Nessuna differenza significativa tra gli italiani e gli altri abitanti del continente europeo. E se l’azzardo vale qualcosa: gli abitanti dello stivale si comportano come i loro omologhi statunitensi nel rapporto con i media digitali.
Il primo dato che emerge da un rapporto I media tra élite e popolo sulle piattaforme digitali, stilato dal Censis con la Ucsi e presentato ieri a Roma, è che i due terzi della popolazione italiana è connesso alla Rete. Lo strumento privilegiato per accedere all’informazione nel web è lo smart phone (64,8 per cento), seguito dal tablet (28,3 per cento). Il rapporto fa emergere una differenza generazionale tra gli utenti della Rete. 95 giovani al di sotto dei trent’anni è on line, mentre solo 31 uomini e donne al sopra dei 65 anni accede a Internet.
I social network sono le piattaforme più usate. Facebook impazza in ogni età, mentre Istagram, You Tube seguono a ruota, anche se in questo caso a fare la parte del leone sono teenager e under 35. Si colloca in buona posizione WhatsApp. Il servizio di messaggistica è infatti usato dal 61,3 per cento degli internauti. Non pervenuti, invece, i dati di chi ha abbandonato il servizio di proprietà di Facebook: un dato segnalato da molte altre inchieste nei paesi europei. Un fattore che andrebbe studiato a fondo, visto che quelle stesse inchieste individuavano l’indisponibilità di molti teenager a cedere le proprie biografie a Facebook, preferendo altri messaggerie (Snapchat, ad esempio) più rispettose della privacy e dell’anonimato.
Fin qui niente di sconvolgente. L’inchiesta del Censis conferma infatti le tendenze già evidenziate nel 2015. Più significativi sono invece i dati che riguardano l’accesso all’informazione.
Confermato il ruolo centrale della televisione nel consumo di informazione di intrattenimento (il 97 per cento della popolazione possiede un televisore) e resta stabile il numero di utenti della pay tv. Il 43 per cento della popolazione ha infatti avuto almeno un contratto con una televisione satellitare, mentre è in calo la percentuale di accesso alla tv via Internet. Brutte notizie invece per la carta stampata: negli ultimi dieci anni il 45 per cento degli acquirenti dei quotidiani hanno smesso di andare in edicola.
Negli stessi anni, i consumatori digitali di notizie sono diventati il 31,4 per cento della popolazione. Poco o nulla dice il Censis sul fatto che questa «migrazione» verso la Rete sembra non arrestarsi.
L’unico commento che l’istituto di ricerca italiano riserva a questa tendenza è il formarsi di un digital press, perché il dato più preoccupante è la crescita degli italiani disinteressati all’informazione, sia cartacea che in formato digitale (la stima parla del 31,4 per cento della popolazione). Nulla viene detto riguardo le perdite di entrate: non sono compensate dalla crescita (+35,8 per cento) di abbonamenti di quotidiani, settimanali, mensili on line. L’assenza di un business model per il digitale è il non detto dell’inchiesta del Censis, alla luce anche del dato, emerso in altre inchieste, che chi va in rete vuol leggere e vedere contenuti informativi gratuitamente.
Infine, il dato che il Censis mette in evidenza: sono le donne che privilegiano l’informazione all’entertainment in Rete. Il 74,1 per cento dei consumatori di informazione è donna.
C’è infine un passaggio dell’inchiesta che risulta fuorviante e oscura. Secondo i ricercatori, gli elementi raccolti testimoniano il fatto che è forte la tendenza a personalizzare l’accesso all’informazione.
L’ipotetico giornale quotidiano viene costruito assemblando articoli, saggi, video provenienti da fonti distinte e spesso espressione di punti di vista opposti. Per il Censis, questo significa che siamo di fronte a un passaggio da un modello «tele-centrico» a una concezione egocentrica dell’informazione.
È una personalizzazione«dal basso», agita cioè dal singolo. Se per il Censis, questa è espressione di una non meglio precisata erosione dell’intermediazione, in Rete significa che le testate giornalistiche non riescono a catturare l’attenzione dei singoli. Cosa che invece possono fare le «firme» di giornalisti considerati autorevoli. Risulta molto chiaro il fatto che i siti internet gestiti da non professionisti attirino attenzione, mentre sono in crescita testate giornalistiche che dichiarano espressamente di essere indipendenti e di non avere editori alle spalle. Un fenomeno diffuso che viene catalogato come citizen journalism, «giornalismo narrativo», data journalism: tutte espressioni che evidenziano la corrosione della legittimità del giornalismo come unico mezzo per produrre informazione.
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