La povertà: uno stato
scandaloso
La povertà è, per la Bibbia, uno stato scandaloso che attenta alla dignità
umana e, conseguentemente, contrario alla volontà di Dio. Questo rifiuto si
manifesta con la chiarezza richiesta, nel vocabolario usato. Il termine meno
usato, nell’Antico Testamento, per parlare del povero è rash, che ha un significato piuttosto neutro. Infatti, come dice
Gelin, i profeti preferiscono “designazioni che riproducono il povero concreto
e vivente”. Per questo, povero è l’ébyôn,
colui che desidera, il mendico, colui al quale manca qualche cosa e lo attende
dall’altro. È pure il dal, il debole,
il senza forze; l’espressione “i deboli del paese” (il proletariato rurale)
ritorna moltissime volte. Povero è ancora l’ani,
il curvato, colui che sta sotto un peso, che non è in possesso di tutte le sue
capacità e del suo vigore, l’umiliato. Da ultimo, è pure l’anaw, della stessa radice che il termine precedente , ma che
riceverà più facilmente un’accentuazione religiosa: l’umile davanti a Dio. Nel
Nuovo Testamento, il termine greco ptokós
è usato per significare il povero, che non ha il necessario per alimentarsi, il
misero obbligato alla mendicità. Indigente, debole, curvato, misero, sono
termini che bene esprimono una situazione umana degradata, e che insinuano già
una protesta; non si limitano a una descrizione ma indicano una presa di
posizione, che si esplicita in un energico rifiuto della povertà.
L’indignazione è il clima nel quale si descrive una situazione di povertà e se
ne indica la causa: l’ingiustizia degli oppressori.
da Gustavo Gutierrez, Teologia della
liberazione, Queriniana, Brescia, 1972, pp.286-287.
Nessun commento:
Posta un commento