Subaltern studies Italia

L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

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mercoledì 26 febbraio 2025

ESTERNO GIORNO: la trattativa per salvare la vita di Moro era possibile

 



ESTERNO GIORNO

Mario Scialoja, giornalista de l’Espresso quando era l’Espresso, autore del libro “A viso aperto”, in cui nel 1994 fa ricostruire allo stesso Renato Curcio, fondatore delle Brigate Rosse, la storia dal punto di vista dell’organizzazione armata, ha riproposto una sua intervista a Franco Piperno, recentemente scomparso, militante e teorico dell’Autonomia rifugiato, all’epoca dell’intervista (23 dicembre 1984) in Canada. È importante, questa intervista, per una serie di ragioni. Piperno è testimone diretto e attendibile della ‘trattativa’ che poteva salvare la vita dell’on. Moro, senza le immaginifiche ricostruzioni complottarde nelle inchieste farlocche delle commissioni parlamentari. Ebbe infatti una funzione di ‘pontiere’. Il partito della ‘fermezza’ statolatrica da un lato, congiunzione della ‘difesa dello Stato democratico’ della DC e del PCI, dall’altra la richiesta di un ‘riconoscimento politico’ al nemico del tutto simbolico, in quanto il ‘riconoscimento politico’ era stato comunque conquistato militarmente con la strage di via Fani a colpi di mitra e morti ammazzati e rapimento. Non ebbe esiti questo tentativo di Piperno e l’Autonomia di farsi latori, per il tramite di Morucci e Faranda ormai eretici bierre e di Claudio Signorile per il PSI, di uno sbocco politico che avrebbe salvato la vita dell’onorevole, rappresentante paradossalmente ‘il cuore dello Stato’. Quello Stato che di lì a poco avrebbe trattato con il partito-guerriglia di Senzani, un movimento prepolitico selvaggio e criminogeno scissionista, infiltrato dalla camorra, alleato della criminalità organizzata, che permise, a suon di miliardi di riscatto, siamo nel luglio 1981, di liberare Ciro Cirillo, già Presidente della Regione Campania. L’Unità e il PCI aprirono allora un’inchiesta giornalistica, ma era troppo tardi per cambiare politicamente la ‘linea della fermezza’. Approfondiremo prossimamente questo importante snodo, che è tutto politico. / fe.d 

L'INTERVISTA DI MARIO SCIALOJA A FRANCO PIPERNO IN CANADA (23 dicembre1984)

di Mario Scialoja

Nel mio post del 15 gennaio 2025, in occasione della morte di Franco Piperno, ho raccontato, tra molto altro, di averlo intervistato in Canada, ma che non riuscivo a rintracciare l'articolo. Un mio gentile ex collega dell'Espresso, molto più attrezzato di me, dopo aver letto, mi ha mandato fotocopia dell'intervista fatta a Montreal.

Faccio notare che è datata 23 dicembre 1984, assai prima che cominciassero a fiorire libri di tutti i tipi sulle Brigate Rosse, tra cui spericolate narrazioni dietrologiche e complottistiche.

Penso possa essere interessante pubblicare dei passaggi di quella testimonianza.

"Giaccone imbottito, sovrascarpe di gomma contro la poltiglia nevosa che già da tempo copre la città, quando Franco Piperno entra nell'albergo appare assolutamente mimetizzato. Si trova in Canada da più di tre anni...".

Durante il sequestro Moro lei collaborò con i socialisti, presentandosi come qualcuno che poteva far arrivare messaggi alle BR e ricevere segnali sugli umori dei brigatisti...

" Non sono io che mi sono presentato ai socialisti, ma loro che mi hanno cercato. Accettai di collaborare al loro tentativo di salvare la vita di Moro perché mi sembrava che in gioco non c'era solo un fatto umanitario, ma anche il futuro di tutto il Movimento nato col '68. Durante i 55 giorni del sequestro non ho avuto incontri diretti con nessun dirigente BR, ivi compreso Morucci. Però in quel periodo alcuni militanti di Potere Operaio erano entrati nelle BR pur continuando a mantenere dei collegamenti con i vecchi compagni. Era quindi relativamente facile far arrivare e ricevere messaggi...".

E' stato detto che lei si incontrò con Mario Moretti e che lui, durante una vivace discussione, la minacciò con una pistola.

"Non mi sono mai incontrato con Moretti durante il sequestro. L'avevo conosciuto anni prima e l'ho rivisto dieci mesi dopo la morte di Moro. Durante quell'incontro Moretti tentò di giustificare l'uccisione del leader democristiano sostenendo che le BR non avevano avuto scelta: secondo lui l'irremovibile rigidità della Dc e del PCI non avevano lasciato nessuno spazio di manovra. Ovviamente, i nostri punti di vista divergevano, ma la discussione fu pacata e non venne fuori nessuna pistola." ...

Moretti e Morucci hanno affermato che "la vita di Moro fu salvabile fino all'ultimo". Alcuni pentiti invece affermano che la sua uccisione era decisa fin dall'inizio...

"Tutti i segnali che mi sono arrivati durante il sequestro  stavano ad indicare che una trattativa era possibile. Addirittura, nei primi giorni di maggio, quando ero in contatto con Claudio Signorile, avevo avuto la sensazione che una soluzione positiva era vicinissima, a portata di mano...

Mi risulta che in quei 55 giorni all'interno delle BR la discussione su come gestire il sequestro fu una discusswione reale e non fittizia. Voglio dire che non vi eraq un esito prefissato. Quanto alle affermazioni dei pentiti che sostengono che Moro era comunque condannato a morte, sono convinto che più che di testimonianze si tratti di ricostruzioni di comodo ad uso del partito della fermezza che tenta così di legittimare il suo rifiuto di qualsiasi tentativo di salvare la vita di Moro"

....

"Mi sono incontrato con Signorile tre o quattro volte. La prima, nella secona metà di aprile, a casa del direttore del vostro giornale Livio Zanetti. Le altre volte a casa di un comune amico. Signorile mi presentò la proposta studiata dai socialisti : liberazione di un paio di detenuti politici per motivi di salute e alleggerimento del regime delle carceri speciali...Fu durante il terzo incontro, all'inizio di maggio, che una soluzione sembrò delinearsi. Signorile aveva parlato con Fanfani, spiegandogli che era fondamentale dimostrare una disponibilità a stabilire un dialogo pubblico con le BR. Fanfani si disse d'accordo, "per salvare la vita all'amico Moro", ad esprimere una sua disponibilità in occasione di un comizio elettorale che doveva aver luogo nel pomeriggio di domenica 7 maggio...

Purtroppo, domenica mattina Signorile mi fece avvertire che la dichiarazione non l'avrebbe fatta Fanfani, ma il senatore Giuseppe Bartolomeo.

La sera sentii in televisione i farfugliamenti di Bartolomeo e capii che la situazione non poteva che precipitare. Ma non potevo fare niente perché non avevo la possibilità di stabilre un contatto con i brigatisti a mio piacimento. Se avessi potuto, gli avrei suggerito di attendere il discorso di Fanfani previsto per martedi mattina, alla direzione DC.

Ricostruendo la vicenda col senno di poi mi convinco sempre di più che per salvare Moro mancò pochissimo: resta per me un mistero perché Fanfani non pronunciò quella piccola frase che avrebbe potuto salvare una vita".

Il pentito Carlo Bozzo, ex brigatista della colonna genovese, ha detto in un'intervista all'Espresso, che "un autorevole esponente del PSI si sarebbe incontrato con Moretti in una villa fuori Roma per tantare la liberazione". Lei ne sa qualcosa ?

"Non escludo affatto la possib ilità che leader BR si siano incontrati durante il sequestro con dirigenti del PSI. In quei 55 giorni, infatti, i brigatisti attivarono tutti i loro contatti possibili col mondo politico proprio perché erano interessati a trattare e ottenere un risultato. Credo però di poter escludere che un leader BR come Moretti si sia incontrato in quei giorni con Craxi o Signorile".

Perché dice questo ?

"Perché se Signorile avesse visto Moretti non avrebbe avuto bisogno di me. Quanto a Caxi, quando lo incontrai un paio di mesi dopo l'uccisione di Moro, ebbi la precisa impressione che la sua conoscenza, o meglio mancata conoscenza, del fenomeno brigatista escludesse dei suoi precedenti colloqui con personaggi come Moretti"

Come mai lei vide Craxi ?

"Su sua iniziativa. Mi fece sapere che era interessato a parlarmi...Il colloquio durò più di due ore. Mi espose la sua convinzione che la lotta armata in Italia fosse segretamente diretta da "potenze straniere". Usava associazione di fatti e circostanze assolutamente fragili e anche sbagliate. Più che capire il fenomeno terroristico, sembrava interessato a darne una lettura che fornisse degli spunti in chiave anti-PCI. Rimasi sconcertato dalla sua disinformazione...Io tentai di esporgli un punto di vista più realista: il carattere assolutamente endogeno della lotta armata in Italia. Le mie affermazioni sembrarono deluderlo."






L’ESISTENZIALE È POLITICO: “Diego” - “Emilio” e Antonio Savasta 






INCHIESTA SOCIALE

La ricerca storico-politica come inchiesta sociale: le ‘ali di piombo’ in Occidente. #SubalternstudiesItalia



venerdì 21 febbraio 2025

PERDERSI PER SALVARSI. NELLA STORIA / soggettivazione ed ‘escatologia’ dei subalterni in Walter Benjamin ed Ernesto De Martino (1)

 


Walter Benjamin ed Ernesto de Martino 


“Essere perduti nel mondo… Questo esser perduti si configura come un “negativo” da cui riscattarsi: la fenomenologia indica la Weltvernichtung, la epoché, come la “via” per questo riscatto. Eppure questo “negativo” è in realtà un positivo, e questo oblio racchiude una liberazione: l'”oblio del mondo” è un momento necessario del “progetto comunitario dell’utilizzabile”, progetto che comporta tra l’altro la salutare possibilità di dimenticare.”

E.de Martino, La fine del mondo, Einaudi, 1977, pp.64445

Quando i  percorsi di liberazione collettivi costituiscono atto rivoluzionario

Escatologia è termine prevalentemente teologico, una delle ancelle degli dei nella filosofia.

Ma con escatologia (dal greco antico ἔσχατος éskhatos 'ultimo') si indica una dottrina volta a indagare il destino ultimo del singolo individuo, dell'intero genere umano e dell'universo; escatologica è dunque la ‘salvezza’ degli ultimi. I subalterni. I subalterni, la classe degli ultimi ai margini della storia, soggetto dell’analisi gramsciana del Q.25, non avranno mai storia se non prendono coscienza (e dunque organizzazione) della loro subalternità. Costruire la prospettiva storica dell’escatòn, come lo chiama Ernesto de Martino, è la stessa redenzione dei vinti delle tesi sulla storia di Walter Benjamin.

 

cfr. http://ferdinandodubla.blogspot.com/2021/04/lescaton-dei-subalterni-subaltern.html

 

Le pagine culturali del quotidiano cattolico Avvenire si rivelano molte volte  feconde di stimoli culturali in ottica ‘subalternista’, come questo articolo di Gianni Vacchelli su Walter Benjamin (pubblicato l'11 marzo  2023 ”Walter Benjamin: la storia è redenzione dei vinti”)

https://www.avvenire.it/agora/pagine/benjamin-la-storia-redenzione-dei-vinti

 

“La critica radicale di Benjamin al progresso, alla storia lineare e a ogni storicismo (da quello hegeliano alla banalizzazione positivista o socialdemocratica) porta ad un’altra concezione del tempo, dove il passato è attivo, feconda il presente ed è da esso stesso modificato. L’eredità benjaminiana è immensa e ci invita a «riaprire la storia», Ellacuría direbbe a «rilanciarla in un’altra direzione», che non abbia al centro la cupidigia del capitale, ma una debole e insieme forte rammemorazione messianica, che si incarna anche in noi, come singoli e come generazioni coscienti della nostra responsabilità di liberazione dei piccoli, degli oppressi, dei vinti. In tre proposte sull’autore tedesco si va dalla celebre opera sull’arte al raffronto con altri pensatori Fino alle consonanze con la teologia della liberazione. Nella riflessione di Löwy il concetto di “rammemorazione messianica” invita a rilanciare le responsabilità del presente in un’altra direzione rispetto alla cupidigia del capitale, come sosteneva Ellacuría”, [estratto]

 

Walter Benjamin (Berlino, 15 luglio 1892 – Portbou, 26 settembre 1940) è stato un filosofo, scrittore, critico letterario e traduttore tedesco; si è occupato di epistemologia, estetica, sociologia, misticismo ebraico e materialismo storico. Il lavoro di Benjamin, riconosciuto postumo, ha influenzato filosofi (quali Theodor Adorno, György Lukács e Hannah Arendt), mistici (come Gershom Scholem) e drammaturghi (come Bertolt Brecht).

Tra la fine del 1939 e il maggio del 1940 scrive le “Tesi di filosofia della storia” (Über den Begriff der Geschichte), il suo ultimo lavoro e testamento spirituale. Le Tesi avrebbero dovuto essere l'introduzione del Passagen-Werk, che Benjamin non poté completare e che grazie a Georges Bataille fu nascosto e conservato alla Bibliothèque Nationale.  Gli abbozzi furono trovati da Giorgio Agamben nel 1981 alla Bibliothèque Nationale tra le carte di Bataille e furono pubblicati in Italia da Einaudi, prima nel 1986 con il titolo Parigi, capitale del XIX secolo e poi nel 2000 con il titolo I «passages» di Parigi.

“Nell’idea di felicità, in altre parole, vibra indissolubilmente, l’idea di redenzione. Lo stesso vale per la rappresentazione del passato, che è il compito della storia. Il passato reca seco un indice temporale che lo rimanda alla redenzione. C’è un’intesa segreta fra le generazioni passate e la nostra. Noi siamo stati attesi sulla terra. A noi, come ogni generazione che ci ha preceduto, è stata data in dote una <debole > forza messianica, su cui il passato ha un diritto. Questa esigenza, non si lascia soddisfare facilmente. Il materialismo storico lo sa”. Walter Benjamin

da Tesi di filosofia della storia, ed.dig. Mimesis, 2012, tesi 2 pos.30

 




L’inserimento di Walter Benjamin tra gli autori degli studi subalterni si trova primariamente nella comparazione tra l’escatòn (riscatto) contro la crisi della presenza che abdica “senza compenso“, categoria dell’antropologia filosofica di Ernesto de Martino e la redenzione dei vinti, dei subalterni, nel filosofo berlinese; che combatte lo storicismo dell’”astuzia della ragione” hegeliana, perchè il materialismo, ‘storico’ appunto, sappia guardare oltre il possibile razionale e fondi un’escatologia per la liberazione, individuale solo perchè collettiva.

“La tradizione degli oppressi ci insegna che lo «stato di emergenza» in cui viviamo è la regola. Dobbiamo giungere a un concetto di storia che corrisponda a questo fatto. Avremo allora di fronte, come nostro compito, la creazione del vero stato di emergenza; e ciò migliorerà la nostra posizione nella lotta contro il fascismo. La sua fortuna consiste, non da ultimo in ciò: che i suoi avversari lo combattono in nome del progresso come di una legge storica. Lo stupore perché le cose che viviamo sono «ancora» possibili nel ventesimo secolo è tutt’altro che filosofico. Non è all’inizio di nessuna conoscenza, se non di quella che l’idea di storia da cui proviene non sta più in piedi.”, Walter Benjamin, tesi 8. cit. vedi supra.

“Quando è il negativo a prevalere, e questo accade in fasi particolarmente drammatiche dell'esistenza umana (come la morte di una persona cara), può manifestarsi una crisi radicale, una “funesta miseria esistenziale”, per cui l’ethos del trascendimento non riesce più a risolvere la crisi nel valore e la mancata valorizzazione fa perdere anche l’operabilità sul reale. L’attività etica della valorizzazione è necessaria per impedire la destrutturazione dell'esserci”, in quanto il “vitale” vede per intero invaso il suo spazio, quello dell’intersoggettività e il rapporto con il mondo. Avviene allora che “la presenza abdica senza compenso”.,

Ernesto de Martino, Il mondo magico, 1948, ed. Einaudi, pag.43.

 

“C’è un quadro di Klee che s’intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infinito. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso è questa tempesta.”, Walter Benjamin, tesi 9 cit. vedi supra.  



Angelus Novus è un acquerello dipinto nel 1920 da Paul Klee, conservato presso il Museo d'Israele, a Gerusalemme  


 Per entrambi, De Martino e Benjamin, il contrario di ‘riscatto’, escatòn, è ‘apocalissi’, di ‘redenzione’ è catastrofe.

 

QUANDO “LA PRESENZA ABDICA SENZA COMPENSO” in Ernesto de Martino

La presenza è un soffio effimero che il mondo rischia, in ogni momento, di inghiottire e di vanificare.

- La categoria di ‘crisi della presenza’ ne ‘Il mondo magico’, l’opera del 1948 che mette in interlocuzione l’antropologia italiana con l’antropologia culturale internazionale, da Ernesto de Martino, nel secondo capitolo,  viene messa in relazione allo ‘stato’ o ‘condizione olon’ studiata da S. M. Shirokogoroff in The Psychomental Complex of the Tungus (London 1935).

Una condizione osservata nei Tungusi, ma dello stesso tipo in altri popoli, chiamata latah dai Malesi, irkunii dagli Yukagiri, amurak dagli Yakuti, menkeiti dai Koriaki, imu dagli Ainu. È un comportamento di imitazione, una ‘coinonia’, cioè un’unione (la koinè greca classica) con gli altri, come il ripetere gesti e parole dette da altri spossessandosi di sè oppure imitando la natura, diventando albero o foglia o elemento naturale perdendo la propria identità. Non c’è più soggettivazione culturale, ma il perdersi. Un perdersi nel non-esser/ci nel nulla di uno stato di natura che imita sì, ma la morte della persona. Ma è questa vertigine del nulla la base di una ri-soggettivazione per il tramite dell’appartenenza rituale, di un riscatto (escatòn) della presenza collettiva dell’esser/ci nel mondo, primo tassello per l’uscita dalla natura e l’entrata nella storia per mezzo della cultura.

“Se analizziamo lo stato olon, ravvisiamo, come suo carattere, una presenza che abdica senza compenso. Tutto accade come se una presenza fragile, non garantita, labile, non resistesse allo choc determinato da un particolare contenuto emozionante, non trovasse l’energia sufficiente per mantenersi presente ad esso, ricomprendendolo, riconoscendolo e padroneggiandolo in una rete di rapporti definiti. In tal guisa il contenuto è perduto come contenuto di una coscienza presente. La presenza tende a restare polarizzata in un certo contenuto, non riesce ad andare oltre di esso, e perciò scompare e abdica come presenza.”

“Infatti il semplice crollo della presenza, la indiscriminata coinonia, lo scatenarsi di impulsi incontrollati, rappresentano solo uno dei due poli del dramma magico: l’altro polo è costituito dal momento del riscatto della presenza che vuole esserci nel mondo. Per questa resistenza della presenza che vuole esserci, il crollo della presenza diventa un rischio appreso in un’angoscia caratteristica: e per il configurarsi di questo rischio la presenza si apre al compito del suo riscatto attraverso la creazione di forme culturali definite. Per una presenza che crolla senza compenso il mondo magico non è ancora apparso; per una presenza riscattata e consolidata, che non avverte piú il problema della sua labilità, il mondo magico è già scomparso. Nel concreto rapporto dei due momenti, nella opposizione e nel conflitto che ne deriva, esso si manifesta come movimento e come sviluppo, si dispiega nella varietà delle sue forme culturali, vede il suo giorno nella storia umana”.

Ernesto de Martino, Il mondo magico, cit. da ed. digitale su ed. Einaudi 2021 curata da Marcello Massenzio, 2022, pp. 167-169. In nota de Martino cita autori come Lévy-Bruhl, E. Cassirer, L. Klages, H. Werner, R. Thurnwald.

La cultura del ‘primitivo’ si sgrana così come filogenesi dell’umanità storica.

a cura di ferdinando dubla

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In questo blog trovi anche:

Ma questo mondo non è più magico. De Martino, guerra e 'dramma della presenza'

 

La magia di De Martino - il musicologo Alessandro Portelli rilegge Ernesto de Martino  






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lunedì 10 febbraio 2025

CLASS WRITING

 



“Ma i fatti che hanno maturato vengono a sfociare; ma la tela tessuta nell’ombra arriva a compimento: e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto, del quale rimangono vittima tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente.“, da Antonio Gramsci, Odio gli indifferenti, Chiarelettere, Milano, 2011

 

Il ruolo di avanguardia di classe si conquista sul campo, non è un a-priori. La testimonianza diretta e memorialistica di Dario Salvetti, la lettura del suo prezioso testo, consente anche di interrogarci sulla necessità unitaria dell’avanguardia politica di una sinistra antagonista al sistema che sappia rendere centrale la lotta delle classi subalterne, la loro riunificazione per la trasformazione sociale contro gli assetti capitalisti dell’egemonia del capitale finanziario e contro l’imperialismo delle guerre contro i popoli.

 

AVANGUARDIA DI CLASSE, AVANGUARDIA OPERAIA

“la prepotenza di un capitalismo sempre più selvaggio e allergico a qualsiasi regola, persino autoimposta; le conseguenze sulla vita delle persone, anche in termini di salute; il modo stesso di intendere il lavoro, mattone fondativo del Paese, secondo la Costituzione, ma nella realtà sempre più lontano da come viene definito ampiamente in quelle pagine, tanto celebrate quanto disattese. «La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, una attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società» recita l’articolo 4, gettato a mare anche più di altri.”,  



Dario Salvetti, operaio metalmeccanico e delegato sindacale Fiom, parte del Collettivo di fabbrica della ex Gkn di Campi Bisenzio (Firenze). Autore, con Gea Scancarello, di “Questo lavoro non è vita - La lotta di classe nel XXI secolo -Il caso GKN“, Fuori Scena, 2024. *

* Tutti i proventi dell’autore Dario Salvetti andranno alla Cassa di

Mutuo soccorso del Collettivo di fabbrica della ex Gkn e della Soms Insorgiamo (Aps Società operaia Mutuo soccorso Insorgiamo).

 

CLASS WRITING

 

Raccontare la storia della lotta degli ex Gkn, dei suoi principi e degli attacchi che ha ricevuto è un modo per non restare indifferenti, per reagire alla violenza di questo capitalismo, per ripartire dalla giustizia sociale con l’obiettivo di disegnare una società diversa. La ricchezza di questa vicenda ci ha posto il problema di come restituirla: oltre tre anni di vertenza affondano le proprie ragioni almeno nei trent’anni precedenti. Di fronte a una simile mole di informazioni, ma anche al bisogno di conoscere la riflessione intima di chi si è trovato in prima linea nella lotta, abbiamo deciso di lasciare la briglia libera alle parole. Nasce così la conversazione con uno dei molti protagonisti della battaglia, l’operaio metalmeccanico specializzato Dario Salvetti: lavoratore licenziato, lontanissimo da qualsiasi protagonismo che non sia quello del risveglio di classe, portatore della propria visione, inserita in una storia collettiva che veicola insegnamenti universali. dalla prefazione

 

Can the working class speak?  Intervista a Dario Salvetti, Collettivo Di Fabbrica - Lavoratori Gkn Firenze

https://youtu.be/NZ0gzIipz08?si=yDmq_C_ooDux4bjA

 

In questo blog:

 

LA CLASSE OPERAIA VA ALL’INFERNO: LA "PALAZZINA LAF" DI MICHELE RIONDINO  

 

 

NON C’È PACE TRA GLI ALTOFORNI_SUL ROMANZO OPERAIO DI FABIO BOCCUNI

 


 


INSORGIAMO di Zerocalcare  


venerdì 7 febbraio 2025

La dalìt e la fattucchiera - SUBALTERN STUDIES I - l'effige

 


L’anziana Dalit addormentata è simbolo di Subaltern studies I edito da Ranajit Guha a Delhi nel 1982

 

Il fotografo autore dello scatto è Sanjeev Saith nato a New Delhi nel 1958. (foto) 




Sanjeev Saith ha studiato alla St. Columba’s High School, al St. Stephens College e alla Delhi School of Economics e poi ha scalato l’Himalaya per diversi anni, guadagnandosi da vivere vendendo le sue fotografie di montagna. Negli ultimi vent'anni, le sue fotografie sono state pubblicate, esposte e collezionate da diverse gallerie e musei internazionali tra cui la National Gallery of Modern Art, Nuova Delhi, il Museum of Modern Art, New York e la Photographers' Gallery, Londra. La sua collezione di ritratti, “Libertà”, è apparsa in Granta 57.

https://granta.com/contributor/sanjeev-saith/

vedi anche: http://ferdinandodubla.blogspot.com/2021/12/ranajit-guha-e-i-subaltern-studies.html

• sistema delle caste in India. La società indiana era divisa in quattro caste, in ordine di “importanza”: sacerdoti (brahmana), guerrieri (ksatriya), mercanti e artigiani (vaisya), servi (sudra). Infine, venivano i paria o intoccabili (dalit). Nel tempo, questi gruppi si articolarono in un complesso sistema di sotto-caste. Si appartiene a una casta fin dalla nascita.

 • L’induismo. Il sistema delle caste era giustificato dai precetti etici e religiosi propri dell’Induismo. I precetti imponevano a un individuo di assolvere e rispettare unicamente i doveri specifici della propria casta di appartenenza. La possibilità di una successiva rinascita e reincarnazione in una casta superiore era vincolata all’adempimento di tali doveri.

 • Un sistema inviolabile. È possibile passare a una casta superiore soltanto con la reincarnazione. Tra le varie caste regnava una precisa separazione. Al punto che qualsiasi tipo di contatto (anche solo parlarsi) tra membri di caste diverse era assolutamente proibito.

 • Dalit, paria, intoccabili. La traduzione corretta del termine dalit è “oppressi”. Si tratta della casta più bassa. I dalit sono stati chiamati intoccabili perché a loro spettavano le mansioni considerate impure: quelle a contatto con la nascita (come le ostetriche), la morte (macellaio, conciatore di pelli) o la sporcizia (lavandaia, netturbino). Il termine “paria” deriva da Paraiyan, uno dei gruppi dalit più numerosi.

 • Diritti negati. Gli intoccabili devono vivere isolati dal resto della comunità, perché possono rendere impuro un membro di un’altra casta anche solo sfiorandolo con lo sguardo. Le loro “case” si trovano al di fuori del villaggio. I dalit non possono utilizzare strade e fontane pubbliche, entrare in negozi frequentati dalle caste più alte, leggere e studiare i Veda (testi sacri).

 • L’abolizione. Ufficialmente, il sistema delle caste è stato abolito nel 1947, anno in cui l’India ha ottenuto l’indipendenza. In realtà, e soprattutto nelle aree rurali del Paese, i dalit sono ancora vittime di abusi ed emarginazione.

da Actionaid.it

https://academia.edu/resource/work/112536674  



“La fattucchiera di Colobraro”, alias Maddalena La Rocca, foto di Franco Pinna per la spedizione di Ernesto de Martino in Lucania-Basilicata nel 1952, non doveva incutere il timore della ‘strega’. ‘Strega’ benevola infatti la guaritrice, taumaturga dei malanni, anche quelli esistenziali o che erano provocati dagli stati d’animo sul corpo riarso dal sole dei contadini e delle contadine. La sua somiglianza alla ”vecchia dormiente” presente nel logo dei Subaltern studies internazionali,  è davvero significativa.

Come spiega de Martino, nella bassa magia cerimoniale del meridione, il malocchio è inteso come influenza maligna che si genera dallo sguardo invidioso che produce effetti negativi sulla persona osservata, in brevissimo tempo.  La ritualità era fondamentale nei gesti e nelle parole, molto più efficace degli oggetti materiali. Ritualità poi codificata nei simboli e liturgie religiose.

La fascinazione è invece, lo stato sintomatologico di impedimento dovuto alle forze occulte sprigionate che lasciano senza margine l’autonomia della persona. Il trattamento della fascinatura (o affascino o malocchio) si fonde su di un intervento cerimoniale ad hoc, fatto di formule, gesti e di stati oniroidi controllati dalle fattucchiere-guaritrici che ripetono un modello metastorico di cancellazione dei mali, invocando la SS. Trinità. Si rimanda però nello specifico alla lettura di Ernesto de Martino, Sud e magia, Milano 1959.

 

Su Franco Pinna in questo blog:

 

GLI OCCHI DI DE MARTINO - Franco Pinna e la fotografia come storia 

 

 

LE TERRE del SILENZIO nella fotografia etnografica di FRANCO PINNA

 

 

 

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l'anziana dalìt è tra Antonio Gramsci e lo sguardo di Ernesto de Martino


mercoledì 5 febbraio 2025

GLI OCCHI DI DE MARTINO - Franco Pinna e la fotografia come storia

 


Maddalena La Rocca, "la fattucchiera" di Colobraro,  foto Franco Pinna, 1952 


Le fotografie di Franco Pinna fanno da commento visivo agli scritti dell’antropologo e filosofo Ernesto de Martino durante le spedizioni in Lucania dal 1952 al 1956 e nel Salento del 1959, poi confluite nelle opere “Morte e pianto rituale nel mondo antico”, “Sud e magia”, “La terra del rimorso”, detta anche ‘trilogia meridionalista’ e considerate classiche del pensiero meridiano su scala internazionale. Per rendere centrale lo sguardo etnologico, il fotografo deve compenetrarsi nelle categorie concettuali introdotte dal ricercatore partenopeo già dallo scritto “Il mondo magico” del 1948, in particolare la ‘crisi della presenza’ e la ‘destorificazione del negativo’ che Pinna deve trasformare da astratte a concrete, fermando il tempo storico con la macchina fotografica Leica e “senza corredi sofisticati”, come scriverà  Diego Carpitella. Con Franco Pinna nacque la fotografia etnologica in Italia, con Franco Pinna la fotografia entrò sia nel movimento culturale neorealista sia nelle visioni oniriche di Federico Fellini. / fe.d.

 

Cosa fu, infatti, la documentazione sociale-visiva (e sonora, aggiungerei) americana degli anni della crisi e del conseguente progetto roosveltiano? Partiva dal presupposto  quacchero e moralistico, che bisognasse documentare la realtà per denunciarla e quindi trasformarla.

Che questi presupposti di missione sociale, e politica, fossero anche nelle spedizioni di de Martino, negli Anni '50, non vi è alcun dubbio: dietro non ci sarà stato il moralismo protestante di un paese spiccatamente industriale, ma c'era invece tutto il tormento della questione meridionale, che, attraverso solo pochi attendibili scrittori o le notarili inchieste, da quelle napoleoniche a quelle postunitarie, volevano documentare una realtà: i poveri, i contadini poveri, il latifondo, la fatica, la povertà, materiale e psicologica, l'ingiustizia sociale, la mediazione del potere attraverso il clero, anch'esso sovente povero. Questo intendimento vi era dietro la facciata, apparentemente più intellettuale ed erudita, dei viaggi etnografici in Lucania, Calabria e Puglia degli anni ‘50, ai quali Pinna partecipò costantemente.

Diego Carpitella, Franco Pinna e la fotografia etnografica, in "La Ricerca Folklorica" (https://www.jstor.org/journal/ricefolk) No. 2, Antropologia visiva. La fotografia (Oct., 1980), pp. 69-74

 

Franco Pinna (1925-1978), collaborò tra il 1952 e il 1959 con Ernesto de Martino che, proprio in quegli anni, stava realizzando uno studio multidisciplinare in Lucania-Basilicata.

Lucania*-Basilicata.

*[riconducibile alla radice protoindoeuropea *leuk-. Una leggenda vuole che il nome fosse dato da un popolo diretto verso Sud (probabilmente genti centro-italiche di lingua ‘osca’) una volta giunto in una terra dalla quale si vedeva sorgere il sole, e che il nome Lucania indicasse quindi "terra della luce"].

La straordinaria Lucania nelle foto di Franco Pinna

Pinna è stato un fotogiornalista tanto atipico quanto riconoscibile nell’Italia del secondo Novecento. Fotorepoter, certo, ma anche direttore della fotografia, militante del partito comunista, nonché fondatore di una sorta di “Magnum" all'italiana, la cooperativa Fotografi Associati e, prima della sua precoce scomparsa nel ’78, uno dei fotografi di scena prediletti dal maestro Federico Fellini.

L’occasione la offre il nostro Archivio, che tra i suoi tesori conserva fotografie di Pinna scattate in Basilicata durante gli anni di collaborazione con l’etnologo Ernesto de Martino. (..)

I ritratti ambientati di Pinna fanno da commento visivo agli scritti di De Martino e soprattutto contribuiscono a diffondere, per la prima volta, un'immagine diversa e meno stereotipata del Sud Italia. Ad affascinare Pinna è in particolare il mondo della campagna, ritenuto quasi arcaico. Le scene sono ritratte con un'impronta neorealista.

cfr. LA STRAORDINARIA LUCANIA DI FRANCO PINNA NELLE FOTO DEL NOSTRO ARCHIVIO, di Fabrizio Milanesi, Touring Club Italiano, febbraio 2020, https://www.touringclub.it/notizie/archivi-touring/la-straordinaria-lucania-di-franco-pinna-nelle-foto-del-nostro-archivio

 

 

Il rapporto con de Martino fu conflittuale * ma portò alla maturazione del linguaggio stilistico di Franco Pinna, dal foto-testo al fotodocumentario tipico di “Cinema Nuovo”, rivista cinematografica italiana fondata da Guido Aristarco nel 1952 e principale strumento critico culturale del neorealismo.

* cfr. in questo blog

LE TERRE del SILENZIO nella fotografia etnografica di FRANCO PINNA

 


Leica, la macchina fotografica di Franco Pinna per le spedizioni con Ernesto de Martino, nelle tipologie 1950 (sopra) e 1956 


LA SCOPERTA FOTOGRAFICA DEL SUD ITALIA

Dalla collaborazione fra Franco Pinna e de Martino nasceranno alcuni volumi come "Sud e Magia", del 1959, e "la Terra del Rimorso" del 1961. I ritratti ambientati di Pinna fanno da commento visivo agli scritti di de Martino e soprattutto contribuiscono a diffondere, per la prima volta, un'immagine diversa e meno stereotipata del Sud Italia. Ad affascinare Pinna è in particolare il mondo della campagna, ritenuto quasi arcaico.(..)

”La fattucchiera di Colobraro”, foto scattata nell’ottobre 1952  è una delle piu’ celebri foto di Pinna, diventata poi rappresentativa dell’intero movimento neorealista italiano. La sua somiglianza alla ”vecchia dormiente” presente nel logo dei Subaltern studies internazionali,  è davvero significativa. (foto in fondo alla pagina)

Foto e riti del mondo antico: Pinna, de Martino e la fattucchiera

Nel 1952 Franco Pinna, collaborando alle indagini condotte da Ernesto de Martino nell’entroterra della Lucania, realizzò una serie di fotogrammi nei quali ritrasse Maddalena La Rocca, fattucchiera del piccolo centro isolato di Colobraro, a pochi chilometri da Matera: il ritratto, potente e nero, di un’anziana vedova vestita a lutto, i cui giovani figli e il marito le erano stati strappati dall’ultimo conflitto mondiale. La fotografia in questione fu pubblicata in: Ernesto de Martino, “Sud e magia”, Milano,1959. 



Una madre culla il figlio nella "naca", la caratteristica culla di Albano di Lucania (1952) / foto Franco Pinna 




Ernesto de Martino sale verso Albano di Lucania in groppa ad un mulo guidato da un contadino del posto. È l’11 agosto 1956.  Della spedizione fa parte anche Franco Pinna, giovane fotografo trentenne, che seguiva l’antropologo partenopeo dal 1952. Sardo d’origine, romano d’adozione, Pinna inaugurò la fotografia etnologica in Italia., ma non solo. Oltre che con de Martino, con cui i rapporti si deteriorarono dopo la pubblicazione de “La terra del rimorso” nel 1961, in cui non vennero citati i suoi crediti (lo stesso de Martino aveva fatto con Scotellaro dieci anni prima), collaborò con il regista Federico Fellini. Realizzerà infatti le foto di scena del capolavoro felliniano “Giulietta degli spiriti” nel 1965. 



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