L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla
L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla
La pedagogia come rapporto tra felicità e futuro
Se l’intento educativo è intenzionalità pedagogica, esso ha a che fare con i concetti di felicità e di futuro. Entrambi si trovano nel limbo del dover-essere; la felicità è un’aspirazione che nel momento in cui si attua non produce piena consapevolezza di sé: per cui si è stati felici e mai si è felici. Il futuro non c’è mai, si progetta, ma quando viene si concretizza come presente. La pedagogia è progetto di vita, di istruzione, di formazione, che ricerca felicità e futuro. La scommessa della pedagogia di ispirazione marxista è una felicità sociale collettiva e un futuro costruito con le proprie mani e nell’autodeterminazione di soggetti a cui sono stati forniti gli strumenti culturali emancipativi, che si pensano e agiscono come totalità sociale che, affermava il Lukacs di Storia e coscienza di classe (1923), rompono il dilemma dell’impotenza: “il dilemma tra il fatalismo delle leggi pure e l’etica della pura intenzione”.
Già docente di scienze umane e filosofia presso i licei delle scienze umane di Manduria e Taranto, è ora condirettore del Centro Studi di Filosofia “Giulio Cesare Vanini” del centro messapico e ricercatore Subaltern Studies Italia
POCO E' STORIA, MOLTO E' LEGGENDA, TUTTO E' MITO! (....e rito)
alle scienze umane e sociali la critica di questa memoria
la pedagogia tramanderà la storia, la psicologia spiegherà le leggende, l'antropologia la formazione e l'alimentazione del mito, la sociologia descriverà chi siamo oggi e, forse, dove siamo diretti.
Tutto è simboleggiato nella letteratura per l'infanzia, nelle favole attraverso l'immaginazione, nelle fiabe attraverso la fantasia. Questo è l'unico, vero, 'altro mondo' che conosciamo.
Ferdinando Dubla, 2014
"Leggende, tradizioni, fantasticherie non hanno nessuna realtà nè nella vita dei sensi, nè nella vita razionale e tuttavia costruiscono spesso un modo di vita, storicamente definito." Dina Bertoni Jovine, 1962
Dopo che nel 1959 la rivoluzione cubana pose fine al dominio statunitense,
iniziato con la guerra ispano-americana del 1898, gli Usa hanno cercato per
oltre mezzo secolo di riconquistare Cuba ricorrendo a ogni mezzo:
dall’invasione al terrorismo di stato, dall’isolamento all’embargo.
Ma la resistenza del popolo cubano, organizzato in «Stato socialista di
lavoratori, indipendente e sovrano» (art. 1 della Costituzione),
ha fatto fallire il tentativo. È stato costretto a prenderne atto
il presidente Barack Obama, ristabilendo le relazioni diplomatiche
e allentando in parte l’embargo.
Tale decisione viene accolta con gioia dai cubani e da coloro che li
hanno sostenuti, in quanto frutto della loro lotta. Contemporaneamente
però si assiste a una vasta campagna che fa assurgere il presidente
Obama agli onori della Storia, come se avesse dato un taglio netto alla aggressiva
politica statunitense verso Cuba.
Interpretazione smentita dalla stessa Casa Bianca. «Decenni di isolamento
di Cuba da parte degli Usa – si legge nel documento ufficiale – non sono riusciti
a realizzare il nostro obiettivo: oggi, come nel 1961, Cuba
è governata dai Castro e dal Partito comunista». Ristabilendo
le relazioni diplomatiche, «gli Usa concentrano i loro sforzi nel
promuovere l’indipendenza del popolo cubano, così che esso non debba fare
affidamento sullo Stato cubano».
L’amministrazione Obama, dunque, non cambia la strategia mirante alla
distruzione dello Stato cubano. Cambia solo il modo per realizzarla. Non ci
sarà un nuovo sbarco tipo quello della Baia dei Porci, effettuato nel 1961,
sotto la presidenza del democratico Kennedy, da controrivoluzionari
cubani addestrati e finanziati dalla Cia.
Ci sarà, sotto la presidenza del democratico Obama, lo sbarco di organizzazioni
«non-governative» (emanazione della Cia e del Dipartimento di Stato),
inviate da Washington per «progetti umanitari di sostegno al popolo
cubano». Il Congresso degli Stati uniti – sottolinea il documento della
Casa Bianca – ha stanziato ingenti «fondi per la programmazione della democrazia
a Cuba, finalizzati a fornire assistenza umanitaria, promuovere
i diritti umani e le libertà fondamentali, sostenere il libero
flusso di informazioni, incoraggiare le riforme nei nostri contatti ad
alto livello con funzionari cubani». Saranno in particolare finanziate
«le attività di fondazioni private e istituti di ricerca
e istruzione».
Insieme alle organizzazioni «non-governative» con le tasche piene di dollari,
sbarcheranno le multinazionali Usa che, scrive il «New York Times»,
stanno costituendo una «testa di ponte» per penetrare con i loro capitali
nell’economia cubana, puntando al settore delle biotecnologie (molto sviluppato
a Cuba), a quello minerario (soprattutto del nickel di cui Cuba
possiede una delle maggiori riserve al mondo), al settore alberghiero
e turistico dalle grosse potenzialità.
La sfida che ha di fronte il popolo cubano è come impedire che le conquiste
della rivoluzione vengano vanificate dalla nuova offensiva condotta da
Washington con strumenti non meno pericolosi dei precedenti.
Oggi la situazione è più favorevole per Cuba: gran parte dell’America
latina non è più «il cortile di casa degli Stati uniti» e Cuba,
insieme a Venezuela (soggetto a nuove sanzioni Usa) e altri
paesi, ha dato vita all’Alleanza bolivariana per le Americhe. Decisiva
è una nuova generazione che a Cuba porti avanti la rivoluzione,
facendo fallire il piano di Washington di demolire lo Stato socialista in
nome di una «indipendenza del popolo cubano», che sarebbe una nuova dipendenza
dall’imperialismo Usa.
Manlio Dinucci, 22.12.2014 da il Manifesto del 23/12/2014
"L'educazione
è il grande motore dello sviluppo personale. E' grazie all'educazione che la figlia di un contadino può diventare
medico, il figlio di un minatore il capo miniera o un bambino nato in una
famiglia povera il presidente di una grande nazione. Non ciò che ci viene dato, ma la capacità di valorizzare al meglio ciò
che abbiamo è ciò che distingue una persona dall'altra"
C’era una volta un piccolo drago che non sapeva volare, e non riusciva a sputare fuoco. Riusciva solo a fare fumo. Tutti gli altri draghi lo prendevano in giro e lui si sentiva triste e solo. Infatti così un giorno decise di andare via da quel villaggio… cammina cammina, arrivò in un paese dove viveva un guerriero buono e bravo. Il guerriero vide il drago triste e decise di aiutarlo. Prima gli insegnò a volare e poi per dieci giorni su mille pensò a come aiutarlo a sputare fuoco. Finalmente trovò la medicina per la sua malattia. In quel paese c’era un vulcano e il guerriero e il drago andarono insieme sul vulcano. Il guerriero disse al drago:- assaggia questa lava e vedrai che sputerai fuoco. Il drago assaggiò la lava e riuscì a sputare fuoco, decise così di ritornare nel suo villaggio e tutti gli altri draghi rimasero a bocca aperta quando lo videro che anche lui riusciva a sputare fuoco. E il drago tutto felice e contento disse: “ Chi la fa l’aspetti”!
LA CAPRETTA E L'AMORE
Un giorno in un bel gregge trovarono una piccola capretta, era bellissima ma con un piccolo difetto era dal pelo nero. Per questo motivo tutto il gregge la scartava e la lasciavano in disparte. Un giorno di pioggia la piccola pecorella scappò e andò nel bosco, dopo un po’ di tempo arrivò un piccolo folletto e le chiese perché stava piangendo e la capretta disperata rispose: nessuno mi vuole, nessuno mi considera eppure io avrei tanto amore da dare. Il folletto chiamò gli altri folletti e le chiese di mettere in atto la loro magia e fare un mantello di fili di arcobaleno e così fecero. La capretta fu subito felice, e sprizzava di felicità, gioia e amore e andò dalle altre caprette donando amore anche a chi l’aveva fatta soffrire tanto.
Entrambe le favole sono state elaborate da Chiara De Stratis, studentessa del corso di Pedagogia del liceo delle scienze umane "F.De Sanctis" di Manduria (TA)
La scuola boccia il piano Renzi sugli scatti «di merito»
— Roberto Ciccarelli, Il Manifesto, 15.12.2014
«Buona scuola». Resi noti i dati della consultazione sulla «Buona scuola»: il 60% respinge il piano sugli scatti stipendiali solo per i 2/3 dei docenti in base al merito. Il 46% è per un sistema misto su stipendio e merito, il 14% per l’anzianità. I presidi favorevoli alla «scuola azienda». Contraria la maggioranza di docenti e studenti
La maxi-consultazione promossa dal governo sulla «Buona Scuola» ieri ha consegnato un risultato imprevedibile. Il piano Renzi che prevede l’aumento dello stipendio al 66% dei docenti grazie ai crediti accumulati in base al merito è stato bocciato. Solo il 35% ha votato «meritocrazia», il 46% si è espresso per un «sistema misto» tra servizio e merito. A questo bisogna aggiungere chi è rimasto sulle posizioni tradizionali: il 14% vuole un sistema basato sull’anzianità.
Una sonora sconfitta del governo. Era prevedibile, dopo le grandi manifestazioni studentesche e l’opposizione dei docenti ad una riforma per la quale si è speso il presidente del Consiglio in persona. Persino una consultazione che doveva dare una veste statistica e computazionale alla trasformazione della scuola in senso aziendalistico e neoliberale ha registrato un dissenso diffuso nel paese.
Nella conferenza stampa celebrativa tenuta ieri al ministero dell’Istruzione a Roma (con un concerto), si è cercato di sorvolare sul senso di questi dati, anche se sono state riconosciute «criticità». La partecipazione è stata alta, si è detto. Gli accessi al sito labuonascuola.gov.it lo confermerebbero: 1 milione e 300 mila visite; 207 mila «discussant» online; 200 mila partecipanti ai 2400 dibattiti che avrebbero coinvolto il 70% delle scuole italiane. Dati che suffragano l’esito principale di un sondaggio pubblicizzato dalla Rai a reti unificate e che ora si è trasformato in un boomerang che renderà necessario, forse, un aggiustamento del tiro. Il ministro dell’Istruzione Gianini ha sottolineato che l’81% dei consultati ha espresso parere positivo sulla proposta di basare lo stipendio dei docenti sul merito e non sull’anzianità. «Sta qui il valore politico di una consultazione» ha scandito.
Nelle 73 pagine del libretto che riporta i risultati si scopre che ad essere «molto d’accordo» è l’87% dei dirigenti scolastici, interessati alla nascente figura del «preside manager» che chiamerà direttamente i docenti per comporre quella che nel gergo neoliberale viene definita la «squadra». Favorevole anche il 70% dei genitori che hanno partecipato alla consultazione. «Meno favorevoli», o del tutto contrari, il 64% dei docenti e il 56% degli studenti. Anche in questo caso si tratta della maggioranza dei soggetti direttamente coinvolti nel lavoro didattico. Al di là dell’impostazione del sondaggio, che rischia di creare una conflittualità tra i dirigenti e le famiglie, da un lato, e i docenti “conservativi” dall’altro lato, la proposta renziana non sembra avere convinto.
Cerchiamo allora di capire la ragione di questo rovescio. Il piano Renzi sulla scuola prevede l’abolizione degli scatti stipendiali e l’introduzione di crediti per meriti didattici, titoli o incarichi nella burocrazia scolastica. Il totale di questi «crediti» genererà l’aumento degli stipendi. Il primo scatto verrà maturato 4 o 5 anni dopo l’assunzione e andrà a regime entro tre anni. Questi aumenti riguarderanno solo il 66%, cioè i due terzi. A questa discriminazione sull’intero corpo docente, se ne aggiunge un’altra all’interno di questo 66%. I meritevoli non saranno sempre le stesse persone. Pur «eccellenti» nel loro lavoro dovranno passare il testimone a qualcuno che corre più veloce di loro. Secondo alcune proiezioni, circolanti tra sindacati e giornali specializzati, questo meccanismo porterà a tagli sulle retribuzioni pari tra i 200 e i 331 milioni di euro. Se è vero che qualcuno percepirà fino a 9 mila euro in più all’anno, tutti perderanno da 45 a 72 euro al mese. Dopo avere bloccato i contratti, ora l’austerità si finanzia con i soldi dei docenti e con la corsa alla «meritocrazia». Del resto, lo stesso sondaggio traduce le perplessità sul rischio di trasformare la scuola in un supermercato dei crediti.
Per capire tali perplessità bisogna leggere le consultazioni svolte nelle ultime settimane da periodici specializzati e dai sindacati. Un sondaggio di «Orizzonte Scuola», ad esempio, ha registrato l’88% di «No» alla riforma «meritocratica». In un’altra consultazione promossa dalla Gilda i «No» sono stati l’84,3%. La chiamata diretta dei presidi-manager è stata respinta con il 76%. Oltre 4 mila lavoratori della scuola, compreso il personale Ata disconosciuto dalla riforma Renzi-Giannini, si sono espressi negativamente nell’indagine «la scuola giusta» della Flc-Cgil. Il tentativo di queste consultazioni è stato quello di ricomporre una «comunità» scolastica che invece il governo vuole dividere nella crociata per la rifondazione del «patto educativo». In una consultazione tesa a fidelizzare dall’alto il pubblico rispetto a decisioni già prese è emerso il sostegno all’altro punto chiave: la chiusura delle graduatorie in esaurimento (Gae) e l’assunzione di 148 mila docenti precari a settembre. Sostegno anche alla gestione dell’organico funzionale che per la riforma spingerà i neo-assunti a muoversi di città in città alla ricerca di un posto e alla mobilità tra le cattedre. Il sondaggio dà corpo al futuro di questi docenti: alle scuole primarie dovranno servire per gestire le supplenze. Nella secondaria sarà funzionali al recupero.
Nessuna parola sui circa 100 mila precari esclusi dall’assunzione a settembre. Per la Corte di giustizia europea devono essere assunti quelli che hanno 36 mesi di servizio continuativi negli ultimi cinque anni. Il governo ieri ha ribadito la linea: per loro c’è il concorso nel 2016 (40 mila posti). Gli altri dovranno saltare il turno e restare disoccupati.
"Gli artisti erano esseri di una specie diversa,mezzo angeli, mezzo demoni, distinti nella sostanza dagli uomini comuni. Le opere d'arte costituivano una realtà a parte, più pura, più perfetta, più ordinata, rispetto a questo mondo sordido e volgare. Entrare nell'orbita dell'arte era accedere a un'altra vita, nella quale non solo l'anima, ma anche il corpo si arricchiva e godeva attraverso i sensi."
Colpito al cuore il sistema della precarietà. La corte di giustizia europea: il governo italiano stabilizzi il personale Ata e i docenti che lavorano da più di 36 mesi con contratti a termine. Giannini rassicura: «148 mila in ruolo nel 2015 e 40 mila con un concorso». Per i sindacati è insufficiente: «La decisione riguarda anche gli altri 100 mila esclusi dal governo»
Roberto Ciccarelli su Il Manifesto (articolo integrale)
La Corte di giustizia dell’Unione Europea ha colpito
al cuore il sistema del precariato nella scuola in Italia. Con una sentenza
attesa da tempo ieri la corte di Lussemburgo presieduta dal giudice sloveno
Marko Ilesic ha dichiarato illegali i contratti di lavoro a tempo
determinato stipulati in successione oltre i 36 mesi (tre anni). Da
oggi i docenti precari e il personale Ata, che hanno superato un
concorso nel 1999, o hanno ottenuto un’abilitazione, hanno diritto ad
essere assunti nella scuola. La Corte ha riportato sui binari del diritto un
paese che ha cercato con tutti i mezzi di restare nell’illegalità con il
Dl 368 del 2001 che permette un numero illimitato di rinnovi contrattuali
solo nella scuola.
L’Italia sarà così obbligata,
pena risarcimenti milionari e decine di migliaia di ricorsi ai giudici
del lavoro, a tornare a far parte dello stato di diritto comunitario
dopo quindici anni.
La sentenza ha un valore epocale
perché vale sia per il lavoro pubblico che per quello privato. Dunque sia
per la scuola e la pubblica amministrazione sia per le imprese. Questo
significa che la riforma Poletti (la prima parte del Jobs Act) che ha cancellato
la cosiddetta «causalità» dei contratti a termine può essere considerata
non valida poiché contravviene alla direttiva europea 70 del 1999. Quella
che vieta i rinnovi dei contratti a termine oltre i tre anni,
ma che il governo Renzi non ha rispettato. Contro questa «riforma»,
i giuristi democratici, la Cgil e l’Usb hanno già presentato
una denuncia alla Commissione Europea. In caso di parere positivo, il
ricorso passerà alla Corte che, alla luce della sentenza di ieri, non potrà
che confermare il suo orientamento. Nel frattempo in Italia, i giudici
del lavoro saranno costretti ad applicare la sentenza nella scuola
o negli enti di ricerca e nella P.A.
La Corte ha smontato uno degli
alibi usati dai governi per non fare le assunzioni: quello dei concorsi pubblici.
Una rarità ormai, di recente riscoperto in maniera caotica e iniqua dal
ministero dell’Istruzione. Ebbene, i lavoratori dovranno essere assunti
subito senza aspettare l’epletamento delle procedure concorsuali.
La sentenza fa inoltre traballare
le basi sulle quali è stato costruito l’edificio della precarietà sin
dal 1997, quando il centro-sinistra di Prodi approvò il famigerato «pacchetto
Treu». Risolutivi sembrano i punti 100 e 110 della sentenza
a favore di otto docenti e collaboratori amministrativi napoletani
che hanno lavorato per il ministero dell’Istruzione per non meno di 45 mesi
su un periodo di 5 anni. Il primo stabilisce che il contratto
a tempo indeterminato è «la forma comune dei rapporti di lavoro» anche
in settori come la scuola dove il tempo determinato rappresenta «una caratteristica
dell’impiego». Il secondo punto smentisce le politiche dell’austerità con
le quali i governi hanno giustificato il blocco delle assunzioni in
tutto il pubblico impiego: il rigore del bilancio non può giustificare il
«ricorso abusivo a una successione di contratti di lavoro a tempo
determinato». Bisognava aspettare l’Europa per affermare la certezza di
questi principi. A tanto è arrivata la barbarie politica
e giuridica nel nostro paese.
Ieri il governo Renzi ha provato a fare il vago. La risposta
del ministro dell’Istruzione Stefania Giannini era prevedibile: la
«buona scuola» prevede l’assunzione dei 148 mila docenti precari nelle graduatorie
ad esaurimento e il concorso per 40 mila nel 2015. Tutto a posto
allora? Per nulla. La sentenza della Corte chiarisce la fondamentale
discriminazione compiuta dal governo ai danni di almeno altre 100 mila persone
che non verranno assunte a settembre, pur avendone i titoli. Si
tratta dei docenti abilitati Pas e Tfa, oltre che del personale Ata
(almeno 15 mila). La maggior parte ha lavorato più di 36 mesi nella scuola.
Si parla di 70 mila, ma anche di 100 mila.
Sui numeri
non c’è certezza perché manca un censimento serio, l’unico strumento per
procedere ad un vero piano per le assunzioni. La sentenza è infine un
colpo tremendo, anche finanziario, alla politica degli annunci
dell’esecutivo. Se, com’è prevedibile, continuerà sulla sua strada, allora
dovrà prepararsi a pagare milioni di euro in risarcimenti. Nei tribunali
italiani giacciono almeno diecimila ricorsi in attesa della sentenza della
Corte. Da oggi i processi di moltiplicheranno a dismisura
e si concluderanno con una condanna. Renzi si trova davanti a questa
alternativa: assumere fino a 300 mila persone nella scuola, oppure iniziare
a pagargli i danni.
Tutti
i sindacati della scuola stanno affilando le armi giuridiche.
L’Anief, che tra i primi ha iniziato a percorrere questa strada,
prepara una valanga di nuovi ricorsi per imporre il pagamento degli scatti di
anzianità ai precari, nonché le loro mensilità estive per un totale di 20
mila euro. «È una pagina storica – ha detto Marcello Pacifico, presidente
Anief – Ora è assodato che non esistono ragioni oggettive per discriminare
chi è stato assunto a tempo determinato nella scuola dal 1999». La
Gilda di Rino Di Meglio ha recapitato una diffida al governo. Se entro dicembre
non avvierà la stabilizzazione dei precari percorrerà fino in fondo la
via giudiziaria.
«La questione
precariato è esplosiva – sostiene Massimo Di Menna della Uil Scuola –
Conferma la miopia di una gestione del personale attenta al risparmio anziché
al rispetto dei diritti dei lavoratori». Piero Bernocchi dei Cobas chiama
alla mobilitazione contro il governo che, come i precedenti, preferirà
pagare le multe piuttosto che rispettare il diritto: «Con il suo piano Renzi
voleva espellere il 50% dei docenti mettendo precari contro precari, fasce
contro fasce. Non c’è riuscito. Ora bisogna estendere questa conquista
a tutto il pubblico impiego». «Non bisogna illudere i precari,
non possono aspettare gli anni del dibattimento nelle aule legali —
sostiene Cristiano Fiorentini(Usb) — La sentenza non determina assunzioni
immediate. Ci vuole una norma per la stabilizzazione».
«Il
governo ha sostenuto che la Cgil difende i lavoratori stabili
e discrimina quelli precari — sostiene Mimmo Pantaleo, segretario
Flc-Cgil — La sentenza della Corte di Giustizia europea sulla scuola ha
ribaltato questa falsità e dimostra come il nostro sindacato si stia
battendo per i precari. Questa sentenza rafforza le ragioni dello
sciopero generale del 12 dicembre». Giunta all’indomani dell’approvazione
alla Camera del Jobs Act, la sentenza colpisce uno dei pilastri della
riforma targata Renzi-Poletti: vieta cioè di rinnovare infinite volte il
contratto a termine: «Ora devono scegliere — continua il sindacalista
— O affrontano migliaia di ricorsi, e li perderanno, oppure stabilizzano
tutti i precari e non solo quelli iscritti nelle graduatorie
a esaurimento».
La sentenza
della Corte Ue è uno di quei «casi in cui diciamo meno male che l’Europa
c’è — ha commentato la segretaria Cgil Susanna Camusso — Non c’è dubbio
che questa sentenza sia un precedente per i precari della P.A. e sul
decreto Poletti. Il governo deve rispondere sul fatto che non procede alla
stabilizzazione dei precari».
1^ posto (+1)
"Per un insieme di valori, non chiamateci minori"
-Dinoi Michele.
Liceo delle Scienze Umane F. De Sanctis, Manduria
Classe 3 AS/UM
AutoMotivazione:
L'alunno in seguito spiega la scelta del motto appena sopra elencato e spiega che con l'evoluzione della società, si stanno tralasciando alcuni valori principali della vita del fanciullo,la definizione di minore non aiuta la società a integrare e rendere partecipe le opinioni,i sentimenti e il pensiero di questi fanciulli.Il termine minore nell'accezione comune è inteso come più piccolo e siccome al giorno d'oggi con l'ignoranza si è coinquilini,un termine un po' più adatto per questi fanciulli renderebbe per loro e per tutti una concezione di bambino adeguata al contesto.
2^ posto (+0,5)
"Lasciati guidare dal bambino che sei stato"
"Non ho nulla da rimproverare alla mia coscienza perché ho agito sempre per costrizione e non per libera scelta; ma la società non ha voluto accogliermi nel suo seno. Mi consegno alla giustizia dopo aver invano sognato per me e per voi un mondo più giusto e più umano. Il mio nome echeggia tragicamente in tutta la Provincia: sappiate però che don Ciro è innocente di tanti delitti che gli sono addossati. Addio!"
(..)
Don Ciro, tra due fila di soldati, seguiva il cataletto incedendo a testa alta e quasi noncurante di quanto accadeva intorno. Ovunque soldati in assetto di guerra e perfino qualche cannone... Sugli archi della caserma sventolavano, in alto, la bianca bandiera borbonica e, al di sotto in stridente contrasto, la bandiera nera dei Decisi. Don Ciro, dopo aver allontanato ancora un sacerdote, fu condotto davanti agli archi e, nonostante le sue rimostranze, bendato e con le spalle rivolte al plotone. Un silenzio gelido si stese sulla piazza e risuonarono sferzate le parole della sentenza letta da un sottufficiale prima che l'ordine di fuoco venisse impartito. La luna in quel momento si fece spazio tra le fredde nuvole di febbraio e sovrappose il suo colore funereo ai lumi e alle fiaccole; le campane mandavano all'intorno rintocchi di morte. Atterrita e spaurita, la gente attese come una liberazione il suono della tromba: una scarica di fucileria laceró il silenzio della sera dissolvendo il mito di don Ciro Annicchiarico.
(..)
Da: Rosario Quaranta ~ Un prete brigante - Don Ciro Annicchiarico (1775-1818)
ed. Del Grifo, 2005
Convenzione internazionale sui diritti dell'infanzia
LaConvenzioneONU sui Diritti dell'infanzia fu approvata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre1989. Essa esprime un consenso su quali sono gli obblighi degli Stati e della comunità internazionale nei confronti dell'infanzia: -Tutti i paesi del mondo (eccetto Somalia e Stati Uniti) hanno ratificato questa Convenzione. -La Convenzione è stata ratificata dall'Italia il 27 maggio 1991 con la legge n. 176. -Oggi aderiscono alla Convenzione 193 Stati. -La Convenzione è composta da 54 articoli. -La Convenzione è uno strumento giuridico e un riferimento a ogni sforzo compiuto in cinquant'anni di difesa dei diritti dei bambini. La creazione della convenzione è ricordato ogni anno, il 20 novembre, con la commemorazione della Giornata internazionale per i diritti dell'infanzia e dell'adolescenza.
Sul numero odierno de Il Manifesto, in edicola a 20€ per sostenere l'acquisto della testata da parte della cooperativa dei giornalisti, uno stralcio dell'articolo di Alberto Burgio su Pasolini........
Se ieri Pasolini lamentava che il Pci fosse un centro
di potere, che direbbe oggi – lui comunista – di una sedicente «sinistra»
insediata nelle stanze più ambite del Palazzo e febbrilmente impegnata in una
guerra senza quartiere non solo contro la verità (la politica ridotta a trasmissione
di spot a reti unificate) ma anche contro il lavoro, per radicalizzarne
la subordinazione? Difatti sussistono, per contro, anche elementi di
inattualità di quella denuncia, che proprio da qui discendono.
Intanto: dove scriverebbe oggi Pier Paolo Pasolini? Allora poteva sferrare
attacchi ad alzo zero contro i potenti dalla prima pagina del principale
quotidiano italiano che già da due anni ospitava le sue inaudite provocazioni.
Lì poteva dirsi orgogliosamente comunista. E praticare la libertà
dell’intellettuale senza riguardi per diplomazie e opportunità. La sua
scandalosa presenza rifletteva e approfondiva contraddizioni irrisolte
in un sistema di potere che si sarebbe blindato solo nel corso degli anni
Ottanta, al tempo della strutturale crisi di espansività del capitalismo
maturo. Oggi sarebbe forse immaginabile un Pasolini editorialista del
Corriere della sera o di Repubblica? Ciascuno conosce la risposta, se
appena ha contezza del desolante paesaggio dell’informazione italiana. Che
non è un ambito distinto e separato, ma lo specchio fedele della decadenza
intellettuale e morale del paese e della corruzione di tutta una classe
dirigente.
Come l’istruzione sia concepita dal punto di vista di
un’ideologia di destra è comprensibile, e ben noto, al lettore
anche solo un po’ attento alla politica. Ma sull’università il discorso
è ancora più semplice e si potrebbe riassumere così: roba da ricchi.
E pazienza se qualcuno particolarmente geniale riesce a «bucare» il
blocco proveniendo dai ceti inferiori. Uno su mille ce la fa, cantiam pure
anche noi.
Del resto è la tesi palesemente
dichiarata da molti. Un solo esempio: in «Facoltà di scelta», di Ichino
e Terlizzese, si sostiene candidamente che l’istruzione superiore
è un lusso che deve essere pagato dagli utenti. Dunque è, appunto, roba
da ricchi.
Una visione di sinistra come
dovrebbe essere?
Anche qui, per ragioni di spazio,
ricorriamo a uno slogan: l’università come ascensore sociale. Manca la
canzonetta, ma speriamo che prima o poi qualche nostro cantore provveda.
Per sostenere questo assunto non c’è bisogno di fare riferimento
a posizioni di accentuata sinistra: è più o meno quanto si
dice nella pacata formulazione degli artt. 3, 33 e 34 della Costituzione.
Basta cioè un approccio, vogliamo dir così, illuminista?
Ora, come è messa la nostra
università pubblica?
La più recente analisi Ocse ci
descrive agli ultimi posti nell’investimento sull’istruzione superiore, nel
rapporto docenti/studenti, nel numero di atenei, e con una percentuale
di laureati che ci vede ultimi in Europa. La spesa per studente è sotto
la media, mentre sono in costante aumento i costi scaricati sulle famiglie.
Non ci meraviglia che l’Italia sia al terzultimo posto per percentuale di
giovani laureati. E la scuola? Peggio ancora. Ben al di sotto della
media Ocse in relazione a tutti gli indicatori, compresi gli indici di
inclusione sociale, tranne rare e disomogenee eccezioni: un sistema
scolastico fortemente polarizzato e con una situazione di reale
emergenza al Sud, maglia nera per i numeri della dispersione.
E intanto gravano gli ulteriori tagli previsti dalla legge di stabilità
per il 2015.
Se ne dovrebbe concludere che,
per arrivare a un simile disastro, ci siano voluti almeno vent’anni di
soli governi e ministri di destra. Ma la storia ci dice tutt’altro.
determinare la disarticolazione del sistema nazionale
dell’istruzione pubblica è la legge istitutiva dell’autonomia scolastica
(Bassanini, 1997) che istituisce tanti centri di istruzione separati
e in competizione tra loro quanti sono gli istituti scolastici. Con
l’autonomia il preside diventa manager e promuove la sua scuola sul mercato.
L’autonomia si nutre di vuoto didatticismo («saper essere»), di formule burocratico-pedagogiche
(«imparare ad imparare»). La rinuncia a una cultura complessa, profonda
e disinteressata, viene suggellata dai cantori dell’autonomia con
l’ideologia delle competenze.
La progressiva
diminuzione delle spese per l’istruzione inaugurata da Bassanini si accompagna,
con la legge Berlinguer sulla parità, a un costante aumento dei finanziamenti
alle scuole private, perlopiù cattoliche. A partire dal 2000, col
plauso del governo D’Alema I, Confindustria e Santa Sede, il dettato
costituzionale verrà sistematicamente eluso e gli oneri dello stato
nei confronti delle scuole private cosiddette paritarie aumenteranno
progressivamente.
Anche per
il 2015, a fronte dei tagli per scuola e università statali, 200
milioni di euro verranno loro generosamente elargiti. La riforma federativa
del Titolo V della Costituzione (governo D’Alema II) spazza via le
ultime incertezze in materia: regionalizza l’istruzione e permette
alle Regioni di istituire voucher per le scuole paritarie.
Insomma,
con Berlinguer e D’Alema chi manda i figli alla scuola cattolica
viene pagato, mentre nelle scuole statali i termosifoni non partono
e i soffitti crollano. Altro che carta igienica.
Irretito
dalla strategia del mosaico, nello stesso «anno d’oro delle riforme», Berlinguer
mette mano agli ordinamenti universitari: il 3 + 2, concepito
a Parigi e partorito a Bologna, lungi dal determinare le
magnifiche sorti e progressive dell’università italiana, produce
un’insopportabile proliferazione di corsi di laurea e sedi decentrate,
e una drammatica frammentazione e dequalificazione del percorso
formativo. Il tutto senza che diminuisca il numero di abbandoni dopo il
primo anno, o che cresca il numero dei laureati, ancora di 15 punti percentuali
al di sotto della media europea.
Pochi anni
e qualche «ministro per caso» dopo, eccole déluge: Gelmini, strumento
cieco dell’occhiuto Tremonti, darà all’intero sistema il colpo di grazia,
riformando e depauperando (da centrodestra) scuola e università,
col plauso dell’illustre predecessore (di centrosinistra), da cui ha ben
appreso l’arte della descolarizzazione, della disarticolazione,
dell’aziendalizzazione, della governalizzazione.
Vaniloquio?
Chiunque abbia un figlio, un nipote o un vicino di casa a scuola
o all’università sa di cosa stiamo parlando.
Oggi Stefania
Giannini, che ha concepito il suo incarico di ministra come trampolino
per un’elezione europea miseramente fallita, lungi dal difendere ciò che
resta di scuola e università, fa il defilè per Renzi e tenta la quadratura
del cerchio, promuovendo la definitiva dismissione dell’istruzione pubblica,
consegnata al mercato senza neppure un briciolo di rammarico.
La consultazione
fasulla è già finita nelle maglie di una legge di stabilità che prefigura
per il 2015 una scuola privata della possibilità minima di sussistenza.
Una scuola, appunto, privata.
La ricetta
Renzi è perfettamente sovrapponibile alle 100 proposte di Confindustria:
arretramento dello stato, tanto volontariato, benevoli finanziamenti privati,
in nome di un malinteso richiamo al principio di sussidiarietà, certo non
applicabile a un’istituzione della Repubblica.
Et voilà, la scuola-azienda, stipendi da fame
e condizione di lavoro servile, è servita.
Gli studenti
nostalgici che ancora invocano il «diritto allo studio» imparino dai loro
docenti della scuola pubblica le competenze del terzo millennio: pensiero
unico, flessibilità, precarietà, delocalizzabilità, silenzio.
Ma sì, che
diavolo: come ci insegnano i cattoliberisti di Confindustria
o del Pd, istruzione e cultura son roba da ricchi.
Anna Angelucci, Maurizio Matteuzzi,Il Manifesto3.11.2014
Ho giocato con Thea, una bambina autistica, nel suo sguardo il calvario di tante famiglie
Il Garantista, quotidiano nazionale, rubrica "Commenti", sabato 25 ottobre 2014
di Mattia Baglieri
Sabato sono stato chiamato dall’ANGSA, l’associazione nazionale genitori di soggetti autistici, a passare una giornata da “genitore per un giorno” di Thea, una bimba di otto anni colpita gravemente dal disturbo autistico. Mi sono dedicato a Thea ed ho giocato con il suo fratellino, sono stato con la sua famiglia a pranzo e a fare la spesa. Thea è forte sul fronte relazionale: cerca il tuo sguardo e si fa capire quando vuole essere presa in braccio, ma a otto anni ancora non sa parlare. Quest’estate ha dovuto faticare non poco per frequentare un centro estivo a causa dell’assenza di operatori specializzati. L’unica terapia che la aiuta, la ABA (Applied Behavior Analysis) è in gran parte a carico della famiglia e, da sola, si porta via uno stipendio al mese…
Una giornata particolare non basta per rendersi conto delle vicissitudini e delle mille esigenze che la famiglia di un bambino autistico passa quotidianamente, gravata dai tagli verticali tanto sul fronte dell’assistenza quanto su quello dell’educazione integrativa.
Un tempo l’Italia era assai avanti sul sostegno, grazie all’azione intellettuale di pedagogisti progressisti come Maria Montessori e Bruno Ciari. Ma oggi la tendenza si sta invertendo pericolosamente con il monte ore integrativo dedicato ai bimbi disabili che si riduce significativamente anno dopo anno, con i comuni costretti a ricorrere ai fondi regionali per la non autosufficienza, anch’essi sempre più minati e fortemente differenziati da regione a regione. Ho sentito anche brutte storie sul fronte della diagnosi, nel mondo della formazione che frequento come ricercatore, di studenti del ciclo inferiore i cui problemi di vera e propria disabilità vengono derubricati a più modesti “disturbi specifici di apprendimento” al fine di ridurre loro il sostegno scolastico di cui sarebbe loro diritto godere sulla base dell’articolo 3 della stessa Costituzione laddove essa afferma che “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che,limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”.
Oggi si fa necessario ed urgente il passaggio da una politica fondata sulla “paura” nei confronti dell’altro, ad una politica fondata sulla“simpatia”, ovverosia, in senso etimologico, sulla capacità di immedesimarsi gli uni nei panni degli altri. Forse per superare l’egoismo imperante basterebbe ricordare il precetto di Rousseau che nel suo capolavoro Emilio ricordava come “ciascuno domani potrà trovarsi nelle stesse condizioni di colui che oggi assiste”. La condizione della vita umana è una condizione vulnerabile,per questo occorrerebbe che chi detiene le redini del potere economico e politico lo ricordasse, magari proprio passando del tempo con le persone portatrici di disabilità e con le loro famiglie. Si verrà a conoscenza di uno sguardo diverso di concepire il mondo, rispetto agli assai labili canoni della “razionalità”,ma si verrà anche a conoscenza di tormenti indicibili, di sofferenze degradanti e di contesti di grande ed inaccettabile solitudine. L’Europa ci chiede sacrifici che colpiscono i più deboli ed i più fragili, la Costituzione ci chiede invece di sostenere attraverso un profondo orientamento alla giustizia sociale i soggetti che hanno risorse più scarse. È tempo di stabilire una volta per tutte di chi sia la supremazia nell’orientare l’azione pubblica. Passiamo del tempo con i bimbi autistici, con i loro eroici genitori e i loro insegnanti ed educatori, con coloro che oggi portano una patologia che domani in qualche modo ciascuno di noi potrebbe condividere. Dove non arriveranno le rigide direttive sovranazionali arriverà certamente la riscoperta della nostra umanità.
…........................................................................................ Il presidente indio della Bolivia Evo Morales, dopo aver vinto per la terza volta con larghissimo margine le elezioni, ha detto: "Questo trionfo democratico del popolo boliviano è dedicato a tutti i popoli dell'America Latina e del mondo che lottano contro il capitalismo e contro l'imperialismo", promettendo di fare del suo paese la capitale dell'energia dell'America latina."Questo trionfo, fratelli e sorelle, è dedicato a Fidel Castro ed Hugo Chavez, che riposi in pace". Dal momento che Morales è entrato in carica, il paese ha visto una costante crescita economica. L'anno scorso il PIL è cresciuto del 6,5%, quasi come la Cina.
"Hermanos, quiero aprovechar a nombre de ustedes... este triunfo del pueblo boliviano, en democracia. queda dedicado a todos los pueblos en América Latina y el mundo que luchan contra el capitalismo y contra el imperialismo. Este triunfo, hermanas y hermanos, es dedicado a Fidel Castro, dedicado a Hugo Chávez, que en paz descanse. Este triunfo es dedicado a todo presidente y gobierno anticapitalista y antimperialista..."
« Io, signori, non credo alla reazione; ma badiamo che le reazioni non si presentano con la loro faccia; e quando la prima volta la reazione ci viene a far visita, non dice: io sono la reazione. Consultatemi un poco le storie; tutte le reazioni sono venute con questo linguaggio: che è necessaria la vera libertà, che bisogna ricostituir l'ordine morale, che bisogna difendere la monarchia dalle minoranze. Sono questi i luoghi comuni, ormai la storia la sappiamo tutti, sono questi i luoghi comuni, coi quali si affaccia la reazione.» Francesco De Sanctis, Ministro della Pubblica Istruzione, discorso alla Camera - 10 dicembre 1878
Ben presto, dunque, la faccia da guitto del sign. Renzi sarà senza maschera. Sui problemi della scuola.
Articolo su Il Manifesto di sabato 27 settembre 2014
autrice: Anna Angelucci*
La consultazione popolare sul documento «La Buona Scuola» è iniziata
il 15 settembre e si concluderà a metà novembre. Ci riferiamo
al rapporto intitolato «La Buona Scuola». Presentato alla stampa il
3 settembre scorso, enuncia ambiti e modalità dei futuri interventi
legislativi immaginati da questo esecutivo: accesso alla professione,
formazione, valutazione, status giuridico, carriera dei docenti; competenze
dei dirigenti scolastici, sussidiarietà pubblico-privato, organi collegiali
e governo della scuola.
Nel merito, al netto di atti dovuti contrabbandati come scelte
(l’assunzione a tempo indeterminato di 150 mila precari imposta dalle
direttive europee) e di alcune velleità condivisibili (più arte,
più musica, più educazione fisica sin dalle elementari), il quadro che si
delinea è quello di una scuola che rinuncia definitivamente
a tutti i nostri principi costituzionali e, prima ancora, al
sistema di valori cui quei principi fanno riferimento: una scuola in cui la
competizione prevarrà sulla cooperazione, una scuola finanziata
e controllata dal mercato, una scuola marcata da un’autonomia localistica
in cui il territorio si farà destino.
Una scuola che avrà dunque rinunciato al suo mandato costituzionale,
quello di ricomporre le ineguaglianze socio-economiche e culturali
per consentire a tutte e a tutti pari opportunità di esercizio
della cittadinanza e di accesso ai saperi critici. Una scuola definitivamente
trasformata in azienda, costantemente sottoposta al vaglio del customer
care.
Come ci chiede l’Unione Europea. La quale, patteggiando la dilazione del
pareggio di bilancio con riforme neoliberiste, ci impone i diktat
della troika anche nell’istruzione.
Se leggiamo le raccomandazioni del Consiglio Europeo sul programma
italiano di stabilità del 2014 non resta alcun dubbio sul fatto che Matteo
Renzi i compiti a casa li stia eseguendo scrupolosamente. Si
chiede «la diversificazione della carriera dei docenti, la cui progressione
deve essere meglio correlata al merito e alle competenze, associata
ad una valutazione generalizzata del sistema educativo che potrebbe tradursi
in migliori risultati della scuola». Si chiede «il rafforzamento
e l’ampliamento della formazione pratica, aumentando l’apprendimento
basato sul lavoro e l’istruzione e la formazione professionale,
per assicurare una transizione agevole dalla scuola al mercato del
lavoro».
Nell’elaborato del premier tutte le consegne sono rispettate: gli scatti
di anzianità sostituiti da scatti per competenze; la valutazione incrementata
con il ricorso pervasivo ai test Invalsi e con la presenza degli
esterni; le forme di alternanza scuola-lavoro, da svolgersi più in azienda
che a scuola, assolutamente rafforzate.
Ora, come si configura la proposta dell’esecutivo? «La buona scuola» non
è un disegno o un progetto di legge presentato e discusso in
Parlamento, come iter giuridico e istituzionale vorrebbe,
bensì un «rapporto», annunciato ai cittadini in televisione, con il consueto
corredo postmoderno di loghi e slide. «Docenti, studenti, genitori,
nonni o altro» possono registrarsi sul sito dedicato e compilare
un questionario a risposta chiusa; possono partecipare e promuovere
dibattiti sulla piattaforma, preliminarmente muniti di kit, sulla base
di un format e di una metodologia predefiniti; possono costruire
«stanze» tipo «sblocca scuola», «meno costi per le famiglie», «servizio
civile per la buona scuola».
Una modalità neppure apparentemente trasparente, poiché priva di qualunque
possibilità di verifica e di interscambio tra chi vi accede
e chi la governa. Ma l’Ocse ci ha insegnato che le riforme che hanno successo
sono legate alla creazione del consenso: nel Rapporto 2009 spiegava chiaramente
che «in Italia il decentramento e l’autonomia della scuola non ha condotto
a trattative locali su stipendi, retribuzioni e condizioni di
lavoro. Manca il consenso per dotare gli istituti e gli insegnanti
degli strumenti di governance necessari». Ed ecco allora una consultazione
telematica pronta alla bisogna, il secondo compito ben fatto del nostro
volenteroso presidente del Consiglio.
Non importa che sia un dispositivo biopolitico, come direbbe il filosofo
francese Michel Foucault, cioè di fabbricazione e controllo di forme
di espressione e spazi di libertà solo apparenti. Non importa che, in
corpore vili, nessun cittadino culturalmente attrezzato e normodotato
avallerà mai la dismissione della scuola da parte dello Stato, chiunque sia
a chiederla. Non importa che, mentre gli italiani per due mesi si baloccheranno
sul sito della buona scuola, il ministero introdurrà i provvedimenti
varati a Bruxelles, «passodopopasso», a colpi di note, circolari
e direttive. Non importa che ci siano soluzioni diverse dall’iniquo
modello privatistico di stampo americano e anglosassone. Ci sembra
di sentirlo, il solerte Matteo, mentre fa bene i compiti a casa:
“Foucault chi?”
*Associazione Nazionale «Per la Scuola della Repubblica»
da Il Manifesto di oggi, 27 settembre 2014 -- Roberto Ciccarelli
Con il fucile della spending review puntato dietro la schiena, il governo sta preparando una gigantesca partita di giro ai danni della scuola, dell’università e degli enti di ricerca. Nella prossima legge di stabilità ci potrebbero essere 900 milioni di euro in tagli complessivi per finanziare la prima tranche dei fondi necessari per assumere 148 mila precari dalle graduatorie ad esaurimento a settembre 2015. Ne serviranno, a regime, altri 2,7 miliardi, ma al momento l’esecutivo non sembra avere alcuna idea su dove, come e quando prenderli. (..)
Il «patto» pagato dai docenti Ma non di soli tagli vive il miraggio della «riforma» Renzi. Non potendo perdere la faccia imponendoli in forma lineare, sullo stile Gelmini-Tremonti, il governo-che-tiene-tanto-alla scuola sceglie di rapinare le risorse direttamente dalle tasche dei docenti. Il sottosegretario all’Istruzione Toccafondi ieri ha gettato la maschera del «patto educativo». Rispondendo ad un’interpellanza parlamentare del Movimento 5 Stelle, ieri Toccafondi ha confermato che non ci saranno risorse aggiuntive per la scuola. E che quindi i tagli da 8,4 miliardi di euro non verranno nemmeno in parte recuperati. Saranno dunque i docenti a finanziare gli annunci di Renzi rinunciando ad una parte del loro stipendio.
I 5 Stelle denunciano: «Gli scatti di competenza sono una finzione perchè il sistema di Renzi prevede che il 66% dei docenti sia meritevole e il 34% immeritevole. Questo meccanismo è un taglio. La spesa per l’istruzione continua a calare anche con Renzi».
Non occorre, d’altra parte, spender molte parole per dimostrare come l’educazione fisica, intellettiva, morale e civile per l’uomo sia una necessità. Sta bene che l’uomo, fornito di corpo e di animo, ha naturali disposizioni fisiche e intellettuali, come ha leggi sue proprie; ch’egli è un animale naturalmente ragionevole, sociabile e parlante, come lo definiva Aristotile. Ma senza l’arte educativa, abbandonato a se stesso, l’uomo non si distingue dagli animali bruti, non apprende il linguaggio, non dispiega debitamente le sue facoltà mentali e morali, e non può quindi conseguire il suo massimo perfezionamento e il vero suo fine.
La Banca Mondiale ha pubblicato un recente rapporto in cui si parla
dell'eccellenza cubana in fatto di scuola e sanità: Cuba possiede un corpo
docente di alta qualità, un forte talento accademico, retribuzioni adeguate ed
elevata autonomia professionale, al pari di Paesi rinomati come Finlandia,
Singapore, Cina (in particolare la regione di Shanghai), Corea, Svizzera, Paesi
Bassi e Canada.
Fin dalla rivoluzione del 1959 è stato creato un sistema che permette
l’accesso a tutti alla salute e all’educazione: Cuba ha raggiunto
l’alfabetizzazione generale, ha eliminato determinate malattie, ha permesso
l’accesso all’acqua potabile e la salute pubblica di base, con bassi livelli di
mortalità infantile e alta speranza di vita, con un ulteriore miglioramento dei
tassi di mortalità infantile e speranza di vita negli anni Novanta.
La Banca mondiale ritiene le prestazioni dei servizi sociali a Cuba
fra i migliori del mondo in via di sviluppo, come documentato da fonti di
varie organizzazioni internazionali come l’Organizzazione mondiale della
salute, il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo e altre agenzie delle
Nazioni Unite.
Il Paese assegna all’insegnamento il 13% del proprio bilancio nazionale
contro la percentuale italiana inferiore al 4%.
Anche sul fronte della salute Cuba eccelle: ha inviato 165 medici e
infermieri in Africa per combattere il virus dell’Ebola, mentre da noi si parla
di chiusura delle frontiere.
Finalmente un bell'articolo di Roberto Saviano sull'ultimo numero dell'Espresso:
Ogni governo si sente in dovere di annunciare una “rivoluzione” nel mondo dell’istruzione. Un diversivo che serve solo a mascherare nuovi tagli. E il capitale umano del nostro paese diventa sempre più povero
di Roberto Saviano
È chiaro che il Governo in carica da pochi mesi non può essere considerato responsabile dello sfascio che si è andato accumulando nel corso dei decenni. Non si può neanche tacciare superficialmente l’azione di questa compagine di essere in piena continuità rispetto a quelle che l’hanno preceduta negli ultimi tre anni, poiché si affermerebbe una verità parziale che non aiuterebbe a comprendere le ragioni dello stallo. In aereonautica lo stallo può precedere lo schianto al suolo, poiché l’aereo, oramai ingovernabile, inizia a perdere inesorabilmente quota.
Date queste condizioni, quello che non si comprende è l’allegrezza, la spavalderia. Si pensava davvero che questi accenti caricaturali appartenessero, dopo il novembre 2011, al passato. Si pensava che con l’uscita di scena di Silvio Berlusconi, quell’eterno rinvio ai tipici personaggi della commedia all’italiana fosse esaurito. Si sperava che il pagliaccio e l’abile battutista con responsabilità di governo avessero lasciato il terreno a una generazione di persone serie, in grado di cogliere la gravità delle situazioni e dunque capace di lavorare con discrezione a soluzioni anche dolorose, ma di largo respiro.
Per un attimo era balenata l’idea che il cambiamento avrebbe consentito finalmente l’utilizzo di tante intelligenze umiliate o addirittura costrette alla fuga e all’esilio. Si credeva che quel capitale umano formato a caro prezzo e poi espulso dal mercato del lavoro potesse avere una possibilità di rientro in Italia. Certo sono passati pochi mesi e sarebbe ingiusto pensare che questo sogno sia del tutto infranto, ma il timore è che questi mesi, contraddistinti da un’assoluta inazione di Governo, abbiano mutato i caratteri di quel sogno.
Il timore è che dietro un Presidente del Consiglio che non esita a mettere in scena una pagliacciata per rispondere a un’autorevole testata economica, più che le intelligenze dimenticate si stiano accodando tanti sciacalletti in attesa di una chimerica nuova stagione delle vacche grasse: perlomeno questo sembra emergere dai territori, dove il Pd sembra sempre più uno di quei treni sovraffollati delle ferrovie indiane (o anche italiane), oramai parte dell’immaginario collettivo.
E non si tratta solo di messinscene o di comunicazione politica abbassata al rango della linea comica di una qualsiasi fiction; vi è di più. L’idea che ogni Governo si senta in obbligo di annunciare una “rivoluzione” nel mondo della scuola è oramai una tragedia alla quale dobbiamo rassegnarci. Come quel ministro senza voti che ha provato ad animare agosto con due polemiche stantie e studiate a tavolino – tra le quali l’eterno ritorno dell’art. 18 – così l’impressione è che l’ennesima rivoluzione della scuola altro non sia stato che il tentativo di creare un fronte polemico per l’autunno.
Con una drammatica, poiché fuori tempo, reiterazione di quel gioco delle parti (ministro, sindacati, studenti in piazza) che ha ammazzato la formazione degli italiani. Un giovane laureando che eroicamente pensi di diventare insegnante deve almeno avere la possibilità di sapere che i criteri di selezione e accesso alla professione saranno immutabili di qui a dieci anni almeno. Non deve subire l’opera di mobbing da parte di oscuri ministri, anch’essi senza voti, che dall’oggi al domani spacciano nuovi tagli alla spesa scolastica per “rivoluzioni”.
Il momento è gravissimo e la necessità di serietà è illimitata: il primo ministro e gli altri componenti del Consiglio dovrebbero rendersi conto che non è possibile sempre e comunque strizzare l’occhio alla più stantia rappresentazione della cialtroneria nazionale. Ci si aspetterebbe umiltà, silenzio, riservatezza: esistere solo quando si è al lavoro, rifuggendo ogni futilità. Ci si aspetterebbe la messa al bando di ogni arguzia. E se il giorno in cui si è ufficializzata la deflazione che ha portato l’economia italiana al 1959 il nostro Premier ha teatralmente mangiato il gelato, forse a breve sarà costretto a presentarsi al Paese in ginocchio e con la testa bassa, in un vuoto di parole, finalmente rappresentativo del disastro. Almeno allora potremo evitare di sorbirci l’ennesima cattiva rappresentazione di quei personaggi magistralmente ritratti – e non esaltati – dalla commedia all’italiana.
Dalla redazione economica de Il Manifesto di oggi, 4 settembre:
Per assumere 148.100 nuovi docenti saranno necessari circa 3 miliardi di euro. Per l’esercizio finanziario 2015, primo anno di attuazione del piano, sarà necessario impegnare 1 miliardo da settembre a dicembre. In una simulazione inserita nel volume «La buona scuola» il costo immediato sarà di 3 miliardi di euro, che in 10 anni salirà a 4,1 miliardi (per contributi ecc). Il governo dice che prenderà i soldi dal risparmio delle supplenze. Una previsione che al momento sembra ottimistica, ma che spiega anche l’idea di sostituire gli scatti di anzianità con quelli «di competenza».
Dal 15 settembre al 15 novembre partirà inoltre il «piano di ascolto» sul progetto di riforma della scuola presentato ieri dal governo Renzi. Il presidente del Consiglio preferisce non chiamarla «consultazione» ma «co-progettazione» che avverrà in «co-design jams, barcamp o world cafès». Agli sudenti verrà fornito il kit «La Buona Scuola» con il quale organizzare «dibattiti» negli istituti. «La scuola — si legge nel opuscolo “La buona scuola” consultabile sul sito passodopopasso.italia.it — deve diventare una vera risposta strutturale alla disoccupazione giovanile e l’avamposto del rilancio del Made in Italy».
Per il momento, il dato più concreto è l’assunzione dei 150 mila precari a settembre 2015 e il concorso per altri 40 mila abilitati all’insegnamento tra il 2016 e il 2019. Il costo sarà, a regime, di 4 miliardi di euro che il governo intende trovare con dal risparmio sulle supplenze e dalla spending review.
Forte è lo scetticismo tra i sindacati e i presidi, immediata è stata la reazione negativa degli studenti che scenderanno in piazza il 10 ottobre. Piero Bernocchi dei Cobas, giudica positivamente l’annuncio sui precari, ma critica la competizione tra i docenti prevista dalla riforma «meritocratica» e la sollecitazione agli investimenti privati, in un quadro di potenziamento dei rapporti con le imprese. «In termini generali è un piano ambizioso, ma ci sono degli aspetti di difficilissima applicazione». Così Massimo Di Menna, segretario generale della Uil Scuola. L’Unicobas conferma lo sciopero del 17 settembre e critica il sistema di valutazione dei docenti. Il Codacons ricorrerà contro lo strapotere dei presidi, mentre i presidi rimandano a settembre la riforma. Per loro, oggi, la valutazione degli insegnanti non è possibile. Gli studenti dell’Uds mancano misure per il diritto allo studio. «La riforma privatizza sostanzialmente l’istruzione».
La Flc-Cgil giudica positivamente l’assunzione dei 150 mila precari, ma chiede chiarimenti sulle coperture finanziarie. Negativo invece è il silenzio del governo sul blocco del contratto della scuola da 7 anni. Il sindacato di Domenico Pantaleo critica gli aspetti meritocratici della riforma: l’abolizione degli scatti di anzianità degli insegnanti, l’idea della valutazione individuale delle competenze:«Si piega l’istruzione ai bisogni dell’impresa». Il sindacato promette di mobilitarsi e continuerà l’interlocuzione con il governo.
(..) Ogni individuo che ci si presenta e' un individuo a se' che somiglia agli altri individui per alcune leggi generali di sviluppo, per attitudini comuni, ma ha sempre una caratteristica sua personale per cui reagisce agli stimoli in maniera personale. (..)
Lo spirito umano e' un qualche cosa che non si piega a nessuna forma predeterminata, che non risponde alle voci che vengono dall'esterno sempre alla stessa maniera, che si può dire abbia una reazione diversa per ogni momento e per ogni circostanza. Di qui la difficoltà dell'azione educativa.
Dina Bertoni Jovine, prima lezione ad aspiranti maestre, 1962
sta in "Educazione, storia, società" ( a cura di Angelo Semeraro), Congedo, 1990, pp. 34-35
Istituzione della «meritocrazia» tra gli insegnanti e riforma della professione docente su tre fasce stipendiali: insegnanti ordinari, esperti e senior. Lo stipendio dei professori a scuola sarà così legato al «merito» e non all’anzianità di servizio. Da istituzione pubblica, la scuola italiana verrà trasformata secondo i criteri aziendalistici dove c’è la concorrenza tra i dipendenti e i dirigenti sulla base del loro rendimento nella formazione degli studenti e della «produttività» degli istituti in cui lavorano. «Chi fa di più prende più soldi» è l’idea di fondo dell’esecutivo.
Poi c’è l’eliminazione delle supplenze brevi per 400 mila docenti precari iscritti alle graduatorie di istituto e creazione dell’«organico funzionale». Quello «di fatto», sul quale è organizzata la scuola italiana dovrebbe andare in soffitta. Sono i punti principali della «riforma» della scuola alla quale starebbe lavorando il governo Renzi in vista dell’atteso Consiglio dei ministri di venerdì 29 agosto.
In quella occasione, il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini presenterà una «visione» articolata in «29 linee guida». «I supplenti non saranno eliminati fisicamente» ha precisato ieri Giannini al meeting di Comunione e Liberazione a Rimini.
Per Giannini le supplenze andranno «riconsiderate», anche perché «si sa già dall’inizio dell’anno scolastico quali sono i posti da sostituire stabilmente» ma «un meccanismo perverso che ci trasciniamo da decenni non ci consente di lavorare se non con l’organico di diritto e quindi di riempirlo attraverso le graduatorie». Il suo obiettivo è «ragionare in termini di organico funzionale e non di organico di diritto che si distingue dall’organico funzionale. Le supplenze non fanno bene nè a chi le fa nè a chi le riceve».
Si parla inoltre di un ripescaggio della «legge Aprea» che il governo Monti era stato costretto a ritirare dopo una massiccia mobilitazione degli studenti medi nel 2012; del perfezionamento dell’alternanza «scuola-lavoro» sul «modello tedesco»: gli studenti degli istituti professionali e tecnici andranno a lavorare da aprpendisti sin dal 4° anno. Si vocifera di un piano straordinario di immissioni (100mila) in ruolo su tutti i posti vacanti e un concorso ogni due anni. Per Mimmo Pantaleo (Flc-Cgil) «se rispondono a verità le indiscrezioni sugli scatti e la meritocrazia fuori dal sistema contrattuale per noi è inaccettabile». Le «linee guida» verranno discusse per due mesi da settembre. Il «pacchetto» dovrebbe contare su fondi ulteriori rispetto al miliardo stanziato sull’edilizia scolastica.