Subaltern studies Italia

L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

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lunedì 29 maggio 2023

IL PADRE DI BARBARA

 

Barbara Balzerani, Lettera a mio padre, Derive e Approdi, 2020 - con prefazione di Vincenzo Morvillo /


 

IN NOMINE PATRIS

 

Ai livelli apicali dell’organizzazione BR degli anni 70 e 80 del Novecento italiano, oggi la Balzerani non scrive solo memorie o memorie traslitterate, ma si cimenta con la scrittura per l’interpretazione della realtà sociale e la sua trasformazione strutturale e perciò rivoluzionaria. Il suo ultimo lavoro tratta del lavoro. Schiavistico di oggi, nel neoliberismo dell’arcano della forma di merce in cui il rapporto umano è mediato-tediato dal denaro e rende gli esseri umani alienati. Per far questo, interloquisce con la figura trasfigurata nel ricordo del padre, il suo. Ma interloquisce anche con il suo padre ideologico -Karl Marx- e lo fa attraverso le Tesi di filosofia della storia di Walter Benjamin, un padre che però, appunto, non amava l’ortodossìa, ma l’azione politica che aggiornava la teoria perchè irrompeva nella storia.

Tra i limiti di una passata appartenenza ortodossa anche quello di non aver compreso che la teoria critica marxista non può avere ortodossia, pena lo scollegamento con la realtà sociale che si dice di voler trasformare in senso rivoluzionario. È quanto può leggersi implicitamente in filigrana in questo ultimo libro della Balzerani. / fe.d.

 

/scheda/

 

"Lettera a mio padre" parla di lavoro, così cambiato dall’epoca delle mitiche tute blu, di quel lavoro operaio e delle mani che oggi sembra scomparso. Con la progressiva diminuzione del lavoro artigiano ciò che è andato perduto è, infatti, un immenso patrimonio di conoscenze e di pratiche, di gesti e di attività via via incorporati nelle macchine. Il racconto di Barbara Balzerani – autrice conosciuta, certo, per le vicende legate alla sua militanza politica, ma amata anche per la sua poetica capace di tradurre in forma letteraria temi complessi – è un dialogo immaginario tra una figlia e un padre, alla ricerca di una via di uscita dal nichilismo dell’astrazione delle merci che sovrasta le relazioni sociali contemporanee. Una rilettura dei cambiamenti che il capitalismo ha indotto nel mondo del lavoro e, in contraltare, di quelle forze vive che continuano a contrapporsi.

 

Una scelta che il padre non ha mai potuto comprendere

 

- Barbara, come Benjamin, ci dice di spezzare la linearità fisica del Tempo. Di sparare agli orologi. Di interrompere l’accumulo progressivo di futuro tramutatosi in accumulo sviluppista di produzione al presente. Altro che sviluppo delle forze produttive! Siamo ormai giunti nel regno dell’ombra di Mordor. Dominato da un bifronte Sauron-Rolex, Signore degli orologi. Il cui volto vorace assomiglia a quello di un Amministratore Delegato. Una Mordor neoliberista, dove macchine/orchi di odierni Talo hanno divorato la creatività umana del lavoro, trasformando gli stessi individui in alienati profili avatar, deprivati di spazio vitale. Macerie di corpi su macerie di corpi, nel segno dell’ideologia tempestosa del progresso. Solo nuovi angeli o nuovi barbari rivoluzionari potranno redimere il passato e riscattare le generazioni oppresse della Storia, è Marx stesso a dircelo, dopotutto. E ancora, Tesi 11: (+) Il programma di Gotha reca già tracce di questa confusione. Esso definisce il lavoro come «la fonte di ogni ricchezza e di ogni cultura». Allarmato, Marx ribatte «che l’uomo non possiede altra proprietà» che la sua forza-lavoro, «non può non essere lo schiavo degli altri uomini che si sono resi... proprietari». Ciononostante la confusione continua a diffondersi, e poco dopo Josef Dietzgen proclama: «Il lavoro è il messia del tempo nuovo. Nel... miglioramento... del lavoro... consiste la ricchezza, che potrà fare ciò che nessun redentore ha compiuto». Questo concetto della natura del lavoro, proprio del marxismo volgare, non si ferma troppo sulla questione dell’effetto che il prodotto del lavoro ha sui lavoratori finché essi non possono disporne. Esso non vuol vedere che i progressi del dominio della natura, e non i regressi della società; e mostra già i tratti tecnocratici che appariranno più tardi nel Fascismo. Fra cui c’è anche un concetto di natura che si allontana funestamente da quello delle utopie socialiste anteriori al ’48. Il lavoro, come è ormai concepito, si risolve nello sfruttamento della natura, che viene opposto – con ingenuo compiacimento – a quello del proletariato. A suo padre, che dei padroni e della fabbrica ha voluto fare a meno per tutta la vita, credendosi e sentendosi libero del suo tempo, Barbara rimprovera l’ingenua illusione di una fede nel progresso e nel lavoro che, malgrado tutto, avrebbe dovuto riscattare una povertà dignitosa ma fredda. Vincenzo Morvillo / fine estratto

 

(+) Walter Benjamin, le cui Tesi di Filosofia della Storia intridono tutto il libro di Barbara.

 

Nel post del blog abbiamo riunificato i post della pagina e aggiunto stralci dal libro

 

Stralci dal libro

 

Marx dice che le rivoluzioni sono la locomotiva della storia universale. Ma forse le cose stanno in modo del tutto diverso. Forse le rivoluzioni sono il ricorso al freno d’emergenza da parte del genere umano in viaggio su questo treno. Walter Benjamin

 In linea di principio un facchino differisce da un filosofo meno che un mastino da un levriero. È la divisione del lavoro che ha creato un abisso tra l’uno e l’altro. Karl Marx

 

 

Faglie potenti si sono aperte tra avanzate e ritirate. Dal Rojava al Chiapas, dal confederalismo democratico allo zapatismo, lingue e tradizioni diverse si sono mescolate e rafforzate su un’idea di società basata sull’autogoverno. L’eco delle rivendicazioni risuonano tra i continenti, arricchendosi di esperienze diverse, rimbalzando dagli indios e dalle città del sud America ai valligiani di Susa, ai combattenti curdi del partito dei lavoratori. Alla resistenza di baschi e catalani di cui si può leggere la storia seguendone le tracce nei luoghi della memoria delle città, ascoltandone nella lingua d’origine il filo dei racconti che tengono viva una lunga tradizione antifascista, di lotta per la giustizia sociale, per la libertà dei prigionieri politici.

 

Chi sono? Sono quelli che non si arrendono perché debbono raccontare la storia dei vinti, mai sconfitti. Sono l’insurrezione che ritorna dalle profondità della terra, dalla periferia della modernità.

 

 

Che ne dici? Anch’io ho creduto che questi automi ci avrebbero liberato dalla fatica come se le tecnologie fossero neutrali e buone di per sè. C’è voluto il deragliamento delle locomotive rivoluzionarie del ‘900 per ricominciare a ripensare altri modi di vita collettiva, soprattutto grazie al protagonismo delle periferie dei tanti sud. Quelle che più hanno pagato i costi di un progresso che ha viaggiato alla velocità necessaria a infettare il mondo con la pandemia del «lavora, consuma, crepa».

 

La divisione del lavoro è stata necessaria per rendere più redditizia la produzione, assicurandosi lavoratori manuali impossibilitati di governarne il processo, costretti alla ripetitività di un’unica mansione. È uno strumento di potere e la tecnica c’entra poco e niente. Questo tu lo sai bene ma hai preferito pensare di non essere stato sotto il suo dominio. Hai preferito pensarti libero raccontando di esserti sottratto alla sua maledizione, solo perché non hai mai creduto fosse possibile combatterla e uscirne vivo. Altri hanno osato, hanno vinto, hanno perso ma sempre secondo il principio rivoluzionario che l’abolizione della divisione del lavoro sia un cacciavite tra i più efficaci per sabotare il comando e lo sfruttamento.

 

È la storia della lotta di classe quando si esauriscono le possibili mediazioni e si intravede una strada di ritorno a un riscatto di dignità. Narrata senza risparmio di paradossi nella descrizione di personaggi, che sono sempre altro perché è il padrone a decidere anche del sesso di chi è costretto a cercarsi un lavoro e di impatto con lo strozzinaggio sulla loro miseria esercitato da banche e finanza.

 

 

#BarbaraBalzerani #letteramiopadre 

 

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