Subaltern studies Italia

L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

Powered By Blogger

mercoledì 30 giugno 2021

Gramsci, De Martino e gli studi sociali in Italia (video)

 

Gramsci, De Martino e gli studi sociali in Italia, con Luca Cangemi e Ferdinando Dubla 

https://fb.watch/6rI6EwV4Rw/

Riprendendo l’elaborazione gramsciana si è sviluppato già nei decenni scorsi, a partire dall’India, un potente movimento internazionale di #ricerca e impegno intellettuale, i “Subaltern Studies”, capace di influire profondamente sul panorama della #cultura e delle stesse #istituzioni formative e accademiche. È necessario comprendere come nel panorama italiano questo stimolo possa contribuire al #rinnovamento degli studi sociali, anche riscoprendo e riattualizzando un patrimonio importante come quello degli studi di Ernesto De Martino, per tanti versi in sintonia con le esigenze che si sono affermate nel #pensiero critico sul piano internazionale.

Incontro-video con Luca Cangemi (Responsabile naz. PCI scuola-Universita’ e ricerca) e Ferdinando Dubla, docente di scienze umane e sociali, impegnato nel collettivo di ricerca Subaltern studies Italia.

sabato 26 giugno 2021

Gramsci può parlare? - Il Gramsci della Spivak

 

Il mio Gramsci - da Lettera internazionale : rivista trimestrale europea : 115, 1, 2013.

https://www.torrossa.com/it/authors/chakravorty-spivak-gayatri.html

L’influenza del decostruzionismo di Jacques Derrida ci sembra molto piu’ forte nella riflessione della Spivak di quella di Gramsci; la difficolta’ della critica postcoloniale a concepire compiutamente la soggettivita’ rivoluzionaria e il ruolo dell’intellettuale collettivo organico ai gruppi subalterni, crediamo possa derivare dalla priorita’ data all’oggetto stesso dell’indagine conoscitiva: la modernita’ e le sue forme negli assetti del mondo globale (che presuppone dunque la logica binaria arretratezza/modernita’) piuttosto che le modalita’ concrete, radicate storicamente, del dominio imperialistico colonialista e neocolonialista sui subalterni e dunque il condizionamento/decondizionamento culturale. Le tesi della Spivak risentono, anche dalla sua formazione come 'subalternist', della specifica esperienza storico-politica dell'India e della rivolta del movimento contadino Naxalita (+) e hanno punti di contatto rilevanti con quella che potrebbe essere definita 'ermeneutica post', per il tramite di derivazione da pensatori come Deleuze, Foucault e, appunto, Derrida. La lettura e interpretazione di Gramsci, dunque, è mediata da queste evidenti influenze.
- Nella 'Critica della ragione postcoloniale' (ed.it. Meltemi, 2004, su ed.or., 1999), la Spivak apprezza di Gramsci la necessità dell'"inventario delle tracce non in elenco" del Quaderno 11 e l'impostazione della 'quistione meridionale', "la straordinaria intuizione di Gramsci - l'informante/i nativo/i, come un luogo di tracce non in elenco. (..) Gramsci introdusse lo sviluppo ineguale attraverso la 'Questione Meridionale' (..) In testi come ad esempio, la Questione meridionale, Gramsci considera il movimento dell'economia storico-politica in Italia all'interno di quella che può essere letta come allegoria della lettura, che deriva da o che prefigura una divisione internazionale del lavoro. (..)                                                                                                                                                    Ivi, pag.32, 102/103, 281.

I margini della storia, le tracce dei subalterni, da soggetto di analisi per una nuova narrazione, vengono collocati in un processo globale di 'decostruzione' e demistificazione del linguaggio con cui quei margini stessi vengono raccontati.
~ fe.d.

+(dal nome del distretto Naxalbari-Bengala occidentale, dove nel maggio 1967 scoppiò una rivolta di poveri contadini contro il latifondo, poi confluita nell'organizzazione del People's Liberation Guerrilla Army, successiva alla scissione nel 1964 dei due maggiori partiti comunisti indiani, il Partito Comunista Indiano e il Partito comunista Indiano Marxista)

 

Il testo riprende parti dell’intervista di B. Bhattacharya  all’autrice contenuta in N. Srivastava e B. Bhattacharya
(eds), The Postcolonial Gramsci, Routledge, 2012.

 

stralci:

Il mio saggio “Can the Subaltern Speak?” (“Il subalterno può parlare?”, 1988) è stato presentato come conferenza prima che avessi letto Subaltern Studies – gli studi sulla storiografia dell’indipendenza indiana. Questo dettaglio non si notava per via della forte influenza che il gruppo dei Subaltern Studies esercitava su di me. Ma in quel saggio mi muovevo soprattutto sotto la spinta della necessita di una nozione di coscienza di classe affinchè la resistenza dei subalterni fosse riconosciuta cosi come la troviamo nel Diciotto Brumaio di Marx. (..) sono partita studiando i subalterni e ho finito per imparare da loro, (..) Alcuni studiosi di Gramsci in Italia, tra gli altri Sergia Adami e Giorgio Baratta, mi incoraggiarono in questo senso, dicendomi che, riconoscendo la necessita di produrre intellettuali subalterni nel piu ampio settore dell’elettorato indiano, avevo “portato” Gramsci altrove. Fu proprio questo a indurmi a tornare a Gramsci e, iniziando a insegnarlo con attenzione, a comprendere che cosa stavo facendo. Questa operazione non si può fare pensando di usare in maniera accademica Gramsci, Freire, Dewey o Montessori. No.

Dovevo imparare da Gramsci o da Freire in modo mediato: da gente che non poteva di fatto “insegnare” in maniera per me riconoscibile. Dovevo essere consapevole, al di fuori di ogni sentimentalismo, che, qualunque cosa quelle persone dicessero, erano profondamente condizionate dalla storia di cui io sono al tempo stesso agente e vittima, cosi come lo sono loro,(..) La subalternità di genere, dunque, è “altrove”. In questo, è rilevante l’argomento gramsciano delle ≪tracce accolte senza beneficio di inventario≫ [Quaderno 11, §12],(..) Nessuno sembra particolarmente interessato a ciò che Gramsci chiama il rapporto del discepolo con l’ambiente subalterno e che io definisco imparare a imparare dal basso. L’attivista borghese sa subito come risolvere il problema. E io lo so, lui non imparerà mai dal basso, anche se sarà d’accordo con me e condividerà la mia linea di pensiero. Questa è la parte più difficile del mio progetto intellettuale: potenziare l’avanguardismo espandendo la possibilità dell’auto-metonimizzazione. (..)  E l’intellettuale nuovo? È una cosa diversa. Lui o lei (Gramsci conosceva intellettuali donne, anche se il suo tono è benevolmente patriarcale) è un intellettuale organico del socialismo democratico. Scrivo di questo nell’introduzione al mio libro Aesthetic Education in the Age of Globalisation. La versione sentimentale accademico-populistica dell’intellettuale organico coglie ciò che è controintuitivo in Gramsci e lo trasforma in un luogo comune. (..) Gramsci dice che è l’ambiente subalterno che deve insegnare all’intellettuale. Insomma, è un atto di sabotaggio.

 

Gayatri Chakravorty Spivak, filosofa statunitense di origine bengalese, insegna alla Columbia University, occupandosi di studi postcoloniali, di femminismo, di teoria letteraria e di studi di genere.


Gayatri Chakravorty Spivak (1942)



martedì 22 giugno 2021

L’ APPELLO di de Martino per la ricerca collettiva sugli studi subalterni (1952)


Quello del collettivo di ricerca non è solo metodologia di lavoro per lo studio e l’analisi, è soprattutto la utilizzazione dell’intelletto collettivo per la trasformazione sociale, che colloca l’intellettuale engagé (di matrice sartriana) in un collettivo organizzato più esteso, l’intellettuale collettivo organico alle classi subalterne. Il ‘general intellect’, che Marx intende come necessità di riproduzione dei rapporti di produzione capitalistici, come forma e necessità, ma anche come possibilità del superamento stesso del sistema delle relazioni economiche e sociali dominati dal capitale ‘sociale’ nell’involucro di una sua forma antitetica (la proprietà privata dei mezzi di produzione), incontra l’intellettuale collettivo organico alle classi subalterne. Infatti, se il complessivo sapere dell’”intelligenza sociale” (non solo i mezzi di produzione, ma la conoscenza ad essi connessi) non viene condiviso, l’appropriazione privata del ‘general intellect’, colliderà con le esigenze e i bisogni di natura sociale.
- L’APPELLO DI DE MARTINO alla ricerca collettiva sugli studi subalterni (1952), la mobilitazione dei diversi specialismi intorno “a queste spedizioni” in equipe, è, nella sua metodologia e riflessione epistemologica, oltremodo marxiano e gramsciano (dichiarato ed esplicito, l’intellettuale ‘sente’ prima di ‘comprendere’ e ‘comprende’ il suo soggetto di ricerca con la passione implicita nel suo sforzo conoscitivo) nel suo intento e lo pone come ‘subalternist‘ integrale già negli anni ‘50 in Italia. 

-Spedizioni scientifiche in Lucania - San Costantino Albanese: immagine molto significativa che esemplifica il lavoro della spedizione documentaria condotta dal 15 maggio al 4 giugno 1957 in Lucania da Ernesto de Martino e la sua équipe, poi descritta nel libro Sud e magia. La maciara racconta la sua esperienza e gli studiosi prendono nota, chi registra e chi scrive, secondo il proprio interesse scientifico (medico, psicologico, antropologico). Fotografia di Ando Gilardi #andogilardi, fotografo dell’équipe. Lucania, 1957 (Fototeca Gilardi).

“È da qualche tempo che sto organizzando in Lucania spedizioni scientifiche per lo studio della vita dei contadini lucani e del loro mondo culturale […]. Abbiamo il nostro programma, i nostri itinerari, i nostri questionari. Incideremo i canti popolari e sorprenderemo nell’obiettivo fotografico ambienti, situazioni e persone […]. E di ritorno in città comunicheremo a tutti ciò che abbiamo visto e ascoltato: in una serie di conferenze sceneggiate, di articoli per quotidiani e periodici, in opuscoli a carattere divulgativo e in un’opera a carattere scientifico renderemo pubblico questo dimenticato regno degli stracci, faremo conoscere a tutti le storie che si consumano senza orizzonte di memoria storica nel segreto dei focolari domestici […]. Io penso che intorno a queste spedizioni organizzate dovrebbero raccogliersi gli intellettuali italiani, a qualunque categoria essi appartengono, narratori, pittori, soggettisti, registi, folcloristi, storici, medici, maestri ecc. Il nuovo realismo, il nuovo umanesimo, manca, per quel che mi sembra, di questa esperienza in profondità, e spedizioni di questo genere costituiscono un’occasione unica per formarsela, e per colmare quella distanza tra popolo e intellettuali che Gramsci segnalava come uno dei caratteri salienti della nostra cultura nazionale” (E. de Martino, Una spedizione etnologica studierà scientificamente la vita delle popolazioni contadine del Mezzogiorno. Importanti sviluppi della iniziativa Zavattini, “Il Rinnovamento d’Italia”, 1 settembre 1952; ora in Id., L’opera a cui lavoro. Apparato critico e documentario alla spedizione etnologica in Lucania, a cura di C. Gallini, Argo, Lecce 1996).



- L’incrocio degli sguardi degli intellettuali “meridionalisti” come ‘organici’ alle classi subalterne. E’ il tracciato comune tra Gramsci, Scotellaro ed Ernesto de Martino, il cui confronto, più e prima che con l’acribia filologica, deve ‘sentirsi’ per comprendersi. L’antropologia filosofica sente la poesia e il canto dei senza storia, così come la stessa arte storico-politica si sente come razionalità di quei margini del mondo ‘grande e terribile’.

- Come scrive Ranajit Guha, compulsando Hegel sulla filosofia della storia (del mondo),: “La prosa del mondo in cui gli esseri umani si rendono intelligibili gli uni agli altri nel corso della loro lotta quotidiana per il riconoscimento reciproco si impregna quindi di storicità.”, R.Guha, La storia ai limiti della storia del mondo, Sansoni, 2002, pag.38.
~ fe.d.





mercoledì 16 giugno 2021

LAVORO POLITICO -- loghi e index storico

 



dal 1967, rivista di analisi, documentazione marxista e teoria politica - - reference website http://www.lavoropolitico.it., sito di documentazione e analisi storico-sociale e politica -- 

direttore: Ferdinando Dubla 

Nella scheda storica in ricompilazione, http://www.lavoropolitico.it/lrlink1.htm
i riquadri redazionali - box index  del primo numero1967 e del nr.5/6 del 1968

loghi



Formatasi a Verona per inziativa di Walter Peruzzi, il primo numero della rivista uscì nell'ottobre del 1967, raccogliendo una parte dell'area m-l soprattutto veneta e trentina. La redazione ha infine aderito al PC m-l, mettendo fine alle pubblicazioni con il numero 11-12, datato gennaio 1969.

domenica 6 giugno 2021

I COLPEVOLI e GLI IMPUNITI

 

PROCESSI GIUDIZIARI, PROCESSI POLITICI e PROCESSI STORICI per l’ex ILVA di TARANTO

 Finalmente gli assassini di Taranto sono stati scoperti: sono Vendola e Assennato. La voglia di capri espiatori fa velo alla stessa razionalità politica, quella che in maggior parte ha guidato la sentenza dei giudici del tribunale, che hanno invece un altro compito, quello di valutare le prove di una responsabilità penale personale riguardo la commissione o esecuzione di reati. Molti non si accorgono che confondendo i due processi, quello giudiziario e quello storico-politico, si torna ai tempi del potere temporale dei papi, su cui qui nel Sud dell’Italia Federico II di Svevia ci avrebbe dovuto insegnare molto.

E infatti l’ex Ilva continua ad inquinare in riva allo Jonio, con la diretta complicità dei governi e dunque dello Stato, lo stesso che deliberò un enorme stabilimento a ciclo integrale per la produzione di acciaio a ridosso di un quartiere della città, dentro la città, nel ventre urbano, scelta dissennata tipica di una classe dirigente indifferente alle sorti ambientali e di salute della popolazione e dei lavoratori in primis. E sono ora i governi, dunque lo Stato, che oggi devono decidere le sorti di un territorio all’interno di una diversa politica industriale-ambientale nazionale (e internazionale), non la magistratura. Tutti coloro che applaudono purchessia ai cappi al collo senza distinzioni, il cappio ce l’hanno ancora addosso loro.
Mi permetto di segnalare e riproporre un’analisi seria delle tre dimensioni della vicenda Ilva, giudiziaria, politica e storica da parte di Salvatore Romeo. - fe.d.

- Una sentenza di primo grado è una sentenza di primo grado. L'iter processuale è ancora apertissimo e verosimilmente lungo. Essa però può dare spunto per una riflessione su alcuni dati di realtà, che è opportuno non tralasciare.
1) I commenti a caldo dei legali dei Riva appaiono proiettati da un'altra epoca. Vent’anni fa si poteva dire che non c’è prova del nesso causale fra inquinamento e danni sanitari nel caso di Taranto; ancora dieci anni fa lo si poteva ritenere incerto. Ma oggi, dopo che si sono sedimentate indagini scientifiche di diverso tipo, è davvero improbabile continuare a sostenerlo “in scienza e coscienza”. Esiste una verità di fatto che gode di ampio consenso nella comunità degli esperti, una verità che è forse il frutto più maturo della presa di coscienza del problema, emersa con fatica nel corso di diversi decenni, e del suo studio attento. Altro è stabilire le responsabilità personali in relazione a quel fatto: su questo piano, la sentenza di oggi è un primo momento che dovrà passare da altri due gradi di giudizio. Ma anche se le sentenze definitive accertassero l’innocenza degli ex dirigenti di Ilva, il fatto non verrebbe meno (a meno di nuove clamorose scoperte in grado di mettere in discussione l’interpretazione corrente).
2) È altresì un fatto che la Regione Puglia, fra il 2005 e il 2012, ha sviluppato un’iniziativa in ambito ambientale rivelatasi indispensabile per la stessa istruttoria del processo. I dati raccolti per dimostrare l’impatto del siderurgico hanno come fonti principali e imprescindibili ARPA E ASL. Il lavoro di queste istituzioni ha ricevuto un impulso decisivo dopo l’elezione a presidente di Nichi Vendola. Fino ad allora ARPA era un guscio vuoto; tutto quello che è diventata in seguito lo si deve al prof. Giorgio Assennato. Egli ha anche ispirato innovazioni legislative fondamentali, come la Valutazione del Danno Sanitario, per la quale la Puglia ha fatto da apripista a livello nazionale. Le condanne di Vendola e Assennato non possono oscurare quest'altra verità di fatto. Anche perché esse si riferiscono a un episodio circostanziato che, pure se dovesse essere confermato dai due gradi successivi, non potrebbe incidere sul giudizio complessivo intorno a quella stagione.
3) Vendola tuttavia, in un senso più ampio, non può essere considerato “innocente”. Egli ha responsabilità gravi. Ma queste non hanno niente a che vedere con l’aver trattato coi Riva – cosa che un presidente di Regione è tenuto a fare – o con gli inevitabili compromessi che ha dovuto accettare dati i rapporti di forza. La sua principale “colpa” è squisitamente politica. Proprio mentre, a livello di opinione pubblica, esplodeva il caso Ilva (fra il 2008 e il 2009) Vendola stava distruggendo la sua comunità politica in nome di un modello che allora sembrava vincente: il rapporto plebiscitario fra il leader e i “movimenti”. Questa strada, che lo stesso Bertinotti aveva provato a battere senza successo, aveva fruttato la vittoria del 2005 (o almeno così pensava il suo entourage, sottovalutando l’oscuro lavoro di mobilitazione dei partiti). L’obiettivo strategico era riportate “in partita” la sinistra dopo le catastrofiche elezioni del 2008, sfidando il PD per la guida di una nuova coalizione. Le amministrative del 2010-2011, e il referendum dello stesso anno, sembravano confermare le attese. Nel frattempo però veniva sottovalutato lo smottamento sociale e ideologico provocato dalla crisi e non si coglieva adeguatamente la portata della svolta dell’estate 2011, che avrebbe condotto al governo Monti. In quel torno di tempo la partita si chiudeva e a SEL non restava che accettare una posizione di subalternità strutturale come condizione per la permanenza nel centrosinistra. Così, mentre il movimento ambientalista muoveva i primi passi, la sinistra politica si avviava verso un inarrestabile declino. 
Certo, in Puglia i risultati elettorali sembravano continuare a premiare quella scelta. Ma come erano ottenuti? Spesso riempiendo le liste di spregiudicati “portatori di voti” raccattati nelle pieghe della società locale e con la frustrazione delle energie più sincere. I compagni che avevano mollato dopo la deflagrazione di Rifondazione venivano seguiti da un flusso inarrestabile di militanti, mentre i rapporti fra ex sodali restava segnato da rancori profondi. Vendola non sembrava curarsene molto, arrivando a prefigurare il superamento definitivo del partito con “le fabbriche di Nichi”. E contestualmente inaugurando una politica di “front office” verso i movimenti. Ma erano anche gli anni del “patto col diavolo” Don Verzè per la costruzione del San Raffaele a Taranto. Era un intreccio di governismo e spontaneismo, che passava dall’archiviazione dell’organizzazione politica. Per un po' ha sembrato funzionare. Gli avanzamenti in campo ambientale, per esempio, sono stati in buona parte frutto di questa combinazione, cioè del dialogo fra l’apparato amministrativo e la società civile. Ma questa forma di disintermediazione ha mostrato tutti i suoi limiti quando si è dovuto gestire il compromesso. Allora si è rivelata fatale la mancanza di un corpo politico in grado di assorbire l’urto e rielaborare la sconfitta – o anche di separarsi dal potere per ritrovare una motivazione. Dopo aver cercato di tenersi in equilibrio fra le spinte dell’ambientalismo e la realtà di rapporti di forza sfavorevoli, Vendola è finito schiacciato. A partire dall'estate del 2011, con il rilascio della prima AIA (da lui accolto positivamente nonostante alcune importanti prescrizioni proposte da ARPA fossero state rigettate) per il movimento è diventato il traditore per eccellenza. A nulla gli è valso, qualche mese dopo, chiedere il riesame di quell'atto, approvare la VDS ecc. Intanto era entrato in campo un nuovo paladino: la magistratura, con tutta la sua perentorietà. Si è trovato isolato, con i media che fino a poco prima lo avevano coccolato diventati ostili. Il caso Taranto d'altra parte è stato usato anche come occasione per ridimensionare definitivamente le sue ambizioni e definire precise gerarchie nel quadro politico. Presto, fiutando il vento che cambiava verso, anche i portatori di voti lo hanno abbandonato. Lo stesso modello che lo aveva spinto in alto lo fagocitava, ma non moriva con lui. Anzi, veniva ripreso e rilanciato – in forme ancora più esasperate – da un comico genovese e dai suoi adepti. Nel giro di poche settimane Vendola diventava una delle incarnazioni più aberranti della “casta”: il potente che se la ride della sorte tragica dei suoi governati con il factotum di uno dei più grandi gruppi industriali del paese.
4) Dopo Vendola e SEL, quel modello ha inghiottito anche i 5 stelle. Anche loro non hanno retto alla prova della mediazione, perché – assai più di Vendola – nei confronti di quest’ultima hanno sempre provato una repulsione viscerale. Ma quel modello – che potremmo chiamare “populismo” se questa parola non fosse ormai logora – è più vivo che mai. E alcune reazioni alla sentenza di oggi lo dimostrano. Il purismo, il giustizialismo, la propensione al pensiero magico sono elementi quasi strutturali di una società frantumata. Prima o poi qualcun altro verrà a cercare nuovamente di verticalizzare quegli impulsi. Siamo quindi condannati a una spirale regressiva? Non necessariamente, ma l’alternativa costa fatica. Riconoscere gli errori del passato sarebbe già un primo passo per muoversi nella giusta direzione.

Salvatore Romeo, storico, 31 maggio 2021






giovedì 3 giugno 2021

LA STORIA senza NARRAZIONE: studi subalterni in Italia


Subaltern studies Italia - una nuova narrazione dei subalterni e non per i subalterni. Citazioni da Gramsci, De Martino, Lombardi Satriani, Levi-Strauss

il mondo subalterno deve costituirsi come scandalo permanente della nostra organizzazione sociale
(L.M.Lombardi Satriani)



“Orientatemi
a Sud quando sarò spento / alle bionde montagne del sole, / alle penne rosse dei totem / alle vertigini delle stelle

Cristianziano Serricchio, poeta di Monte Sant’Angelo, cit. in “Sud. I poeti, vol.10, Macabor, 2021

 



Nella forma del collettivo di ricerca, il superamento del meridionalismo storico, del neo meridionalismo latitudinario, anche del cosiddetto pensiero meridiano, sta negli studi subalterni, Subaltern studies Italia, per un racconto non “dalla parte” dei dominati, ma dei dominati, che, come filosofia do oprimido, narri di uomini e donne che hanno costruito la storia senza la loro narrazione.

Creare una nuova cultura non significa solo fare individualmente delle scoperte «originali», significa anche e specialmente diffondere criticamente delle verità già scoperte, «socializzarle» per così dire e pertanto farle diventare base di azioni vitali, elemento di coordinamento e di ordine intellettuale e morale. Che una massa di uomini sia condotta a pensare coerentemente e in modo unitario il reale presente è fatto «filosofico» ben più importante e «originale» che non sia il ritrovamento da parte di un «genio» filosofico di una nuova verità che rimane patrimonio di piccoli gruppi intellettuali.
A.Gramsci, Quaderno 11 (XVIII) § (12) nota IV

“organizzare spedizioni in équipe” per raccogliere “materiale documentario per un’opera sull’angoscia della storia”. - E. de Martino, L’opera a cui lavoro, a cura di C. Gallini, Argo, Lecce 1996, p. 18.
‘Vai avanti, tu che sai, tu che puoi, tu che vedrai; non ci abbandonare, tu che sai, tu che puoi, tu che vedrai’”, E. de Martino, Intorno a una storia del mondo popolare subalterno, “Società”, v, 1949, p. 434.

- Paradossalmente, queste zone, questi uomini, che dovrebbero costituire il negativo - l’altro della società borghese che li nega nella misura in cui non può assimilarli totalmente - si pongono come signo contradictionis, come vivente testimonianza di possibilità culturali altre da quelle esperite dalle classi dominanti, come paradigmi di umanità altri da quelli imposti dalle classi al potere come gli unici universali.
Le cose - cui dovrebbero essere ridotti dall’egemonia borghese gli appartenenti alle classi subalterne - si ripresentano sulla scena della storia come fantasmi, come persone, radicalmente diversi, e quindi
portatori di inquietudine e di domande cui si deve dare risposta. (..)
L’etnocidio culturale sistematicamente tentato di confronti delle classi sfruttate del sud non è il segno arbitrario di una capricciosa “cattiveria delle classi sfruttatrici, ma il tentativo di compiere, secondo un lucido disegno politico, l’ultima espropriazione - culturale ed esistenziale - ai danni degli oppressi. Questi nel Sud costituiscono ormai - dopo le ultime rapine, anche culturali, effettuate contro di loro - un’umanita’ ferita, sottoposta a una nuova, tragica diaspora. [(..) il mondo subalterno deve, ndr]
costituirsi come scandalo permanente della nostra organizzazione sociale.
(..

L.M.Lombardi Satriani, Per un’inventivita’ antropologica: il cambiamento e la rassomiglianza, in (a cura di) De Angelis, Faeta, Malabotti, Piermarini, Sfruttamento e subalternità nel mondo contadino meridionale, Savelli, 1975, (page absque numero)

“una etnologia priva di opzioni filosofiche è una impossibilità teorica, perché è nella natura del conoscere far reagire l’oggetto con le proprie concezioni del mondo, e una povera illusione: quel che
può esistere è una etnologia inconsapevole delle proprie opzioni. (Archivio Ernesto de Martino, fascicolo 4.23), cit. in Gino Satta, “Fra una raffica e l’altra”, Il regno della miseria e la vita culturale degli oppressi, in Aut Aut nr. 366/2015.

- Il titolo rimanda ad un’espressione utilizzata da de Martino come programma di studi subalterni, (“Subaltern studies” come si sarebbero chiamati posteriormente dal lavoro dello storico indiano Ranajit Guha) indispensabili di più che generici appelli di intellettuali in riconnessione con il popolo: “pensare piuttosto che il compito degli intellettuali sia di decidersi a scrivere la “drammatica storia culturale degli oppressi”, che nessuno ha ancora mai scritto.(..) Noi non ci rassegneremo a registrare soltanto le raffiche di vento che sollevano gli stracci del regno della miseria: ma cercheremo anche di conoscere che cosa accade nel frattempo, fra una raffica e l’altra.“, da Il rinnovamento d’Italia, 4 agosto e 1 settembre 1952, cfr. E. de Martino, L’opera a cui lavoro, a cura di C.Gallini, Argo, Lecce 1996, pp. 25-37 e 38-42, cit. in Satta, ivi, note 37-39.

“La coscienza di essere prigionieri di un umanesimo circoscritto” e la “irruzione di fatto nella storia dei popoli coloniali e semicoloniali […] pongono alla nostra cultura obiettivamente il compito di accostarsi al mondo primitivo e popolare in generale”. (..) ‘Cultura popolare’ non significa soltanto guadagnare alla cultura le classi popolari, ma anche far penetrare mediatamente nella cultura, accogliere nella luce della spiegazione, gli interessi, le esigenze, le esperienze del mondo che (per riprendere l’immagine che piacque al Levi) ‘vive oltre Eboli’”., E. de Martino, Recensione a Miti e leggende di Raffaele Pettazzoni, “Avanti!”, 157, 4 luglio 1948, p. 3.

- Secondo l’etnologo partenopeo il “Cristo” di Levi ha il merito di introdurre per la prima volta “il cosiddetto materiale folkloristico in una passione civile attuale, che è condizione certamente non sufficiente ma necessaria affinché quel materiale cessi di essere curiosità erudita e diventi argomento di storia.”, cfr. Id. Etnografia e Mezzogiorno, “Il Contemporaneo”, 3, 15 gennaio 1955, p. 5.


- fondamentale per la ricostruzione del dibattito C.Pasquinelli (a cura di), Antropologia culturale e questione meridionale: Ernesto De Martino e il dibattito sul mondo popolare subalterno negli anni 1948-1955, La Nuova Italia, Firenze 1977;
Invece su de Martino (estraneo) nella scrittura post coloniale:
E.G. Berrocal, The Post-colonialism of Ernesto De Martino: The Principle of Critical Ethnocentrism as a Failed Attempt to Reconstruct Ethnographic Authority, “History and Anthropology”, 2, 2009,

“(..) se l’Occidente ha prodotto degli etnografi è perché un cocente rimorso doveva tormentarlo, obbligandolo a confrontare la sua immagine con quelle delle società differenti, nella speranza di vedervi riflesse le stesse tare, o di averne un aiuto per spiegarsi come le proprie si fossero sviluppate. (..) L’etnografo non può disinteressarsi della sua civiltà né sconfessarne gli errori, in quanto la sua stessa esistenza è comprensibile solo se considerata come un tentativo di riscatto: egli è il simbolo dell’espiazione”,
C.Levi-Strauss, Tristi tropici, Milano, 1960, pag.377

- accenti non dissimili in de Martino per la necessaria autocoscienza della civiltà occidentale e il processo di “espiazione” delle sue colpe nell’incontro con l’”alieno”, il diverso da me, l’altro da me, che supportano la sua concezione dell’etnocentrismo critico e dell’umanesimo etnografico, in cui la dimensione antropologico-filosofica diventa concreta prassi per la ricerca di riscatto delle classi subalterne.
vedi http://ferdinandodubla.blogspot.com/2020/11/ernesto-de-martino-etnologia-e-civilta.htm

- La storia senza narrazione è quella di chi la storia la costruisce materialmente, concretamente, pagando questa sua costruzione con l’assenza di coscienza della propria soggettività storica e ricollocando la propria appartenenza ai codici simbolici dei riti collettivi. La cultura diventa così il riconoscimento reciproco ma in una rappresentazione aliena perché altro-da-sè, in cui è possibile la riproduzione del dominio dei dominanti sui subalterni. Non è dunque il semplice disvelamento dell’apparenza che si sviluppa, perché ciò minerebbe la funzione di protezione dell’appartenenza, ma l’isolamento dell’antagonismo nella formazione “molecolare” della coscienza della forza collettiva.



(a cura di Ferdinando Dubla)

 




L.M.Lombardi Satriani (Briatico, 1936)