recensione-presentazione e abstract
- edito da Nuova editrice Apulia nel marzo 1998 con una straordinaria raccolta di foto storiche di Martina Franca e sul PCI della cittadina pugliese a cura di Benvenuto Messia. - in collaborazione con Francesco Massafra. /
pubblicato ora in formato digitale su Academia.edu / digitalizzazione Colors Taranto
- Nell'aprile del 1930, l'Italia
fascista subì uno scossone sociale che lasciava prefigurare tristi sventure per
il regime, che dopo la firma dei Patti Lateranensi cercava un consenso
pressoché totale da parte della popolazione italiana. La situazione era realmente preinsurrezionale? O i
bagliori davano solo l'impressione della loro vividezza?
Il
Partito Comunista, nel 1930, attraversato da una drammatica crisi interna,
accentuata dalla ferocia repressiva del fascismo nei suoi confronti, con
l'arresto, il confino e l'esilio dei suoi dirigenti, il pestaggio e l'uccisione
continua dei suoi militanti, se lo chiese e molti dei suoi più giovani
dirigenti, come Luigi Longo ("Gallo") e Pietro Secchia, cercarono di
interpretare la 'svolta' del 1929 della III Internazionale in un senso
attivistico, non attesista e temporeggiatore.
· Nel PCd’I costretto alla clandestinità, con un centro estero e uno interno, ci si interrogava: attendere gli eventi o intraprendere azioni rivoluzionarie? Pietro Secchia, allora giovane dirigente comunista (27 anni), anima organizzativa del centro interno (ma fu arrestato nell’aprile del 1931) si impegnò per respingere l’attendismo e prendere l’iniziativa della lotta armata. E quando negli anni ‘60 ricostruì il dibattito sulla ‘svolta’ del 1929 dell’Internazionale Comunista (quella dell’equiparazione tra socialdemocrazia e fascismo, nota come ‘socialfascismo’), negli Annali Feltrinelli [L'azione svolta dal Partito comunista in Italia durante il fascismo 1926-1932, Annali dell'Istituto Giangiacomo Feltrinelli, XI (1969), Milano, Feltrinelli, 1970], descrisse come prioritario proprio il dibattito interno piuttosto che il giudizio ideologico. Citando il caso della rivolta di Martina, dove i contadini non si erano rassegnati all’ennesima imposizione fiscale sui beni alimentari (in questo caso una gabella sul vino per consumo proprio) e avevano distrutto e incendiato tutti i luoghi-simbolo del potere fascista, provocando la stessa destituzione del podestà Carrieri. Una rivolta oggettivamente antifascista, dunque.
Nel 1930, infatti, alla violenta manifestazione di protesta degli operai di una fabbrica di Parabiago (Milano) che arrivarono a vere e proprie dimostrazioni di 'luddismo' con la distruzione dei macchinari e ai combattivi cortei di disoccupati che attraversarono Livorno, Signa e Fucecchio (Firenze), fecero eco nel Mezzogiorno l'assalto alla podesteria di Faito (Avellino), l'attacco al municipio di Lecce, insurrezioni con uso di armi a Barletta e dunque proprio l'insurrezione di Martina Franca il 3 aprile.
Le
cause di queste sollevazioni furono le concrete politiche economiche del
fascismo, miranti a far pagare la crisi ai ceti subalterni, alla classe operaia
dei distretti industriali, specie al Nord (progressiva corporativizzazione e
abbassamento dei salari) ed ai contadini, specie delle campagne meridionali.
Martina
Franca allora diventa importante: e più che per i fatti che qui si sono svolti,
per il simbolo che rappresenta. E lo rappresenta ad un livello elevato e
importante.
Grazie
alla consultazione degli archivi del PCI e di Mosca, si è potuto comparare il
documento che comprova il colloquio avvenuto tra Togliatti (allora ‘Ercoli’) e
due dirigenti dell’Internazionale Comunista quali Vasilyev e Molotov, durante
la seduta del 19 luglio 1930 (dopo oltre tre mesi dai fatti di Martina, da qui
è possibile giudicarne la eco) dell’Esecutivo della stessa Internazionale. E’
proprio Togliatti a sollevare la questione dei contadini del Mezzogiorno e
porta emblematicamente l’episodio martinese di tre mesi prima all’attenzione
dei sovietici;
I fatti di
Martina Franca del 3 aprile 1930, qui ricostruiti, costituirono uno spiraglio
di luce, per i comunisti italiani, da cui erano riusciti ad intravedere la
crepa del burrone in cui sarebbe precipitato il regime tredici anni dopo e
dimostra che a loro fu caro, piuttosto che il tratto ideologico antiriformista,
il tratto politico della soggettività rivoluzionaria, quello necessario per
sconfiggere il fascismo.
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