lunedì 26 marzo 2012
Comunicato Stampa ex lavoratori ThyssenKrupp_L'Italia è una Repubblica (af)fondata sul lavoro
Sull'Art. 18 e i morti sul lavoro, l'unico settore che non conosce crisi.
Il Governo Monti, incarnazione di uno dei governi “tecnici” più autoritari e antipopolari visto negli ultimi anni, esecutore delle misure “lacrime e sangue” imposte da gruppi finanziari, banche e speculatori, continua con la linea dura lanciando l’ennesima offensiva contro i lavoratori con il tentativo di introdurre, tra le misure contenute nelle riforme del mercato del lavoro, il cosiddetto “licenziamento economico”, che di fatto cancella le tutele garantite dall’Art.18.
Facendo così il paio con le misure già introdotte dal piano Marchionne, che fa carta straccia dei diritti dei lavoratori, del CCNL e del principio di rappresentanza sindacale all’interno delle fabbriche. Misure imposte con il pretesto di uscire dalla crisi in cui sono coinvolti ormai (quasi) tutti i settori dell’economia.
L’unico settore che non sembra conoscere crisi è rappresentato dai morti sul lavoro: in media 4 al giorno con un inquietante aumento di suicidi tra lavoratori e imprenditori strangolati dai debiti (anche qui lo zampino delle banche). Mentre le misure repressive colpiscono sempre più pesantemente chi si batte per vigilare sulla sicurezza nei luoghi di lavoro: emblematico il caso di R. Antonini, licenziato da FS per aver prestato opera di consulenza in favore dei familiari delle vittime della strage ferroviaria di Viareggio e al quale va tutta la nostra stima e solidarietà. E sono già in preparazione nuove misure legislative (decreto legge 5/2012 art. 14) che smantellano i già inesistenti controlli nei luoghi di lavoro, sostituiti da semplici autocertificazioni rilasciate da enti esterni.
Per fortuna la risposta dei lavoratori a questi scempi non si è fatta attendere: assemblee, presidi, scioperi selvaggi e blocchi stradali hanno imposto un ripensamento al Governo che, dalla decretazione d’autorità, ripiega sulla discussione in Parlamento (disegno di legge).
Al di là del risultato che la discussione politica raggiungerà importante è rilevare il fatto che la mobilitazione dei lavoratori per la salvaguardia dei propri diritti (sanciti dalla Costituzione) è la giusta strada su cui occorre proseguire per contrastare tutte quelle misure antipopolari che il governo Monti ha approvato e per tutte quelle che tenterà di attuare in seguito per scaricare sui lavoratori tutto il peso della crisi.
La crisi non si risolverà certo con le misure adottate finora dal governo: tagli ai servizi, privatizzazioni e liberalizzazioni sfrenate, rispetto dei patti di stabilità, realizzazione di opere pubbliche inutili e dannose come la TAV, risanamento del debito pubblico creato dai pescicani della finanza e non certo dai lavoratori, maggiore flessibilità del mercato del lavoro. Essa si risolverà nella misura in cui la mobilitazione popolare, a partire dalla difesa dell’Art.18 - e più in generale per quella dei diritti, della democrazia e delle libertà democratiche - porrà la questione del lavoro sicuro e dignitoso per tutti come unica misura per uscire dalla crisi e della cacciata del governo Monti.
Per riprendere in mano l’iniziativa e toglierla a Marchionne, Monti e la Fornero aderiamo e invitiamo ad aderire, partecipare e promuovere in tutte le forme possibili l’importante giornata di mobilitazione Occupy Piazza Affari del 31 marzo a Milano indetta dal Comitato No Debito.
Torino, 26 marzo 2012 Ex lavoratori ThyssenKrupp Torino
Il Governo Monti, incarnazione di uno dei governi “tecnici” più autoritari e antipopolari visto negli ultimi anni, esecutore delle misure “lacrime e sangue” imposte da gruppi finanziari, banche e speculatori, continua con la linea dura lanciando l’ennesima offensiva contro i lavoratori con il tentativo di introdurre, tra le misure contenute nelle riforme del mercato del lavoro, il cosiddetto “licenziamento economico”, che di fatto cancella le tutele garantite dall’Art.18.
Facendo così il paio con le misure già introdotte dal piano Marchionne, che fa carta straccia dei diritti dei lavoratori, del CCNL e del principio di rappresentanza sindacale all’interno delle fabbriche. Misure imposte con il pretesto di uscire dalla crisi in cui sono coinvolti ormai (quasi) tutti i settori dell’economia.
L’unico settore che non sembra conoscere crisi è rappresentato dai morti sul lavoro: in media 4 al giorno con un inquietante aumento di suicidi tra lavoratori e imprenditori strangolati dai debiti (anche qui lo zampino delle banche). Mentre le misure repressive colpiscono sempre più pesantemente chi si batte per vigilare sulla sicurezza nei luoghi di lavoro: emblematico il caso di R. Antonini, licenziato da FS per aver prestato opera di consulenza in favore dei familiari delle vittime della strage ferroviaria di Viareggio e al quale va tutta la nostra stima e solidarietà. E sono già in preparazione nuove misure legislative (decreto legge 5/2012 art. 14) che smantellano i già inesistenti controlli nei luoghi di lavoro, sostituiti da semplici autocertificazioni rilasciate da enti esterni.
Per fortuna la risposta dei lavoratori a questi scempi non si è fatta attendere: assemblee, presidi, scioperi selvaggi e blocchi stradali hanno imposto un ripensamento al Governo che, dalla decretazione d’autorità, ripiega sulla discussione in Parlamento (disegno di legge).
Al di là del risultato che la discussione politica raggiungerà importante è rilevare il fatto che la mobilitazione dei lavoratori per la salvaguardia dei propri diritti (sanciti dalla Costituzione) è la giusta strada su cui occorre proseguire per contrastare tutte quelle misure antipopolari che il governo Monti ha approvato e per tutte quelle che tenterà di attuare in seguito per scaricare sui lavoratori tutto il peso della crisi.
La crisi non si risolverà certo con le misure adottate finora dal governo: tagli ai servizi, privatizzazioni e liberalizzazioni sfrenate, rispetto dei patti di stabilità, realizzazione di opere pubbliche inutili e dannose come la TAV, risanamento del debito pubblico creato dai pescicani della finanza e non certo dai lavoratori, maggiore flessibilità del mercato del lavoro. Essa si risolverà nella misura in cui la mobilitazione popolare, a partire dalla difesa dell’Art.18 - e più in generale per quella dei diritti, della democrazia e delle libertà democratiche - porrà la questione del lavoro sicuro e dignitoso per tutti come unica misura per uscire dalla crisi e della cacciata del governo Monti.
Per riprendere in mano l’iniziativa e toglierla a Marchionne, Monti e la Fornero aderiamo e invitiamo ad aderire, partecipare e promuovere in tutte le forme possibili l’importante giornata di mobilitazione Occupy Piazza Affari del 31 marzo a Milano indetta dal Comitato No Debito.
Torino, 26 marzo 2012 Ex lavoratori ThyssenKrupp Torino
sabato 24 marzo 2012
GRAMSCI, il revisionismo e la non conoscenza della storia
sull'inconsulto ennesimo attacco a Gramsci, che tenta con tutta evidenza di recidere la radice della tradizione teorica "nobile" ai comunisti italiani, oltre allo scritto di Gianni Fresu e Ferdinando Dubla sul numero di marzo di Lavoro Politico e alla serie di interventi mirati e puntuali pubblicati sul sito di Marx XXI°, un contributo breve ma efficace di Alberto Scanzi, presidente del Circolo Gramsci di Bergamo
GRAMSCI, il revisionismo e la non conoscenza della storia
In questi ultimi due mesi sono state scritte e pubblicate cose inverosimili, senza fondamento e anche offensive su Gramsci. Mi riferisco, anzitutto, al libro di Lo Piparo dove si sostiene che Gramsci sarebbe stato usato dal comunismo e che Togliatti, descritto all’occorrenza come suo carceriere, avrebbe addirittura fatto sparire un ‘Quaderno’ eretico.
Sembra quasi che Gramsci sia stato rinchiuso in un carcere sovietico mentre Mussolini stia facendo di tutto per liberarlo. E’ bene invece ricordare che Gramsci fu arrestato l’8/11/1926, a seguito delle leggi speciali contro le opposizioni e in violazione dell’immunità parlamentare, e condannato a 20 anni, 4 mesi e 5 giorni di reclusione da parte del Tribunale speciale fascista. Interpretazione, dunque, paradossale, già al centro di campagne storiografiche nei passati anni ottanta.
Nuova è invece la tesi che Togliatti avrebbe nascosto un “Quaderno” di Gramsci: scoop che Lo Piparo desume dalle contraddittorie testimonianze d’epoca, che parlano a volte di trenta, a volte di trentacinque, a volte di trentaquattro quaderni. Questa geniale deduzione è dunque sfuggita per tanti anni agli storici e a quasi settanta anni di interpretazioni.
Ecco, poi, geniale la bufala di Dario Biocca che sulla rivista “ Nuova storia contemporanea” sostiene, in un saggio, che Gramsci pur di ottenere la libertà si sarebbe appellato ad un articolo di legge che prevedeva il “ravvedimento” del detenuto; un Gramsci quindi che si sarebbe piegato al fascismo pur di ottenere la libertà, contro la tradizione che vuole il leader comunista sempre indisponibile a chiedere la grazia per rispetto dei suoi principi, dei compagni e della lotta antifascista. La prova starebbe nella stessa istanza formulata da Gramsci a Mussolini il 24 settembre 1934, nella quale il prigioniero si appellava all’art. 176 del Codice Rocco. Ma nell’art. 176 del codice fascista del 1931 il “ravvedimento” esisteva solo a discrezione di chi concedeva il beneficio e non richiedeva atti positivi o auto-emendativi, era quindi potestà del giudice concedere i benefici, e ciò in coerenza con la concezione poliziesca dello stato fascista. Come dimostra la documentazione già pubblicata da Paolo Spriano negli anni settanta, Gramsci si appella all’art. 176 per motivi di salute e buona condotta e non dichiara alcun ravvedimento, peraltro non richiesto.
Altra invenzione è il Gramsci mussoliniano del 1916, sul quale ha ricamato Veneziani, che descrive un Gramsci violento e nemico del riformismo, fraintendendo un saggio di Leonardo Rapone. Quegli articoli usciti dalla penna di Gramsci non vanno staccati dal loro contesto storico e non erano sicuramente meno violenti di quelli dei guerrafondai contro cui Gramsci si scagliava.
Certamente ognuno è libero di formulare nuove tesi, proporre nuove interpretazioni ma la storia è conoscenza e onestà intellettuale, pertanto l’immaginazione o l’invenzione teorica devono restarne assolutamente escluse.
Non credo sia in atto una sorta di complotto, né voglio invocare censure ma il costruire la storia con citazioni o fatti isolati, estrapolati dal contesto storico (come gli scritti di Gramsci del 1916 in piena lotta pro o contro la guerra) significa costruire una narrazione extra-storica e realizzare un’operazione di incultura storica.
No. Gli studiosi e gli storici non possono procedere in questo modo. In mancanza di documenti – persi, distrutti o non ancora trovati – non si può teorizzare che l’immaginazione sia autorizzata a percorrere le più disparate direzioni. Il Gramsci dei Quaderni è e resta oggi il pensatore italiano più studiato nel mondo per l’ampio respiro della sua analisi e delle sue idee. Certamente non fu interventista, non fu incarcerato da Togliatti, che anzi lo farà conoscere al mondo con la pubblicazione dei ‘Quaderni’ a partire dal 1948, mai si compromise con il fascismo e morirà proprio perché dimenticato nelle galere fasciste in una situazione psicofisica logora oltre ogni dire - colpito da emotisi, tubercolosi, arteriosclerosi e attacchi psicotici -lasciandoci un luminoso esempio di vita di intellettuale e politico.
pubblicato su Lavoro&Politica anno 2 n. 12 22 marzo 2012
GRAMSCI, il revisionismo e la non conoscenza della storia
In questi ultimi due mesi sono state scritte e pubblicate cose inverosimili, senza fondamento e anche offensive su Gramsci. Mi riferisco, anzitutto, al libro di Lo Piparo dove si sostiene che Gramsci sarebbe stato usato dal comunismo e che Togliatti, descritto all’occorrenza come suo carceriere, avrebbe addirittura fatto sparire un ‘Quaderno’ eretico.
Sembra quasi che Gramsci sia stato rinchiuso in un carcere sovietico mentre Mussolini stia facendo di tutto per liberarlo. E’ bene invece ricordare che Gramsci fu arrestato l’8/11/1926, a seguito delle leggi speciali contro le opposizioni e in violazione dell’immunità parlamentare, e condannato a 20 anni, 4 mesi e 5 giorni di reclusione da parte del Tribunale speciale fascista. Interpretazione, dunque, paradossale, già al centro di campagne storiografiche nei passati anni ottanta.
Nuova è invece la tesi che Togliatti avrebbe nascosto un “Quaderno” di Gramsci: scoop che Lo Piparo desume dalle contraddittorie testimonianze d’epoca, che parlano a volte di trenta, a volte di trentacinque, a volte di trentaquattro quaderni. Questa geniale deduzione è dunque sfuggita per tanti anni agli storici e a quasi settanta anni di interpretazioni.
Ecco, poi, geniale la bufala di Dario Biocca che sulla rivista “ Nuova storia contemporanea” sostiene, in un saggio, che Gramsci pur di ottenere la libertà si sarebbe appellato ad un articolo di legge che prevedeva il “ravvedimento” del detenuto; un Gramsci quindi che si sarebbe piegato al fascismo pur di ottenere la libertà, contro la tradizione che vuole il leader comunista sempre indisponibile a chiedere la grazia per rispetto dei suoi principi, dei compagni e della lotta antifascista. La prova starebbe nella stessa istanza formulata da Gramsci a Mussolini il 24 settembre 1934, nella quale il prigioniero si appellava all’art. 176 del Codice Rocco. Ma nell’art. 176 del codice fascista del 1931 il “ravvedimento” esisteva solo a discrezione di chi concedeva il beneficio e non richiedeva atti positivi o auto-emendativi, era quindi potestà del giudice concedere i benefici, e ciò in coerenza con la concezione poliziesca dello stato fascista. Come dimostra la documentazione già pubblicata da Paolo Spriano negli anni settanta, Gramsci si appella all’art. 176 per motivi di salute e buona condotta e non dichiara alcun ravvedimento, peraltro non richiesto.
Altra invenzione è il Gramsci mussoliniano del 1916, sul quale ha ricamato Veneziani, che descrive un Gramsci violento e nemico del riformismo, fraintendendo un saggio di Leonardo Rapone. Quegli articoli usciti dalla penna di Gramsci non vanno staccati dal loro contesto storico e non erano sicuramente meno violenti di quelli dei guerrafondai contro cui Gramsci si scagliava.
Certamente ognuno è libero di formulare nuove tesi, proporre nuove interpretazioni ma la storia è conoscenza e onestà intellettuale, pertanto l’immaginazione o l’invenzione teorica devono restarne assolutamente escluse.
Non credo sia in atto una sorta di complotto, né voglio invocare censure ma il costruire la storia con citazioni o fatti isolati, estrapolati dal contesto storico (come gli scritti di Gramsci del 1916 in piena lotta pro o contro la guerra) significa costruire una narrazione extra-storica e realizzare un’operazione di incultura storica.
No. Gli studiosi e gli storici non possono procedere in questo modo. In mancanza di documenti – persi, distrutti o non ancora trovati – non si può teorizzare che l’immaginazione sia autorizzata a percorrere le più disparate direzioni. Il Gramsci dei Quaderni è e resta oggi il pensatore italiano più studiato nel mondo per l’ampio respiro della sua analisi e delle sue idee. Certamente non fu interventista, non fu incarcerato da Togliatti, che anzi lo farà conoscere al mondo con la pubblicazione dei ‘Quaderni’ a partire dal 1948, mai si compromise con il fascismo e morirà proprio perché dimenticato nelle galere fasciste in una situazione psicofisica logora oltre ogni dire - colpito da emotisi, tubercolosi, arteriosclerosi e attacchi psicotici -lasciandoci un luminoso esempio di vita di intellettuale e politico.
pubblicato su Lavoro&Politica anno 2 n. 12 22 marzo 2012
mercoledì 21 marzo 2012
Sull'art.18 è sciopero generale. Il PdCI con la CGIL
Hanno svuotato uno dei diritti conquistati dai lavoratori con lo statuto del 1970. Il governo Monti ha fatto intendere bene cosa significhino per lorsignori e i banchieri i concetti di "equità" e "crescita". La crisi si aggraverà e i lavoratori saranno sempre più senza tutele e diritti. Che questo governo di oligarchi vada a casa.
"Condividiamo profondamente la decisione della Cgil di proclamare 8 ore di sciopero generale". Lo afferma Manuela Palermi, responsabile lavoro Pdci-Federazione della Sinistra. "Come dieci anni fa - continua Palermi - quando 3 milioni di lavoratori hanno riempito il Circo Massimo per difendere l’art. 18 dagli attacchi di Berlusconi e
hanno vinto. Ce la faranno anche oggi perché, al di là della Bce, di un parlamento a reti unificate, di un presidente del Consiglio che si crede un padreterno e di un presidente della Repubblica che è andato al di là del suo ruolo, c’è una grande organizzazione di massa che si chiama Cgil che non rinuncia a fare il sindacato dei lavoratori. Il governo Monti - conclude Palermi - ha iniziato la sua parabola discendente".
"Condividiamo profondamente la decisione della Cgil di proclamare 8 ore di sciopero generale". Lo afferma Manuela Palermi, responsabile lavoro Pdci-Federazione della Sinistra. "Come dieci anni fa - continua Palermi - quando 3 milioni di lavoratori hanno riempito il Circo Massimo per difendere l’art. 18 dagli attacchi di Berlusconi e
hanno vinto. Ce la faranno anche oggi perché, al di là della Bce, di un parlamento a reti unificate, di un presidente del Consiglio che si crede un padreterno e di un presidente della Repubblica che è andato al di là del suo ruolo, c’è una grande organizzazione di massa che si chiama Cgil che non rinuncia a fare il sindacato dei lavoratori. Il governo Monti - conclude Palermi - ha iniziato la sua parabola discendente".
lunedì 19 marzo 2012
FRANCO DUBLA, artista
Omaggio a mio padre -- 19 marzo 2012
FRANCO DUBLA, QUANDO IL COLORE SI FA STORIA
La creatività di un artista è segnata indelebilmente dall’esperienza della sua vita; per Franco Dubla, grottagliese di nascita (1925) che si trasferisce a Firenze nel 1973 e muore nella sua terra, a Taranto, nel 2008, l’esperienza più forte è la sua infanzia povera, di quando l’esistenza delle popolazioni della cittadina delle ceramiche era costituita di stenti e privazioni: come in tutte le contrade del Mezzogiorno d’Italia più profonde.
La pittura di Dubla non poteva dunque privilegiare le forme; la riproduzione del vero sarebbe stata oleografia di una realtà che i cafoni del Sud non avrebbero mai riconosciuta come propria. Privilegiare il colore, allora: ma i colori vividi e impazziti di una realtà liquida, di un fiore in dissolvimento, di un paesaggio rarefatto. I paesaggi meridionali, i paesi della pianura pugliese con sullo sfondo le dolci marine e il tepore del clima. I paesaggi meridionali, come i borghi della Basilicata arroccati su pendici collinari, dai piedi d’argilla, pronti a franare e destinati a scomparire, come l’Aliano visitata da Carlo Levi, come Craco, il paese-fantasma che non ha più la sua gente, ma le rovine di un passato, anch’esso segnato dalla solitudine e dalla sofferenza.
Franco Dubla ha cercato sempre, nella sua produzione artistica, di trasformare il colore in storia e, in una coazione a ripetere, la sua storia personale dentro la storia del popolo meridionale.
Fino al tentativo, negli anni ’70, di radicare quella storia nella città internazionale dell’arte, la Firenze del genio creativo rinascimentale, a cui si chiedeva di accogliere l’espressione pittorica dell’identità meridionale. L’esperienza a cui Franco Dubla giungeva a Firenze nel 1973, era la Taranto degli anni ’60, città mediterranea che guardava con curiosità a tutte le novità delle avanguardie creative cercando di riprodurle nella periferia che stava abbandonando le sue originarie vocazioni, per accogliere e farsi sussumere sempre più dalla grande industria dell’acciaio e dall’inquinamento soffocante, dalle morti bianche in nome e per conto del “progresso”. Era quel “progresso” che cancellava sempre più le orme e le tracce di un’altra storia, modesta, umile, sofferta, ma fortemente connotata dall’identità.
Un’identità di cui non era possibile accettare supinamente la sparizione.
La pittura di Dubla è stata, da questo punto di vista, un’opera di resistenza.
Resistenza all’omologazione non solo sociale, destinata ad avere finanche modificazioni antropologiche, ma all’annullamento delle radici, alla sottomissione di un imperialismo prima culturale, poi economico, politico, militare. Dubla ha definito così, dal primigenio astrattismo avanguardistico degli anni ’60, un compromesso sulla forma, anzi, sulle forme: e ha sempre dipinto fiori e paesaggi, e anche nature morte, in colori avvolgenti che tendevano alla frantumazione della sostanza che racchiudevano. Per poi tornare, nei tardi anni ’90 e i primi del nuovo secolo, quasi ad anticipare il dissolvimento progressivo della sua mente (la malattia), a unire la sua esperienza esistenziale con i destini del solo colore nella più assoluta libertà di situarsi sulla tela.
Il rapporto con la propria caratterizzazione culturale è vissuto da Franco Dubla come appartenenza alla terra; riviene alla mente il mito di Anteo. Gli antichi greci, nel sistema della loro mitologia, avevano un eroe famoso, Anteo, il quale era, come racconta la mitologia, figlio di Posidone, dio del mare, e di Gea, dea della terra. Egli aveva uno speciale attaccamento per sua madre che lo aveva messo al mondo, nutrito e educato. Non c'era nessun eroe che non avesse vinto, questo Anteo. Era considerato come un eroe invincibile. In che cosa consisteva la sua forza? Consisteva nel fatto che ogni volta che, nella lotta contro l'avversario, si trovava a mal partito, egli toccava la terra, la madre sua che l'aveva messo al mondo e l'aveva nutrito, e ne riceveva nuove forze. Ma tuttavia, egli aveva un punto debole: correva il rischio di essere staccato in un modo o nell'altro dalla terra. I nemici tenevano conto di questa sua debolezza e stavano all'agguato. Ed ecco che si trovò un nemico, che utilizzò questa sua debolezza e lo vinse. Questi fu Ercole. Ma come lo vinse? Lo staccò dalla terra, lo elevò in aria, gli tolse la possibilità di toccare la terra e lo strozzò.
Il legame alla terra è dunque l’invincibile: una terra da liberare non piccola, ma grande come il mondo, una terra da salvare per costruire il mondo nuovo, come nei versi del poeta Rocco Scotellaro, per “fare il giorno nuovo”.
Dubla ha avuto, inconsapevolmente, il segno pittorico della poesia del giovane Rocco Scotellaro di Tricarico.
In Scotellaro la descrizione fenomenica è già una ricerca continua di riscatto: nella descrizione tipologica del mondo contadino delle terre del Sud, interpreta la volontà di una trasformazione che sia liberazione ma non cancellazione delle radici. Perché quelle radici costituiscono lo stesso humus di un’identità finalmente liberata dalla soggezione.
In Dubla il colore che si fa storia è insieme un grido di disperazione e un afflato resistente, per il riscatto, per la proposizione delle radici culturali di un meridionalismo di tipo nuovo.
Come il canto dolente di Scotellaro, anche per Franco Dubla l’alba sempre nuova ha una notte antica e il dolore non è il dolore sempiterno tracciato dal secolare destino, ma sofferenza di travaglio per un nuovo mondo.
Ferdinando Dubla,
L’arte, come la vita, non è forma, ma è sostanza
le foto in apertura: il dipinto "Oriente" del 1998, copertina del mio libro "A fare il giorno nuovo" del 2003
Franco Dubla all'inaugurazione della galleria Contemporarte di Taranto nell'aprile 1970
mercoledì 14 marzo 2012
DUBLADIDATTICA: il percorso pedagogico della cooperazione educativa
Sul sito DUBLADIDATTICA inaugurata nuova sezione: PERCORSO PEDAGOGICO,
con autori e testi di riferimento della cooperazione educativa, da Dina Bertoni Jovine a Bruno Ciari, Lucio Lombardo Radice, A.S.Makarenko e la scheda sullo stesso Movimento di Cooperazione Educativa, frutto della nostra collaborazione con Wikipedia.
Benvenute a tutte le collaborazioni.
con autori e testi di riferimento della cooperazione educativa, da Dina Bertoni Jovine a Bruno Ciari, Lucio Lombardo Radice, A.S.Makarenko e la scheda sullo stesso Movimento di Cooperazione Educativa, frutto della nostra collaborazione con Wikipedia.
Benvenute a tutte le collaborazioni.
martedì 13 marzo 2012
SIAMO IN RECESSIONE. MONTI PENSI ALLE BANCHE CHE NON DANNO CREDITO INVECE CHE ALL'ART18
Il prodotto interno lordo dell'Italia nel quarto trimestre 2011 è diminuito dello 0,7% sul trimestre precedente e dello 0,4% su base annua. L'Italia è dunque in recessione tecnica (il Pil è in calo per il secondo trimestre consecutivo). Le politiche di austerity del Governo Monti, e la folle politica monetarista imposta dalla Merkel e dalla BCE sono riuscite a mandare in recessione il nostro paese. Hanno prima usato la speculazione per imporci politiche di rigore, ed ora continueranno a stringere il cappio per raggiungere il pareggio di bilancio ed il rientro dei conti con finanziarie pesantissime.
In questo quadro, mentre le nostre aziende chiudono per mancanza di liquidità perchè le banche non danno credito il Governo pensa a demolire l'art 18. Caro Monti invece che chiedere lo scalpo dei lavoratori italiani, non era meglio convocare Mario Draghi e chiedere spiegazioni del perchè i miliardi regalati dalla BCE alle banche private sono finiti per la speculazione invece che per sostenere la crescita?
da www.controlacrisi.org
In questo quadro, mentre le nostre aziende chiudono per mancanza di liquidità perchè le banche non danno credito il Governo pensa a demolire l'art 18. Caro Monti invece che chiedere lo scalpo dei lavoratori italiani, non era meglio convocare Mario Draghi e chiedere spiegazioni del perchè i miliardi regalati dalla BCE alle banche private sono finiti per la speculazione invece che per sostenere la crescita?
da www.controlacrisi.org
giovedì 8 marzo 2012
AL FIANCO DELLA FIOM, PER LA DEMOCRAZIA NEI POSTI DI LAVORO, A DIFESA DELL'ART.18!!
Domani il Partito dei Comunisti Italiani sarà in piazza al fianco dei metalmeccanici condividendo fino in fondo le motivazioni che hanno spinto la Fiom Cgil a proclamare lo sciopero e la manifestazione. Nell'occasione, la Federazione della Sinistra inizierà una raccolta di firme a difesa dell'articolo 18. I militanti sono stati mobilitati per una presenza folta e solidale. In piazza saranno presenti Oliviero Diliberto e tutta la segreteria nazionale.
La Federazione della sinistra lancia una campagna a difesa dell’art. 18. Parte infatti una petizione popolare – già domani, in occasione dello sciopero generale dei metalmeccanici. Ecco il testo: « Noi sottoscritti/e consideriamo l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori una norma di civiltà. L’obbligo della reintegra di chi viene ingiustamente licenziato è garanzia per ogni singolo lavoratore ed è al tempo stesso il fondamento per l’esercizio dei diritti collettivi delle lavoratrici e dei lavoratori, a partire dal diritto a contrattare salario e condizioni di lavoro dignitose.
Se l’articolo 18 fosse manomesso ogni lavoratrice e ogni lavoratore sarebbe posto in una condizione di precarietà e di ricatto permanente, essendo licenziabile arbitrariamente da parte del datore di lavoro. Se l’articolo 18 fosse manomesso verrebbero minate in radice le agibilità e libertà sindacali. Per questo motivo va respinta ogni ipotesi di manomissione o aggiramento dell’articolo 18. L’articolo 18 va invece esteso a tutte le lavoratrici e i lavoratori nelle aziende di ogni dimensione».
La Federazione della sinistra lancia una campagna a difesa dell’art. 18. Parte infatti una petizione popolare – già domani, in occasione dello sciopero generale dei metalmeccanici. Ecco il testo: « Noi sottoscritti/e consideriamo l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori una norma di civiltà. L’obbligo della reintegra di chi viene ingiustamente licenziato è garanzia per ogni singolo lavoratore ed è al tempo stesso il fondamento per l’esercizio dei diritti collettivi delle lavoratrici e dei lavoratori, a partire dal diritto a contrattare salario e condizioni di lavoro dignitose.
Se l’articolo 18 fosse manomesso ogni lavoratrice e ogni lavoratore sarebbe posto in una condizione di precarietà e di ricatto permanente, essendo licenziabile arbitrariamente da parte del datore di lavoro. Se l’articolo 18 fosse manomesso verrebbero minate in radice le agibilità e libertà sindacali. Per questo motivo va respinta ogni ipotesi di manomissione o aggiramento dell’articolo 18. L’articolo 18 va invece esteso a tutte le lavoratrici e i lavoratori nelle aziende di ogni dimensione».
giovedì 1 marzo 2012
Inflazione + disoccupazione, ecco il capolavoro del governo tecnico!
Il numero dei disoccupati sale 2 milioni 312 mila, in aumento del 2,8% rispetto a dicembre. Per i giovani tra i 15 e i 24 anni il tasso dei disoccupati sul totale di quelli occupati o in cerca di lavoro, è al 31,1%. L'inflazione sale del 3,3% rispetto allo stesso periodo del 2011. Il carrello della spesa, cioè i prezzi dei prodotti acquistati con maggiore frequenza (dal cibo ai carburanti), cresce del 4,5% su base annua.
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