TRADUZIONE, TRADUCIBILITA’ e INTERPRETAZIONE
degli scritti di Gramsci [maggiormente prima dell'ottimo lavoro di Joseph Buttigieg (Columbia University Press, 1992-2007)] non riguarda solo i Subaltern studies, ma anche la critica postcoloniale e gli studi culturali (Stuart Hall). Ma, a nostro avviso, appunto, è l’ottica degli studi a prevalere, a parte la complessa traducibilità delle categorie gramsciane e le differenziazioni di impostazione fra scuole di pensiero attigue ma diverse: sono i ‘subalternist’ che vanno oltre “l’acribia filologica” per impostare una diversa narrazione e interpretazione, aprendo orizzonti conoscitivi non più ’mediati’ dall’egemonia delle classi dominanti. - fe.d.
Prima dell’edizione curata da Joseph Buttigieg <Prison Notebooks> (Columbia University Press, 1992-2007), i Quaderni dal carcere di Gramsci erano conosciuti in lingua inglese tramite miscellanee, come nel 1971 la pubblicazione di <Selections from Prison Notebooks> [Intl Pub Co Inc], ancora oggi molto conosciuta e utilizzata (best seller vendite Amazon). Per cui gli autori dei Subaltern studies e della critica postcoloniale formano la loro interpretazione dei concetti gramsciani su questi scritti e su traduzioni difficoltose. Ma, a mio avviso, a parte la complessa traducibilita’ delle categorie gramsciane, è l’ottica degli studi a prevalere: i ‘subalternist’ vanno oltre “l’acribia filologica” per impostare una diversa narrazione e interpretazione, aprendo orizzonti conoscitivi non piu’ ’mediati’ dall’egemonia delle classi dominanti.
Ha scritto Peter D. Thomas, in un saggio, [Cosa rimane dei subalterni alla luce dello “Stato integrale”? , International Gramsci Journal No. 4 (2nd Series / Seconda Serie) June / Giugno 2015]:
“sebbene vi sia stata una discussione intensa sul concetto di “subalterno”, discussione che rivendica un’affiliazione più o meno distante con le riflessioni dello stesso Gramsci, coloro che hanno provato ad affrontare le sfide immense e a cogliere la ricchezza degli scritti carcerari di Gramsci, non possono fare a meno di sentire che la maggior parte di questa produzione teorica si basa su una conoscenza molto limitata dei testi o dei concetti gramsciani. Di fronte a questa discrepanza, nulla sarebbe più facile, per lo studioso o la studiosa gramsciani, che dichiarare tali letture semplicemente sbagliate, prima di intraprendere il compito laborioso ma ingrato di evidenziare i loro errori e limiti numerosi, a cominciare dal fatto che, come ho notato prima, mentre i dibattiti recenti hanno parlato per lo più del sostantivo al singolare (“il subalterno”), Gramsci usa il termine per lo più come un attributo, e al plurale. Lo studioso e studiosa gramsciani potrebbe perciò tornare con buona coscienza al proprio ambito specializzato di ricerca, mentre la discussione intellettuale generale continua altrove.”
- ora siamo in grado di riconoscere come filologicamente errati molti degli usi di Gramsci da parte del collettivo dei Subaltern Studies o di Spivak, tra molti altri. Paradossalmente, però, siamo in grado di farlo, almeno in parte grazie all’attenzione che essi hanno prestato al concetto, spingendo studiosi e studiose gramsciane e molti altri a tornare sui testi di Gramsci e a rileggerli in modo nuovo. Qualunque siano le loro mancanze, è stato grazie a questi “fraintendimenti” che i Quaderni del carcere oggi possono essere visti, da un certo punto di vista, come una immensa enciclopedia delle forme di subalternità generate all’interno della modernità politica e, ancora più importante, come una enciclopedia degli abbozzi di una strategia per il loro superamento.
Peter D. Thomas, Cosa rimane dei subalterni alla luce dello “Stato integrale”?, International Gramsci Journal No. 4 (2nd Series / Seconda Serie) June / Giugno 2015
in foto cop. di <Selection Prison notebooks> del 1971 e Joseph Buttigieg (1947/2019)
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