La
natura teoretico-prassica del dibattito marxista italiano tra gli anni 50 e gli
anni 60 del Novecento (Luporini, Panzieri e Galvano Della Volpe)
Galvano
Della Volpe [1895/1968] e Cesare Luporini [1909/1993]
I Quaderni di Gramsci - recuperati dopo la sua morte e portati a Mosca - furono pubblicati dall'Editore Giulio Einaudi, organizzati e rivisti da Felice Platone sotto la guida di Palmiro Togliatti, in una prima edizione tra il 1948 e il 1951. Presentati originariamente secondo un ordine tematico, ottennero un enorme impatto nel mondo della politica, della cultura, della filosofia e delle altre scienze sociali dell'Italia del dopoguerra, permettendo al Partito Comunista di avviare una contesa egemonica nel mondo culturale e intellettuale dell'epoca. Questa contesa filosoficamente ebbe come punta di penna affilata la lettura, l’impostazione e l’interpretazione (ermeneutica) dello ‘storicismo’. Storicista infatti si definiva Gramsci, storicista si definì Togliatti. Ma storicismo era anche l’idealismo di Benedetto Croce, lontano e anzi, avversario del marxismo. Di qui, tutta una serie di dibattiti, fra i quali il ‘crocianesimo’ degli stessi Gramsci e Togliatti. Una grande ambiguità aleggiava su tutta la discussione, che era soprattutto politico-filosofica e lessicale. Come rimarcava nei suoi corsi il mio professore Cesare Luporini nell’ateneo fiorentino, nonchè tra i filosofi di punta del PCI, con il termine ’storicismo’ possono intendersi letture diverse della realtà (e delle idee): c’è quello idealistico, ma c’è anche quello critico-dialettico. Che comporta anche un allargamento espansivo all’essere umano, nè provvidenziale, nè deterministico. Per questo Luporini è passato come ‘anti storicista’ per antonomasia. Ma non corrispondeva filologicamente al suo pensiero, sempre critico e attento verso le posizioni volgarizzate e finalistiche del materialismo storico. Ma su questo torneremo, anche alla luce di un libro collettaneo (a cura di Matteo Cavalleri e Francesco Cerrato), “La battaglia delle idee, Il Partito comunista italiano e la filosofia nel secondo dopoguerra”, Sossella editore, 2024, 336 pp. -
Antonio Labriola
(Cassino, 1843 – Roma, 1904) si forma alla scuola di Bertrando Spaventa.
Docente, pubblicista ed esperto di educazione, è tra i maggiori filosofi
italiani di ogni tempo. Tra i primi a recepire in Italia l’opera di Marx, fu il
principale corrispondente italiano di Engels, interlocutore di Sorel,
Bernstein, Kautsky e del giovane Croce.
Labriola incarna un
nuovo tipo di intellettuale, che Gramsci collocherà come "organico"
alla classe proletaria (cioè frutto di un nuovo "blocco storico"
alternativo, ma non "organico" a una milizia di partito),
l'intellettuale che si rende conto dell'importanza di strumenti teorici
adeguati per l'azione politica. E Labriola li trova, questi strumenti, nel
marxismo. Ma un marxismo che deve essere "depurato" dalle
degenerazioni (culturali, e quindi politiche) del presente, che sono il
positivismo trasformato in metafisica, un evoluzionismo determinista che fa
intendere le leggi economiche come fossero leggi naturali, una fede
meccanicistica in un progresso scientifico indistinto, avulso dal segno di
classe. Ecco allora il problema, di un'attualità straordinaria: l'autonomia
teorica del marxismo e la rivendicazione di una pienezza interpretativa della
concezione materialistica della storia.
La formazione
storico-sociale borghese è destinata ad essere superata dalla nuova formazione
storica di tipo socialistico: ma le forme che concretamente assumerà il
processo rivoluzionario non sono determinate a priori. Un assunto, questo, che
poneva Labriola in forte contrasto con le posizioni scientiste e passivamente
deterministiche dello stesso movimento socialista.
La nuova "dottrina", infatti, la
nuova filosofia della prassi, era, nella lezione labriolana matura, sia metodo
scientifico per l'interpretazione dei fatti storici sia strumento di azione
politica.
FILOSOFIA DELLA PRASSI
Rileggendo Labriola e
ripensando lo “storicismo”, da cui quello marxista italiano prende le mosse
(cfr. la messa a punto di Nicola Badaloni, Marxismo
come storicismo, Feltrinelli, 1962) si comprende come, pur ponendo al
centro la storia, fra natura e cultura degli esseri umani, questa non possa
essere concepita nè come disegno idealistico e provvidenziale, nè in senso
deterministico, l’altra faccia dell’”astuzia della ragione” del ‘progresso
lineare’ scientista e positivista. La ricaduta di questi vizi, nella dimensione
politica, dà vita o all’attendismo o al riformismo, non all’elaborazione di un
pensiero e di una prassi rivoluzionari.
cfr. http://ferdinandodubla.blogspot.com/2020/12/coscienza-critica.html
Il libro “La battaglia
delle idee. Il Partito comunista italiano e la filosofia nel secondo
dopoguerra”, a cura di Matteo Cavalleri e Francesco Cerrato per Luca Sossella
Editore (2024) contiene, tra gli altri, ben due saggi su Cesare Luporini, di
Sergio Filippo Magni e Giorgio Cesarale. Quest’ultimo si cimenta con la
ricostruzione della polemica tra il filosofo marxista fiorentino di adozione e
il filosofo della famiglia dei Conti Della Volpe, Galvano, nel corso degli anni
‘60. Precisamente, nel 1962, era stato Luporini che aveva aperto una polemica
con Della Volpe e la sua “scuola” (con epicentro l’Università di Messina) sul
ruolo in Marx della contraddizione e dell'"oggettività reale", che
per Luporini testimoniavano, contrariamente alla lettura del filosofo imolese,
un collegamento di Marx con Hegel anche dopo la fase giovanile della sua
riflessione. Una ricostruzione difficile, meritorio lo sforzo di Cesarale per
districarsi tra essere e logica, logica scientifica, logica dialettica,
marxismo/empirismo/scientismo, piano ontologico, astrazioni ‘determinate’,
circolo astratto-concreto-astratto o concreto-astratto-concreto,
storicismo/antistoricismo (alle pagine 145-166, il saggio ha per titolo
“Dialettica e positivismo nel marxismo italiano post-bellico: la polemica di
Luporini e la scuola dellavolpiana). “Scuola dellavolpiana” che diventò moda
culturale, come accade, attirò giovani intellettuali come Lucio Colletti e
Mario Rossi, ‘prese’ la casamatta della rivista “Società”, particolarmente cara
a Luporini che l’aveva co-fondata nel 1945 con Bianchi Bandinelli e Bilenchi.
Qui, a nostro avviso, è il punto: l’egemonia culturale non all’esterno ma
all’interno del partito dei suoi intellettuali di riferimento. Non è una battaglia
‘teoretica’ pura, disinteressata: c’è una ricaduta politica nella linea
politica del PCI e delle sue scelte strategiche, in qualche modo ‘giustificate’
dalla teoria, se non dalla teoresi, nel caso in specie. (su questo cfr. Guido
Liguori, “Dallo storicismo alla scoperta delle forme”, in AA.VV. “Il pensiero
di Cesare Luporini”, Feltrinelli, Milano, 1994). Intellettuali di riferimento:
un’altalena tra il ‘partito’ e la
‘classe’. Organici. Il partito doveva funzionare gramscianamente da
‘intellettuale collettivo’ per aderire alla classe. Nella prospettiva della
società socialista, studiare le tappe del processo rivoluzionario. Qui la vera
dialettica del PCI in quegli anni e la natura teoretico-prassica, cioè
politica, di quel dibattito. Un pò come la contesa teologica sugli universali
che oppose nel Medioevo Abelardo, Roscellino e Guglielmo di Champeaux fino a
Guglielmo di Ockham. C’era anche lì una dimensione politica,
teologico-prassica, non subito evidente ma che dava alla disputa il suo valore
cogente. C’è un antesignano di questo libro sulla battaglia delle idee (il
titolo richiama Mario Alicata e una rubrica su Rinascita) nel PCI degli
anni a cavallo delle rivolte studentesche e operaie degli anni Sessanta e
Settanta e di cui consigliamo la lettura alla nuova generazione; così come
Luporini stesso, a noi giovani studenti di allora, consigliava la lettura di
“Marxismo e filosofia in Italia : 1958-1971 : i dibattiti e le inchieste su
Rinascita e il Contemporaneo / [a cura di] Franco Cassano, De Donato, 1973. -
Cfr. Marxismo e filosofia in Italia : 1958-1971 :
i dibattiti e le inchieste su Rinascita e il Contemporaneo / [a cura di]
Franco Cassano, De Donato, 1973
Premessa
e introduzione dell’autore.
Questo
volume che raccoglie e organizza criticamente i testi dei dibattiti più significativi
sulla natura teorica del marxismo comparsi sulle riviste del Pci, «Il
Contemporaneo» e «Rinascita» – risponde all’intenzione di riproporre alle nuove
generazioni, non meno che a coloro che di quelle discussioni furono tra i
protagonisti, uno strumento per una riflessione e una storicizzazione del
rapporto tra marxismo e movimento operaio negli anni ’60. Se infatti sarebbe
estremamente schematico e riduttivo leggere gli schieramenti e le
contrapposizioni che si definiscono nel dibattito filosofico sulla natura
teorica del marxismo come un’immediata espressione di differenze politiche,
sarebbe altrettanto impossibile ricostruire per intero il significato politico
del dibattito teorico senza esplorare il suo nesso con i problemi che lo
scontro di classe, a vari livelli, pone al movimento operaio italiano per tutto
l’arco degli anni ’60. Da questo punto di vista infatti il dibattito filosofico
non si configura più come una discussione tra gli addetti ai lavori, ma
piuttosto come un dibattito sull’adeguatezza o meno di una forma teorica del
marxismo allo sviluppo della lotta di classe e alla costruzione di un blocco
sociale e politico capace di porsi come oggetto e artefice del processo
rivoluzionario in Occidente. Se si può ricostruire una linea lungo la quale si
collocano le varie cadenze della discussione, essa è quella della progressiva
crisi della interpretazione del marxismo come storicismo. Questa crisi coincide
con lo sviluppo della società italiana, con la divisione del movimento operaio
e con il lancio della politica di centro-sinistra. Di fronte a questa fase
nuova e più avanzata dello scontro di classe, si produce all’interno del
movimento operaio una contrapposizione tra chi sottolinea l’organica incapacità
del capitalismo italiano di praticare correntemente il terreno delle riforme e
chi sostiene invece la necessità di dover spostare in avanti il fronte degli
obbiettivi intorno ai quali articolare la strategia del movimento operaio. È
sullo sfondo di questo dibattito politico che occorre leggere la disputa
filosofica, ed è su questo piano e secondo questa intenzione che procede la
premessa del curatore. Il bilancio che ne scaturisce è quello dell’esistenza di
alcune linee importanti di ricomposizione di quella frattura intorno a una
ridefinizione del marxismo come analisi sociale delle contraddizioni della
società capitalistica, ma anche della persistenza di forti ritardi così
nell’articolazione precisa di questa ridefinizione come nelle capacità concrete
di bruciare ogni residuo filosofico-metodologico in direzione della costruzione
politica delle contraddizioni e nell’organizzazione e ricomposizione politica
delle forze produttive. Un primo contributo nella direzione della saldatura
dell’anima dialettica e dell’anima analitica del marxismo intorno al tema
dell’uso della scienza e della divisione del lavoro nel capitalismo maturo
vuole essere il saggio che il curatore del volume ha premesso ai testi.
È
sullo sfondo di questo dibattito politico che occorre leggere la disputa
filosofica, ed è su questo piano e secondo questa intenzione che procede la
premessa del curatore. Il bilancio che ne scaturisce è quello dell’esistenza di
alcune linee importanti di ricomposizione di quella frattura intorno a una
ridefinizione del marxismo come analisi sociale delle contraddizioni della
società capitalistica, ma anche della persistenza di forti ritardi così
nell’articolazione precisa di questa ridefinizione come nelle capacità concrete
di bruciare ogni residuo filosofico-metodologico in direzione della costruzione
politica delle contraddizioni e nell’organizzazione e ricomposizione politica
delle forze produttive.
Franco Cassano,
all’epoca, era assistente ordinario di Filosofia del diritto e professore
incaricato di Metodologia delle scienze sociali all’università di Bari.
RENDERE “OGGETTIVA” LA CONTRADDIZIONE
Raniero
Panzieri (Roma, 1921 - Torino, 1964)
La lettura classista di un Marx sganciato da Hegel, diventa critica allo storicismo come teoretica del gradualismo riformista vs. un reale processo rivoluzionario. Sebbene l’inchiesta sociale vedesse al centro la classe operaia settentrionale, torinese, con ondate sempre crescenti di forza-lavoro immigrata meridionale, che andrà a costituire in carne ed ossa la categoria della neosociologia critica dell’operaio-massa, quella di Panzieri è un’elaborazione politica che, proprio perché supportata dall’indagine sul campo, più che ‘operaista’ è classista in senso marxiano. A prescindere dai profondi legami che l’operaio-massa continuava ad avere con la propria terra, anche in termini antropologico-culturali, fondendoli con la ‘modernizzazione’ urbana industrial-capitalista, il metodo dell’inchiesta inverava il circolo dellavolpiano <concreto-astratto-concreto>, pena la ricaduta nell’idealismo metafisico (l’astrazione non-determinata) o nel determinismo neopositivista o scientista come nell’impostazione di Ludovico Geymonat. Scientista non è ‘scientifico’, ma assolutizzazione della scienza, e, come ogni assolutizzazione, cade nel suo opposto dialettico, che non è il relativismo, ma un’ipostatizzazione dell’oggetto sul soggetto, una contraddizione che solo può essere compresa come “realtà oggettiva” e non legge di pensiero come nella ‘Scienza della logica’ hegeliana, un terreno di battaglia per il giovane Lucio Colletti, allievo di Della Volpe. Singolare che Panzieri partecipi alla critica ‘da sinistra’ allo storicismo, servito da collante ideologico della strategia politica della ‘democrazia progressiva’ del PCI (la linea continua De Sanctis-Labriola-Gramsci parallela a quella Spaventa-Croce-Gentile dell’hegelismo) in questo modo indiretto, comunque con una direttrice analitica che lo metterà in difficoltà nel suo partito, il PSI.
Minimum biblio.:
Lucio Libertini-
Raniero Panzieri, Sette tesi sulla
questione del controllo operaio, in “Mondo Operaio”, 1958 nr.2
Galvano Della Volpe, Logica come scienza positiva, ed.
D’Anna, Messina, 1956
Sulle varie posizioni
nel dibattito marxista italiano di quegli anni, sullo sfondo anche il
‘razionalismo critico’ di Antonio Banfi degli anni precedenti, cfr. Giuseppe
Vacca (a cura di), Gli intellettuali di
sinistra e la crisi del 1956. Un’antologia di scritti del “Contemporaneo”,
Editori Riuniti, 1978
a cura di Ferdinando Dubla, Subaltern studies Italia
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