Subaltern studies Italia

L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

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mercoledì 26 febbraio 2025

ESTERNO GIORNO: la trattativa per salvare la vita di Moro era possibile

 



ESTERNO GIORNO

Mario Scialoja, giornalista de l’Espresso quando era l’Espresso, autore del libro “A viso aperto”, in cui nel 1994 fa ricostruire allo stesso Renato Curcio, fondatore delle Brigate Rosse, la storia dal punto di vista dell’organizzazione armata, ha riproposto una sua intervista a Franco Piperno, recentemente scomparso, militante e teorico dell’Autonomia rifugiato, all’epoca dell’intervista (23 dicembre 1984) in Canada. È importante, questa intervista, per una serie di ragioni. Piperno è testimone diretto e attendibile della ‘trattativa’ che poteva salvare la vita dell’on. Moro, senza le immaginifiche ricostruzioni complottarde nelle inchieste farlocche delle commissioni parlamentari. Ebbe infatti una funzione di ‘pontiere’. Il partito della ‘fermezza’ statolatrica da un lato, congiunzione della ‘difesa dello Stato democratico’ della DC e del PCI, dall’altra la richiesta di un ‘riconoscimento politico’ al nemico del tutto simbolico, in quanto il ‘riconoscimento politico’ era stato comunque conquistato militarmente con la strage di via Fani a colpi di mitra e morti ammazzati e rapimento. Non ebbe esiti questo tentativo di Piperno e l’Autonomia di farsi latori, per il tramite di Morucci e Faranda ormai eretici bierre e di Claudio Signorile per il PSI, di uno sbocco politico che avrebbe salvato la vita dell’onorevole, rappresentante paradossalmente ‘il cuore dello Stato’. Quello Stato che di lì a poco avrebbe trattato con il partito-guerriglia di Senzani, un movimento prepolitico selvaggio e criminogeno scissionista, infiltrato dalla camorra, alleato della criminalità organizzata, che permise, a suon di miliardi di riscatto, siamo nel luglio 1981, di liberare Ciro Cirillo, già Presidente della Regione Campania. L’Unità e il PCI aprirono allora un’inchiesta giornalistica, ma era troppo tardi per cambiare politicamente la ‘linea della fermezza’. Approfondiremo prossimamente questo importante snodo, che è tutto politico. / fe.d 

L'INTERVISTA DI MARIO SCIALOJA A FRANCO PIPERNO IN CANADA (23 dicembre1984)

di Mario Scialoja

Nel mio post del 15 gennaio 2025, in occasione della morte di Franco Piperno, ho raccontato, tra molto altro, di averlo intervistato in Canada, ma che non riuscivo a rintracciare l'articolo. Un mio gentile ex collega dell'Espresso, molto più attrezzato di me, dopo aver letto, mi ha mandato fotocopia dell'intervista fatta a Montreal.

Faccio notare che è datata 23 dicembre 1984, assai prima che cominciassero a fiorire libri di tutti i tipi sulle Brigate Rosse, tra cui spericolate narrazioni dietrologiche e complottistiche.

Penso possa essere interessante pubblicare dei passaggi di quella testimonianza.

"Giaccone imbottito, sovrascarpe di gomma contro la poltiglia nevosa che già da tempo copre la città, quando Franco Piperno entra nell'albergo appare assolutamente mimetizzato. Si trova in Canada da più di tre anni...".

Durante il sequestro Moro lei collaborò con i socialisti, presentandosi come qualcuno che poteva far arrivare messaggi alle BR e ricevere segnali sugli umori dei brigatisti...

" Non sono io che mi sono presentato ai socialisti, ma loro che mi hanno cercato. Accettai di collaborare al loro tentativo di salvare la vita di Moro perché mi sembrava che in gioco non c'era solo un fatto umanitario, ma anche il futuro di tutto il Movimento nato col '68. Durante i 55 giorni del sequestro non ho avuto incontri diretti con nessun dirigente BR, ivi compreso Morucci. Però in quel periodo alcuni militanti di Potere Operaio erano entrati nelle BR pur continuando a mantenere dei collegamenti con i vecchi compagni. Era quindi relativamente facile far arrivare e ricevere messaggi...".

E' stato detto che lei si incontrò con Mario Moretti e che lui, durante una vivace discussione, la minacciò con una pistola.

"Non mi sono mai incontrato con Moretti durante il sequestro. L'avevo conosciuto anni prima e l'ho rivisto dieci mesi dopo la morte di Moro. Durante quell'incontro Moretti tentò di giustificare l'uccisione del leader democristiano sostenendo che le BR non avevano avuto scelta: secondo lui l'irremovibile rigidità della Dc e del PCI non avevano lasciato nessuno spazio di manovra. Ovviamente, i nostri punti di vista divergevano, ma la discussione fu pacata e non venne fuori nessuna pistola." ...

Moretti e Morucci hanno affermato che "la vita di Moro fu salvabile fino all'ultimo". Alcuni pentiti invece affermano che la sua uccisione era decisa fin dall'inizio...

"Tutti i segnali che mi sono arrivati durante il sequestro  stavano ad indicare che una trattativa era possibile. Addirittura, nei primi giorni di maggio, quando ero in contatto con Claudio Signorile, avevo avuto la sensazione che una soluzione positiva era vicinissima, a portata di mano...

Mi risulta che in quei 55 giorni all'interno delle BR la discussione su come gestire il sequestro fu una discusswione reale e non fittizia. Voglio dire che non vi eraq un esito prefissato. Quanto alle affermazioni dei pentiti che sostengono che Moro era comunque condannato a morte, sono convinto che più che di testimonianze si tratti di ricostruzioni di comodo ad uso del partito della fermezza che tenta così di legittimare il suo rifiuto di qualsiasi tentativo di salvare la vita di Moro"

....

"Mi sono incontrato con Signorile tre o quattro volte. La prima, nella secona metà di aprile, a casa del direttore del vostro giornale Livio Zanetti. Le altre volte a casa di un comune amico. Signorile mi presentò la proposta studiata dai socialisti : liberazione di un paio di detenuti politici per motivi di salute e alleggerimento del regime delle carceri speciali...Fu durante il terzo incontro, all'inizio di maggio, che una soluzione sembrò delinearsi. Signorile aveva parlato con Fanfani, spiegandogli che era fondamentale dimostrare una disponibilità a stabilire un dialogo pubblico con le BR. Fanfani si disse d'accordo, "per salvare la vita all'amico Moro", ad esprimere una sua disponibilità in occasione di un comizio elettorale che doveva aver luogo nel pomeriggio di domenica 7 maggio...

Purtroppo, domenica mattina Signorile mi fece avvertire che la dichiarazione non l'avrebbe fatta Fanfani, ma il senatore Giuseppe Bartolomeo.

La sera sentii in televisione i farfugliamenti di Bartolomeo e capii che la situazione non poteva che precipitare. Ma non potevo fare niente perché non avevo la possibilità di stabilre un contatto con i brigatisti a mio piacimento. Se avessi potuto, gli avrei suggerito di attendere il discorso di Fanfani previsto per martedi mattina, alla direzione DC.

Ricostruendo la vicenda col senno di poi mi convinco sempre di più che per salvare Moro mancò pochissimo: resta per me un mistero perché Fanfani non pronunciò quella piccola frase che avrebbe potuto salvare una vita".

Il pentito Carlo Bozzo, ex brigatista della colonna genovese, ha detto in un'intervista all'Espresso, che "un autorevole esponente del PSI si sarebbe incontrato con Moretti in una villa fuori Roma per tantare la liberazione". Lei ne sa qualcosa ?

"Non escludo affatto la possib ilità che leader BR si siano incontrati durante il sequestro con dirigenti del PSI. In quei 55 giorni, infatti, i brigatisti attivarono tutti i loro contatti possibili col mondo politico proprio perché erano interessati a trattare e ottenere un risultato. Credo però di poter escludere che un leader BR come Moretti si sia incontrato in quei giorni con Craxi o Signorile".

Perché dice questo ?

"Perché se Signorile avesse visto Moretti non avrebbe avuto bisogno di me. Quanto a Caxi, quando lo incontrai un paio di mesi dopo l'uccisione di Moro, ebbi la precisa impressione che la sua conoscenza, o meglio mancata conoscenza, del fenomeno brigatista escludesse dei suoi precedenti colloqui con personaggi come Moretti"

Come mai lei vide Craxi ?

"Su sua iniziativa. Mi fece sapere che era interessato a parlarmi...Il colloquio durò più di due ore. Mi espose la sua convinzione che la lotta armata in Italia fosse segretamente diretta da "potenze straniere". Usava associazione di fatti e circostanze assolutamente fragili e anche sbagliate. Più che capire il fenomeno terroristico, sembrava interessato a darne una lettura che fornisse degli spunti in chiave anti-PCI. Rimasi sconcertato dalla sua disinformazione...Io tentai di esporgli un punto di vista più realista: il carattere assolutamente endogeno della lotta armata in Italia. Le mie affermazioni sembrarono deluderlo."






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