La nostra civiltà è in crisi: un mondo accenna ad andare in pezzi, un altro si annunzia. Naturalmente, come accade nelle epoche di crisi, variamente si atteggiano le speranze e variamente si configura il “quid maius” che sta per nascere. Tuttavia una cosa è certa: ciascuno deve scegliere il proprio posto di combattimento, e assumere le proprie responsabilità. Potrà essere lecito sbagliare nel giudizio: non giudicare non è lecito. Potrà essere lecito agire male: non operare, non è lecito. Ciò posto, qual è il compito dello storico? Tale compito è sempre stato, ed ora più che mai deve essere, l’allargamento dell’autocoscienza per rischiarare l’azione.”
Ernesto de Martino, da Naturalismo e storicismo nell’etnologia, Laterza (1941)
- Chi siamo noi dunque?
Una stratificazione culturale delle genti antiche, il retaggio atavico di una
natura umana che è nella storia del mondo, perchè tutto ciò che è nella natura
è nella storia. /fe.d.
TRA
APOCALISSE E RISCATTO [DEI SUBALTERNI]
Le
“plebi rustiche” nell’ermeneutica dell’antropologia filosofica di Ernesto de
Martino
Terra lucana, scriverà
De Martino, dove vivevano alcune migliaia di contadini, ma meglio si direbbe
che contendevano “al caos le più elementari distinzioni dell’essere”.
[E. De Martino, Furore Simbolo Valore (1962),
Feltrinelli, Milano 2002, p. 119].
“il folklore
rappresentava il riflesso, sul piano culturale, della dipendenza economica e
politica di quelle classi, era cioè cultura servile di classi politicamente
asservite”.*
*Ernesto de Martino, Gramsci e il folklore, in “Il calendario
del popolo”, 8, 1952, p.1109.
È Eugenio Imbriani che
torna a riflettere sull’immenso debito contratto da de Martino nei confronti
della “plebe rustica del Mezzogiorno”, di quella gente povera che condivideva
con lui non soltanto i frammenti di una vita intera – ricordi di un’ingiustizia
subita e dolori di esperienze defunte –, ma l’intera loro quotidianità. Simona Taliani,
in ‘Aut-Aut’, nr. 366/2015, Il Saggiatore. (cit. E. Imbriani, Persone intere. Su
alcuni materiali dell’archivio di Ernesto De Martino, Coordinamento Siba,
Editoria scientifica elettronica, Università del Salento, Lecce 2013).
Per Ernesto de Martino,
il mondo della vita, il “vitale”, l’esistenza umana, la presenza e la natura,
stanno prima della storia e della cultura.
Ma Ernesto de Martino,
con i migliori maestri dello storicismo napoletano, come l’Adolfo Omodeo,
interpretò la natura umana come “interna” alla storia, dando senso e
significato alla sua stessa impostazione di ricerca sul campo delle classi
subalterne.
Che
cos’è lo storicismo? E’ una visione della vita e del mondo fondata sulla
persuasione critica che la realtà si risolve, senza residuo, nella storia, e
che la realtà storica umana, nelle sue individuali manifestazioni, è integrale
opera dell’uomo ed è conoscibile senza residuo dal pensiero umano.
E. de Martino, in Coscienza religiosa e coscienza storica, 'Nuovi
argomenti', 14 (mag.-giu.1955), p.89.
Il mondo primitivo è
per elezione quello dell’esposizione al rischio, perchè più vicino al polo
della naturalità, o ancora non abbastanza emancipato da essa. Il primitivo, che
in “Naturalismo e storicismo” e nel “Mondo magico” viene osservato da un punto
di vista più che altro teorico, negli anni successivi acquisisce per de Martino
la fisionomia, molto concreta, di una singolare parte della società italiana,
ovvero il mondo contadino del Sud Italia.
Giuseppe Maccauro, Novecento primitivo. Ernesto De Martino fra
apocalisse e riscatto, Orthotes, 2023, pag.85.
- Bisogna rendere
centrale il nesso tra presenza/crisi/riscatto e il processo di destorificazione
del negativo ad opera dell’ethos del trascendimento; l'immaginazione simbolica
collettiva è la realizzazione di un'ethos del trascendimento che, come un mito
di fondazione per il senso di appartenenza o la sacralizzazione dell'”oggetto”
per scopi espiatori, rende possibile il superamento di una crisi, della
“presenza” in quanto soggetto che opera nella natura, che rischia di perdersi
in essa senza riscatto (escatòn). Il soggetto dunque si ricolloca nella storia
tramite la cultura, e la crisi si rivela esistenziale nel rapporto tra sé e il
mondo “altro da sé”. Ma la crisi affonda sempre nelle materiali condizioni di
vita e nelle modalità concrete di una prassi che deve tendere e tende
incessantemente alla trasformazione rivoluzionaria (che è escatologica nelle
religioni) come base insopprimibile della costituzione di sé come soggetto:
Vi
è dunque un principio trascendentale che rende intellegibile l’utilizzazione e
le altre valorizzazioni, e questo principio è l’ethos trascendentale del
trascendimento della vita nel valore: attività dunque, ma ethos,
dover-essere-nel-mondo per il valore, per la valorizzante attività che fa mondo
il mondo, e lo fonda e lo sostiene.,
Ernesto de Martino,
“Antropologia e marxismo”, in La fine del
mondo - Contributo all’analisi delle apocalissi culturali, Einaudi, 2019,
p. 483
[Ferdinando Dubla,
scritto per Wikipedia, link permanente https://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Ernesto_de_Martino&oldid=142516562 ]
[cfr. Pompeo
Giannantoni, Gramsci, de Martino e l’analisi delle classi subalterne
meridionali, in “Rocco Scotellaro”,
http://ferdinandodubla.blogspot.com/2017/03/gramsci-de-martino-e-lanalisi-delle.html ]
a cura di Ferdinando Dubla, Subaltern studies Italia
https://www.facebook.com/p/Subaltern-studies-Italia-100071061380125/