Subaltern studies Italia

L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

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mercoledì 22 maggio 2013

C'è Taranto nell'ultimo libro di Franco Arminio


taranto, uno e due



metto qui i due pezzi usciti sul manifesto (21/05/2013) per presentare il nuovo libro di Franco Arminio, GEOGRAFIA COMMOSSA DELL’ITALIA INTERNA, dal 23 maggio in libreria.

La città di ferro

Taranto è una città apocalittica, ma è un’apocalisse grigia, a lento rilascio. C’è una fabbrica che si è presa il mare, la terra, il cielo della città e adesso si prende anche il lavoro. Bisogna fermarsi e ragionare su Taranto, si può enfatizzare l’importanza del lavoro o quella della salute, comunque siamo di fronte a una vicenda cruciale, che spiega molto del nostro passato e anche del nostro futuro.
L’apocalisse di Taranto prima che nelle cartelle cliniche è nella forma della città: una bellissima città della Magna Grecia circondata da una cintura di ferro, simbolo estremo di come l’Italia sia passata dalla civiltà contadina alla modernità incivile. Una storia di trasformazioni che hanno cambiato il volto dell’Italia, ma non i rapporti tra dominati e dominanti.
Gli operai di Taranto provengono spesso dalle campagne ioniche, sono arrivati in città spinti dal mito del posto fisso. Negli anni sessanta in quella che allora si chiamava l’Italsider andò a dir messa anche il papa. E valenti documentaristi filmavano una fabbrica che aveva nella sua grandezza il suo mito. Insieme all’industria è cresciuta la città nuova, sono nati i negozi, sono nati gli uffici del terziario. Tutto si è mosso in una direzione che pareva di avanzamento e che col passare del tempo si è configurata come un abbraccio mortale, da città sviluppata a città impolverata: il quartiere Tamburi e il cimitero stanno uno a fianco all’altro.
Ora la faccenda non può essere risolta con un intervento pubblico teso a rendere la fabbrica meno nociva. E bisogna sempre considerare che magari fra vent’anni scopriremo che era inaccettabile ciò che adesso consideriamo accettabile. In ogni caso il punto di partenza deve essere la condizione degli operai. Perdere il posto è una beffa ulteriore e insopportabile, dopo aver sopportato per così lungo tempo un lavoro pesante e pericoloso per la salute. Pericoloso già solo perché pesante e poi perché il padrone fino a quando può preferisce massimizzare le entrate e minimizzare le uscite. Ed è singolare che lo stesso padrone abbia una fabbrica al Nord che inquina la metà di quanto inquina al Sud. Forse è la stessa logica che porta il padrone a indennizzare gli operai vittime del petrolchimico di Marghera e non di quello di Brindisi. La stessa logica che ha portato a riempire di rifiuti tossici le campagne del casertano e di tanti altri luoghi del Sud: c’è sempre stato qualcuno, camorrista o semplice cittadino, che ha pensato al denaro più che alla salute, anche perché il denaro si prende subito, le malattie arrivano più lentamente.
A Taranto non c’è solo la fabbrica, c’è anche un meraviglioso museo archeologico, c’è una città vecchia sopra un’isola. È lecito chiedersi se è giusto mettere soldi su una fabbrica che non sarà mai innocua: l’acciaio non si fa coi guanti bianchi. È lecito chiedersi se non è il caso di orientare l’investimento anche in un grande piano di recupero del centro antico, per restituire alla Puglia e all’Italia un luogo importante.
La città deve da subito ricostruire le macerie del suo centro storico: nessuna città italiana ha un centro che sembra reduce da un bombardamento. Ci vuole una politica all’altezza di un luogo straordinariamente bello e complesso: c’è la fabbrica, ci sono gli operai, ma ci sono anche i contadini intorno alla città, anche loro hanno un lavoro, anche loro hanno diritto a essere tutelati. E hanno diritto a essere tutelati i bambini e gli anziani di Taranto. E anche gli ipocondriaci: le persone che tendono a sviluppare malattie immaginarie trovano tutte le condizioni per accrescere le proprie ansie. Se una mattina ti svegli con un linfonodo ingrossato fai presto a pensare che il tumore è venuto a visitare pure a te, fai presto a pensare che non è stato fabbricato nel tuo corpo, ma nella fabbrica che produce l’acciaio e la polvere rossa che avvolge i quartieri popolari e l’aerosol criminale che si diffonde per decine di chilometri.
Ci sono tre città: la città nuova, la città fabbrica, la città antica. Negli ultimi decenni le prime due hanno esiliato la terza sulla sua isola, le hanno assegnato il ruolo di accogliere lo spirito accidioso della città. Questo modello che cammina su una gamba sola non è più sostenibile. Lo deve capire la classe dirigente locale e nazionale mettendo a disposizione risorse non solo per il padrone, ma per i tarantini, costruendo un nuovo modello basato sull’equilibrio tra le diverse opportunità: il porto, il museo, la città vecchia. Dare salute a queste tre realtà di fatto significa rendere la città meno dipendente dalla grande acciaieria. Come si dice in questi casi, è una grande sfida, una sfida che non può ridursi ai soliti aggiustamenti che non aggiustano niente. E nonostante gli errori di questi giorni le uniche figure meritevoli di rispetto restano gli operai: quello che stanno facendo ci dice che esiste anche l’egoismo degli sfruttati, ma è sempre meno grave dell’egoismo degli sfruttatori.

Tromba d’aria quotidiana

La notizia era il padrone che voleva chiudere la fabbrica. Oggi il padrone della notizia è stata la paura. La tromba d’aria sembra venuta a rammentare chi comanda veramente all’Ilva, a Taranto, altrove.
L’atmosfera è una cosa viva, qualunque capriccio è possibile, dovremmo sempre ricordarcelo. Gli esseri umani quando parlano delle loro vicende devono imparare a considerare che si svolgono dentro un ambiente che non possono controllare. Il vento soffia dove, come e quando vuole. Troppo spesso parliamo dei nostri problemi, a partire da quello di come riprendere la crescita, come se lavorassimo in un luogo inerte, come se tutto dipendesse da noi e solo da noi. Non è così. Non siamo padroni del nostro corpo e ce ne accorgiamo quando ci ammaliamo. Non siamo padroni del mondo, anche se abbiamo la velleità di considerarlo nostro.
In un certo senso la tromba d’aria all’Ilva si è seduta al tavolo delle trattative rubando per un giorno la scena agli attori. La furia del clima è più grande delle rivendicazioni degli operai, delle titubanze della politica, delle miserie dei padroni. La nube nera sembra essere il fiocco che chiude quella confezione di sventure che è l’acciaio a Taranto. Basti pensare ai familiari degli operai morti di tumore. Non è un lutto come un altro. Anzi il lutto si fa fatica a elaborarlo, perché si vorrebbe avere giustizia, si vorrebbe che da qualche parte fosse certificata la causa del decesso. Questo pensiero immediatamente s’intreccia con quello degli operai “messi in libertà”. Per loro oltre alla rabbia per le incertezze sul futuro lavorativo, c’è la paura di ammalarsi a causa del lavoro che si è svolto. In un certo senso la tromba d’aria viene a sancire che noi umani possiamo pure fare i nostri negoziati, ma dobbiamo sempre ricordarci che il nostro è un gioco piccolo, che si svolge ai margini del grande quadro dell’universo.
In fondo Taranto colpisce perché non è una fabbrica dentro la città, ma è un città dentro la fabbrica. Una città prigioniera dell’acciaio e che anche per colpa di questa prigionia adesso è considerata il luogo d’Italia dove si vive peggio. La politica dovrebbe ricordarsi che in tutta Italia c’è un’emergenza ambientale spaventosa. Cos’è la pianura padana se non una grande azienda con delle case dentro? E quella striscia nera che si vede nel cielo quando saliamo su qualche rilievo cos’è se non la prova che si vive e si lavora nel veleno?
Non si possono impedire fulmini e trombe d’aria, si possono rendere assai più severi i limiti del nostro sviluppo che troppo spesso è solo un trampolino per lo sviluppo dei tumori.
Taranto tornerà a non fare notizia. La natura darà appuntamento per le sue rivincite su un altro scenario: il mondo della tecnica e delle merci rimane un mondo fragile.
Siamo chiamati a una politica d’impronta chiaramente ecologista per contrastare la tromba d’aria quotidiana che è il capitalismo nell’era dell’economia come unica religione del pianeta. I terremoti, le alluvioni non avvengono in un contesto idilliaco, ma in un paesaggio divorato da una socialità sfinita. È come se i disastri compiuti dalla natura non fossero che piccole chiose, picchi episodici di un disastro più grande che l’umanità intera compie ogni giorno.
Taranto è un luogo in cui il disastro è più concentrato. Durante la tromba d’aria all’Ilva qualcuno avrà pensato alla fine del mondo: fiamme e nuvole vorticose, il mare che sbatteva con furia, le persone che fuggivano.
La natura da queste parti non conosce oltranze, davanti alla città non c’è l’oceano, il luogo è così potente che dopo tanto oltraggio la bellezza è ancora evidente. La luce ionica filtra anche dietro un manto di nuvole nere. Non sono loro che hanno sporcato il cielo.

sabato 18 maggio 2013

Oggi in piazza con la Fiom per la democrazia, il lavoro e i diritti di cittadinanza



Fonte: il manifesto | Autore: Grazia Naletto


La manifestazione nazionale indetta per oggi dalla Fiom «Diritto al lavoro, all'istruzione, alla salute, al reddito, alla cittadinanza, per la giustizia sociale e la democrazia» non è una manifestazione come le altre. Si colloca in un contesto politico, economico e sociale straordinario che richiede da parte della società civile una risposta altrettanto straordinaria. Sul piano politico il governo appena entrato in carica è quanto di più lontano da quanto espresso dal voto del 24 e 25 febbraio. (...) Sul piano economico gli ultimi dati ufficiali ci consegnano un paese in piena recessione la cui «ripresa» viene posticipata di volta in volta dalle diverse statistiche offerte dalle istituzioni internazionali. (...) La società civile non può stare a guardare. Se la politica non è in grado di trovare da sola risposte al disastro economico e sociale in cui ci troviamo, è necessario riorganizzare una mobilitazione sociale diffusa che riunisca insieme i soggetti più colpiti dalla crisi per proporre e rivendicare scelte politiche alternative a tutela dei diritti del lavoro, sociali, di cittadinanza. In una fase di grande crisi della politica e della rappresentanza come questa, è anche nostra responsabilità dare voce a quel 90 per cento di cittadini che hanno pagato e stanno pagando i costi di politiche economiche e sociali sbagliate rilanciando una forte mobilitazione sociale che unisca insieme sindacati, lavoratori, studenti, organizzazioni e movimenti sociali. 
 Serve rinunciare ad una autoreferenzialità che ci condanna tutti alla frammentazione e al fallimento e serve ricostruire una cultura diffusa dei diritti di cittadinanza liquefatta dal liberismo. La direzione da intraprendere è suggerita dallo slogan della manifestazione di oggi, ma anche dalle associazioni e dai movimenti che si sono espressi in questi anni tra i quali Sbilanciamoci!: restituire dignità al lavoro, creare nuova occupazione «umana», «pulita» e «disarmata», garantire istruzione e sanità pubbliche, giustizia sociale e fiscale e maggiore democrazia. La gravità della crisi ci impone poi di introdurre una forma di sostegno al reddito per inoccupati, disoccupati e studenti. Non una concessione caritatevole per i più «bisognosi», ma un vero e proprio diritto di cittadinanza da collegare a una riforma del mercato del lavoro che rinunci all'inganno della flessibilità a tutti i costi, riduca il ricorso alle forme di contratto atipico, preveda, laddove necessario, la riduzione dell'orario di lavoro come forma di solidarietà in situazioni di crisi aziendale e individui un salario minimo orario e/o per prestazione lavorativa. 
 È l'intero sistema di welfare che deve essere riformato non senza un ripensamento complessivo delle politiche fiscali, industriali, del lavoro.(...) Si può scegliere di costruire una società escludente o inclusiva, una società che marca le disuguaglianze sociali o che tenta di ridurle, che si rivolge al «cittadino-consumatore-utente» spersonalizzandolo o alle persone in carne e ossa. Anche in tempi di crisi si può scegliere di stare dalla parte giusta: oggi, a fianco della Fiom. 
 -La versione integrale dell'articolo è consultabile su www.sbilanciamoci.info
In tempo reale su 
https://www.facebook.com/pages/Lavoro-Politico-Marx-21-Taranto/242960732497109

mercoledì 15 maggio 2013

Arrestato il Presidente della provincia di Taranto (Pd)



Ieri pomeriggio il dissequestro dei prodotti finiti e stamattina gli arresti nell’ambito dell’inchiesta sulle tangenti dell’Ilva al mondo politico e istituzionale. Le manette sono scattate per il presidente della Provincia di Taranto, Giovanni Florido (eletto per il secondo mandato nel 2009 col Pd ed in passato segretario generale della Cisl ionica) e anche per un assessore provinciale, Miche Conserva, per un dirigente dell’Ilva Girolamo Archinà (già in carcere) e per l’ex segretario della Provincia di Taranto, Vincenzo Specchia (ai domiciliari). L’inchiesta, denominata "Ambiente Svenduto", si riferisce alla discarica Mater Gratiae all'interno dell'Ilva destinata ai rifiuti speciali, ha accertato reati come la concussione. Archinà, ex responsabile delle relazioni istituzionali dell'Ilva, secondo l'accusa avrebbe tenuto rapporti con amministratori, politici, sindacalisti, dirigenti di organi di controllo a vari livelli e perfino giornalisti, riuscendo in alcuni casi a corrompere pubblici ufficiali e pilotare controlli e verifiche all'interno dello stabilimento.

domenica 12 maggio 2013

CON LA FIOM IL 18 MAGGIO


Appello per la manifestazione
Per aderire invia una mail a fiom18maggio@fiom.cgil.it

Diritto al lavoro, all'istruzione, alla salute, al reddito, alla cittadinanza, per la giustizia sociale e la democrazia
Sabato 18 maggio i metalmeccanici si mobilitano e scendono in piazza a Roma perché cinque anni fa con il governo Berlusconi ci avevano detto che la crisi non c'era, era passeggera, addirittura superata.
Negli ultimi due anni col governo Monti, visto che la crisi non si poteva più negare, si è passati a un uso della crisi per legittimare le politiche di austerità in tutta Europa.
La scelta di non intervenire sulle cause ha determinato che il 10% della popolazione ha il 50% della ricchezza: i responsabili hanno quindi continuato ad aumentare le proprie rendite. Inoltre le banche hanno ridotto il credito e investito in titoli spazzatura e la Confindustria ha puntato sulla cancellazione dei diritti e la riduzione del salario.
Risultato?
Hanno cancellato l'articolo 18, derogato ai contratti e alle leggi, tagliato la spesa sociale, chiuso ospedali e per 9 milioni di persone non è più garantito il diritto alla salute, chiuso scuole e università, posticipate e ridotte le pensioni. Hanno addirittura provato a generare una guerra tra inoccupati, disoccupati e precari, giovani e non, donne e uomini.
L'Italia continua a essere il paese con la massima evasione fiscale e la minore tassazione delle rendite finanziarie mentre attraverso le politiche fiscali hanno continuato a spremere pensionati e lavoratori dipendenti.
I risultati di questa scelta sono: licenziamenti, aumento delle disuguaglianze sociali, impoverimento e inaccessibilità al lavoro.
Questa condizione di solitudine ha addirittura portato persone a togliersi la vita.
Adesso Basta! Non vogliamo più essere divisi e ricattati, è il momento di cambiare
Il 18, a Roma, manifestiamo per:
- riconquistare il diritto del e nel lavoro;
- la riconversione ecologica del nostro sistema industriale per valorizzare i beni comuni acqua, aria e terra;
- un piano straordinario d'investimenti pubblici e privati e il blocco dei licenziamenti anche attraverso l'incentivazione della riduzione dell'orario con i contratti di solidarietà e l'estensione della cassa integrazione;
- un contratto nazionale che tuteli i diritti di tutte le forme di lavoro con una legge sulla democrazia che faccia sempre votare e decidere i lavoratori;
- un reddito per una piena cittadinanza di inoccupati, disoccupati e studenti;
- fare in modo che la scuola, l'università e la sanità siano pubbliche e per tutti;
- combattere le mafie e la criminalità organizzata che si sono infiltrate sia nella finanza che nell'economia;
- la rivalutazione delle pensioni e per un sistema pensionistico che riconosca la diversità tra i lavori;
- un'Europa fondata sui diritti sociali e contrattuali, su un sistema fiscale condiviso e sul diritto di cittadinanza e sulla democrazia delle istituzioni.
Per queste ragioni ci rivolgiamo a tutte le donne, gli uomini, i giovani, i precari, i disoccupati, i migranti, i pensionati, perché noi operaie, operai, impiegate e impiegati metalmeccanici, come voi, vogliamo una democrazia che ci permetta di partecipare e decidere del nostro futuro.

mercoledì 1 maggio 2013

Nessuna contrapposizione

« Meglio morire in piedi, che vivere in ginocchio. »
(Accursio Miraglia)

il 1 maggio si può festeggiare in musica senza i sindacati ma non contro i sindacati. Credo e mi auguro sia questo lo spirito del 1 maggio tarantino. 
Nel ricordo di Nunzio Passafiume, Agostino D'Alessandro, Accursio Miraglia, Placido Rizzotto, Salvatore Carnevale.... e tanti altri ancora.

Accurso Miraglia




Nunzio Passafiume

Placido Rizzotto