Subaltern studies Italia

L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

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domenica 1 novembre 2020

PASOLINI, DE MARTINO e LA FINE DEL MONDO

L'idea di progresso unilineare è cresciuta insieme al paradigma della civiltà industrialista del produttivismo e della mercificazione, inevitabilmente connessi al sistema capitalistico. La sensibile antenna pasoliniana (questo sviluppo è senza vero progresso) incontra l'apocalissi di de Martino nella "mutazione antropologica", risultato delle insanabili contraddizioni di quel sistema e di quel modello paradigmatico. La crisi del determinismo positivista è la crisi di una filosofia della storia: perchè nella storia c'è sia la natura sia la cultura dell'essere umano, strettamente intrecciate tra loro. La luce, dunque, per Pasolini, è solo della cultura ed è dentro di noi, nella rinuncia alle false consolazioni. Per mutazione antropologica, allora, cosa deve intendersi? La trasformazione dell’essere umano da naturale ad artificiale, nella crisi apocalittica della perdita di senso del suo rapporto con la natura, che dunque cambia la sua natura interna. Il produttivismo, la mercificazione, l’alienazione del sistema capitalista (P.P.Pasolini) o l’ancestrale timore della fine del mondo “per entro” un paradigma di civiltà al tramonto (E. de Martino) od entrambe, nella ricerca comunque dell’escaton (riscatto) e definitiva liberazione? -fe.d


di Daniele Balicco

 

Il rito, ogni rito, è un condensato di storia e preistoria: è un nocciolo dalla struttura fine e complessa, è un enigma da risolvere; se risolto, ci aiuterà a risolvere altri enigmi che ci toccano più da vicino. (Primo Levi)

 

La cultura contemporanea occidentale immagina il proprio futuro con  molta difficoltà. Non a caso la forma più comune di rappresentazione simbolica del futuro è la catastrofe. Naturalmente esistono ragioni oggettive che possono giustificare questo impulso simbolico autodistruttivo. Prima fra tutte, la percezione fisica, percettiva, estetica della distruzione dell'ecosistema e della biosfera; ma, subito dopo, potremmo enumerare una serie di condizioni di pericolo a cui ci stiamo abituando ad essere esposti, per lo meno a livello ipotetico: caos sociale, crisi economiche, povertà, violenza politica, guerre, terrorismo, se la nostra sensibilità è soprattutto storico politica; contaminazioni radioattive, manipolazioni genetiche, epidemie, avvelenamenti di massa, disastri tecnologici, se ci spaventano di più quelli che Ivan Illich avrebbe chiamato gli esiti contro-produttivi della produttività. [1]

 Anche solo l'elenco sommario di queste condizioni di pericolo mostra come, in questi ultimi decenni, la cultura occidentale abbia sperimentato, con intensità crescente, la crisi dell'idea di progresso non tanto a livello teorico, quanto a livello percettivo- sensibile.

(..)

La fine del mondo non è dunque semplicemente la catastrofe ambientale, benché sia anche questo. Il nostro mondo sta finendo perché l'alfabeto simbolico con cui l'uomo ha imparato ad interpretarlo da millenni non funziona più. Nel suo capolavoro incompiuto, il volume intitolato La fine del mondo. Contributo all'analisi delle apocalissi culturali, [2] l'antropologo italiano Ernesto De Martino ha ricostruito una storia dei rituali della fine del mondo (nella cultura classica, in antropologia, nella storia delle religioni) comparandola con alcune forme simboliche della vita moderna (romanzi, quadri, musiche, teorie critiche, movimenti politici, referti psichiatrici). La tesi di fondo del volume è che già a partire dalla seconda metà dell'Ottocento, la cultura occidentale ha iniziato a riprodurre, con intensità crescente, forme e tematiche sorprendentemente simili a quelle sperimentate, in altri tempi e in altre parti del mondo, dai rituali della fine del mondo. Con una differenza, però. La cultura occidentale sta esprimendo con forza la volontà di "perdere la presenza", di sperimentare cioè la conoscenza degli abissi sensoriali ed emotivi che si aprono al di là dell'esperienza quotidiana, fino alla possibilità dell'autodistruzione, senza tuttavia possedere i rituali, le tecniche simboliche, e soprattutto il controllo qualitativo del tempo con cui tanto la cultura classica quanto le culture non occidentali hanno sempre protetto queste forme di conoscenza dalla possibilità che si trasformassero, realmente, nella fine della vita, individuale e collettiva. De Martino lavorava a questo volume nella prima metà degli anni sessanta, quando l'autodistruzione della specie, per il possibile scoppio di una guerra atomica fra Unione Sovietica e Stati Uniti, era un'ipotesi remota, ma non del tutto impossibile. Pier Paolo Pasolini non ha potuto leggere  La fine del mondo, che è stato pubblicato postumo nel 1977, ma conosceva molto bene il lavoro di De Martino e, soprattutto, l'articolo che anticipa le tesi del volume:  Apocalissi culturali e apocalissi psicopatologiche.[3]

 Lo fece pubblicare nel 1964 sulla rivista Nuovi Argomenti, di cui era lui stesso condirettore, insieme ad Alberto Moravia. La riflessione di Pasolini sulla mutazione antropologica della cultura italiana risente fortemente della lettura di questo saggio. [4]

Ma mentre De Martino si limita ad un'analisi comparata tra rituali della fine del mondo, referti psichiatrici e forme simboliche della cultura contemporanea, Pasolini individua la causa di questa apocalisse dell'uomo nel capitalismo a lui contemporaneo. Per Pasolini, il capitale come forma di potere è capace, infatti, attraverso la coazione al consumo e alla diffusione di una comunicazione mediatica ubiquitaria, di addomesticare l'umano, di plasmare i sogni, i desideri, la capacità lavorativa, la sessualità, la vita corporea. E', in altre parole, un potere mutageno in grado di produrre una forma di vita propria.

 

NOTE

[1]  Ivan Illich, Rovesciare le istituzioni. Un messaggio o una sfida, Armando, Roma, 1973

[2] Ernesto de Martino, La fine del mondo. Contributo all'analisi delle apocalissi culturali, Einaudi, Torino, 1977

[3] Id., Apocalissi culturali e apocalissi psicopatologiche, in "Nuovi Argomenti", 69-71 (1964),pp.105-41

4] Sul rapporto tra Pasolini e De Martino si vedano, almeno: Nicola Gasbarro, Sacralità come éthos del trascendimento in Pasolini e l'interrogazione del sacro a.c. di Angela Felice, Gian Paolo Gri, Padova, 2013, pp.39-54; Giacomo Tinelli, Pasolini e De Martino. Uno studio di Giacomo Tinelli, http://www.centrostudipierpaolopasolinicasarsa.it/molteniblog/pasolini-e-de-martino-una-ricerca-di-giacomo-tirelli-parte-i/

http://www.centrostudipierpaolopasolinicasarsa.it/molteniblog/pasolini-e-de-martino-una-ricerca-di-giacomo-tinelli-parte-ii/

 

 

da Daniele Balicco, Letteratura e mutazione - Pier Paolo Pasolini, Ernesto De Martino, Franco Fortini, ed.Artemide, 2018, pp. 30 e 33-34



                                                      



Pier Paolo Pasolini (1922/1975)
                                                                     Ernesto de Martino (1908/1965)


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