INSORGENZA E COSCIENZA, PARTITO E SUBALTERNI
Questi concetti non sono nostri: si rintracciano nella lettura di Antonio Labriola del 30 marzo 1891 a Engels. Certo una rivoluzione sociale non può realizzarsi se non opera, più oltre una coscienza organizzata e maturata della successione della stessa rivoluzione: "...tra questi fenomeni spontanei e la coscienza sviluppata della rivoluzione proletaria manca in Italia un anello di congiunzione che è appunto la cultura". Nel 1891 quest'anello mancava nel paese: nel 1945, è doveroso sottolinearlo, nel Sud è ancora assente. Come, quindi, ascrivere a una federazione o ad alcuni compagni, la colpa di non avere, a meno di mesi dal crollo del regime fascista, promosse azioni che avrebbero chiesto una coscienza sviluppata e maturata della rivoluzione sociale, quali quelle di massa "ampie, legali, ordinate e disciplinate"? Le popolazioni del Sud, in più alto grado quelle della Calabria, erano immerse fino al collo nella fame, nelle privazioni, nel caos della guerra e per giunta nelle premeditate provocazioni dei fascisti e dei monarchici che gli anglo-americani istigavano sotto sotto ad agire, fornendo loro protezione e mezzi.
Enzo Misefari, La liberazione
del Sud - con particolare riferimento alla Calabria, ed. Pellegrini,
Cosenza, 1992, pp.164/165
- Nello
storico testo di Enzo Misefari [Palizzi, 1899 - Reggio Calabria, 1993]
(cfr. voce
Wikipedia https://it.wikipedia.org/wiki/Enzo_Misefari?fbclid=IwAR1rx4njPrKJxc1WXbTMFBbvWDZi8lZxBzSF-t3m050lFJq35d5YqK6YW5E)
tra i
maggiori protagonisti del movimento antifascista e comunista della Calabria,
dopo il 1964 tra i più impegnati dirigenti nell’organizzazione dei movimenti
marxisti-leninisti italiani, la documentazione dell’ insorgenza nel Mezzogiorno
per la liberazione dalle condizioni di subalternità e dal fascismo, a cui
seguirono le lotte per la terra e la repressione delle speranze di riscatto in
continuità con il regime, ad opera delle classi dirigenti del nostro paese.
- Il testo è
di memorialistica storica, avendo il Misefari vissuto di persona gli
avvenimenti narrati, e ricostruisce il periodo dal settembre 1943, mese in cui
gli Alleati angloamericani, nella loro risalita della Penisola, liberarono la
regione calabrese, a tutto il 1945. Forte è la polemica contro l’impostazione
data da Paolo Cinanni in “Lotte per la terra e comunisti in Calabria,
1943/1953” (Feltrinelli,1977), che liquida l’”insorgenza” meridionale come
spontaneistica e priva del necessario supporto ideale che ne segnerebbe, come
prevalentemente contadina, i livelli di coscienza antagonista, a facile
‘infiltrazione’ di mafie e figure banditesche (che furono documentate e provate
per lo sbarco degli Alleati in Sicilia e l’appoggio logistico per le armi nella
stessa Calabria). Diverso fu invece, nelle lotte contadine per la terra nel
dopoguerra, per merito della direzione assunta dai partiti della sinistra
storica, il PCI e il PSI. L’esito, però, a prescindere dal dibattito sulla
natura del movimento di resistenza e insurrezionale, secondo Misefari, fu la
sconfitta. E ciò fu dovuto alla sostanziale continuità del dominio di classe e
del blocco storico reazionario e conservatore tra fascismo (al sud ad egemonia
degli agrari latifondisti) e gli assetti politico-sociali classisti della
ricostruzione democratico-repubblicana ad egemonia democristiana.
“I fatti, le
lotte che Misefari ricostruisce, mostrano non solo l’esistenza di una buona
rete clandestina (liquidando così le tesi spontaneiste di Cinanni, ma anche, e
con grande evidenza, la decisa volontà dei comandi alleati di chiudere ogni
spazio politico all’iniziativa delle sinistre, contrastando duramente le
occupazioni delle terre, vanificando ogni tentativo di governo con loro, e
scatenando contro il movimento dei lavoratori i carabinieri e gli uomini,
opportunamente riciclati, del regime fascista, mettendo insomma in atto una
grande operazione gattopardesca perchè tutto cambi senza che nulla cambi. “
dalla
presentazione di Arturo Marzotti, ivi, pag.7.
Almeno dal
punto di vista subalternista, dei contadini, dei salariati fissi, delle
raccoglitrici di olive, e della loro acuta sofferenza, l’analisi documentaria
del Misefari è più chiara ed eloquente del dibattito politico e accademico su
quella che una volta veniva chiamata “questione meridionale”.
Nel testo
anche un paragrafo riguardante la Repubblica “rossa” di Caulonia e la figura
controversa del suo animatore, Pasquale Cavallaro.
PAOLO CINANNI, o la “questione meridionale” come
“questione agraria”
- Sua fu la strategia di lotta dello ‘sciopero
a rovescio’, ma fu emarginato da incarichi di direzione dal PCI per contrasti
con Giorgio Amendola.
- Calabrese
di Gerace, emigrato in Piemonte, dirigente del Pci, impegnato sui temi
dell’emigrazione, in prima fila nella lotta per le terre in Calabria dal ’43 al
’53: quando i “cafoni” penetrarono nella storia, sfidando a viso aperto e
disarmati la prepotenza dei latifondisti. (..) [Minato nel fisico per
l’amputazione della gamba sinistra a 15 anni per un incidente stradale, stringe
legame di amicizia con Cesare Pavese e conosce Ludovico Geymonat e Leone
Ginzburg, ndr]. Il suo ruolo nella Resistenza sarà enorme. Dall’organizzazione
delle brigate partigiane nel cuneese agli incarichi di direzione a Milano tra
le fila del Fronte della Gioventù, guidato da Eugenio Curiel. Il 25 aprile lui
è lì, nel capoluogo lombardo, partecipa all’insurrezione, occupa insieme ad
altri compagni del Fronte la tipografia della Gazzetta dello Sport e stampa il
primo giornale della Milano liberata, mentre per le strade ancora si spara.
A guerra
finita Cinanni entra nel Comitato Centrale del PCI (fu Giorgio Napolitano a
comunicargli la nomina), occupandosi di problemi legati al mondo contadino.
Sono gli anni delle occupazioni delle terre e della riforma agraria, anni di
dure lotte e di pesanti repressioni. E’ in questo contesto che Cinanni teorizza
anche per la questione agraria la formula dello “sciopero a rovescio”, già
sperimentata comunque in altri ambiti, sia lavorativi che geografici. L’idea è
questa: se un operaio, per protestare, deve astenersi dal lavoro, un
disoccupato sciopera lavorando. Nel caso dei contadini, calabresi e non solo,
lo “sciopero alla rovescia” si attua marciando sulle terre incolte dei
latifondi, picchettando i terreni per suggellarne la presa di possesso,
iniziando al tempo stesso ad ararli ed a seminarli.
Cinanni si
occupò della questione agraria non solo organizzando le lotte dei contadini, ma
scrivendone da “intellettuale organico”, che nel frattempo era diventato. La
sua idea era che a quelle lotte, spesso cruente, non era seguito un mutamento
reale del regime proprietario e delle condizioni di vita dei contadini, ma solo
degli aggiustamenti funzionali, che servirono peraltro ai governi democristiani
del tempo per consolidare ed estendere il proprio potere di condizionamento
elettorale presso le larghe masse di contadini meridionali bisognose di
risposte immediate. (..) per Cinanni le lotte contadine che si svilupparono
nell’immediato dopoguerra dovevano costituire il grimaldello per il
raggiungimento di obiettivi più generali, e, nello specifico, dovevano condurre
ad una più organica riforma agraria per allargare la base lavorativa e
produttiva della regione. Non fu così. Dopo i fatti di Melissa del 1949, come
lo stesso Cinanni ricorderà, il governo De Gasperi fu “costretto” a prendere in
considerazione il problema della “riforma”, ma non andò in profondità nella
lotta al latifondo e nella riparazione delle usurpazioni demaniali seguite
all’eversione della feudalità. Né il Pci se la sentì di spingere più di tanto
su questo versante. Quelli del “centro”, peraltro, erano refrattari a
riconoscere una “specificità” meridionale nell’ambito delle lotte operaie e
contadine, pensando primariamente ad una dimensione nazionale della lotta di
classe. Questa diversità di veduta sul ruolo delle classi subalterne del Sud
nella più ampia articolazione del conflitto di classe su scala nazionale sarà
alla base di non poche incomprensioni tra Cinanni e il partito. E con Amendola
in particolare. (..) Diversamente dal dirigente napoletano, Cinanni pensava che
quelle lotte dovessero avere una valenza “progettuale”, servire, in altri
termini, ad una più complessiva rinascita del Sud. La sua idea era che la lotta
per l’occupazione delle terre dovesse diventare funzionale ad un raccordo del
Mezzogiorno col resto del paese, col nord industriale ed operaio, nell’ottica
di una “effettiva unificazione delle due Italie”. Rimase isolato. (..) Nel 1965
è chiamato a Roma da Giancarlo Pajetta, nel frattempo nominato direttore di
Rinascita. Cinanni si sarebbe aspettato un coinvolgimento nella redazione, ma
dovette accontentarsi di un incarico di “promozione e diffusione” del giornale.
Lo dirà chiaramente qualche anno più tardi: “Ritenevo forse un po’
ingenuamente, che il partito avesse interesse ad introdurre nel collettivo di
intellettuali di Rinascita un compagno di origine proletaria e meridionale, che
aveva accumulato una certa esperienza in grandi lotte di massa”.
L’anno dopo
fu escluso dal Comitato Centrale e il suo impegno, politico ed intellettuale,
si diresse verso le problematiche dell’ emigrazione. E proprio da membro
dell’Ufficio emigrazione del Pci, insieme a Carlo Levi, diede vita nel 1967
alla Federazione Lavoratori Emigrati e Famiglie (FILEF). Levi ne diventerà
presidente e Cinanni vicepresidente. Questa esperienza comune li legherà in una
“vivificante amicizia”, come lo stesso Cinanni scrisse più tardi, fino alla
morte del noto scrittore e pittore, sopraggiunta nel 1975. (..) Nel 1967 uscì
per i tipi di Editori Riuniti il saggio Emigrazione e Imperialismo, che
rappresenta senza dubbio il momento più alto della sua riflessione sulla storia
e le condizioni materiali di vita delle classi subalterne. Il libro sarà
tradotto nel 1972 anche in tedesco. La tesi di Cinanni sull’emigrazioneè
questa: si è trattato di un gigantesco trasferimento di ricchezza dall’Italia e
dal Mezzogiorno ai paesi di destinazione, senza niente in cambio. Le stesse
“rimesse”, secondo l’autore, non incisero più di tanto sulle condizioni
generali del Mezzogiorno.
Ma Cinanni
non si ferma al rapporto tra emigrazione e sistema paese nel suo complesso:
pregnante è anche la sua analisi dell’esodo alla luce del divario tra nord e
sud della penisola. Un’analisi che muove proprio dalla Calabria, presa a
riferimento per dimostrare come lo Stato unitario non abbia mai operato per un
superamento reale del gap tra Mezzogiorno e resto d’Italia. (..)
Negli anni
Settanta Cinanni si dedica quasi completamente allo studio, alla ricerca,
all’analisi dei fenomeni sociali e politici che già l’avevano visto interessato
negli anni passati. Nel 1973 inizia a collaborare con l’Istituto di Filosofia
dell’Università di Urbino, subito dopo dà alle stampe un nuovo saggio,
Emigrazione e unità operaia, con prefazione di Carlo Levi. Gira molto in questi
anni, anche all’estero, partecipando a seminari e convegni in altri paesi
d’Europa, tra cui principalmente la Germania. Non a caso negli anni Ottanta
l’Università di Berlino gli conferirà il prestigioso incarico di compilare
alcune voci dell’Enciclopedia del marxismo.
Cinanni
muore nel 1988, a San Giovanni in Fiore.
estratto da LUIGI PANDOLFI E ROMANO PITARO, Quando Paolo Cinanni, il nemico numero uno del latifondo, fu isolato dal Pci. Alla radice dei problemi per comprendere i disagi del Mezzogiorno, 15 gennaio 2014, sta in Calabria on web
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