Subaltern studies Italia

L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

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giovedì 29 aprile 2021

La scoperta di Gramsci (seminario) / comunicazione: Il doppio sguardo sui subalterni (Gramsci e de Martino) - Università di Macerata

 

"L'inizio dell'elaborazione critica è la coscienza di quello che è realmente, cioè un conosci te stesso, come prodotto del processo storico finora svoltosi che ha lasciato in te stesso un'infinità di tracce accolte senza beneficio d'inventario. Occorre fare inizialmente un tale inventario.," 
QdC, A.Gramsci, Q.10.

Universita’ di Macerata - La scoperta di Gramsci / seminario
venerdì 30 aprile, 9.30/13.30

con:





comunicazione: il “doppio sguardo” di Gramsci e de Martino 
[una ricerca comparata per i Subaltern studies Italia]
.
Il "doppio sguardo" sui subalterni: per una ricerca comparata tra marxismo e antropologia filosofica in Gramsci e de Martino
abstract.: 
DOPPIO SGUARDO è LO SGUARDO DOPPIO
Nell’atto dello sguardo, lo spirito prende possesso della propria autonomia. […] Ciò presuppone, beninteso, un mondo accessibile alla vista, in cui nessun oggetto fosse, di per sè, impenetrabile allo sguardo del contemplatore. All’ipotesi della sovranità della visione istantanea corrisponde l’ipotesi della leggibilità del mondo.
J. Starobinski, “Montesqiueu”, cit. in Angela Di Fazio, Tra crisi e riscatto - Elsa Morante legge Ernesto De Martino, Pendragon - Bologna, 2017, pag.18.
Impossibile dunque non osservare con i propri occhi, ma è impossibile distogliere lo sguardo se l’altro ti guarda con i suoi propri occhi.
Lo sguardo, in quanto tale, è doppio perché può stabilire un legame emotivo con l’altro nell’incontro: il mondo diventa leggibile, in quanto contemplato dallo sguardo, senza del quale, il mondo stesso non sarebbe.
E' quello di ANTONIO GRAMSCI ed ERNESTO DE MARTINO, necessario per il riscatto delle classi subalterne, l’uno attraverso la scienza politica e la filosofia della prassi, l’altro attraverso la ricerca sul campo e l’antropologia filosofica, l’uno e l’altro impegnati in uno sforzo di interpretazione, sviluppano categorie ermeneutiche che attraversano l’essere-umano in tutte le sue dimensioni, implicitamente alla ricerca di quell’”uomo onnilaterale” di Marx, in cui convivono razionalità e irrazionalità, sentimento e ragione, e si intrecciano natura, storia e cultura.

~ fe.d.


sabato 24 aprile 2021

IL SUD dei SUBALTERNI

 

“Proveremo a pensare la storia del mondo come l’impensabile che è racchiuso all’interno dei suoi confini, (..) assumendo come punto di partenza il concetto di ‘popolo senza storia’”, Ranajit Guha, La storia ai limiti della storia del mondo, Sansoni, Milano, 2003, pag.23.


La storia viene tracciata dalle classi subalterne, ma raccontata dalle classi dominanti. Noi seguiremo le tracce non i racconti. 
[per i Subaltern Studies Italia]

- Se non tutti i governati sono subalterni, tutti i governanti sono classe dominante. Questo, oltre che per i rapporti tra Stato, società politica e società civile e per la composizione di classe che chiama in causa la soggettività antagonista e i livelli di “coscientizzazione” (Freire), anche per la dimensione culturale che diventa terreno per l’egemonia. La direzione dei gruppi sociali affini, infatti, si esercita proprio in quella dimensione, nella capacità persuasiva del senso comune. Il folklore dei subalterni, da espressione creativa del mondo popolare e dei suoi bisogni, diventa funzionalmente regressivo in quanto asservito al senso comune delle classi dominanti, “un agglomerato indigesto di frammenti di concezioni del mondo (..) e superstiti documenti mutili e contaminati”, Gramsci, Q.XXVII.

La passione - sofferenza e la rinascita - riscatto, sono simboli perenni dell’incedere dell’esistenza degli esseri umani. Il codice simbolico rimanda alla imperscrutabilità e all’ineffabilita‘ della sorte, del caso e della necessità. E alla speranza, mai sopita, di dominare gli eventi.

Nella lettura antropologica di de Martino, nessun escaton (riscatto) sarebbe possibile se non partendo dalle stesse tracce culturali dei subalterni e dal loro stesso senso di appartenenza ad una rappresentazione, simbolica come materiale, di un mondo e una storia scritti da loro, ma raccontati dai dominanti e resi così funzionali al loro dominio. I popoli “senza storia”, che rischiano di perdere la presenza nell’abisso della naturalità, nel fare la storia, ricostruiscono il loro esserci collettivo nella riappropriazione dell’identità culturale. La destorificazione del negativo si risolve nella storicizzazione dell’appartenenza comunitaria. 
-fe.d.


Ernesto de Martino (1908/1965)



domenica 18 aprile 2021

I margini della storia, Gramsci e i Subaltern Studies. Una pagina di Gramsci sullo studio dei gruppi subalterni

 

Quaderno 25 (XXIII), 1934, Ai margini della storia (Storia dei gruppi sociali subalterni)

1. Subaltern Studies  2. Subaltern Studies Italia  3. Subaltern Studies e ragione postcoloniale decostruzionista (G.C.Spivak)


1. Subaltern Studies

"La storia dei gruppi sociali subalterni è necessariamente disgregata ed episodica. E' indubbio che nell'attività storica di questi gruppi c'è la tendenza all'unificazione sia pure su piani provvisori, ma questa tendenza è continuamente spezzata dall'iniziativa dei gruppi dominanti, e pertanto può essere dimostrata solo a ciclo storico compiuto, se esso si conchiude con un successo. I gruppi subalterni subiscono sempre l'iniziativa dei gruppi dominanti, anche quando si ribellano e insorgono: solo la vittoria "permanente" spezza , e non immediatamente, la subordinazione. (..) Ogni traccia di iniziativa autonoma da parte dei gruppi subalterni  dovrebbe perciò essere di valore inestimabile per lo storico integrale.", pag.2283/2284.

I Subaltern Studies si configurano come svelamento di "tracce" in antitesi ai meccanismi di costruzione della storia come modalità egemone di relazione con il passato (e sono "tracce" culturali in assenza o disgregazione dell'autonomia politica), un tentativo dunque di esplorazione anche delle differenti modalità di relazione tra scrittura e passato.

2. Subaltern Studies Italia

Gruppi subalterni e Stato: la storia dei gruppi subalterni, senza autonomia politica, è intrecciata a quella della società civile.

"i gruppi subalterni, mancando di autonomia politica, le loro iniziative "difensive" sono costrette da leggi proprie di necessità, più semplici, più limitate e politicamente più compressive che non siano le leggi di necessità storica che dirigono e condizionano le iniziative della classe dominante.", pag.2286.

"L'unità storica delle classi dirigenti avviene nello Stato e la storia di esse è essenzialmente la storia degli Stati e dei gruppi di Stati. (..) Le classi subalterne, per definizione, non sono unificate e non possono unificarsi  finchè non possono diventare "Stato":  la loro storia, pertanto, è intrecciata a quella della società civile, è una funzione "disgregata" e discontinua della storia della società civile e, per questo tramite, della storia degli Stati o gruppi di Stati. (..) Lo storico deve notare e giustificare la linea di sviluppo verso l'autonomia integrale, dalle fasi più primitive, deve notare ogni manifestazione del sorelliano "spirito di scissione"." pag.2288.

L'esempio non può che essere quello del Risorgimento italiano, la mancata unificazione del popolo da parte della borghesia.

Questo quaderno infatti è strettamente legato al tema dell'egemonia e della conquista dello Stato. Riveste, dunque, un'importanza particolare. Sono studiati i rapporti tra ceti dominanti e subalterni, partendo dal mondo antico (gli schiavi) e configurando il passaggio dallo Stato antico allo Stato moderno. Le utopie sono considerate creazione di singoli intellettuali isolati (Tommaso Campanella, lo stesso Machiavelli), in cui un'irrealizzabile aspirazione politica si costruisce come immaginazione concettuale, aspirazioni utopiche preparate in Italia dall'umanesimo come "salto" politico-filosofico per la soluzione dei problemi delle materiali condizioni di vita degli umili, alla ricerca di un nesso, non trovato, tra intellettuali e popolo.

citazioni da edizioni Einaudi, 1975, a cura di Valentino Gerratana, vol.III.

3. Subaltern Studies e ragione postcoloniale decostruzionista (G.C.Spivak)

Tracce e autonomia integrale dei subalterni: è da qui che parte, riferendosi  proprio a Gramsci, la critica alla ragione postcoloniale della Spivak, autrice nel 1988 di  "I subalterni possono parlare?", poi ricompreso nel terzo capitolo ("Storia") dell'ed.it. della Critica della ragione postcoloniale, a cura di Patrizia Calefato, ed. Meltemi, 2004 (1 ed.,Harvard University Press -1999):

"Ma chi è "subalterno"? Il concetto di Spivak è direttamente tratto dal pensiero di Gramsci e dal suo marxismo a sua volta "critico", che presenta temi portanti di estremo interesse per l'attualità postcoloniale, certamente per Spivak come è stato per tutti gli studiosi della composita area degli studi culturali e postcoloniali, dalla scuola di Birmingham a Said, fino al gruppo dei Subaltern Studies. Gramsci che, scrivendo in carcere, estrinsecò il contrasto impensato (double bind lo chiamerebbe forse Spivak filtrando l'espressione di Derrida) tra questione meridionale italiana e fordismo "americanista" già sovranazionale, tra "folklore" e cultura di massa; Gramsci che riesaminò in chiave materialista il concetto di senso comune e introdusse quello di egemonia, fissando come imprescindibile per la formazione della coscienza di classe l'ambito del linguaggio. Le classi subalterne, nella concezione marxiana che Gramsci rielaborò e di cui Spivak riprende il filo annodandolo ad alcuni passaggi del Diciotto Brumaio di Luigi Bonaparte di Marx, possono avere coscienza di se stesse superando la loro disgregazione e articolando la loro azione politica nel progetto di un'egemonia che le élite politiche e culturali costruiscono. In Spivak, però, la domanda sul "parlare" dei subalterni riguarda la loro possibilità di realizzare una capacità di agire, un'agentività (agency) che implica un'egemonia non convenzionale intesa come forza, come progetto di vita modellato entro un sistema che si collochi oltre il simbolico prestabilito."   (ivi,pp.13-14)

Le tracce non in elenco, dunque, sono quelle dell'"informante nativo - nativa" (la subalterna, "la più povera donna del Sud"), che subisce la violenza epistemica della stessa ragione post-coloniale. La pratica teorica della decostruzione (Derrida) introduce agli studi culturali trans-nazionali.  E la rivoluzione? Quella delle parole e del disvelamento testuale , come la "forclusione" di Lacan.

Se si segue la traccia gramsciana, però, ciò può non bastare o addirittura portare fuori strada. La filologia del senso comune, infatti, è un aspetto del problema dei dominati, subalterni neocolonizzati dall'imperialismo in occidente e oriente, in cui il Sud è sempre il Sud di un Nord. Se il presente decostruito è in dissolvenza, il futuro è già, da qui ed ora, da costruire.

Anche lo sguardo de La fine del mondo di de Martino è sia apocalissi spirituale che materiale, è anche il confine oltre il quale non si vede orizzonte. Un orizzonte che viene ricompreso (reintegrato) solo con la ricerca di un escatòn, il riscatto, reso possibile, dei subalterni.

a cura di Ferdinando Dubla


(Antonio Gramsci, 1891/1937)

(Gayatri Chakravorty Spivak , 1942)

(Ernesto de Martino, 1908/1965)

 

sabato 10 aprile 2021

SUBALTERN STUDIES COLLECTIVE: per un collettivo di ricerca Subaltern Studies Italia

 

metteremo la nostra ricerca al servizio dei subalterni se funzioneremo da intellettuale collettivo

SUBALTERN STUDIES COLLECTIVE

“Il mondo popolare subalterno costituisce, per la società borghese, un mondo di cose più che di persone”.

E. de Martino, “ Intorno a una storia del mondo popolare subalterno”, su Società nr.3/1949

 

- L’ethos del trascendimento e la destorificazione del negativo nell’antropologia filosofica di de Martino, la formazione “molecolare” della coscienza di classe nella filosofia della prassi di Gramsci, entrambi accomunati da una concezione dialettica storicista, la mutazione antropologica di Pasolini per la critica a un paradigma di civiltà, quello del capitalismo come sistema di valori. E’ da qui che può partire una ricerca comparata. -

 - Il collettivo Subaltern Studies, formatosi all’inizio degli anni Ottanta in India, attorno all’Università di Delhi, costituisce una delle scuole fondamentali degli studi culturali sviluppatisi nel Sud-Est asiatico, insieme a quelle del Centre for the Study of Developing Societies (csds) e del Centre of Contemporary Studies (ccs). Con questi centri di studio, anch’essi facenti base a Delhi, il collettivo condivide alcuni interessi specifici, quali la riflessione critica sulla modernità, l’idea che la conoscenza è una forma di intervento politico, (..) Il termine subalterno, così come molti altri utilizzati dal gruppo di Delhi, è preso in prestito dagli scritti dello storico e politico marxista italiano Antonio Gramsci, che con esso si riferiva ai gruppi socialmente subordinati al dominio delle classi egemoni.

di Alessandra Di Maio

http://www.studiculturali.it/.../subaltern_studies_b.html


- Il termine subalterno entra nel lessico antropologico in relazione con il mondo storico popolare con Ernesto de Martino, che nel 1949 ne configura il profilo di ricerca e i suoi criteri, con l‘inchiesta di gruppo sul campo e la verifica empirica dell’analisi etnologica.

Un collettivo di studio sui subalterni deve dunque muoversi intorno alle problematiche gramsciane nella ricezione, diretta e indiretta, esplicita ed implicita, dell’antropologia filosofica di de Martino.

fe.d.

https://www.academia.edu/43738868/Ernesto_de_Martino_Intorno_a_una_storia_del_mondo_popolare_subalterno_1949





APOLOGIA della RICERCA

 

Ricercatori di tutto il mondo, unitevi! 


Siete il vero orgoglio in una società senza eroi, che non vi intesta strade, non vuole vedere i vostri volti, perché preferisce i santi, siete il vero investimento, il bene primario, siete i ricercatori di tutto il mondo, che sorridono quando ognuno di noi ringrazia la sorte.

La scienza non ha confini, la ricerca non conosce barriere, il pregiudizio non è scienza, Fleming come Einstein sono di tutta l’umanità, lo fu Sabin che, memore delle sue nipotine trucidate dalle SS, regalò le sue zollette di zucchero con il vaccino contro la poliomielite a tutti i bambini del mondo. La ricerca scientifica è risultato dell’intelligenza sociale, quella che, riferita alla produzione, Marx chiamava ‘general intellect’, richiede sforzo, impegno, formazione e studio assidui, perché non esistono i miracoli, come credono coloro che sostituiscono la magia con la scienza, i dogmatici di tutte le specie.

ferdinando dubla





 

giovedì 8 aprile 2021

[ Conscientização ] La "coscientizzazione" in Paulo Freire

 

Intro.: la categoria di “coscientizzazione” di Freire è stata criticata, in ambito politico, più per il significante che per il significato. Infatti essa è inserita propriamente nella dialettica pedagogica, divenendo attività trasformatrice dei soggetti conoscenti e dunque il presupposto per un processo rivoluzionario, la riforma intellettuale e morale di Gramsci, che parte dal disvelamento delle apparenze fenomeniche che, alla coscienza, presenta il sistema del capitale e l’imperialismo, che prima che politico-militare, è culturale, come dimostra l’esperienza di Freire nell’ America latina.

- P. Freire è contro il modello educativo che egli chiama “depositario”: il suo esempio, che non è un modello (ogni modello fissa criteri e non si apre alla realtà della vita - questa è diversa per oppressori e oppressi) è basato sulla forma del dialogo e su contenuti finalizzati alla “coscientizzazione” [ Conscientização ], in cui viene superata la contraddizione tra educatore (“depositario del sapere”) ed educando (“recipiente passivo di conoscenze”), in quanto entrambi elaborano come soggetti conoscenti. La coscientizzazione affranca, libera, innanzitutto attraverso la demistificazione del linguaggio, sequestrato nei significanti dalle classi dominanti per rovesciarne il significato, in un processo dialettico che, richiamando Gramsci, svela le categorie del ‘senso comune’.

La pratica educativa problematizzante che ne riviene “si basa sulla creatività e stimola la riflessione e l’azione autentica dell’uomo sulla realtà, risponde alla sua vocazione a “essere”, che non sarebbe autentica fuori di una ricerca e di una trasformazione creatrice.” [Pedagogia degli oppressi, ed.it. 2018, pag.93]. L’autonomia intellettuale e morale di Gramsci (presupposto della “riforma sociale” più complessiva) e l’autodisciplina cosciente, diventano i valori costanti a cui indirizzare l’ethos creativo per la trasformazione, di sè, delle relazioni, dei rapporti sociali.


Paolo Freire, (Recife,1921– São Paulo,1997)

Educazione e istruzione non “dalla parte” degli oppressi, ma con lo stesso sguardo degli oppressi. Istruzione degli adulti come alfabetizzazione e “coscientizzazione” insieme.

Il capolavoro di P.F., “PEDAGOGIA do oprimido“ è del 1968, in trad.it. per Mondadori nel 1971.

Studioso di Gramsci, non poteva non cercare l’autonomia di tutti i soggetti dell’apprendimento nella definitiva liberazione dall’oppressione sociale e del consequenziale decondizionamento dal dominio di classe considerato questo come presupposto fondante il sistema sociale capitalistico e quello la finalità immanente ad ogni percorso di autodeterminazione. La scienza è scienza se è emancipatrice, la cultura è cultura se è emancipatrice, la comunicazione, partecipativa e transazionale, come condivisione dei linguaggi dell’anima oltre le parole.

Gli stessi strumenti didattici diventano funzionali alla centralità della partecipazione e della reciprocità nella relazione educativa [vedi anche il libro rivolto alla formazione degli insegnanti “Pedagogia dell'autonomia. Saperi necessari per la pratica educativa”, Torino, EGA, 2004 (1^ed.or. Paz e Terra, Rio de Janeiro,1996) e “Pedagogia della speranza. Un nuovo approccio alla ‘Pedagogia degli oppressi’", Torino, EGA, 2008, (1^ed.or. Paz e Terra, Rio de Janeiro,1992)]

IV di copertina nuova ed. de “La pedagogia degli oppressi”, Gruppo Abele, 2018:

<Cosa significa educare? perché educare? chi educa chi? quali rapporti esistono tra educazione e società e tra educazione e cambiamento? A cinquant'anni dall'uscita di “Pedagogia degli oppressi”, concluso da Freire nel 1968 (anno - come il libro - di radicalità e di liberazione) le domande restano prepotentemente attuali. E le risposte di Freire, ispirate al principio fondamentale che non c'è educazione se non attraverso la liberazione degli uomini dall'oppressione, continuano a essere un punto di riferimento nel mondo. >

a cura di Ferdinando Dubla 



Paulo Freire (1921/1997)



martedì 6 aprile 2021

TEOLOGIA della LIBERAZIONE, TEOLOGIA DO OPRIMIDO [dedicato a Camilo Torres Restrepo (1929/ +1966)]

 

Camilo Torres Restrepo (1929/ +1966)

“Se Gesù fosse vivo, sarebbe nella guerriglia.”


- presbitero, guerrigliero e rivoluzionario colombiano, precursore della Teologia della liberazione, cofondatore della prima Facoltà di Sociologia e membro dell'Esercito di liberazione nazionale colombiano. Durante la sua vita promosse il dialogo tra il marxismo rivoluzionario e il cattolicesimo.[wiki]

“Non ho mai visto il volto di Gesù Cristo osservando i tratti della minoranza che tiene in scacco i poveri del mio paese. Li osservo invece, ogni giorno, in mezzo alle folle dei diseredati [...]. Sono un rivoluzionario, come colombiano, come sociologo, come cristiano e come sacerdote. Come colombiano, perché non posso estraniarmi dalle lotte del mio popolo. Come sociologo, perché, grazie alla mia conoscenza scientifica della realtà, sono giunto alla convinzione che soluzioni efficaci non sono raggiungibili senza una rivoluzione. Come cristiano, perché l’essenza del cristianesimo è l’amore per il prossimo e solo attraverso una rivoluzione si può ottenere il bene della maggioranza. Come sacerdote, perché dedicarsi al prossimo, come la rivoluzione esige, è requisito dell’amore fraterno indispensabile per celebrare l’eucarestia.” 

(C.T. ) cit. in postfazione di Giuseppe Ranieri a Liberazione o morte, e.book, Coop.ed.Red star press, 2015 [su 1^ ed. Feltrinelli, 1968]

“la divulgazione di queste idee è infatti di somma utilità per una migliore comprensione del processo rivoluzionario. Così da Camilo Torres Restrepo, il sacerdote-guerrigliero, l’eroico dirigente rivoluzionario, caduto in combattimento per la liberazione del popolo colombiano – e quindi di tutti i popoli nostri – hanno molto da imparare tutti i rivoluzionari. Perché Camilo fu un rivoluzionario e un patriota completo. Sempre, da quando si gettò nella lotta rivoluzionaria, seppe anteporre a qualunque interesse personale, di gruppo e in qualsiasi circostanza, l’interesse del popolo e la Rivoluzione. Tutta la sua vita di rivoluzionario è un luminoso esempio di come il destino di un dirigente si identifichi con quello del suo popolo. Camilo, oltre che sacerdote cattolico, era sociologo e dal 1959 si trovava in servizio all’Universidad Nacional, dapprima come cappellano e in seguito come professore universitario. Il suo rovello di indagatore della realtà sociale lo spinse a occuparsi dell’analisi dei profondi cambiamenti introdotti nella società colombiana dalla violenza che, scatenata dall’oligarchia, s’abbatté sulle zone contadine dopo il ’47.“ , 

da Francisco Gonzales, Rappresentante a Cuba dell’Eln colombiano, Prefazione a Torres, Liberazione o morte, e.book Red star press, cit.

cfr. anche: Sergio Dalmasso, Cristianesimo e rivoluzione: Camillo Torres, in “Latinoamerica”, numero 70, maggio-agosto 1999      http://www.sergiodalmasso.net/.../Latinoamerica%20N%C2...

- l’intera postfazione di Giuseppe Ranieri a Liberazione o morte di Torres prossimamente sul blog




Ogni rivoluzionario sincero deve riconoscere la via rivoluzionaria come
l’unica rimasta. Tuttavia il popolo aspetta che siano i capi col loro
esempio e con la loro presenza a dare l’ordine della battaglia. Voglio
dire al popolo colombiano che questo è il momento. Che non l’ho tradito.
Che ho attraversato le piazze dei villaggi e delle città chiamando
all’unità e all’organizzazione della classe popolare per prendere il
potere. Che gli ho chiesto di potersi dedicare a questi obiettivi fino
alla morte.

dal Proclama di Camilo Torres al popolo - Dalle montagne, gennaio 1966




sabato 3 aprile 2021

Ferdinando Dubla, Insurrezione o attesismo - La rivolta di Martina Franca (3 aprile 1930) e la linea del PCd'I

 

recensione-presentazione e abstract 

- edito da Nuova editrice Apulia nel marzo 1998 con una straordinaria raccolta di foto storiche di Martina Franca e sul PCI della cittadina pugliese a cura di Benvenuto Messia. - in collaborazione con Francesco Massafra. /

pubblicato ora in formato digitale su Academia.edu / digitalizzazione Colors Taranto


- Nell'aprile del 1930, l'Italia fascista subì uno scossone sociale che lasciava prefigurare tristi sventure per il regime, che dopo la firma dei Patti Lateranensi cercava un consenso pressoché totale da parte della popolazione italiana. La situazione era realmente preinsurrezionale? O i bagliori davano solo l'impressione della loro vividezza?

Il Partito Comunista, nel 1930, attraversato da una drammatica crisi interna, accentuata dalla ferocia repressiva del fascismo nei suoi confronti, con l'arresto, il confino e l'esilio dei suoi dirigenti, il pestaggio e l'uccisione continua dei suoi militanti, se lo chiese e molti dei suoi più giovani dirigenti, come Luigi Longo ("Gallo") e Pietro Secchia, cercarono di interpretare la 'svolta' del 1929 della III Internazionale in un senso attivistico, non attesista e temporeggiatore.

·         Nel PCd’I costretto alla clandestinità, con un centro estero e uno interno, ci si interrogava: attendere gli eventi o intraprendere azioni rivoluzionarie? Pietro Secchia, allora giovane dirigente comunista (27 anni), anima organizzativa del centro interno (ma fu arrestato nell’aprile del 1931) si impegnò per respingere l’attendismo e prendere l’iniziativa della lotta armata. E quando negli anni ‘60 ricostruì il dibattito sulla ‘svolta’ del 1929 dell’Internazionale Comunista (quella dell’equiparazione tra socialdemocrazia e fascismo, nota come ‘socialfascismo’), negli Annali Feltrinelli [L'azione svolta dal Partito comunista in Italia durante il fascismo 1926-1932, Annali dell'Istituto Giangiacomo Feltrinelli, XI (1969), Milano, Feltrinelli, 1970], descrisse come prioritario proprio il dibattito interno piuttosto che il giudizio ideologico. Citando il caso della rivolta di Martina, dove i contadini non si erano rassegnati all’ennesima imposizione fiscale sui beni alimentari (in questo caso una gabella sul vino per consumo proprio) e avevano distrutto e incendiato tutti i luoghi-simbolo del potere fascista, provocando la stessa destituzione del podestà Carrieri. Una rivolta oggettivamente antifascista, dunque.

 

Nel 1930, infatti, alla violenta manifestazione di protesta degli operai di una fabbrica di Parabiago (Milano) che arrivarono a vere e proprie dimostrazioni di 'luddismo' con la distruzione dei macchinari e ai combattivi cortei di disoccupati che attraversarono Livorno, Signa e Fucecchio (Firenze), fecero eco nel Mezzogiorno l'assalto alla podesteria di Faito (Avellino), l'attacco al municipio di Lecce, insurrezioni con uso di armi a Barletta e dunque proprio l'insurrezione di Martina Franca il 3 aprile.

Le cause di queste sollevazioni furono le concrete politiche economiche del fascismo, miranti a far pagare la crisi ai ceti subalterni, alla classe operaia dei distretti industriali, specie al Nord (progressiva corporativizzazione e abbassamento dei salari) ed ai contadini, specie delle campagne meridionali.

Martina Franca allora diventa importante: e più che per i fatti che qui si sono svolti, per il simbolo che rappresenta. E lo rappresenta ad un livello elevato e importante.

Grazie alla consultazione degli archivi del PCI e di Mosca, si è potuto comparare il documento che comprova il colloquio avvenuto tra Togliatti (allora ‘Ercoli’) e due dirigenti dell’Internazionale Comunista quali Vasilyev e Molotov, durante la seduta del 19 luglio 1930 (dopo oltre tre mesi dai fatti di Martina, da qui è possibile giudicarne la eco) dell’Esecutivo della stessa Internazionale. E’ proprio Togliatti a sollevare la questione dei contadini del Mezzogiorno e porta emblematicamente l’episodio martinese di tre mesi prima all’attenzione dei sovietici;

I fatti di Martina Franca del 3 aprile 1930, qui ricostruiti, costituirono uno spiraglio di luce, per i comunisti italiani, da cui erano riusciti ad intravedere la crepa del burrone in cui sarebbe precipitato il regime tredici anni dopo e dimostra che a loro fu caro, piuttosto che il tratto ideologico antiriformista, il tratto politico della soggettività rivoluzionaria, quello necessario per sconfiggere il fascismo.

 

https://www.academia.edu/45656185/Insurrezione_o_attesismo_La_rivolta_di_Martina_Franca_3_aprile_1930_e_la_linea_del_PCdI




giovedì 1 aprile 2021

L’ESCATON dei SUBALTERNI - SUBALTERN STUDIES COLLECTIVE

 “Il mondo popolare subalterno costituisce, per la società borghese, un mondo di cose più che di persone”.
E. de Martino, “ Intorno a una storia del mondo popolare subalterno”, su Società nr.3/1949


Metteremo la nostra ricerca al servizio dei subalterni se funzioneremo da intellettuale collettivo

(fe.d.)

Il termine subalterno entra nel lessico antropologico in relazione con il mondo storico popolare con Ernesto de Martino, che nel 1949 ne configura il profilo di ricerca e i suoi criteri, con l‘inchiesta di gruppo sul campo e la verifica empirica dell’analisi etnologica.

Un collettivo di studio sui subalterni deve dunque muoversi intorno alle problematiche gramsciane nella ricezione, diretta e indiretta, esplicita ed implicita, dell’antropologia filosofica di de Martino.

Gramsci critica gli intellettuali che si rinchiudono nella torre eburnea della loro specializzazione; l’intellettuale è organico alla classe e il nuovo intellettuale elabora collettivamente per la critica al senso comune. Il linguaggio è il significante del senso comune. La mistificazione avviene invece sul significato. Il dominio di classe impedisce lo sviluppo di una cultura popolare dei subalterni antagonista alla cultura dominante, sebbene le stesse radici culturali configurino l’identità sociale prima della formazione e sviluppo della coscienza di classe. E’ lo stretto passaggio tra filosofia dei semplici, folclore, senso comune ed egemonia. E’ il passaggio analizzato in ambito antropologico da de Martino, con la ricerca sul campo e la riflessione filosofica sull’escatòn, il riscatto possibile dei subalterni, per il tramite proprio della cultura popolare.

Un punto dirimente di analisi comparata è tra ethos del trascendimento e formazione della coscienza di classe. Perché questa avviene sia sul terreno strutturale, le materiali condizioni di vita, sia su quello sovrastrutturale, l’oltrepassamento delle apparenze reificate, la demistificazione dei significati, la consapevolezza di essere soggetti nella storia e non agiti da essa. L’ethos in de Martino permette sia la costituzione di riti protettivi rispetto alla presenza, sia il reintegro nella storia, cioè il passaggio dalla natura alla storia. La coscienza di classe, per Gramsci, è la reintegrazione nella storia del soggetto rivoluzionario. Il riscatto (collettivo) è immanente alla formazione molecolare di questa coscienza della trasformazione sociale e della sua configurazione nella società autoregolata, comunista in quanto autodeterminata dall’intelletto collettivo. L’escaton demartiniano scongiura l’apocalissi, cioè ridetermina la posizione storica del soggetto, come ethos del popolo, per cui è la stessa comunità e il senso di appartenenza a configurare l’identità culturale e dunque l’escatòn come liberazione.

SUBALTERN STUDIES COLLECTIVE (1)

Il collettivo Subaltern Studies, formatosi all’inizio degli anni Ottanta in India, attorno all’Università di Delhi, costituisce una delle scuole fondamentali degli studi culturali sviluppatisi nel Sud-Est asiatico, insieme a quelle del Centre for the Study of Developing Societies (csds) e del Centre of Contemporary Studies (ccs). Con questi centri di studio, anch’essi facenti base a Delhi, il collettivo condivide alcuni interessi specifici, quali la riflessione critica sulla modernità, l’idea che la conoscenza è una forma di intervento politico, (..) Il termine subalterno, così come molti altri utilizzati dal gruppo di Delhi, è preso in prestito dagli scritti dello storico e politico marxista italiano Antonio Gramsci, che con esso si riferiva ai gruppi socialmente subordinati al dominio delle classi egemoni.

di Alessandra Di Maio

http://www.studiculturali.it/.../subaltern_studies_b.html

- l’ethos del trascendimento e la destorificazione del negativo nell’antropologia filosofica di de Martino, la formazione “molecolare” della coscienza di classe nella filosofia della prassi di Gramsci, entrambi accomunati da una concezione dialettica storicista, la mutazione antropologica di Pasolini per la critica a un paradigma di civiltà, quello del capitalismo come sistema di valori. E’ da qui che può partire una ricerca comparata -

La danza du desir - ogni danza è un desiderio: il nostro.

“A partire dalla fatidica spedizione in Lucania , studiando la gestualità performativa dei rituali curativi, veniva alla luce il rituale simbolico del tarantismo: una forma fluens che richiedeva la decifrazione del passaggio dal sintomo al simbolo. Una struttura “molecolare” avrebbe detto Gramsci, con le sue modalità terapeutiche, l’oscillazione esistenziale del primitivo, la figura dello sciamano, capace di ricostituire l’equilibrio personale e il vincolo sociale, anche attraverso la figurazione del capro espiatorio, che doveva essere lo stigma di Pasolini.”, Roberto Nistri, in Siderlandia, vedi anche “La danza du desir - Il resto del tarantismo”, a cura di Roberto Nistri, Scorpione ed., Taranto, 2004.

 

SUBALTERN STUDIES COLLECTIVE (2)

“Il mondo popolare subalterno costituisce, per la società borghese, un mondo di cose più che di persone”.

E. de Martino, “ Intorno a una storia del mondo popolare subalterno”, su Società nr.3/1949

https://www.academia.edu/.../Ernesto_de_Martino_Intorno_a...


- ESPOSITO Roberto (2010), Pensiero vivente. Origine e attualità della filosofia italiana, Einaudi, Torino

ricerca comparata per la scrittura filosofica tra Gramsci e P.P.Pasolini, cfr. Ivi, Varco IV. L’insostenibile

“quando, davanti alle cinera Gramscii, nel cimitero degli Inglesi al Testaccio, Pasolini dichiara, «lo scandalo del contraddirmi, dell’essere | con te e contro di te; con te nel cuore, | in luce, contro te nelle buie viscere» [P. P. Pasolini, Le ceneri di Gramsci, in Le poesie, Milano 1975, p. 73.],

lo scarto esistenziale tra poesia e politica sembra intensificarsi in una frattura, ancora piú profonda, tra sfera della storia e orizzonte della vita.

- su Marx, Gramsci e l’idealismo italiano in relazione alla filosofia della prassi

D. Losurdo, Gramsci, Gentile, Marx e le filosofie della prassi, in Gramsci e il marxismo italiano, Roma 1990

 

- Metteremo la nostra ricerca al servizio dei subalterni se funzioneremo da intellettuale collettivo. 

(fe.d.)