Subaltern studies Italia

L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

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mercoledì 2 marzo 2022

L’APOCALISSE di DE MARTINO

 

Circondato da venti di guerra e, nei primi anni ‘60 del Novecento, dalla sua trasformazione possibile e da alcuni evocata, da ‘guerra fredda’ a conflitto globale nucleare, l’antropologo partenopeo intensificò i suoi studi e le sue analisi sulle apocalissi culturali e la ‘fine del mondo’, scritti e appunti che furono riordinati e pubblicati dodici anni dopo la sua morte, nel 1977, da Einaudi, con una prefazione di Clara Gallini. Erano, quegli appunti, uno sguardo sul mondo infinitamente grande e il microcosmo interiore, esistenziale, dell’essere umano. E la cultura, le culture, come mediatrici tra quello e queste. L’intento di superare, con lo sguardo etnologico filosofico, visioni parziali, a suo modo di vedere, della pluridimensionitá e onnilateralità dell’umano, proprio per la composizione di un necessario nuovo umanesimo, ha reso la sua riflessione non più solo legata e funzionale al riscatto dei gruppi subalterni, ma ‘disinteressata’ (fur ewig, aveva scritto Gramsci per se stesso) e profonda, perché capace di ipotizzare spiegazioni sulla ‘condizione umana’ che, sulla base delle indagini e ricerche documentali sulle classi subalterne del Mezzogiorno d’Italia e il loro mondo, durate per l’intera sua vita di studioso (e con le categorie interpretative in particolare dell’ethos del trascendimento e della destorificazione del negativo) si rivelava e manifestava nelle materiali condizioni dell’esistenza dei popoli e delle loro culture. Affatto una cesura, dunque, tra la ricerca e la riflessione analitica, ma una linea di continuità per l’indagine complessiva del rapporto tra storia, natura e cultura. A riprova di questo, un passo del primo testo impegnativo dell’antropologo, pubblicato da Laterza nel 1941, “Naturalismo e storicismo nell’etnologia”, in cui muove alla critica del naturalismo etnologico sperimentando gli strumenti dello storicismo crociano, dimostrando al contempo la sua inadeguatezza e insufficienza ermeneutica per l’auspicata apertura del confronto con le correnti antropologiche che si affacciavano alla contemporaneità, culturaliste e strutturaliste in primis. (+ cfr. Carla Pasquinelli, paragrafo in nota).

E’ bene dunque che di questo grande autore dei Subaltern studies italiani, non venga prodotto uno “spezzatino” [storicista crociano, meridionalista sul campo (marxista, gramsciano), filosofo delle apocalissi culturali, dell’ontologia ed esistenzialista (critico di Marx e Gramsci)], consegnandolo alle elucubrazioni accademiche astratte e sterilmente sganciato dalla prassi e dunque da una feconda interlocuzione con il presente. Possiamo sostenere che è proprio questo passo scritto dal giovane de Martino a consegnarcelo per intero, tra l’inizio del suo itinerario e l’apocalissi, tra l’angoscia esistenziale e il riscatto dei subalterni, tra la fine dei paradigmi di civiltà e la ‘fine del mondo’.

 

IL DRAMMA STORICO DELL’OCCIDENTE

 

“La nostra civiltà è in crisi: un mondo accenna ad andare in pezzi, un altro si annunzia. Naturalmente, come accade nelle epoche di crisi, variamente si atteggiano le speranze e variamente si configura il “quid maius” che sta per nascere. Tuttavia una cosa è certa: ciascuno deve scegliere il proprio posto di combattimento, e assumere le proprie responsabilità. Potrà essere lecito agire male: non operare, non è lecito. Ciò posto, quale è il compito dello storico? Tale compito è sempre stato, ed ora più che mai deve essere, l’allargamento dell’autocoscienza per rischiararare l’azione”.

E.de Martino, Naturalismo e storicismo nell'etnologia, Laterza, 1941, pag.12

 

sul blog: Le tre edizioni de ‘La fine del mondo’ di Ernesto de Martino

http://ferdinandodubla.blogspot.com/2020/07/interpretazioni-dellapocalisse-le-tre.html

 

Su Academia: l’edizione Laterza 1941 di ‘Naturalismo e storicismo nell’etnologia” in formato pdf

https://www.academia.edu/53008889/Ernesto_De_Martino_Naturalismo_e_Storicismo_nelletnologia_ed_Laterza_1941

 

paragrafo in nota

Carla Pasquinelli su “Naturalismo e storicismo nell’etnologia” (1941) di Ernesto de Martino

Cfr. anche http://ferdinandodubla.blogspot.com/2021/09/ernesto-de-martino-naturalismo-e.html



Del tutto trascurato il peso che sul giovane de Martino hanno esercitato quelle correnti culturali, con cui come storico delle religioni si è venuto a trovare in contatto.

È attraverso un ambito come questo, meno soggetto all’egemonia crociana e come tale più aperto ad una circolazione e ad uno scambio culturale altrimenti in altri campi gravemente compromesso, che de Martino è potuto venire a conoscenza di temi e correnti del pensiero europeo, come la psicoanalisi, la fenomenologia e l’esistenzialismo, che verranno progressivamente assumendo negli anni successivi un peso dominante all’interno della sua metodologia e della sua riflessione, ma che sono già allora largamente presenti. (..)

A spingerlo in tale direzione certamente non era stata estranea l’influenza esercitata da Adolfo Omodeo, presso cui de Martino compì larga parte della sua formazione. (..)

Estendere la metodologia storicista alla etnologia non significa però per de Martino soltanto riscattare tale disciplina alle impasse della impostazione naturalistica, ma anche e soprattutto fornire allo storicismo un nuovo terreno di indagine all’interno del quale provare la propria consistenza metodologica e culturale e magari arricchire attraverso la conoscenza di nuovi mondi, di nuove società storiche una metodologia nata e maturatasi esclusivamente all’interno della cultura occidentale.

da Carla Pasquinelli, Croce e lo “storicismo eroico”, sta in Ernesto De Martino: riflessioni e verifiche, incontro-dibattito 15-17 dicembre 1975, a cura dell’Istituto Gramsci - sezione di Firenze e Istituto Ernesto De Martino - Milano, resoconto dattilografato Istituto Gramsci - Firenze, pp. 9,11, 16-17.


Carla Pasquinelli, (n.1939), antropologa



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