Quaderno 25 (XXIII), 1934, Ai margini della storia (Storia dei gruppi sociali subalterni)
1. Subaltern Studies 2. Subaltern Studies Italia 3. Subaltern Studies e ragione postcoloniale decostruzionista (G.C.Spivak)
1. Subaltern Studies
"La storia dei gruppi sociali subalterni è necessariamente disgregata ed episodica. E' indubbio che nell'attività storica di questi gruppi c'è la tendenza all'unificazione sia pure su piani provvisori, ma questa tendenza è continuamente spezzata dall'iniziativa dei gruppi dominanti, e pertanto può essere dimostrata solo a ciclo storico compiuto, se esso si conchiude con un successo. I gruppi subalterni subiscono sempre l'iniziativa dei gruppi dominanti, anche quando si ribellano e insorgono: solo la vittoria "permanente" spezza , e non immediatamente, la subordinazione. (..) Ogni traccia di iniziativa autonoma da parte dei gruppi subalterni dovrebbe perciò essere di valore inestimabile per lo storico integrale.", pag.2283/2284.
I Subaltern Studies si configurano come svelamento di "tracce" in antitesi ai meccanismi di costruzione della storia come modalità egemone di relazione con il passato (e sono "tracce" culturali in assenza o disgregazione dell'autonomia politica), un tentativo dunque di esplorazione anche delle differenti modalità di relazione tra scrittura e passato.
2. Subaltern Studies Italia
Gruppi subalterni e Stato: la storia dei gruppi subalterni, senza autonomia politica, è intrecciata a quella della società civile.
"i gruppi subalterni, mancando di autonomia politica, le loro iniziative "difensive" sono costrette da leggi proprie di necessità, più semplici, più limitate e politicamente più compressive che non siano le leggi di necessità storica che dirigono e condizionano le iniziative della classe dominante.", pag.2286.
"L'unità storica delle classi dirigenti avviene nello Stato e la storia di esse è essenzialmente la storia degli Stati e dei gruppi di Stati. (..) Le classi subalterne, per definizione, non sono unificate e non possono unificarsi finchè non possono diventare "Stato": la loro storia, pertanto, è intrecciata a quella della società civile, è una funzione "disgregata" e discontinua della storia della società civile e, per questo tramite, della storia degli Stati o gruppi di Stati. (..) Lo storico deve notare e giustificare la linea di sviluppo verso l'autonomia integrale, dalle fasi più primitive, deve notare ogni manifestazione del sorelliano "spirito di scissione"." pag.2288.
L'esempio non può che essere quello del Risorgimento italiano, la mancata unificazione del popolo da parte della borghesia.
Questo quaderno infatti è strettamente legato al tema dell'egemonia e della conquista dello Stato. Riveste, dunque, un'importanza particolare. Sono studiati i rapporti tra ceti dominanti e subalterni, partendo dal mondo antico (gli schiavi) e configurando il passaggio dallo Stato antico allo Stato moderno. Le utopie sono considerate creazione di singoli intellettuali isolati (Tommaso Campanella, lo stesso Machiavelli), in cui un'irrealizzabile aspirazione politica si costruisce come immaginazione concettuale, aspirazioni utopiche preparate in Italia dall'umanesimo come "salto" politico-filosofico per la soluzione dei problemi delle materiali condizioni di vita degli umili, alla ricerca di un nesso, non trovato, tra intellettuali e popolo.
citazioni da edizioni Einaudi, 1975, a cura di Valentino Gerratana, vol.III.
3. Subaltern Studies e ragione postcoloniale decostruzionista (G.C.Spivak)
Tracce e autonomia integrale dei subalterni: è da qui che parte, riferendosi proprio a Gramsci, la critica alla ragione postcoloniale della Spivak, autrice nel 1988 di "I subalterni possono parlare?", poi ricompreso nel terzo capitolo ("Storia") dell'ed.it. della Critica della ragione postcoloniale, a cura di Patrizia Calefato, ed. Meltemi, 2004 (1 ed.,Harvard University Press -1999):
"Ma chi è "subalterno"? Il concetto di Spivak è direttamente tratto dal pensiero di Gramsci e dal suo marxismo a sua volta "critico", che presenta temi portanti di estremo interesse per l'attualità postcoloniale, certamente per Spivak come è stato per tutti gli studiosi della composita area degli studi culturali e postcoloniali, dalla scuola di Birmingham a Said, fino al gruppo dei Subaltern Studies. Gramsci che, scrivendo in carcere, estrinsecò il contrasto impensato (double bind lo chiamerebbe forse Spivak filtrando l'espressione di Derrida) tra questione meridionale italiana e fordismo "americanista" già sovranazionale, tra "folklore" e cultura di massa; Gramsci che riesaminò in chiave materialista il concetto di senso comune e introdusse quello di egemonia, fissando come imprescindibile per la formazione della coscienza di classe l'ambito del linguaggio. Le classi subalterne, nella concezione marxiana che Gramsci rielaborò e di cui Spivak riprende il filo annodandolo ad alcuni passaggi del Diciotto Brumaio di Luigi Bonaparte di Marx, possono avere coscienza di se stesse superando la loro disgregazione e articolando la loro azione politica nel progetto di un'egemonia che le élite politiche e culturali costruiscono. In Spivak, però, la domanda sul "parlare" dei subalterni riguarda la loro possibilità di realizzare una capacità di agire, un'agentività (agency) che implica un'egemonia non convenzionale intesa come forza, come progetto di vita modellato entro un sistema che si collochi oltre il simbolico prestabilito." (ivi,pp.13-14)
Le tracce non in elenco, dunque, sono quelle dell'"informante nativo - nativa" (la subalterna, "la più povera donna del Sud"), che subisce la violenza epistemica della stessa ragione post-coloniale. La pratica teorica della decostruzione (Derrida) introduce agli studi culturali trans-nazionali. E la rivoluzione? Quella delle parole e del disvelamento testuale , come la "forclusione" di Lacan.
Se si segue la traccia gramsciana, però, ciò può non bastare o addirittura portare fuori strada. La filologia del senso comune, infatti, è un aspetto del problema dei dominati, subalterni neocolonizzati dall'imperialismo in occidente e oriente, in cui il Sud è sempre il Sud di un Nord. Se il presente decostruito è in dissolvenza, il futuro è già, da qui ed ora, da costruire.
Anche lo sguardo de La fine del mondo di de Martino è sia apocalissi spirituale che materiale, è anche il confine oltre il quale non si vede orizzonte. Un orizzonte che viene ricompreso (reintegrato) solo con la ricerca di un escatòn, il riscatto, reso possibile, dei subalterni.
a cura di Ferdinando Dubla
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