Subaltern studies Italia

L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

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venerdì 2 febbraio 2024

LA BARBAGIA È ROSSA, L’ITALIA LO SARÀ. La Barbagia di Savasta (6.1)

 



Abstract

- Attorno al 1979 le BR strinsero rapporti con l'organizzazione Barbagia Rossa al fine di organizzare la fuga di alcuni prigionieri politici dal carcere speciale dell'Asinara. I brigatisti Antonio Savasta ed Emilia Libéra furono mandati a Cagliari per creare la colonna sarda delle BR e trasferire l'arsenale delle BR in Sardegna. Il 15 febbraio 1980, a Cagliari, una pattuglia della polizia li riconosce, ma i due riescono a fuggire.

Barbagia Rossa, https://it.wikipedia.org/wiki/Barbagia_Rossa

Il 23 febbraio 1982, nelle campagne di Nuoro, su indicazione di Antonio Savasta, pentito dopo l'arresto, le forze dell’ordine rinvengono un grande deposito di armi delle Brigate Rosse, la cui custodia era stata affidata a Barbagia Rossa. L’arsenale era probabilmente sotto custodia di Barbagia Rossa e forse doveva servire per un attentato al supercarcere di Badu ‘e Carros a Nuoro.

Le decise azioni della polizia misero fine al gruppo proprio in relazione alle confessioni di Savasta nei primi mesi del 1982. La sigla Barbagia Rossa non fece più la sua comparsa.

- Nei primi dieci giorni di febbraio vengono arrestate e accusate di costituzione di banda armata otto persone: Pierino Medde (27 anni, Nuoro), Roberto Campus (28 anni, Nuoro), Gianni Canu (24 anni, Nuoro), Giovanni Meloni (26 anni, Siniscola), Antonio Contena (28 anni, Orune), Mario Meloni (28 anni, Mamoiada), Mario Calia (28 anni, Lodè), Giuliano Deroma (25 anni, Porto Torres).



Antonio Contena, Giovanni Meloni (sopra), Gianni Canu (sotto)


https://barbagiarossa.wordpress.com/barbagia-rossa/

Biblio.: Storia dei grandi segreti d'Italia - Barbagia rossa e l'eversione politica sarda - di Omar Onnis- n.89 - settimanale - 159 pagine - supplemento a La Gazzetta dello Sport, 4 aprile 2023


La copertina del libro raffigura Emilia Libéra tra le sbarre

Il 18 giugno ’81, dopo un anno e quattro mesi dalla sparatoria di Cagliari, il pubblico ministero depone la sua requisitoria su tutta la vicenda indicando 27 persone come protagoniste delle vicende tra cui, ovviamente, Antonio Savasta, Emilia Libéra, Mario Pinna, Mario Francesco Mattu, Rinaldo Steri e Carlo Cioglia. Gli altri sono studenti universitari, artigiani e vecchi sessantottini. Giulio Cazzaniga viene invece prosciolto dalle accuse per infermità mentale.

[fine abstract]



Una bibliografia su Barbagia Rossa è inesistente.

Ma si tratta di storia, storia che ha segnato gli anni tra il 1978 e il 1982 della cronaca in Sardegna, la mia terra.

Ho voluto approfittare del tema “fotografia e violenza politica negli anni ’70” del corso di “Storia della fotografia” tenuto dal prof. Antonello Frongia (Università Iuav di Venezia), per approfondire e ricostruire queste vicende.

Si tratta di temi molto delicati e ancora caldi, per questo mi sono attenuto a una scrupolosa ricostruzione delle vicende accadute riferendomi rigorosamente alla cronaca giornalistica di quegli anni.

Per una corretta interpretazione da parte dei lettori, devo assolutamente sottolineare che per ora ho avuto la possibilità di analizzare soltanto i fatti giornalisticamente interpretati da “L’unione Sarda” una delle due maggiori testate dell’isola insieme a “La Nuova Sardegna”.

Buona consultazione,

Massimiliano Musina, 17 luglio 2008 cap. in successione, extract

 

Febbraio 1980. Il conflitto alla stazione di Cagliari

Collegamenti tra Barbagia Rossa e le Brigate Rosse trovano un’ulteriore conferma il 15 febbraio 1980.

Sono le 16:00, alla stazione ferroviaria di Cagliari due agenti della polizia, il brigadiere Fausto Goddi e la guardia Stefano Peralta, si avvicinano a un gruppo di cinque giovani chiedendo loro i documenti per un controllo; gli agenti contattano la centrale. A Giulio Cazzaniga e Mario Pinna, entrambi nuoresi, viene chiesto di seguirli in questura per degli accertamenti. Gli altri tre vengono lasciati liberi. Due di loro, sedicenti Camillo Nuti ed Emilia Libera, si spostano verso la sala d’attesa della stazione (sono incensurati), l’altro, Mario Francesco Mattu, si allontana in altra direzione (su di lui sussistono dei precedenti, ma non gravi in quell’occasione).

Mentre il brigadiere e i due fermati si dirigono in auto verso la questura, viene dato ordine di tornare indietro e catturare anche gli altri. Vengono rintracciati vicino ai binari solo due dei tre, l’uomo e la donna. Questi seguono gli agenti fino all’uscita della stazione. A quel punto l’uomo abbraccia la sua compagna, tira fuori una pistola e inizia a sparare all’impazzata per coprirsi la fuga. Nasce una vera e propria sparatoria al centro di Cagliari, le pallottole ad altezza d’uomo colpiscono alcune auto posteggiate, ma per fortuna nessun passante. La donna in fuga viene ferita alla fronte, un poliziotto al piede.

Nelle ore successive la città è assediata da oltre quattrocento uomini delle forze dell’ordine, ma dei due fuggitivi nessuna traccia. Inizialmente si pensa che la donna colpita sia Marzia Lelli, nota brigatista; dell’uomo invece non sono disponibili informazioni.

Più tardi si scopre che Giulio Cazzaniga e Mario Pinna, fermati prima del conflitto, appartengono al gruppo di Barbagia Rossa e vengono arrestati per detenzione abusiva di arma da guerra e partecipazione ad azione sovversiva. Ai due si aggiunge il quinto elemento che si era allontanato dalla stazione, Mario Francesco Mattu di Bolotana. Anche lui appartenente a Barbagia Rossa, viene arrestato durante la notte tra il 15 e il 16 febbraio ’80 a casa della sua ragazza a Cagliari dove viene trovata anche una pistola “Luger” calibro 9. Vengono catturati anche cinque giovani che al momento dell’arresto di Mattu si trovano nella stessa casa (dopo alcuni mesi di carcere preventivo, verranno rilasciati perché effettivamente non esiste nessun tipo di legame diretto o indiretto con gli arrestati).

Nei giorni seguenti continuano in maniera serrata le ricerche dei due fuggiaschi. Pinna e Cazzaniga si dichiarano “prigionieri politici”, Mattu viene interrogato. Inizialmente si pensa che i cinque della stazione stessero organizzando un attentato ai danni del capitano Enrico Barisone, ma dopo i primi accertamenti anche questa ipotesi viene scartata.

A cinque giorni dalla sparatoria, in tutta la città si vive uno stato d’assedio. I grandi porti e aeroporti dell’isola vengono controllati sistematicamente per evitare eventuali spostamenti dei due banditi, ma per la polizia è certo che stiano contando su un appoggio a Cagliari.

Intanto proseguono le indagini. Inizialmente si è creduto che la donna in fuga fosse Marzia Lelli, nota brigatista, ma indiscrezioni indicherebbero che si trova in Brasile.

La polizia prende quindi un’altra strada partendo dai documenti forniti al controllo del brigadiere Goddi alla stazione. La carta d’identità della donna era a nome di una certa Emilia Libera, infermiera romana che la Criminalpol non riesce a rintracciare nella Capitale. La polizia ora sostiene che il suo documento è autentico, quindi da adesso è Emilia Libera la ricercata. Si tratta di un’indiziata sopra ogni sospetto poiché, oltre ad aver partecipato a un collettivo al Policlinico di Roma, Libera non è una militante conosciuta. I documenti forniti dall’uomo erano invece fasulli, a nome di Camillo Nuti, ingegnere romano che dopo vari interrogatori non ha avuto difficoltà a provare che non si è mai mosso dalla capitale.

Un’ipotesi accreditata sulla visita in Sardegna di Emilia Libera e del “fasullo” Camillo Nuti (partiti da Roma a Cagliari con un aereo giovedì 14 febbraio ’80) è quella per cui fossero stati incaricati dalla direzione delle Brigate Rosse di valutare e rendersi conto dell’efficienza e del grado di preparazione alla guerriglia dei membri di Barbagia Rossa. Si crede in effetti che l’organizzazione sarda stia consolidando le proprie posizioni. Stando alle indiscrezioni, alcuni esponenti dell’organizzazione sarda (secondo la Digos una quindicina) avrebbero preso contatti con delinquenti comuni e bande legate all’anonima sequestri. Pare che si stesse anche perfezionando l’acquisto di un grosso stock di armi. Insomma Barbagia Rossa, sempre stando alle indiscrezioni, si preparerebbe per entrare grintosamente nel panorama del terrorismo nazionale.

Il 21 febbraio ’80 viene identificato l’uomo in compagnia di Emilia Libera. Si tratta di Antonio Savasta, romano ventiquattrenne, brigatista di recentissima immatricolazione ma praticamente incensurato. Si è arrivati alla sua identificazione scavando nella vita di Emilia Libera, infatti Savasta era, fino a poco tempo fa, il suo compagno.

I due fuggitivi hanno adesso un nome e un volto, ma risultano svaniti nel nulla. Dopo due settimane non c’è ancora nessuna traccia di loro. Si è scoperto che subito dopo la sparatoria alla stazione un’ignara signora li ha ospitati per un’ora nella sua abitazione. Si sono presentati come due ragazzi tranquilli e simpatici che avevano bisogno del bagno.

Febbraio 1982. Le confessioni di Savasta e la scomparsa di Barbagia Rossa

Nel 1982 viene catturato Antonio Savasta che passa nelle file del “pentitismo”.

Le sue rivelazioni investono anche la Sardegna dove partono immediatamente nuovi arresti e indagini.

Nei primi dieci giorni di febbraio vengono arrestate e accusate di costituzione di banda armata otto persone: Pierino Medde (27 anni, Nuoro), Roberto Campus (28 anni, Nuoro), Gianni Canu (24 anni, Nuoro), Giovanni Meloni (26 anni, Siniscola), Antonio Contena (28 anni, Orune), Mario Meloni (28 anni, Mamoiada), Mario Calia (28 anni, Lodè), Giuliano Deroma (25 anni, Porto Torres).

Tra loro possiamo ricordare Antonio Contena, presente durante il conflitto di Sa Janna Bassa nel dicembre ’79, e Pietro Medde, già indagato per Barbagia Rossa e in libertà provvisoria.

La confessione-fiume di Antonio Savasta continua e apre nuove indiscrezioni sui movimenti terroristici in Sardegna.

Ora è certo che nel dicembre del ’79 a “Sa Janna Bassa”, era in corso un vertice tra alcuni esponenti delle Brigate Rosse e di Barbagia Rossa per discutere sull’eventuale costituzione di una colonna sarda delle BR.

Inoltre, sempre grazie alle indicazioni del pentito, viene trovato tra il Montalbo e Monte Pitzinnu (nel territorio di Lula) un fornitissimo deposito di armi da guerra di proprietà delle Brigate Rosse.

L’arsenale comprende cinque razzi di fabbricazione americana per bazooka, un missile anticarro sovietico capace di sfondare agevolmente un muro di un metro, due missili terra-aria di fabbricazione francese che possono essere lanciati a chilometri di distanza con la certezza di colpire il bersaglio, trenta chili di esplosivo al plastico, otto bombe a mano di fabbricazione americana, sei mitra inglesi “Sterling” (lo stesso usato nell’attentato dove morì Santo Lanzafame), un centinaio di cartucce per mitra.

L’arsenale era probabilmente sotto custodia di Barbagia Rossa e forse doveva servire per un attentato al supercarcere di Badu ‘e Carros a Nuoro.

Gli investigatori, sempre indirizzati da Savasta, provano anche che i terroristi stavano progettando dei clamorosi sequestri di persona di leader politici isolani.

Le confessioni di Antonio Savasta seguite dagli arresti e le indagini che queste provocarono, probabilmente diedero un duro colpa all’organizzazione di Barbagia Rossa.

L’unica cosa certa è che dopo l’attentato mortale all’appuntato Lanzafame e dopo questi ultimi avvenimenti provocati dal pentito Savasta la sigla Barbagia Rossa non fece più la sua comparsa.

Cfr. anche Mauro Spignesi, Le imprese di Savasta in Sardegna, Il Manifesto, 5 marzo 1982  

 

a cura di Ferdinando Dubla, Subaltern studies Italia

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