“Alberto Magnaghi, Stefano Lepri, Valerio
Morucci, Franco Berardi, Oreste Scalzone, Francesco Bellosi, Lanfranco Pace,
Letizia Paolozzi, solo per citare alcuni nomi. Finalmente, a distanza di quasi
trent'anni,”, - dalla scheda di presentazione - “chi tentò più o meno
direttamente di combattere i poteri dello Stato ha deciso di parlare. Questo
volume restituisce, al di fuori di ogni cautela, le testimonianze inedite dei
protagonisti di Potere operaio. scheda di Aldo Grandi, <Insurrezione
armata>, [Bur, Rizzoli, 2013].
- Per Derive
e Approdi, Gigi Roggero ha pubblicato nel 2019 un’introduzione 'didattica' allo
studio dell’operaismo politico italiano, “Genealogia, storia, metodo”, di cui
consigliamo la lettura e lo studio. Gli studi subalternisti, che ricercano
sulla soggettività antagonista della classe, si collegano al metodo
dell’inchiesta sociale, sia nelle forme dei “Quaderni Rossi” di Panzieri, sia
in quelle più direttamente legate alla prassi politica.
cfr. RIBELLARSI QUANDO E' GIUSTO: l'inchiesta sociale nei 'Quaderni Rossi' di Panzieri e in Mao-Tse-Tung, http://ferdinandodubla.blogspot.com/2023/03/linchiesta-sociale-nei-quaderni-rossi.html
PER UNA CRITICA DELL’OPERAISMO
“Lotta continua e Potop avevano molto in
comune, ambedue erano gruppi antideologici, antimaoisti, che avevano come
riferimento la classe operaia (oggi, ripensandoci, credo che la classe operaia
a cui facevamo riferimento era altrettanto astratta delle massime di Mao, ma,
allora, ci sembrava, invece, concretissima).” Andrea Barzini, testimonianza in
Aldo Grandi, Insurrezione armata, Rizzoli,
2005, cit. da e.book, pos.190.
- Lotta Continua, più che antideologica, era
un’organizzazione ’di movimento’ con diversi tipi di idealità politiche al suo
interno, dal marxismo all’anarchismo, dando forma, contenuti e metodi di lotta
al ribellismo del marginale metropolitano. Non si poneva obiettivi generali
strategici se non quelli che scaturivano dalla stessa battaglia politica di
resistenza o ‘resistenza offensiva’.
- Potere operaio fu invece
l’organizzazione che fece proprie le tesi operaiste. Ma quali? Del secondo
‘operaismo’, nelle versioni di Antonio Negri in particolare, che infatti
nutrirono anche l’Autonomia operaia che si sviluppò dopo la dissoluzione di
POTOP al convegno di Rosolina nel giugno 1973.
#LavoroPolitico per la storia dei movimenti
antagonisti
Sul ‘primo’ e ‘secondo’ operaismo, sull’”operaio-massa” e l’”operaio sociale”
- Si erano
formati sui «Quaderni rossi» e su «Classe operaia», sugli scritti estetizzanti,
ma terribilmente coinvolgenti di Mario Tronti. Leggevano libri difficili:
“Operai e capitale” innanzitutto, e testi di Marx dimenticati e riscoperti da
poco, indicati con un titolo quasi confidenziale, come il «Frammento sulle
macchine» nei Grundrisse, da poco tradotti da uno studioso amico di Tronti,
Enzo Grillo. (..)
Per loro il
comunismo doveva essere qualcosa del tutto nuovo, da reinventare in Occidente,
al punto più alto dello sviluppo, dove non era il capitale a essere più debole,
ma la classe operaia a essere più forte. (..)
“Per noi gli
operai non erano quelli che organizzavano un ordine nuovo, che costituivano
l’alleanza con gli intellettuali organici, ma erano forza distruttiva il cui
compito era far saltare il “piano” del capitale, questa enorme capacità del
capitalismo moderno di proseguire lo sfruttamento al di fuori della fabbrica”.
(Lanfranco Pace, dicembre 2001)
in Aldo
Grandi, La generazione degli anni perduti
- Storia di Potere Operaio, Chiarelettere ed., 1.ed. digitale 2003, pag.12
e 15.
- Sembra
estranea la riflessione di Gramsci sugli intellettuali, ma, per il ‘primo’
operaismo di Raniero Panzieri il ruolo dell’intellettuale si riposiziona e da
specialista, diventa ”specialista+politico” (Gramsci), cioè ’organico’ alla
classe. Come tale, assume la conricerca, il collettivo, il gruppo di studio, la
collaborazione, come strumento di lavoro. Diventa ’intelletto collettivo’.
Per il
‘secondo’ operaismo la critica alla funzione borghese dell’intellettuale
specialista diventa critica alla stessa forma accademica di costruzione dei
saperi e alla loro espropriazione ad opera del potere delle classi dominanti.
Essendo il movimento formato
prevalentemente da intellettuali metropolitani separati dalla classe di cui
dovevano descriverne la composizione per renderla centrale nel processo
rivoluzionario, il ‘secondo’ operaismo è particolarmente efficace nel conio di
nuove categorie, come ‘operaio massa’ e ‘operaio sociale’: il primo anticipa il
secondo, è prevalentemente l’immigrato meridionale sradicato che in fabbrica
prende coscienza e raddoppia la rabbia, deprofessionalizzato con mansioni
parcellizzate e ripetitive; il secondo, nella seconda metà degli anni ‘70, sarà
prevalentemente la teorizzazione di Negri sull’estensione della marginalità
dalla fabbrica alla società e costituirà un substrato teorico del movimento del
‘77 egemonizzato dall’Autonomia.
Il convegno di Rosolina [RO]
(maggio-giugno 1973): addio a Potere Operaio
Nei giorni
31 maggio, 1, 2 e 3 giugno 1973 si svolse a Rosolina, una località che avrebbe
dovuto rimanere e sarebbe rimasta segreta, la quarta conferenza di
organizzazione di Potere operaio, un convegno per delegati che fu, senza ombra
di dubbio, il canto del cigno del gruppo. Quest’ultimo arrivò al congresso già
profondamente diviso e l’atmosfera che si respirò in quei giorni di tarda
primavera non fu certo delle più felici, ma, anzi, triste e malinconica. Non
c’erano soltanto le differenze e le divergenze sulla linea politica adottata e
da adottare. (..)
«La scelta di
Rosolina, una località così fuori mano e fuori stagione, fu opera mia» racconta
Novak «e fu del tutto casuale anche se dettata dall’esigenza di poterci
ritrovare in un luogo che consentisse di riflettere con calma sulla situazione
di quella nostra esperienza e delle nostre vite. Certo, eravamo nell’occhio del
ciclone, e un po’ di cautela non bastava mai. Dopo aver prenotato l’albergo,
quando arrivammo io non feci altro che consegnare il documento di una nostra
compagna, si chiamava Tullia, che era quella dal look più rispettabile, e
stilare un elenco di nomi presi di petto dalla guida telefonica. Nell’albergo
non ci chiesero altro; d’altronde pagai tutto fino all’ultima lira e i gestori
ne furono ben lieti. Rosolina fu un convegno drammatico e sancì la definitiva
spaccatura tra Franco e Toni e la fine di Potere operaio anche se restò in vita
ancora qualche mese, e segnò una lacerazione fortissima delle coscienze di
molti. Qualcuno si abbandonò al pianto, alcuni scontri furono durissimi.»
Testimonianza
di Jaroslav Novak in Aldo Grandi, La
generazione degli anni perduti - Storia di Potere Operaio, Chiarelettere
ed., 1.ed. digitale 2003, cit. da e-book, pag.357 e 359. Franco è Franco
Piperno, Toni è Toni Negri.
Le derive dei tardi epigoni “operaisti”. E sul ‘primo’ e ‘secondo’ operaismo
Un militante è sempre un individuo
collettivo, e quando cessa di esserlo, tornando a pensare e a pensarsi come un
io, cessa di essere un militante.
Gigi
Roggero, L’operaismo politico italiano -
Genealogia, storia, metodo, DeriveApprodi ed., 2019, pag.7
- “Con
“Quaderni Rossi” inizia invece a porsi il problema di una messa in discussione
dell’uso borghese della sociologia, con l’obiettivo di riformulare l’inchiesta
operaia. (..), cit. pag. 26.
“L’operaismo in senso stretto comincia con <Classe operaia>. Coerentemente a questa interpretazione, Steve Wright definisce correttamente ‘Quaderni Rossi’ come il periodo di incubazione dell’operaismo. Panzieri porta a estrema tensione il rapporto tra autonomia di classe e istituzioni del Movimento operaio, però lì si ferma, all’interno cioè di una speranza che si rivelerà illusoria di poter trasformare le seconde al servizio della prima. [..] Panzieri (sosteneva) che per ripensare l’azione politica bisognasse partire dalla distanza che si è creata tra le istituzioni del Movimento operaio (partito e sindacato) e il movimento reale di classe; ora possiamo aggiungere che quella distanza, per Panzieri e il suo gruppo, va colmata, mentre per gli altri va approfondita,”, cit. pag.40.
L’operaismo
in senso stretto, se ha avuto nei “Quaderni rossi” il suo periodo di
incubazione e tra “Gatto selvaggio” e “Classe operaia” il suo pieno sviluppo,
si può dire che finisca nel 1967. È la tesi di Tronti: “Quaderni rossi” e
“Classe operaia” punto, poi comincia un’altra storia. (…) Non diversa, seppur
con una prospettiva opposta, è la valutazione di Negri, espressa con chiarezza
nell’introduzione alla ristampa di “Classe operaia” uscita nel 1979 per
Macchina libri; nello stesso anno l’argomento viene sviluppato, articolato e
approfondito nella sua intervista sull’operaismo curata da Paolo Pozzi e
Roberta Tommasini, “Dall’operaio massa all’operaio sociale”. Non la pensa in
modo differente Alquati, che negli anni successivi alla fine dell’esperienza
collettiva non segue nè Tronti “dentro e contro” il PCI, nè i veneti e gli
altri nel percorso che avrebbe condotto alla formazione di Potere operaio.
Gigi
Roggero, L’operaismo politico italiano -
Genealogia, storia, metodo, DeriveApprodi ed., 2019, cit. pag. 59.
---------------------------
- Nel 1998
Franco Berardi, detto “Bifo”, dette alle stampe, per Castelvecchi, un agile
libretto, “La nefasta utopia di Potere operaio”, in cui, inebriato di nuovismo
cibernetico infotelematico, forse un avo dell’attuale ’intelligenza
artificiale’, misurava la distanza siderale ormai tra il cosiddetto “metodo di
scomposizione-ricomposizione del reale”, la categoria di “high-tech
proletariat“, propugnati come cogenti stati di fatto della realtà in
trasformazione incessante e i presupposti teorici e politici che avevano invece
mosso la formazione di Piperno e Scalzone scioltasi nel giugno 1973 nel
celeberrimo convegno di Rosolina. POTOP aveva ripreso le seconde tesi operaiste
di Tronti e Toni Negri di “Classe Operaia” (ma con strade politiche differenti,
il primo ‘entrista’ delle storiche organizzazioni del movimento operaio, in
particolare il PCI, il secondo percorrendo e sviluppando l’”autonomia operaia”)
distanziandosi a loro volta dall’impostazione del primo operaismo di Raniero
Panzieri e lasciando in eredità la categoria di centralità della classe operaia
per un processo rivoluzionario di lunga durata.
- L’allora
direttore de Il Partito-Linea Rossa on
line (poi #lavoropolitico_webserie)
Angiolo Gracci,
https://it.wikipedia.org/wiki/Angiolo_Gracci
il
partigiano fiorentino ‘Gracco’, fondatore nel 1966 del PCd’I - ‘linea rossa’,
ci invitò a scrivere una recensione, quella che vi riproponiamo. Gracci era
persuaso che il ‘primo‘ operaismo dei “Quaderni Rossi” di Panzieri si
distanziasse di molto dal ‘secondo‘ operaismo. Panzieri proponeva un metodo di
lavoro empirico diretto per l’inchiesta sociale della configurazione di classe,
senza presupporre la centralità operaia, che era questione politica, ma per la
verifica del fondamento teoretico della soggettività antagonista della classe.
Il ‘secondo‘ operaismo presupponeva invece assiomaticamente la centralità
operaia come motore della trasformazione rivoluzionaria, per cui l’inchiesta
diventava, sul campo, la capacità politica della classe di rendersi egemone
rispetto a tutti gli altri gruppi subalterni. ‘Bifo’, figura di spicco del
movimento riconosciuto ala creativa del movimento del ‘77, con il suo testo
superava le distinzioni, le cestinava e proponeva la scomparsa della classe (o,
meglio, la sua aleatorietà eterea) come motore di una nuova storia. Quella del
capitale, però, e l’omologazione ad essa, seppure nelle forme del
‘cognitivismo’. Nel frattempo, nel 2023, è stata ristampata la pubblicazione
del giornalista Aldo Grandi sulla storia di POTOP, “La generazione degli anni
perduti. Storia di Potere Operaio“, per Castelvecchi, ma originariamente edita
nel 2003 da Einaudi, che però, storia nella storia, non ne volle mai una
seconda edizione, nonostante il testo fosse andato esaurito. Aldo Grandi è
l’autore anche di una meritoria antologia documentale delle fonti dirette,
“Insurrezione armata”, per Rizzoli nel 2005, una ricerca storico-politica
potremmo dire con il metodo di Panzieri, e anche ‘maoista’ a sua insaputa,
dell’inchiesta sociale.
Lì c’è anche
Franco Berardi, che ribadisce, rafforzandole, le tesi della sua “nefasta
utopia“.
Ecco la
nostra recensione in tempo reale di allora, 1998:
La nefasta
utopia
di 'Bifo'
-- Ferdinando
Dubla --
Il titolo dell'ultimo libro di 'Bifo' (Franco
Berardi), già teorico del movimento degli 'indiani metropolitani' del '77, è
mutuato dall'articolo che Giorgio Bocca scrisse agli inizi del 1979 per le
colonne di 'Repubblica' e che imputava alle concezioni operaiste di essere
state la matrice ideologica degli anni di piombo. Ma francamente, non sappiamo
che idea un giovane si possa fare leggendo quell'articolo e questo saggio dallo
stesso titolo, La nefasta utopia di Potere Operaio, sull'esperienza del Potop,
come sinteticamente veniva indicata quell'organizzazione negli anni '68/'69.
Entrambi, a nostro modesto avviso, fanno torto a quell'esperienza e alle
passioni, alla militanza che suscitò nell'area della sinistra comunista e più
generalmente antagonista. Bifo, infatuato delle teoretiche sulla comunicazione
infotelematica e approdato tramite le teorie dei 'nuovi filosofi' francesi
Deleuze e Guattari, all'astratta categoria dell' high-tech proletariat (il Levy
di Cyberculture e N.Witheford) trasforma l'operaismo e la sua articolazione
teorico-pratica nel padre del cosiddetto metodo composizionista, una
metodologia eclettica di composizione-scomposizione del reale, a metà strada
tra i funambolismi fenomenologici alla Husserl del mondo-della-vita
(Lebenswelt) e le concezioni di rifiuto del lavoro di Antonio Negri.
Insomma, una miscellanea che nel libro si
propone e pretende di interpretare in modo efficace le mutazioni sociali e
tecnologiche, cancellando politica ed economia, consegnando la prima
all'archeologia del XX secolo e la seconda, più prosaicamente, alla
globalizzazione capitalista.
Conviene dunque partire dagli approdi del discorso: "La novità implicita
nella digitalizzazione del processo produttivo sta qui: il ciclo capitalistico
si è, per la prima volta nella storia del capitale, scollegato dal conflitto
sociale. La società reale non può bloccare il circuito di connessione
produttiva." [pag.233], che tradotto significa che la lotta di classe è
morta. Ma non c'è solo questo, c'è di più e ben altro: "La verità è che la
sinistra, realista o vittimista, liberista o statalista, è morta, e sopravvive
come rappresentazione di un ceto residuale e di identità prive di futuro."
[pag.234]; fine della sinistra, dunque. Allora, solo macerie? Si salva
unicamente il 'principio femminile', ma attenzione, non l'esperienza, pur
contraddittoria, del movimento femminista, ma il principio come sottrazione:
"socialità senza competizione, irriducibilità del corpo al disciplinamento
economico, primato del dono rispetto allo scambio salariato, ecc.."
[pag.236].
Come è possibile questo 'guazzabuglio' di teorie e prestiti culturali che si
vedono incollati al modo di un mosaico inguardabile? Se non fosse perché, nel
trentennale del '68, questo libro di F.Berardi potrebbe arrivare a dei giovani
in cerca di documentazione storica, non varrebbe sinceramente la pena di interessarsene.
Il metodo composizionista, la digitalizzazione del flusso vitale
intercomunicativo, l'esaltazione della disoccupazione come tempo di vita
liberato et similia, poco c'entrano con Potere Operaio. Organizzazione che può
avere avuto delle colpe e delle responsabilità storiche anche pesanti nel non
essere riuscita a dare esito e sbocco compiuto alla lotta di classe e al
movimento del '68/'69, ma che sono ben altre rispetto ai torti imputatigli da
'Bifo'. Il quale data al primo convegno nazionale del gennaio 1970 lo sviluppo
della degenerazione leninista, un Lenin-salma che nulla poteva dire per le
contraddizioni nelle metropoli (l'unico a capirlo, in quegli anni, oltre a
Berardi naturalmente, fu il povero H.J.Krahl, ridotto a un antileninista antelitteram)
contraddizioni che pure Potop intuisce essere centrali nell'interpretazione
delle fasi capitalistiche e del conflitto capitale/non-lavoro e dei cicli della
valorizzazione.
"Ma che senso può mai avere il leninismo nelle metropoli?" - si
chiede (retoricamente) 'Bifo' -, "che senso può mai avere l'idea del
partito di quadri quando il lavoro mentale diviene un continuum
superindividuale che connette e globalizza innumerevoli cervelli? Il leninismo
non poteva vedere altro che la rottura politica. Il lavoro mentale vede
distintamente che il problema non è quello della forma politica ma quello del
paradigma." [pag.69]
Ed è per la netta visione di questo paradigma (che rivendica l'azzeramento
della contraddizione dialettica in favore dell' asimettria paradigmatica, alla
Francois Lyotard) che l'antileninismo porta a conclusioni ovviamente
anticomuniste e financo grottesche? Quelle, ad es., che liquidano le esperienze
socialiste del XX secolo come 'criminali', in quanto "il comunismo è stato
una forma di violenza antiproletaria e antiumana, un mostro di oppressione
autoritaria, di conformismo culturale, di ipocrisia ripugnante, di dominio
delle burocrazie feudali e militari più feroci, più ignoranti, più
fasciste.", [pag.144] e anche oggi, pensate, Cina e Russia "sono (..)
due potenze capitaliste a direzione nazi-comunista", [pag.235],
affermazioni tipiche di una deriva, oltre che 'futurologica', reazionaria e
becera, oggettivamente di destra, che infatti conclude con la vecchia,
stravecchissima eternità del capitale: " Il capitale è probabilmente
eterno, insuperabile. Questa è un'altra acquisizione filosofica
dell'antistoricismo." [pag.145] Bifo e la sua 'nefasta utopia' arrivano
dunque allo stesso punto di Ricardo e A.Smith, queste 'novità teoriche' di un
secolo e mezzo fa. Dove si dimostra che l'antileninismo non può che approdare
al liberismo premarxista, camuffandosi solo goffamente con teorie nuoviste e
iperuraniche!
Per cui un merito il libro ce l'ha: dimostra l'impossibilità di connettere una
concezione leninista con gli esiti estremi dell'operaismo. Una vera lezione, di
metodo e di contenuto.
Franco Berardi (Bifo):
LA NEFASTA UTOPIA DI POTERE OPERAIO
Lavoro tecnica movimento nel laboratorio politico del Sessantotto italiano
Castelvecchi 1998
scritto nell'ottobre 1998 da
Ferdinando Dubla
Nessun commento:
Posta un commento