Partecipazione e
bellezza di muoversi in una dimensione collettiva, il vento della Teologia
della Liberazione soffiava caldo dal Sudamerica
da Andrea Donegà: DON COLMEGNA: AL CENTRO DEI MARGINI La vita di un sacerdote che ha declinato la
vocazione religiosa in un costante impegno civile e sociale a favore degli
ultimi © Edizioni Homeless Book - www.homelessbook.it ISBN:
978-88-3276-316-4 (brossura) 978-88-3276-317-1 (eBook) Pubblicato nel giugno
2023
estratto
2. La Bovisa. Scuola popolare e riscatto degli ultimi
Fermento sociale. «Il Concilio Vaticano II, chiuso nel dicembre 1965,
iniziava a riversarsi nella quotidianità. La riforma della liturgia, del 7
marzo 1965, fu una vera e propria rivoluzione culturale che vedeva la Chiesa
come popolo di fedeli laici, uomini e donne che camminano nella stessa
direzione. Anche io parlo molto di cristianesimo intriso di laicità anche se,
spesso, mettiamo in contrapposizione preti e laici. Laicità significa partire
dalla ragione, dalla razionalità, dalle cose concrete e lì condividere e
ricercare insieme, senza pregiudizi. In questo senso il cristianesimo è
educazione alla laicità. In fondo, il nostro è un Dio che si è fatto uomo, che
ha vissuto i riti della normalità ed è entrato nella vita quotidiana. La
laicità è quindi la capacità di far parlare il Vangelo in modo che sia
comprensibile a tutti, che non incuta il timore del potere. La laicità ci
lascia un vuoto da riempire con la ricerca». Sono queste le parole con cui don
Virginio [Colmegna, ndr] spiega ciò
che il Concilio indicava. Una riscoperta della dimensione ecclesiale, della
partecipazione e della bellezza di muoversi in una dimensione collettiva.
Ripartire dalla liturgia significava per la Chiesa porsi in un dialogo
autentico con la modernità. Il filosofo Ludwig Wittgenstein sosteneva che «i
limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo» e anche per la Chiesa
riformare il linguaggio diventò una necessità per essere in grado di
rappresentare il mondo nuovo che stava venendo avanti, per stare tra le
persone, in mezzo alla quotidianità e all’esistenza di quegli uomini e donne di
buona volontà, credenti e non credenti, accomunati dal desiderio di
trasformazioni radicali. «Don Virginio è figlio del Concilio. Prima del
Concilio la messa era in latino e il prete dava le spalle all’assemblea. Dopo,
si inizia a utilizzare una lingua comprensibile e il sacerdote si gira verso la
gente. Per lui questo ha avuto un forte valore simbolico: si è voltato, ha
guardato le persone ed è andato in mezzo a loro» ricorda Enrico Finzi. Inoltre,
il vento della Teologia della Liberazione soffiava caldo dal Sudamerica,
scoprendo la dimensione politica della carità e stimolando l’impegno a
sradicare le cause della povertà. La carità che inquieta è quella che lascia
delle domande e spinge a cercare risposte, a differenza della cultura
dell’assistenzialismo che, invece, consola e autoassolve. Don Virginio si
trovava ancora in seminario quando «il 17 novembre del 1967, dopo una lunga
assemblea studentesca, venne votata l’occupazione dell’Università Cattolica.
Chiedevamo di togliere l’aumento spropositato delle tasse universitarie,
considerato che quell’Ateneo era frequentato da studenti con redditi mediamente
più bassi rispetto alle altre università e da tantissimi lavoratori che
riempivano i corsi serali. Rivendicavamo la trasparenza dei bilanci e degli
atti amministrativi, il riconoscimento dei diritti di assemblea e di
manifestare le nostre opinioni, l’abolizione della censura preventiva e la
possibilità di discutere maggiormente i contenuti dei corsi. Molti degli
insegnamenti universitari di oggi non sarebbero stati possibili senza il
Sessantotto. L’occupazione durò pochissimo perché fummo sgomberati dalla
polizia che aveva il comando a pochi passi dall’Università. Io venni espulso
insieme ad altri due» ricorda il professor Luciano Pero, uno dei leader del
Movimento Studentesco. Era anche la stagione delle grandi lotte sindacali in
quello che fu definito l’Autunno Caldo. Ripercorre quella fase storica Franco
Bentivogli, che fu Segretario Generale dei metalmeccanici della Cisl: «Gli anni
che precedono il 1978 e il 1979 sono segnati da grandi avvenimenti nazionali e
internazionali. Tensioni valoriali, spinte di democrazia e di progresso e nuove
speranze attraversavano il mondo coi messaggi ideali, culturali, politici e
religiosi di figure quali Papa Giovanni XXIII, John Kennedy, Nelson Mandela,
Giorgio La Pira, Martin Luther King, che davano nuova forza ai profeti più
vicini, spesso bistrattati dalle rispettive autorità. Per il mondo del lavoro
il 1969 e l’Autunno Caldo furono il prodotto di un lungo cammino iniziato nei
primi anni ’60 caratterizzati da esperienze di lavoro, personali e familiari
pesantissime: disoccupazione, bassi salari, subordinazione senza limiti,
debolezza e divisione dei sindacati, rassegnazione e fatalismo dei lavoratori,
autoritarismo. I tempi stavano cambiando. Erano gli anni del miracolo
economico. Masse di giovani entrarono nelle fabbriche, in genere con una
maggiore scolarizzazione. E tuttavia, anche chi lavorava faceva fatica a
giungere alla fine del mese col solo salario. Con l’avvento del 1968 fu tutto
un fiorire di nuovi soggetti politici, dal movimento studentesco a gruppi
spontanei, movimenti politici extraparlamentari, con linee politiche, vitalità
e capacità di presenza molto diverse tra loro, anche secondo le aree
territoriali. Resta il fatto inequivocabile che l’Autunno Caldo dei lavoratori
ha costruito diritti e spazi di cittadinanza attiva, vere e proprie pietre
miliari per il mondo del lavoro e i sindacati. Il 1969 fu anche l’anno di
inizio della strategia della tensione, delle trame nere e del terrorismo: 25
aprile, bombe alla Fiera di Milano; 8 e 9 agosto, bombe sui treni e nelle
stazioni; 19 novembre, omicidio dell’agente Annarumma a Milano; 12 dicembre,
strage di Piazza Fontana, con 17 morti e 88 feriti; poi, bombe a Milano, in
Piazza della Scala fortunatamente inesplose a differenza di quelle di Roma che
fecero numerosi feriti. Il 15 dicembre muore l’anarchico Giuseppe Pinelli. Sul
fronte contrattuale, quello dell’Autunno Caldo fu il contratto nazionale
dell’uguaglianza e dei diritti democratici nei posti di lavoro che superò
intollerabili discriminazioni, anticipando diritti sindacali che sarebbero
stati sanciti un anno dopo dalla Legge 300, il mitico Statuto dei diritti dei
lavoratori, come permessi, assemblee, aspettative, tutele dai licenziamenti. Il
Ministro del Lavoro Carlo Donat Cattin, il 21 dicembre 1969, presentando ai
giornalisti i contenuti del rinnovo contrattuale dei metalmeccanici, sottolineò
“l’importanza del riconoscimento dei delegati sindacali in fabbrica che
uscivano dalla clandestinità e la possibilità di sviluppare una unità sindacale
libera e fondata sull’autonomia”». Fuori dal seminario, don Virginio trovò una
società che scalpitava. I cambiamenti erano all’ordine del giorno e correvano
veloci sul quadrante della storia, intrecciandosi in una trama difficile da
dipanare. La grande complessità faceva intravvedere, da più angolazioni, la
possibilità di realizzare una società più giusta. Per una scuola inclusiva e
moderna «Don Virginio arrivò alla Bovisa nel 1979 e noi lo conoscemmo
all’Oratorio. L’accoglienza non fu delle migliori visto che ad attenderlo trovò
uno striscione con scritto “vergogna!”, realizzato dai ragazzi della
generazione precedente alla nostra che protestavano per l’uscita di don Enrico»
ricorda Daniela Rossi, in quegli anni poco più che quattordicenne. Don Colmegna
si sistemò, con mamma e papà, in un appartamento vicino alla parrocchia di
Santa Maria del Buon Consiglio, nel complesso dell’Oratorio di via Varè. I panni
che mamma stendeva sul balcone si annerivano per i fumi dei prodotti di scarto
della Montecatini. Fu quello il suo primo sguardo su Milano, città che non
conosceva. La Bovisa era una delle tante periferie industriali, fatte di
opportunità e contraddizioni e, come sostiene Luciano Pero, «uno dei luoghi di
primo avvicinamento alla città per tante persone che arrivavano da varie parti
di Italia per lavorare. Lì c’erano anche i migliori tornitori del nostro Paese»
sparsi nelle diverse piccole e medie industrie che caratterizzavano il
quartiere e sorgevano intorno alle più grandi e storiche aziende quali la
Ceretti-Tanfani, Oerlikon, Lepetit, Carlo Erba, Face Standard. In quegli anni
l’Italia era attraversata da una forte immigrazione interna che modificò geografie
sociali e culturali dentro le grandi trasformazioni del lavoro. Lo storico
Guido Crainz, nella sua introduzione al bel libro-inchiesta di Franco Alasia e
Danilo Montaldi “Milano, Corea. Inchiesta sugli immigrati negli anni del
«miracolo»” (Donzelli Editore), ricorda come «fra il 1955 e il 1970 i mutamenti
di residenza sfiorarono i venticinque milioni, e dieci milioni di essi
portarono in un’altra regione. Già allora gli immigrati, specie quelli meno
qualificati e professionalizzati, trovavano sistemazione nelle case più vecchie
e degradate».
cfr. su questo
blog: LA
COREA a MILANO: il meridiano subalterno del Nord di Danilo Montaldi
Don Virginio Colmegna, a 77 anni lascia la
Casa della carità, ma fonda "Speranza oltre di noi"
Le comunità di base, i collettivi politici,
culturali e di studio, i seminari permanenti, sono forme di socialità e
socializzazione, di discussione, confronto e deliberazione collettiva, che rimandano ad una
nuova concezione della democrazia. In foto la comunità di base di don Virginio
Colmegna
#SubalternStudiesItalia
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