Subaltern studies Italia

L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

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giovedì 11 gennaio 2024

Sull'operaismo, gli operaisti e Potere Operaio

 



 “Alberto Magnaghi, Stefano Lepri, Valerio Morucci, Franco Berardi, Oreste Scalzone, Francesco Bellosi, Lanfranco Pace, Letizia Paolozzi, solo per citare alcuni nomi. Finalmente, a distanza di quasi trent'anni,”, - dalla scheda di presentazione - “chi tentò più o meno direttamente di combattere i poteri dello Stato ha deciso di parlare. Questo volume restituisce, al di fuori di ogni cautela, le testimonianze inedite dei protagonisti di Potere operaio. scheda di Aldo Grandi, <Insurrezione armata>, [Bur, Rizzoli, 2013].

- Per Derive e Approdi, Gigi Roggero ha pubblicato nel 2019 un’introduzione 'didattica' allo studio dell’operaismo politico italiano, “Genealogia, storia, metodo”, di cui consigliamo la lettura e lo studio. Gli studi subalternisti, che ricercano sulla soggettività antagonista della classe, si collegano al metodo dell’inchiesta sociale, sia nelle forme dei “Quaderni Rossi” di Panzieri, sia in quelle più direttamente legate alla prassi politica.

 

cfr. RIBELLARSI QUANDO E' GIUSTO: l'inchiesta sociale nei 'Quaderni Rossi' di Panzieri e in Mao-Tse-Tung, http://ferdinandodubla.blogspot.com/2023/03/linchiesta-sociale-nei-quaderni-rossi.html



             Raniero Panzeri (1921-1964)

PER UNA CRITICA DELL’OPERAISMO

 

 “Lotta continua e Potop avevano molto in comune, ambedue erano gruppi antideologici, antimaoisti, che avevano come riferimento la classe operaia (oggi, ripensandoci, credo che la classe operaia a cui facevamo riferimento era altrettanto astratta delle massime di Mao, ma, allora, ci sembrava, invece, concretissima).” Andrea Barzini, testimonianza in Aldo Grandi, Insurrezione armata, Rizzoli, 2005, cit. da e.book, pos.190.

- Lotta Continua, più che antideologica, era un’organizzazione ’di movimento’ con diversi tipi di idealità politiche al suo interno, dal marxismo all’anarchismo, dando forma, contenuti e metodi di lotta al ribellismo del marginale metropolitano. Non si poneva obiettivi generali strategici se non quelli che scaturivano dalla stessa battaglia politica di resistenza o ‘resistenza offensiva’.

- Potere operaio fu invece l’organizzazione che fece proprie le tesi operaiste. Ma quali? Del secondo ‘operaismo’, nelle versioni di Antonio Negri in particolare, che infatti nutrirono anche l’Autonomia operaia che si sviluppò dopo la dissoluzione di POTOP al convegno di Rosolina nel giugno 1973.

#LavoroPolitico per la storia dei movimenti antagonisti              

 

 

Sul ‘primo’ e ‘secondo’ operaismo, sull’”operaio-massa” e l’”operaio sociale”

 

- Si erano formati sui «Quaderni rossi» e su «Classe operaia», sugli scritti estetizzanti, ma terribilmente coinvolgenti di Mario Tronti. Leggevano libri difficili: “Operai e capitale” innanzitutto, e testi di Marx dimenticati e riscoperti da poco, indicati con un titolo quasi confidenziale, come il «Frammento sulle macchine» nei Grundrisse, da poco tradotti da uno studioso amico di Tronti, Enzo Grillo. (..)

Per loro il comunismo doveva essere qualcosa del tutto nuovo, da reinventare in Occidente, al punto più alto dello sviluppo, dove non era il capitale a essere più debole, ma la classe operaia a essere più forte. (..)

“Per noi gli operai non erano quelli che organizzavano un ordine nuovo, che costituivano l’alleanza con gli intellettuali organici, ma erano forza distruttiva il cui compito era far saltare il “piano” del capitale, questa enorme capacità del capitalismo moderno di proseguire lo sfruttamento al di fuori della fabbrica”. (Lanfranco Pace, dicembre 2001)

in Aldo Grandi, La generazione degli anni perduti - Storia di Potere Operaio, Chiarelettere ed., 1.ed. digitale 2003, pag.12 e 15.

 

- Sembra estranea la riflessione di Gramsci sugli intellettuali, ma, per il ‘primo’ operaismo di Raniero Panzieri il ruolo dell’intellettuale si riposiziona e da specialista, diventa ”specialista+politico” (Gramsci), cioè ’organico’ alla classe. Come tale, assume la conricerca, il collettivo, il gruppo di studio, la collaborazione, come strumento di lavoro. Diventa ’intelletto collettivo’.

Per il ‘secondo’ operaismo la critica alla funzione borghese dell’intellettuale specialista diventa critica alla stessa forma accademica di costruzione dei saperi e alla loro espropriazione ad opera del potere delle classi dominanti.

Essendo il movimento formato prevalentemente da intellettuali metropolitani separati dalla classe di cui dovevano descriverne la composizione per renderla centrale nel processo rivoluzionario, il ‘secondo’ operaismo è particolarmente efficace nel conio di nuove categorie, come ‘operaio massa’ e ‘operaio sociale’: il primo anticipa il secondo, è prevalentemente l’immigrato meridionale sradicato che in fabbrica prende coscienza e raddoppia la rabbia, deprofessionalizzato con mansioni parcellizzate e ripetitive; il secondo, nella seconda metà degli anni ‘70, sarà prevalentemente la teorizzazione di Negri sull’estensione della marginalità dalla fabbrica alla società e costituirà un substrato teorico del movimento del ‘77 egemonizzato dall’Autonomia.

 

Il convegno di Rosolina [RO] (maggio-giugno 1973): addio a Potere Operaio

 

Nei giorni 31 maggio, 1, 2 e 3 giugno 1973 si svolse a Rosolina, una località che avrebbe dovuto rimanere e sarebbe rimasta segreta, la quarta conferenza di organizzazione di Potere operaio, un convegno per delegati che fu, senza ombra di dubbio, il canto del cigno del gruppo. Quest’ultimo arrivò al congresso già profondamente diviso e l’atmosfera che si respirò in quei giorni di tarda primavera non fu certo delle più felici, ma, anzi, triste e malinconica. Non c’erano soltanto le differenze e le divergenze sulla linea politica adottata e da adottare. (..)

«La scelta di Rosolina, una località così fuori mano e fuori stagione, fu opera mia» racconta Novak «e fu del tutto casuale anche se dettata dall’esigenza di poterci ritrovare in un luogo che consentisse di riflettere con calma sulla situazione di quella nostra esperienza e delle nostre vite. Certo, eravamo nell’occhio del ciclone, e un po’ di cautela non bastava mai. Dopo aver prenotato l’albergo, quando arrivammo io non feci altro che consegnare il documento di una nostra compagna, si chiamava Tullia, che era quella dal look più rispettabile, e stilare un elenco di nomi presi di petto dalla guida telefonica. Nell’albergo non ci chiesero altro; d’altronde pagai tutto fino all’ultima lira e i gestori ne furono ben lieti. Rosolina fu un convegno drammatico e sancì la definitiva spaccatura tra Franco e Toni e la fine di Potere operaio anche se restò in vita ancora qualche mese, e segnò una lacerazione fortissima delle coscienze di molti. Qualcuno si abbandonò al pianto, alcuni scontri furono durissimi.»

Testimonianza di Jaroslav Novak in Aldo Grandi, La generazione degli anni perduti - Storia di Potere Operaio, Chiarelettere ed., 1.ed. digitale 2003, cit. da e-book, pag.357 e 359. Franco è Franco Piperno, Toni è Toni Negri.

 

 Le derive dei tardi epigoni “operaisti”. E sul ‘primo’ e ‘secondo’ operaismo



Un militante è sempre un individuo collettivo, e quando cessa di esserlo, tornando a pensare e a pensarsi come un io, cessa di essere un militante.

Gigi Roggero, L’operaismo politico italiano - Genealogia, storia, metodo, DeriveApprodi ed., 2019, pag.7

 

- “Con “Quaderni Rossi” inizia invece a porsi il problema di una messa in discussione dell’uso borghese della sociologia, con l’obiettivo di riformulare l’inchiesta operaia. (..), cit. pag. 26.

“L’operaismo in senso stretto comincia con <Classe operaia>. Coerentemente a questa interpretazione, Steve Wright definisce correttamente ‘Quaderni Rossi’ come il periodo di incubazione dell’operaismo. Panzieri porta a estrema tensione il rapporto tra autonomia di classe e istituzioni del Movimento operaio, però lì si ferma, all’interno cioè di una speranza che si rivelerà illusoria di poter trasformare le seconde al servizio della prima. [..] Panzieri (sosteneva) che per ripensare l’azione politica bisognasse partire dalla distanza che si è creata tra le istituzioni del Movimento operaio (partito e sindacato) e il movimento reale di classe; ora possiamo aggiungere che quella distanza, per Panzieri e il suo gruppo, va colmata, mentre per gli altri va approfondita,”, cit. pag.40.

 

L’operaismo in senso stretto, se ha avuto nei “Quaderni rossi” il suo periodo di incubazione e tra “Gatto selvaggio” e “Classe operaia” il suo pieno sviluppo, si può dire che finisca nel 1967. È la tesi di Tronti: “Quaderni rossi” e “Classe operaia” punto, poi comincia un’altra storia. (…) Non diversa, seppur con una prospettiva opposta, è la valutazione di Negri, espressa con chiarezza nell’introduzione alla ristampa di “Classe operaia” uscita nel 1979 per Macchina libri; nello stesso anno l’argomento viene sviluppato, articolato e approfondito nella sua intervista sull’operaismo curata da Paolo Pozzi e Roberta Tommasini, “Dall’operaio massa all’operaio sociale”. Non la pensa in modo differente Alquati, che negli anni successivi alla fine dell’esperienza collettiva non segue nè Tronti “dentro e contro” il PCI, nè i veneti e gli altri nel percorso che avrebbe condotto alla formazione di Potere operaio.

Gigi Roggero, L’operaismo politico italiano - Genealogia, storia, metodo, DeriveApprodi ed., 2019, cit. pag. 59.

                             

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- Nel 1998 Franco Berardi, detto “Bifo”, dette alle stampe, per Castelvecchi, un agile libretto, “La nefasta utopia di Potere operaio”, in cui, inebriato di nuovismo cibernetico infotelematico, forse un avo dell’attuale ’intelligenza artificiale’, misurava la distanza siderale ormai tra il cosiddetto “metodo di scomposizione-ricomposizione del reale”, la categoria di “high-tech proletariat“, propugnati come cogenti stati di fatto della realtà in trasformazione incessante e i presupposti teorici e politici che avevano invece mosso la formazione di Piperno e Scalzone scioltasi nel giugno 1973 nel celeberrimo convegno di Rosolina. POTOP aveva ripreso le seconde tesi operaiste di Tronti e Toni Negri di “Classe Operaia” (ma con strade politiche differenti, il primo ‘entrista’ delle storiche organizzazioni del movimento operaio, in particolare il PCI, il secondo percorrendo e sviluppando l’”autonomia operaia”) distanziandosi a loro volta dall’impostazione del primo operaismo di Raniero Panzieri e lasciando in eredità la categoria di centralità della classe operaia per un processo rivoluzionario di lunga durata.

 

- L’allora direttore de Il Partito-Linea Rossa on line (poi #lavoropolitico_webserie) Angiolo Gracci,

https://it.wikipedia.org/wiki/Angiolo_Gracci

il partigiano fiorentino ‘Gracco’, fondatore nel 1966 del PCd’I - ‘linea rossa’, ci invitò a scrivere una recensione, quella che vi riproponiamo. Gracci era persuaso che il ‘primo‘ operaismo dei “Quaderni Rossi” di Panzieri si distanziasse di molto dal ‘secondo‘ operaismo. Panzieri proponeva un metodo di lavoro empirico diretto per l’inchiesta sociale della configurazione di classe, senza presupporre la centralità operaia, che era questione politica, ma per la verifica del fondamento teoretico della soggettività antagonista della classe. Il ‘secondo‘ operaismo presupponeva invece assiomaticamente la centralità operaia come motore della trasformazione rivoluzionaria, per cui l’inchiesta diventava, sul campo, la capacità politica della classe di rendersi egemone rispetto a tutti gli altri gruppi subalterni. ‘Bifo’, figura di spicco del movimento riconosciuto ala creativa del movimento del ‘77, con il suo testo superava le distinzioni, le cestinava e proponeva la scomparsa della classe (o, meglio, la sua aleatorietà eterea) come motore di una nuova storia. Quella del capitale, però, e l’omologazione ad essa, seppure nelle forme del ‘cognitivismo’. Nel frattempo, nel 2023, è stata ristampata la pubblicazione del giornalista Aldo Grandi sulla storia di POTOP, “La generazione degli anni perduti. Storia di Potere Operaio“, per Castelvecchi, ma originariamente edita nel 2003 da Einaudi, che però, storia nella storia, non ne volle mai una seconda edizione, nonostante il testo fosse andato esaurito. Aldo Grandi è l’autore anche di una meritoria antologia documentale delle fonti dirette, “Insurrezione armata”, per Rizzoli nel 2005, una ricerca storico-politica potremmo dire con il metodo di Panzieri, e anche ‘maoista’ a sua insaputa, dell’inchiesta sociale.

Lì c’è anche Franco Berardi, che ribadisce, rafforzandole, le tesi della sua “nefasta utopia“.

Ecco la nostra recensione in tempo reale di allora, 1998:

 

La nefasta utopia
di 'Bifo'


-- Ferdinando Dubla --

Il titolo dell'ultimo libro di 'Bifo' (Franco Berardi), già teorico del movimento degli 'indiani metropolitani' del '77, è mutuato dall'articolo che Giorgio Bocca scrisse agli inizi del 1979 per le colonne di 'Repubblica' e che imputava alle concezioni operaiste di essere state la matrice ideologica degli anni di piombo. Ma francamente, non sappiamo che idea un giovane si possa fare leggendo quell'articolo e questo saggio dallo stesso titolo, La nefasta utopia di Potere Operaio, sull'esperienza del Potop, come sinteticamente veniva indicata quell'organizzazione negli anni '68/'69. Entrambi, a nostro modesto avviso, fanno torto a quell'esperienza e alle passioni, alla militanza che suscitò nell'area della sinistra comunista e più generalmente antagonista. Bifo, infatuato delle teoretiche sulla comunicazione infotelematica e approdato tramite le teorie dei 'nuovi filosofi' francesi Deleuze e Guattari, all'astratta categoria dell' high-tech proletariat (il Levy di Cyberculture e N.Witheford) trasforma l'operaismo e la sua articolazione teorico-pratica nel padre del cosiddetto metodo composizionista, una metodologia eclettica di composizione-scomposizione del reale, a metà strada tra i funambolismi fenomenologici alla Husserl del mondo-della-vita (Lebenswelt) e le concezioni di rifiuto del lavoro di Antonio Negri.

Insomma, una miscellanea che nel libro si propone e pretende di interpretare in modo efficace le mutazioni sociali e tecnologiche, cancellando politica ed economia, consegnando la prima all'archeologia del XX secolo e la seconda, più prosaicamente, alla globalizzazione capitalista.
Conviene dunque partire dagli approdi del discorso: "La novità implicita nella digitalizzazione del processo produttivo sta qui: il ciclo capitalistico si è, per la prima volta nella storia del capitale, scollegato dal conflitto sociale. La società reale non può bloccare il circuito di connessione produttiva." [pag.233], che tradotto significa che la lotta di classe è morta. Ma non c'è solo questo, c'è di più e ben altro: "La verità è che la sinistra, realista o vittimista, liberista o statalista, è morta, e sopravvive come rappresentazione di un ceto residuale e di identità prive di futuro." [pag.234]; fine della sinistra, dunque. Allora, solo macerie? Si salva unicamente il 'principio femminile', ma attenzione, non l'esperienza, pur contraddittoria, del movimento femminista, ma il principio come sottrazione: "socialità senza competizione, irriducibilità del corpo al disciplinamento economico, primato del dono rispetto allo scambio salariato, ecc.." [pag.236].
Come è possibile questo 'guazzabuglio' di teorie e prestiti culturali che si vedono incollati al modo di un mosaico inguardabile? Se non fosse perché, nel trentennale del '68, questo libro di F.Berardi potrebbe arrivare a dei giovani in cerca di documentazione storica, non varrebbe sinceramente la pena di interessarsene. Il metodo composizionista, la digitalizzazione del flusso vitale intercomunicativo, l'esaltazione della disoccupazione come tempo di vita liberato et similia, poco c'entrano con Potere Operaio. Organizzazione che può avere avuto delle colpe e delle responsabilità storiche anche pesanti nel non essere riuscita a dare esito e sbocco compiuto alla lotta di classe e al movimento del '68/'69, ma che sono ben altre rispetto ai torti imputatigli da 'Bifo'. Il quale data al primo convegno nazionale del gennaio 1970 lo sviluppo della degenerazione leninista, un Lenin-salma che nulla poteva dire per le contraddizioni nelle metropoli (l'unico a capirlo, in quegli anni, oltre a Berardi naturalmente, fu il povero H.J.Krahl, ridotto a un antileninista antelitteram) contraddizioni che pure Potop intuisce essere centrali nell'interpretazione delle fasi capitalistiche e del conflitto capitale/non-lavoro e dei cicli della valorizzazione.
"Ma che senso può mai avere il leninismo nelle metropoli?" - si chiede (retoricamente) 'Bifo' -, "che senso può mai avere l'idea del partito di quadri quando il lavoro mentale diviene un continuum superindividuale che connette e globalizza innumerevoli cervelli? Il leninismo non poteva vedere altro che la rottura politica. Il lavoro mentale vede distintamente che il problema non è quello della forma politica ma quello del paradigma." [pag.69]
Ed è per la netta visione di questo paradigma (che rivendica l'azzeramento della contraddizione dialettica in favore dell' asimettria paradigmatica, alla Francois Lyotard) che l'antileninismo porta a conclusioni ovviamente anticomuniste e financo grottesche? Quelle, ad es., che liquidano le esperienze socialiste del XX secolo come 'criminali', in quanto "il comunismo è stato una forma di violenza antiproletaria e antiumana, un mostro di oppressione autoritaria, di conformismo culturale, di ipocrisia ripugnante, di dominio delle burocrazie feudali e militari più feroci, più ignoranti, più fasciste.", [pag.144] e anche oggi, pensate, Cina e Russia "sono (..) due potenze capitaliste a direzione nazi-comunista", [pag.235], affermazioni tipiche di una deriva, oltre che 'futurologica', reazionaria e becera, oggettivamente di destra, che infatti conclude con la vecchia, stravecchissima eternità del capitale: " Il capitale è probabilmente eterno, insuperabile. Questa è un'altra acquisizione filosofica dell'antistoricismo." [pag.145] Bifo e la sua 'nefasta utopia' arrivano dunque allo stesso punto di Ricardo e A.Smith, queste 'novità teoriche' di un secolo e mezzo fa. Dove si dimostra che l'antileninismo non può che approdare al liberismo premarxista, camuffandosi solo goffamente con teorie nuoviste e iperuraniche!
Per cui un merito il libro ce l'ha: dimostra l'impossibilità di connettere una concezione leninista con gli esiti estremi dell'operaismo. Una vera lezione, di metodo e di contenuto.

Franco Berardi (Bifo):
LA NEFASTA UTOPIA DI POTERE OPERAIO
Lavoro tecnica movimento nel laboratorio politico del Sessantotto italiano
Castelvecchi 1998


scritto nell'ottobre 1998 da
Ferdinando Dubla






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