La
battaglia politica contro l’autonomia differenziata è anche lotta culturale per
un alter-meridionalismo senza latitudine
IL RESIDUO PRIMITIVO
Dall’articolo
di Vincenzo Di Mino su Machina - https://www.machina-deriveapprodi.com/post/oltre-eboli-dalla-critica-dell-identità-ad-un-nuovo-alter-meridionalismo
- La
criminologia positiva è pensata e praticata come una tecnologia politica di
immunizzazione del residuo primitivo delle popolazioni meridionali, che
necessitano di un supplemento pedagogico coloniale per essere inserite nel
palcoscenico ufficiale del divenire storico stesso.
La figura
del bandito, dunque, è una soglia per l’accesso alle verità storiche ufficiali.
Le interpretazioni socialiste e marxiste (Hobsbawm, Molfese) + hanno letto
questa figura come espressione del ribellismo sociale diffuso, quindi legandola
ad una condizione di classe e a specifici rapporti di forza nel passaggio
all’organizzazione capitalista moderna.
+ Ndr / di Eric
Hobsbawm, - I Ribelli. Forme primitive di
rivolta sociale, Collana Saggi n.386, Einaudi, Torino, 1966.
- I Banditi. Il banditismo sociale nell'età
moderna (ed. originale 1969), trad. Eladia Rossetto, Collana Piccola
Biblioteca, Einaudi, Torino, 1971-1974-1987.
di Franco
Molfese, Storia del brigantaggio dopo
l'Unità, Milano, Feltrinelli 1ed. marzo 1964 - vedi BRIGANTI SI MUORE -
Franco Molfese e il brigantaggio come insorgenza meridionale
BRIGANTI SI MUORE - Franco Molfese e il
brigantaggio come insorgenza meridionale
http://ferdinandodubla.blogspot.com/2023/02/briganti-si-muore-franco-molfese-e-il.html
L’orizzonte è anche un nuovo
meridionalismo che rompa con gli stereotipi del senso comune delle classi
dominanti e costituisca un’alternativa ai modelli colonialisti imposti dal
sistema capitalista. Il Sud del mondo abbraccia il Mezzogiorno d’Italia. In
questo senso, leggere Gramsci e Scotellaro (di cui ricorre il centenario della
nascita) significa rendere forte di motivazioni ideali la battaglia
politico-culturale contro l’autonomia differenziata.
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L’ ALTER-MERIDIONALISMO E GLI STUDI POSTCOLONIALI vs.
NEOBORBONISMO
- La
nostalgia del passato Borbonico, legato a doppio filo con le storie e le
leggende legate all’universo brigantesco, dislocano la stessa narrazione
storica su un piano meramente oppositivo a quella del carattere modernizzatore
del processo unitario, presentandola ex abrupto come processo di unificazione
coloniale. Il concetto di colonialismo è usato da autori come Pino Aprile alla
stregua di un significante vuoto, buono a coprire sia gli effetti drammatici
delle dinamiche di State-Building nel Meridione, e non le nefandezze e le
repressioni portate avanti dalla monarchia borbonica. Questo insieme di
elementi si apre a due considerazioni: la prima riguarda la dimensione plurale
del colonialismo nel Meridione, a cavallo tra la monarchia borbonica e la
storia dell’unità nazionale; l’altra riguarda l’esistenza delle storie
singolari e dimenticate, storia di resistenza e di insurrezioni fallite e
represse, nascoste dalle narrazioni dominanti.
INSORGENZE E SUBALTERNI
- Il terzo
asse di lettura del libro è quello più intensamente politico, e riguarda le
storie e le memorie delle lotte e delle resistenze meridionali, con lo sguardo
proiettato sempre sulle stringenti questioni dell’attualità. Le molteplici
storie delle lotte del Sud appartengono di diritto alla benjaminiana «tradizione
degli oppressi», e, sebbene silenziate, consentono di guardare alla Storia
ufficiale con uno sguardo situato e minore, di valorizzare queste emergenze
soggettive e leggerle sotto il segno della lotta di classe. Conflitti legati
alla dimensione politica della soggettività, infatti, hanno segnato quei
tentativi di insorgenza durante il processo unitario (basta pensare alla
tragica spedizione di Carlo Pisacane) e quell’insieme spontaneo di lotte
contadine che hanno attraversato per intero la storia del Meridione: valgano
gli esempi dei Fasci Siciliani, coraggioso ed innovativo tentativo di produrre
soggettività ed organizzazione nel contesto post-unitario in cui, per
utilizzare l’abusato adagio gattopardiano, non erano cambiati gli assetti della
proprietà fondiaria nonostante la transizione ad una nuova forma di governo, e
delle lotte contadine avvenute nel secondo dopoguerra, che stimolarono la
promulgazione dei «Decreti Gullo» e della parziale riforma agraria che provò a
destrutturare il potere dei latifondisti e dei rentier agrari. È utile, a
questa altezza del discorso, tornare al laboratorio gramsciano, per leggere la
complessità delle differenti forme in cui si è presentata sul palcoscenico
storico la soggettività politica nel Meridione. Conelli, nel quinto capitolo,
squaderna in tutta la sua poliedricità il concetto gramsciano di «subalternità»
come chiave di lettura dei processi di soggettivazione. Gramsci, notoriamente,
pensa al concetto di subalternità in termini «negativi», ossia attraverso l’incapacità
dei subalterni stessi di organizzare una propria narrazione sul mondo e, latu
sensu, di costruire organizzazione politica ma, allo stesso tempo, evidenzia la
ricchezza della storia e delle storie dei subalterni, seppure «disgregate ed
episodiche». In queste condizioni, il concetto si apre alla pienezza del piano
storico materiale: subalternità è allo stesso tempo l’espressione soggettiva di
una conflittualità e di una più generale indisposizione al comando che è emersa
più volte nella storia a cui è stata proibita la parola.
Vincenzo Di
Mino recensione al libro di Carmine Conelli, Il rovescio della nazione - La costruzione coloniale dell’idea di
Mezzogiorno, Tamu, Napoli, 2022
op.cit. Vincenzo Di Mino, da Oltre Eboli. Dalla critica dell'identità ad
un nuovo alter-meridionalismo
Su questo
blog vedi anche:
IL
SUD dei SUBALTERNI
LA
CONTRONARRAZIONE DEL SUD: noi non siamo il non-nord
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