teoretico e ontologico dell’antropologia filosofica di de Martino

 

- L'origine del concetto di “ethos trascendentale del trascendimento della vita nella valorizzazione intersoggettiva” (questa la formulazione completa) è da rintracciarsi nella ricerca di una concezione universalmente umana della presenza, del fondamento dell'esserci-nel-mondo, vale a dire l'ultima e inderivabile pensabilità e operabilità dell'esistere. Il percorso che ha portato De Martino alla definizione di questo elemento è tortuoso e segnato tanto dall'influenza della filosofia di Croce quanto di quella esistenzialista di Heidegger e di Paci, che egli interpreta con una certa libertà prendendo in prestito riflessioni che assimila e riutilizza con rinnovata originalità in un proprio linguaggio. Per esempio è dall'esistenzialismo positivo italiano, in polemica con quello negativo di Heidegger, che De Martino acquisisce come fondamento dell'umana esistenza la nozione di “dover essere”, o meglio di “doverci-essere-nel-mondo”, che permette quello slancio valorizzatore intersoggettivo della vita, quella sempre rinnovantesi progettazione comunitaria dell'operabile, quell'emergere dalla situazione mediante il vario impegno di deciderla, secondo valore, che per un verso fondano la finitezza del singolo e la inesauribilità del suo compito operativo e per un altro verso garantiscono l'apertura del singolo all'essere.

 

 

Gramsci e Said: la nascita degli studi subalterni

 

- «Gli studi subalterni (e postcoloniali) ci riguardano?». Questo è il titolo dell'articolo pubblicato sulla rivista DeriveApprodi del 2003 da Marcello Tarì + [nota redazione] + che si interroga sullo statuto e l'utilità “per noi” di questi studi. Per rispondere a questa domanda, sapientemente posta e discussa nell'articolo, prima dobbiamo cercare di capire cosa intendiamo quando parliamo di studi subalterni e postcoloniali e quale sia la loro origine. Per far ciò non ci discosteremo di molto dalle riflessioni di Ernesto de Martino che è uno dei precursori di questi studi insieme ad alcuni antropologi italiani del secondo dopoguerra che attraverso il richiamo ad Antonio Gramsci (1891 – 1937) e alle discussioni riguardo al marxismo, cominciano a prendere sul serio i modi di vita subalterni e il folklore, con una particolare attenzione al contesto meridionale italiano.

 

 

+ nota: vedi in questo blog

PER UN DIBATTITO CRITICO SUI SUBALTERN STUDIES E POSTCOLONIAL STUDIES

 

 

#RanajitGuha #ErnestoDeMartino #DipeshChakrabarty

 

Nella fotocomposizione #SubalternStudiesItalia, in senso orario, Dipesh Chakrabarty, Ernesto de Martino, Ranajit Guha

 


 

MA QUEL CONFRONTO ‘S’HA DA FARE’ (2.)

 

C’È STORICISMO E STORICISMO

 

- La critica al modo unilaterale di concepire la storia [è] alla base del progetto degli subaltern studies: la ricerca sul tema del subalterno, sulla sua capacità di esprimersi, portata avanti prima da Gramsci e successivamente da Said, è fondamentale per il sorgere di questi studi. In tal modo anche gli autori che fanno parte del collettivo indiano propongono nuovi modi di considerare le categorie giudicanti della storia, facendo emergere il ruolo degli individui e dei gruppi emarginati. È in questo orizzonte che l’opera Provincializzare l’Europa, proponendo un tipo di storia alternativa e particolare, la storia 2, da affiancare alla storia 1, cioè quella analitica e generale europea, è sorta e diventata indispensabile.

Naturalmente, nel portare avanti un confronto simile non possiamo dimenticare i diversi ambienti culturali, sociali e storici nei quali i nostri autori hanno scritto. Chakrabarty nasce a Calcutta nel 1948, anno della pubblicazione de Il mondo magico, ed esattamente quarant'anni dopo la nascita di De Martino avvenuta nel 1908; inoltre, egli pubblica il volume che abbiamo analizzato, Provincializzare l'Europa, nel 2000, quindi 35 anni dopo la morte dello studioso italiano avvenuta nel 1965. Li separano circa due generazioni nelle quali, se dovessimo valutare con attenzione, il mondo e la civiltà umana hanno subito la trasformazione più considerevole mai registrata dalla storia. E ancora, ovviamente, li separano alcune migliaia di chilometri, anche se più importante della distanza fisica è rilevare il fatto che Chakrabarty cresce in un paese non occidentale e appartenente all'Impero Britannico, vale a dire colonizzato, ufficialmente fino all'anno prima della sua nascita (1947). Queste distanze “spazio-temporali” hanno evidentemente comportato anche degli orientamenti di studio differenti, almeno in apparenza: mentre De Martino, crociano della prima ora, si è occupato principalmente di storia, etnologia e antropologia delle religioni, Chakrabarty si dedica soprattutto al problema storiografico negli studi postcoloniali, ovvero a ripensare il ruolo dei popoli subalterni, in particolare quelli indiani, all'interno della narrazione storica dominante. Dico “apparentemente differenti” perché, da un certo punto di vista, la cosiddetta “trilogia meridionalista” può essere letta come un progetto che anticipa quello degli autori postcoloniali, in quanto rilegge l'arcaico, l'oppresso, il subalterno presente nel sud Italia in chiave marxista tenendo presente, come evidenziato per esempio da Pizza e Signorelli, quanto scritto nei testi di Gramsci che cominciavano a circolare proprio nel periodo in cui De Martino si avviava alla ricerca etnografica in meridione.

Ciononostante, se consideriamo questi due autori solamente in relazione alla distanza temporale e culturale che li separa, e che, tuttavia, deve essere sempre ben presente, non ci accorgiamo degli aspetti che li accomunano. Il più importante e fondamentale per la prospettiva storico-religiosa, quella di cui ci occupiamo qui, è il tentativo di superare la visione eurocentrica della storia. Essi cercano di superare l'etnocentrismo culturale europeo perché frutto di una prospettiva storiografica che tende esclusivamente alla correttezza scientifica e quindi alla verificabilità razionale dei fatti. Con ciò non intendo dire che tale posizione venga considerata errata sia da Chakrabarty che da De Martino; questi autori piuttosto, portano alla luce i problemi che hanno individuato nell'utilizzo di questa metodologia, come per esempio quello relativo al ruolo, al peso, all'influenza, al potere, che detiene il soggetto in una simile narrazione. La questione relativa all'etnocentrismo, e di conseguenza all'eurocentrismo, è, dunque, di primaria importanza per entrambi gli autori. Essi, seppur sviluppando argomentazioni differenti, ritengono che il problema che deriva da una simile concezione della storia sia dovuto a quello che possiamo definire naturalismo o atteggiamento scientifico, oppure, più in generale, al peso che hanno avuto la scienza e la ragione nella creazione delle categorie giudicanti delle moderne scienze storiche e sociali e di conseguenza dello storicismo.

Enrico Brisol

*dalla tesi di laurea delle Università di Padova e Cà Foscari di Venezia (Corso di Laurea Magistrale interateneo in Scienze delle Religioni) (relatrice la prof.ssa Chiara Cremonesi): “Ernesto De Martino e Dipesh Chakrabarty: un confronto indispensabile ed inadeguato”, § corrispondenti -

 

#SubalternStudiesItalia

pubblicata su Academia.edu

 

 

In conclusione

mi sembra che tra le prospettive dei due autori emerga, almeno grossolanamente, una comune critica al modo di affrontare l'altro-da-sé tipico della modernità europea. Il punto di convergenza è la critica mossa da entrambi allo storicismo e con esso all'eurocentrismo, anche se nell’autore italiano la valutazione negativa è rivolta allo storicismo “pigro”, a favore di uno “eroico”. In De Martino l'analisi parte dall'evidenziare il ruolo e l'importanza dell'atteggiamento naturalistico rispetto allo studio etnografico per poi ampliare lo sguardo, ne La fine del mondo, all'influenza delle scienze positive sulla filosofia, richiamando l'attenzione sul processo di universalizzazione e sulla sicurezza nel giudizio che ne scaturisce. In Chakrabarty la critica è rivolta alla prospettiva storicistica per intero, intendendo con questo termine, forse troppo semplicisticamente, l'intera prospettiva storica moderna. Anch'egli, in accordo con lo studioso italiano, individua nell'universalizzazione delle categorie giudicanti il vero problema di tale prospettiva storica; le sue osservazioni tuttavia sono in parte differenti e riguardano principalmente l'origine della coscienza storica europea, ovvero le espressioni moderne che ho schematicamente classificato con il termine anacronismo e con l’atteggiamento scientifico-razionale. Mi spingerei ad affermare, senza troppe cautele, l'ammetto, che in ambedue gli autori la classica divisione tra natura e cultura, fondamentale per la modernità europea, sembra essere messa in discussione o perlomeno sfumata.

Vorrei infine ricordare che in nessun caso i due autori rivendicano una prospettiva relativistica. De Martino indica più volte nei suoi testi l'indispensabilità di una storia con basi solide per uscire dalla perdita della domesticità del mondo contemporaneo; una storia che naturalmente deve essere consapevole della sua portata e dei propri limiti per poter proporre un confronto, una comparazione, con gli altri modi di essere uomini in società, ovverosia la “via difficile dell’umanesimo etnografico”. E lo stesso vale per Chakrabarty che mantiene e certo non cancella la storia analitica, la storia 1, la storia europea, “colpevole” di eliminare le differenze e di essere incompleta, ma comunque indispensabile per affrontare gli essenziali problemi sociali della giustizia e dell'equità nei paesi non-occidentali. Ivi, pag.70







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