Walter Benjamin ed Ernesto de Martino
“Essere perduti nel
mondo… Questo esser perduti si configura come un “negativo” da cui riscattarsi:
la fenomenologia indica la Weltvernichtung, la epoché, come la “via” per questo
riscatto. Eppure questo “negativo” è in realtà un positivo, e questo oblio
racchiude una liberazione: l'”oblio del mondo” è un momento necessario del
“progetto comunitario dell’utilizzabile”, progetto che comporta tra l’altro la
salutare possibilità di dimenticare.”
E.de Martino, La fine del mondo, Einaudi, 1977, pp.644‑45
Quando i percorsi di liberazione collettivi costituiscono
atto rivoluzionario
Escatologia è termine
prevalentemente teologico, una delle ancelle degli dei nella filosofia.
Ma con escatologia (dal
greco antico ἔσχατος éskhatos 'ultimo') si indica una dottrina volta a indagare
il destino ultimo del singolo individuo, dell'intero genere umano e
dell'universo; escatologica è dunque la ‘salvezza’ degli ultimi. I subalterni.
I subalterni, la classe degli ultimi ai margini della storia, soggetto
dell’analisi gramsciana del Q.25, non avranno mai storia se non prendono
coscienza (e dunque organizzazione) della loro subalternità. Costruire la
prospettiva storica dell’escatòn, come lo chiama Ernesto de Martino, è la
stessa redenzione dei vinti delle tesi sulla storia di Walter Benjamin.
cfr. http://ferdinandodubla.blogspot.com/2021/04/lescaton-dei-subalterni-subaltern.html
Le pagine culturali del
quotidiano cattolico Avvenire si
rivelano molte volte feconde di stimoli
culturali in ottica ‘subalternista’, come questo articolo di Gianni Vacchelli
su Walter Benjamin (pubblicato l'11 marzo 2023 ”Walter Benjamin: la storia è redenzione
dei vinti”)
https://www.avvenire.it/agora/pagine/benjamin-la-storia-redenzione-dei-vinti
“La critica radicale di
Benjamin al progresso, alla storia lineare e a ogni storicismo (da quello
hegeliano alla banalizzazione positivista o socialdemocratica) porta ad un’altra
concezione del tempo, dove il passato è attivo, feconda il presente ed è da
esso stesso modificato. L’eredità benjaminiana è immensa e ci invita a
«riaprire la storia», Ellacuría direbbe a «rilanciarla in un’altra direzione»,
che non abbia al centro la cupidigia del capitale, ma una debole e insieme
forte rammemorazione messianica, che si incarna anche in noi, come singoli e
come generazioni coscienti della nostra responsabilità di liberazione dei
piccoli, degli oppressi, dei vinti. In tre proposte sull’autore tedesco si va
dalla celebre opera sull’arte al raffronto con altri pensatori Fino alle
consonanze con la teologia della liberazione. Nella riflessione di Löwy il
concetto di “rammemorazione messianica” invita a rilanciare le responsabilità
del presente in un’altra direzione rispetto alla cupidigia del capitale, come
sosteneva Ellacuría”, [estratto]
Walter Benjamin
(Berlino, 15 luglio 1892 – Portbou, 26 settembre 1940) è stato un filosofo,
scrittore, critico letterario e traduttore tedesco; si è occupato di
epistemologia, estetica, sociologia, misticismo ebraico e materialismo storico.
Il lavoro di Benjamin, riconosciuto postumo, ha influenzato filosofi (quali
Theodor Adorno, György Lukács e Hannah Arendt), mistici (come Gershom Scholem)
e drammaturghi (come Bertolt Brecht).
Tra la fine del 1939 e
il maggio del 1940 scrive le “Tesi di filosofia della storia” (Über den Begriff
der Geschichte), il suo ultimo lavoro e testamento spirituale. Le Tesi
avrebbero dovuto essere l'introduzione del Passagen-Werk, che Benjamin non poté
completare e che grazie a Georges Bataille fu nascosto e conservato alla
Bibliothèque Nationale. Gli abbozzi
furono trovati da Giorgio Agamben nel 1981 alla Bibliothèque Nationale tra le
carte di Bataille e furono pubblicati in Italia da Einaudi, prima nel 1986 con
il titolo Parigi, capitale del XIX secolo e poi nel 2000 con il titolo I
«passages» di Parigi.
“Nell’idea di felicità,
in altre parole, vibra indissolubilmente, l’idea di redenzione. Lo stesso vale
per la rappresentazione del passato, che è il compito della storia. Il passato
reca seco un indice temporale che lo rimanda alla redenzione. C’è un’intesa
segreta fra le generazioni passate e la nostra. Noi siamo stati attesi sulla
terra. A noi, come ogni generazione che ci ha preceduto, è stata data in dote
una <debole > forza messianica, su cui il passato ha un diritto. Questa
esigenza, non si lascia soddisfare facilmente. Il materialismo storico lo sa”. Walter
Benjamin
da Tesi di filosofia della storia, ed.dig. Mimesis, 2012, tesi 2
pos.30
L’inserimento di Walter
Benjamin tra gli autori degli studi subalterni si trova primariamente nella
comparazione tra l’escatòn (riscatto) contro la crisi della presenza che abdica
“senza compenso“, categoria dell’antropologia filosofica di Ernesto de Martino
e la redenzione dei vinti, dei subalterni, nel filosofo berlinese; che combatte
lo storicismo dell’”astuzia della ragione” hegeliana, perchè il materialismo,
‘storico’ appunto, sappia guardare oltre il possibile razionale e fondi
un’escatologia per la liberazione, individuale solo perchè collettiva.
“La tradizione degli
oppressi ci insegna che lo «stato di emergenza» in cui viviamo è la regola.
Dobbiamo giungere a un concetto di storia che corrisponda a questo fatto.
Avremo allora di fronte, come nostro compito, la creazione del vero stato di
emergenza; e ciò migliorerà la nostra posizione nella lotta contro il fascismo.
La sua fortuna consiste, non da ultimo in ciò: che i suoi avversari lo
combattono in nome del progresso come di una legge storica. Lo stupore perché
le cose che viviamo sono «ancora» possibili nel ventesimo secolo è tutt’altro
che filosofico. Non è all’inizio di nessuna conoscenza, se non di quella che l’idea
di storia da cui proviene non sta più in piedi.”, Walter Benjamin, tesi 8. cit. vedi supra.
“Quando è il negativo a
prevalere, e questo accade in fasi particolarmente drammatiche dell'esistenza
umana (come la morte di una persona cara), può manifestarsi una crisi radicale,
una “funesta miseria esistenziale”, per cui l’ethos del trascendimento non
riesce più a risolvere la crisi nel valore e la mancata valorizzazione fa
perdere anche l’operabilità sul reale. L’attività etica della valorizzazione è
necessaria per impedire la destrutturazione dell'esserci”, in quanto il
“vitale” vede per intero invaso il suo spazio, quello dell’intersoggettività e
il rapporto con il mondo. Avviene allora che “la presenza abdica senza
compenso”.,
Ernesto de Martino, Il mondo magico, 1948, ed. Einaudi,
pag.43.
“C’è un quadro di Klee che s’intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infinito. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso è questa tempesta.”, Walter Benjamin, tesi 9 cit. vedi supra.
Angelus Novus è un acquerello dipinto nel 1920 da Paul Klee, conservato presso il Museo d'Israele, a Gerusalemme
QUANDO
“LA PRESENZA ABDICA SENZA COMPENSO” in Ernesto de Martino
La
presenza è un soffio effimero che il mondo rischia, in ogni momento, di
inghiottire e di vanificare.
- La categoria di
‘crisi della presenza’ ne ‘Il mondo magico’, l’opera del 1948 che mette in
interlocuzione l’antropologia italiana con l’antropologia culturale
internazionale, da Ernesto de Martino, nel secondo capitolo, viene messa in relazione allo ‘stato’ o
‘condizione olon’ studiata da S. M. Shirokogoroff in The Psychomental Complex of the Tungus (London 1935).
Una condizione
osservata nei Tungusi, ma dello stesso tipo in altri popoli, chiamata latah dai
Malesi, irkunii dagli Yukagiri, amurak dagli Yakuti, menkeiti dai Koriaki, imu
dagli Ainu. È un comportamento di imitazione, una ‘coinonia’, cioè un’unione
(la koinè greca classica) con gli altri, come il ripetere gesti e parole dette
da altri spossessandosi di sè oppure imitando la natura, diventando albero o
foglia o elemento naturale perdendo la propria identità. Non c’è più
soggettivazione culturale, ma il perdersi. Un perdersi nel non-esser/ci nel
nulla di uno stato di natura che imita sì, ma la morte della persona. Ma è
questa vertigine del nulla la base di una ri-soggettivazione per il tramite
dell’appartenenza rituale, di un riscatto (escatòn) della presenza collettiva
dell’esser/ci nel mondo, primo tassello per l’uscita dalla natura e l’entrata
nella storia per mezzo della cultura.
“Se analizziamo lo
stato olon, ravvisiamo, come suo carattere, una presenza che abdica senza
compenso. Tutto accade come se una presenza fragile, non garantita, labile, non
resistesse allo choc determinato da un particolare contenuto emozionante, non
trovasse l’energia sufficiente per mantenersi presente ad esso,
ricomprendendolo, riconoscendolo e padroneggiandolo in una rete di rapporti
definiti. In tal guisa il contenuto è perduto come contenuto di una coscienza
presente. La presenza tende a restare polarizzata in un certo contenuto, non
riesce ad andare oltre di esso, e perciò scompare e abdica come presenza.”
“Infatti il semplice
crollo della presenza, la indiscriminata coinonia, lo scatenarsi di impulsi
incontrollati, rappresentano solo uno dei due poli del dramma magico: l’altro
polo è costituito dal momento del riscatto della presenza che vuole esserci nel
mondo. Per questa resistenza della presenza che vuole esserci, il crollo della
presenza diventa un rischio appreso in un’angoscia caratteristica: e per il
configurarsi di questo rischio la presenza si apre al compito del suo riscatto
attraverso la creazione di forme culturali definite. Per una presenza che
crolla senza compenso il mondo magico non è ancora apparso; per una presenza
riscattata e consolidata, che non avverte piú il problema della sua labilità,
il mondo magico è già scomparso. Nel concreto rapporto dei due momenti, nella
opposizione e nel conflitto che ne deriva, esso si manifesta come movimento e
come sviluppo, si dispiega nella varietà delle sue forme culturali, vede il suo
giorno nella storia umana”.
Ernesto de Martino, Il mondo magico, cit. da ed. digitale su
ed. Einaudi 2021 curata da Marcello Massenzio, 2022, pp. 167-169. In nota de
Martino cita autori come Lévy-Bruhl, E. Cassirer, L. Klages, H. Werner, R.
Thurnwald.
La cultura del
‘primitivo’ si sgrana così come filogenesi dell’umanità storica.
a cura di ferdinando dubla
Subaltern
studies Italia
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anche:
Ma
questo mondo non è più magico. De Martino, guerra e 'dramma della presenza'
La
magia di De Martino - il musicologo Alessandro Portelli rilegge Ernesto de
Martino