Subaltern studies Italia

L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

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sabato 28 ottobre 2023

EDWARD SAID: INTERPRETARE L’OGGI CON LE LENTI DELLA STORIA

 



Edward Said (Gerusalemme, 1935 - New York, 2003)

“La pace può venire soltanto con la fine dell’occupazione”.

Così scriveva Edward Said nel gennaio 2002, venti mesi prima della sua morte. Said è stato uno degli intellettuali più importanti del XX secolo, professore alla Columbia University di Letteratura comparata, era nato a Gerusalemme nel 1935 e cresciuto al Cairo. Pietre miliari della sua produzione di scrittore e studioso furono in particolare due opere: la sua prima in assoluto, “Orientalismo” del 1978, presa a riferimento per gli studi cosiddetti post-coloniali (postcolonial studies) e “Cultura e imperialismo” di quindici anni dopo, 1993, lavoro di indagine letteraria e storica in cui accusa le complicità della cultura occidentale con il progetto egemonico di vecchi e nuovi imperi. Molti studiosi hanno sottolineato la consonanza tra le sue riflessioni e una ‘lettura interpretativa’ degli scritti di Gramsci. (Cfr., tra gli altri, Orazio Irrera, Université Paris 1 – Panthéon-Sorbonne, Egemonia e coscienza geografica. Edward W. Said lettore di Antonio Gramsci, febbraio 2016, https://gramscilab.com/2016/02/04/seminario-egemonia-e-coscienza-geografica-edward-w-said-lettore-di-antonio-gramsci/ 




- Attivo sostenitore della causa del suo popolo, non esitava neanche a criticare le leadership delle organizzazioni palestinesi, l’arrendevolezza e il moderatismo degli accordi al ribasso e la perdita di egemonia di Arafat e Fatha per le controversie interne, l’autoritarismo e la corruzione, che poi in effetti porteranno come concausa al dominio dei fondamentalismi politico-religiosi. Ma il suo indice accusatore fu sempre contro l’imperialismo a dominanza USA e l’occupazione abusiva permessa ai governi israeliani per conto dell’atlantismo nell’area strategica del Medio Oriente. Rileggere Said è interpretare l’oggi con le lenti della storia.

“La tesi insensata del governo Sharon, ovvero che in quarant’anni di una guerra spietata e indiscriminata, intrapresa dall’esercito israeliano contro civili, proprietà e istituzioni, la vittima sia Israele e i palestinesi siano gli aggressori. Questo significa oggi che i palestinesi sono rinchiusi in duecentoventi ghetti controllati dall’esercito; che gli elicotteri Apache, i carri armati Merkava e gli F-16 forniti dagli americani falciano ogni giorno persone, case, uliveti e campi coltivati; che scuole e università sono devastate, così come le imprese e le istituzioni civili; che centinaia di civili innocenti sono stati uccisi, mentre i feriti sono decine di migliaia; che gli omicidi israeliani di leader palestinesi continuano; che i tassi di disoccupazione e povertà si aggirano intorno al 50 per cento”. Edward Said, in Al-Ahram, 10-16 gennaio 2002, ora in La pace possibile - Il testamento politico del grande intellettuale palestinese, Il Saggiatore, 2004, pag.171

 

RILEGGERE SAID

Uno degli assi del pensiero di Said è che le questioni in nome della religione sono politiche. Fuori la religione dalla politica, dunque, nessuna è superiore o inferiore all’altra;  non c’è civiltà in nome della religione, civiltà è solo l’autodeterminazione, necessaria, dei popoli oppressi. L’imperialismo e il colonialismo hanno sempre soffiato e soffiano sulle guerre di religione, ma il loro interesse è economico e politico. I popoli convivono pacificamente tra loro, ognuno con la sua cultura e credenze, l’imperialismo e il colonialismo dividono e provocano i conflitti.

È vero, ci manca il suo acume, la sua analisi stringente, corroborata sempre dalla documentazione, la sua interpretazione storico-politica. Edward Said è stato uno dei più grandi e innovativi studiosi del XX secolo, fondatore, di fatto, degli studi postcoloniali. Attraverso le sue opere, è uno dei più attuali del XXI secolo. Di fronte al martirio del suo popolo, lui, naturalizzato statunitense, ha da dirci tanto, soprattutto, come ha scritto Bruno Montesano su Il Manifesto (20.10.2023) sulla necessaria disarticolazione tra Stato e identità (religiosa e nazionale che sia). Non un’utopia, una necessità. Per i palestinesi e per tutti i popoli oppressi nella loro autodeterminazione. Rileggere proprio ora l’autore di “Orientalismo” (1978) è necessario.

L’imperialismo è colonialismo su larga scala, la cultura imperialista colonialista impregna l’immagine dell’”altro”, lo costruisce, se la rimanda come a uno specchio riflesso, diventa stereotipo di massa: l’oriente esotico, l’arabo- musulmano, il mediorientale-terrorista. E l’intellettuale, che dovrebbe svelare la fenomenologia neocolonialista, strumento di potere, “dire la verità” (titolo di un bellissimo saggio pubblicato in Italia da Feltrinelli, 1995 e 2014), non critica ma occulta. L’indispensabilità dell’intellettuale, dunque, ma quello “organico” alla classe subalterna, antimperialista e anticolonialista. Said è lettore e interprete di Gramsci. /fe.d.


L’INTELLETTUALE SECONDO SAID

Quella dell’intellettuale, tuttavia, è voce solitaria e ha risonanza soltanto qualora si coniughi liberamente con la realtà di un movimento, con le aspirazioni di un popolo, con un ideale collettivo da perseguire. In Occidente, per esempio, dove perlopiù prevale la critica indiscriminata al terrorismo e all’estremismo palestinese, la legge dell’opportunismo esige una condanna senza mezzi termini, salvo poi tessere le lodi della democrazia in Israele. Dopo di che sarà opportuno aggiungere qualche parola a favore della pace. Il senso di responsabilità impone che l’intellettuale dica ai palestinesi tutte queste cose,  ma soprattutto cha a New York, Parigi o Londra, dove il suo discorso può avere massima risonanza, egli sostenga l’idea della libertà per i palestinesi nonchè della libertà dal terrore e dall’estremismo per tutti gli attori coinvolti, non soltanto la parte più debole e più vulnerabile.

Dire la verità al potere non è idealismo alla Pangloss: significa soppesare scrupolosamente le alternative, scegliere la migliore e rappresentarla con sapienza là dove si rivela più efficace per modificare la realtà secondo giustizia.

 

Edward Said, Dire la verità - Gli intellettuali e il potere, Feltrinelli, 2014 (ed.or. 1994), pag.108.

 

EDWARD SAID - LA QUESTIONE PALESTINESE

La questione palestinese. La tragedia di essere vittima delle vittime (The Question of Palestine, 1979; con nuova introduzione ed epilogo, 1992), trad. di S. Chiarini e A. Uselli, Gamberetti Editrice, 1995; Collana La Cultura, Milano, Il Saggiatore, 2011.

/ scheda ed. 2011 /

Molti sono i collegamenti e le affinità tra la storia degli arabi e quella dei palestinesi, così come si sono definiti nel secolo scorso. Ma l'incontro traumatico con l'occupazione israeliana ha reso unica la storia dei palestinesi. L'unicità di questa storia e di questo popolo, con le sue vite vissute, le sue tante sofferenze e le sue profonde aspirazioni, è messa a fuoco e analizzata in "La questione palestinese". La storia nazionale palestinese testimonia uno scontro perdente tra un'ambiziosa ideologia, fondamentalmente europea, e l'incapacità di convincere l'Occidente della giustezza della causa anticolonialista araba. Eppure, nonostante questo tragico fallimento, nonostante i palestinesi siano stati dispersi, frazionati, espropriati dei loro territori, essi hanno saputo sviluppare una sorprendente capacità di resistenza e, soprattutto, dare vita alla loro specifica identità di popolo. A partire dalla realtà storica del suo popolo, Edward W. Said in questo libro mette crudamente alla prova l'infondatezza delle gabbie interpretative già criticate in "Orientalismo", fornendo la definizione più esauriente e illuminante della questione palestinese.

 

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