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Guha: Omaggio a un maestro - L’uso di Gramsci nei Subaltern studies indiani
[la paragrafazione è nostra --- Subaltern studies Italia]
- L'influenza internazionale di Gramsci
La Fondazione Gramsci mi ha fatto un grande onore, invitandomi a parlare
dell'influenza di Gramsci in India. Io posso farlo soltanto come un allievo che
rende omaggio a un maestro: perché questo è Gramsci, per noi che abbiamo ideato
e realizzato il progetto dei Subaltern Studies. Nella relazione tra allievi e
maestro, l'influenza agisce in un processo a doppio senso, nel quale sono
attive entrambe le parti. E’ per questo che una buona lezione porta beneficio
all'allievo che partecipa, ma non lascia tracce nello studente che rimane
indifferente. Sotto questo aspetto, l'influenza somiglia un po' a quello che i
biologi chiamano «adattamento». Gramsci stesso usa questo termine come metafora
quando afferma che la continuità può creare una tradizione sana se il popolo
può partecipare attivamente a quello che egli definisce «sviluppo organico».
Secondo Gramsci, questo processo “è un problema di educazione delle masse,
della loro "conformazione" secondo le esigenze del fine da
raggiungere” (Quaderno 6 § 84, Q, p. 757). Un tempo le scienze biologiche
consideravano l'adattamento un fenomeno provvidenziale strettamente
circoscritto ad alcuni ecosistemi secondo uno schema preordinato; dopo Darwin,
è stato riconosciuto come un processo del tutto casuale, nel quale un organismo
si adatta in maniera contingente dovunque abbia l'opportunità di sopravvivere e
riprodursi. Questa contingenza basta, da sola, a spiegare perché il pensiero
gramsciano sia fiorito meglio in paesi lontani che nel suo continente di
origine. Ma anche in India, con tutto il successo che ha incontrato, non si è
radicato dove ci si sarebbe aspettati, ma in un contesto del tutto diverso.
Infatti, sfidando ogni prevedibilità, ha scelto per germogliare e propagarsi un
progetto accademico come quello dei Subaltern Studies, invece che i due partiti
comunisti ufficiali.
- Partiti comunisti indiani e movimento Naxal
Particolare ancora più ironico, il progetto non aveva neppure la sua sede
nel subcontinente, pur essendo profondamente indiano per spirito e obiettivi.
Nel nostro profondo desiderio di imparare da Gramsci, siamo stati del tutto
autonomi e non abbiamo alcun debito verso i partiti comunisti tradizionali.
Questi si erano scissi nel 1964, dando vita al Partito comunista indiano (PCI)
e al Partito comunista indiano marxista (PCIM), l'uno allineato sulle posizioni
di Mosca, l'altro di orientamento più radicale, filocinese. Nessuno dei due
aveva posto per Gramsci nella sua linea politica e nei suoi programmi. Anzi,
il nome di Gramsci era praticamente sconosciuto tanto alle gerarchie quanto
alle rispettive basi, e nulla prova che i dirigenti di entrambi i partiti
tenessero granché conto della sua vita e della sua opera fino al 1964. A quella
data, alcuni intellettuali ai margini del più piccolo e debole PCI si
interessarono al pensiero gramsciano, ma con scarse conseguenze per la linea
filosovietica del partito. Il nostro progetto di Subaltern Studies si è tenuto
a distanza dall'uno e dall'altro partito, che ai nostri occhi rappresentavano
un'estensione liberale di sinistra dell'élite al potere. Non che fossimo
apolitici o anticomunisti. Tutt'altro: nel nostro tentativo di elaborare una
critica radicale al colonialismo e all'impronta colonialista rimasta nello
studio della storia e nella società dell'Asia meridionale, ci consideravamo
marxisti. Ci opponevamo ai due partiti comunisti ufficiali per l'uso
opportunistico e dogmatico del marxismo che facevano. Le nostre simpatie
andavano al movimento contadino che si ispirava alla rivoluzione cinese e alle
idee di Mao Tse-tung. Noto come movimento Naxal (da Naxalbari, il distretto
rurale dove si era formato), esso fu schiacciato dagli sforzi congiunti del
Congresso e dei due partiti comunisti in una serie di feroci operazioni
repressive tra il 1968 e il 1971. Pur sconfitto dal punto di vista
organizzativo, il movimento Naxal ha lasciato una profonda eredità di dubbi e
interrogativi. Dagli anni Settanta in poi, gli intellettuali indiani hanno
fatto un uso creativo di quell'eredità in molti campi, dalla letteratura alle
arti sceniche, alla storia e alle scienze sociali. Il nostro progetto dei
Subaltern Studies è riconosciuto come una delle forze trainanti all'interno di
quell'ampia formazione intellettuale. Ciò che rese il movimento Naxal così
potente nella sua breve esistenza, fu uno scontento diffuso a livello nazionale
per la formazione politica della nuova Repubblica Indiana che assunse il potere
nel 1947, quando gli inglesi lasciarono finalmente il paese. I disastri degli
anni Quaranta - la guerra, la carestia, la divisione del subcontinente in due
Stati sovrani, che provocò l'esodo di centinaia di migliaia di profughi e un
conflitto settario passato alla storia per stupri di massa e stragi senza
eguali in questa parte del mondo - ebbero un impatto di cui la popolazione
continuò a soffrire per decenni dopo l'indipendenza. Mentre i poveri delle
città e delle campagne, compresa la classe media ridotta alla povertà, si erano
aspettati dal nuovo governo dell'India indipendente un miglioramento della loro
condizione, l'élite al potere rappresentata dal Partito del Congresso era fin
troppo occupata a consolidare il suo controllo sul patrimonio ereditato dagli
inglesi. Dava per scontato il consenso del popolo che aveva formato gli
eserciti non violenti delle lotte antimperialiste, una campagna dopo l'altra,
sin dai primi anni del XX secolo. Ma quando i padroni coloniali furono
costretti ad andarsene e l'occupazione ebbe finalmente termine, le legioni
smobilitate furono dimenticate, e i generali si diedero sùbito a manipolare
l'apparato statale per assicurare gli interessi delle classi e delle comunità
che rappresentavano. Inizialmente i comunisti e alcuni degli altri gruppi
politici di sinistra tentarono di resistere a quel processo, ma con scarso
successo. L'élite al potere piegò ogni resistenza ricorrendo abbondantemente
all'esercito, alla polizia e a leggi draconiane, ogni resistenza ricorrendo
abbondantemente all'esercito, alla polizia e a leggi draconiane, poi convinse i
suoi critici ad accontentarsi di stare all'opposizione in parlamento. Il trucco
funzionò, ma non abbastanza da ridurre al silenzio l'opposizione che cresceva
al di fuori delle aule del parlamento. Alla fine degli anni Sessanta, la
miseria aveva portato poveri e disoccupati a una disperazione tale che sarebbe
bastata una scintilla per farli esplodere. Quella scintilla venne dal movimento
contadino del Naxalbari. Iniziò come una semplice rivolta locale contro i
proprietari terrieri, ma presto divenne il segnale per insurrezioni su piccola
scala in altre zone delle campagne. Non è meno significativo il fatto che si
diffuse anche nelle zone urbane. La forza di questo movimento nacque dalla
delusione di due generazioni nei confronti della classe di governo e degli elementi
dominanti della società, vale a dire dell'autorità a tutti i livelli. La
generazione più anziana era delusa perché i governanti non avevano mantenuto le
promesse di un futuro migliore che, quando erano a capo del movimento
nazionalista, avevano usato per mobilitare le masse a combattere per
l'indipendenza. La generazione più giovane era delusa perché i partiti, il
governo - a dire la verità, tutte le istituzioni, dai consigli di villaggio e
dai municipi fino alle scuole e alle fabbriche, dove l'autorità era
rappresentata da uomini e donne più anziani - non avevano saputo assicurare
loro un futuro meno cupo del passato in cui avevano trascorso l'infanzia. Da
questo duplice scontento generazionale trassero forza anche i Subaltern
Studies.
- Le origini dei Subaltern Studies
Nel gruppo editoriale, formato dai principali curatori della rivista
omonima, io rappresentavo la generazione più anziana, gli altri - tutti con
almeno venticinque anni meno di me - quella più giovane. Ricordo questo
particolare ontologico per indicare come il nostro progetto fosse una parte
organica della sua vita e dei suoi tempi, che partecipava al mondo al quale
apparteneva e non era semplicemente un punto distaccato di osservazione
accademica. Figlio dell'esperienza dotata di una formazione teorica, era
empaticamente politico - un particolare che scosse il sistema accademico che
fin dal XIX secolo era stato, in Inghilterra come in India, il custode degli
studi sull'Asia meridionale. Cominciammo a lavorare insieme alla metà degli
anni Settanta, quando la rivolta naxalita si era chiaramente affievolita, anche
se le questioni che aveva sollevato erano rimaste senza risposta. Cercammo di
collocare quelle questioni nel contesto del passato coloniale. La fine del
dominio coloniale, infatti, non aveva originato nulla per rimpiazzare o
modificare sostanzialmente il principale apparato del dominio coloniale: lo
Stato, che fu trasferito intatto al nuovo regime. Di conseguenza, quando il
potere passò nelle mani degli indiani ma la miseria del vecchio regime proseguì
immutata sotto il nuovo, la situazione del presente rimandava direttamente
all'immediato passato. Questo collegamento apriva un ampio spazio, grazie al
quale le nostre domande e preoccupazioni poterono coagularsi intorno ai temi
contigui dello Stato e della società civile. Su entrambi la lezione di Gramsci
ci offriva un aiuto prezioso; tuttavia, per poterne beneficiare, dovevamo adattarla
all'esperienza indiana, che, naturalmente, era molto diversa da quella
italiana, e più in generale occidentale, su cui quelle riflessioni si basavano.
- - -
da: Gramsci le culture e il mondo, a cura di
Giancarlo Schirru, Viella, 2009, in collaborazione con Fondazione Istituto
Gramsci onlus e International Gramsci society Italia, cit. da 1ed. e.book
2011
(traduzione di Cristina Coldagelli)
(1) continua
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