Subaltern studies Italia

L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

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lunedì 19 dicembre 2022

IL PARAGRAFO 5 del QUADERNO 25

 

Il commento di Joseph A. Buttigieg al §5 Q.25 dei Quaderni dal carcere di Antonio Gramsci che ha ispirato la ricerca dei Subaltern studies in ambito internazionale

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Nessun gruppo sociale subalterno può superare la sua subalternità finchè non diventa capace “di uscire dalla fase economico-corporativa per elevarsi alla fase di egemonia politico-intellettuale nella società civile e diventare dominante nella società politica” 

(Antonio Gramsci, Q.4, ed. Einaudi, 1975, p.460) - - -

 

§5 Q.25

 

Criteri metodici. L’unità storica delle classi dirigenti avviene nello Stato e la storia di esse è essenzialmente la storia degli Stati e dei gruppi di Stati. Ma non bisogna credere che tale unità sia puramente giuridica e politica, sebbene anche questa forma di unità abbia la sua importanza e non solamente formale: l’unità storica fondamentale, per la sua concretezza, è il risultato dei rapporti organici tra Stato o società politica e «società civile». Le classi subalterne, per definizione, non sono unificate e non possono unificarsi finché non possono diventare «Stato»: la loro storia, pertanto, è intrecciata a quella della società civile, è una | funzione «disgregata» e discontinua della storia della società civile e, per questo tramite, della storia degli Stati o gruppi di Stati. Bisogna pertanto studiare: 1) il formarsi obbiettivo dei gruppi sociali subalterni, per lo sviluppo e i rivolgimenti che si verificano nel mondo della produzione economica, la loro diffusione quantitativa e la loro origine da gruppi sociali preesistenti, di cui conservano per un certo tempo la mentalità, l’ideologia e i fini; 2) il loro aderire attivamente o passivamente alle formazioni politiche dominanti, i tentativi di influire sui programmi di queste formazioni per imporre rivendicazioni proprie e le conseguenze che tali tentativi hanno nel determinare processi di decomposizione e di rinnovamento o di neoformazione; 3) la nascita di partiti nuovi dei gruppi dominanti per mantenere il consenso e il controllo dei gruppi subalterni; 4) le formazioni proprie dei gruppi subalterni per rivendicazioni di carattere ristretto e parziale; 5) le nuove formazioni che affermano l’autonomia dei gruppi subalterni ma nei vecchi quadri; 6) le formazioni che affermano l’autonomia integrale ecc. La lista di queste fasi può essere ancora precisata con fasi intermedie o con combinazioni di piú fasi. Lo storico deve notare e giustificare la linea di sviluppo verso l’autonomia integrale, dalle fasi piú primitive, deve notare ogni manifestazione del sorelliano «spirito di scissione».

Antonio Gramsci, Ai margini della storia. Storia dei gruppi sociali subalterni / cit. da edizioni Einaudi, 1975, p.2290

 

 

Il §5 del Quaderno 25 che ha ispirato il progetto di ricerca del Subaltern Studies Group, è molto più di un programma di studio storiografico. I sei punti elencati da Gramsci in quella nota rappresentano le fasi che i gruppi subalterni devono superare per arrivare a comprendere che devono avere le loro proprie organizzazioni, articolare le loro proprie posizioni (invece di lasciare agli altri di parlare in loro nome), uscire dalla mentalità corporativa e crescere fino al punto da diventare almeno potenzialmente “Stato”.

Joseph A. Buttigieg, Sulla categoria gramsciana di “subalterno”, 1997,  in Gramsci da un secolo all’altro, a cura di Giorgio Baratta e Guido Liguori, Editori Riuniti, 1999, p.36.






giovedì 8 dicembre 2022

CRISTO SI E' FERMATO AD ARCIDOSSO: IL LAZZARETTI DI GRAMSCI

 

David Lazzaretti o Davide Lazzaretti (Arcidosso, 6 novembre 1834 – Bagnore, 18 agosto 1878) è stato un predicatore italiano.

Operò nella Toscana di fine XIX secolo, particolarmente nella zona del Monte Amiata. Per il suo visionarismo e per la sua tragica fine, è stato chiamato il Cristo dell'Amiata (o profeta dell'Amiata). Al suo nome è legato quello del cosiddetto Giurisdavidismo (o Chiesa Giurisdavidica). Figlio di poveri contadini, mutò il proprio cognome da Lazzeretti in Lazzaretti, in riferimento non solo al personaggio evangelico, ma anche a quello del romanzo di Giuseppe Rovani “Manfredo Pallavicino”, un Lazzaro Pallavicino preteso discendente dei re taumaturghi di Francia. Ad Arcidosso, nel grossetano, alle pendici del versante occidentale dal monte Amiata, ai margini dei grandi boschi e alle vallate che gradualmente scendono verso la Maremma, dal 1870 al 1872, con il consenso delle autorità ecclesiastiche in rotta con lo Stato unitario, fondò tre istituti religiosi, i cui edifici di riferimento furono costruiti sulle pendici del monte Labbro. Il suo visionarismo socialista si assumeva il compito di guidare l'umanità verso l'era dello Spirito Santo, improntata alla legge di Diritto dopo che si erano concluse l'era del Padre, caratterizzata dalla legge di Giustizia da quando Mosè aveva ricevuto i comandamenti, e l'era del Figlio, ovvero Gesù e l'era della legge di Grazia. La sua comunità, chiamata Giurisdavidica, ossia del diritto di Davide, sembrò assumere i caratteri di un socialismo mistico e utopistico: egli prese le difese della Comune di Parigi e raccolse consensi anche da figure che, nella Chiesa, avevano posizioni sociali favorevoli ai ceti più deboli e diseredati, come Giovanni Bosco, che lo ospitò e lo sostenne. Nel marzo 1878 la Chiesa cattolica, per mano del Sant'Uffizio, lo condannò come eretico, lo scomunicò e mise all'Indice i suoi scritti; ma egli proseguì la sua attività e si proclamò "Cristo Duce e Giudice", affermando di essere venuto a completare la rivelazione cristiana. La mattina del 18 agosto 1878, pochi mesi dopo la morte di Pio IX e l'ascesa al papato di Leone XIII, egli guidò una processione che dal Monte Labbro, ribattezzato monte Labaro, scese verso Arcidosso. Ad attenderli vi era però una pattuglia di carabinieri e un militare sulla cui presenza si nutrono tuttora perplessità mai chiarite. Fu proprio questo militare, un certo Pellegrini, che colpì a morte David. Altri spari furono diretti sulla processione inerme, facendo tre morti e circa quaranta feriti. Fu poi trasportato alle Bagnore, un villaggio nei pressi di Santa Fiora, dove morì.  Il suo cadavere fu sepolto a Santa Fiora in terra sconsacrata, ma venne poco dopo prelevato dall'antropologo Cesare Lombroso, il fondatore dell'antropologia criminale, che aveva ottenuto le sue spoglie per i propri studi, volti a ricercare nel Lazzaretti l'origine organica di una follia criminale. Ciò che rimane di quel corteo variopinto (bandiere, labari, gonfaloni, vesti, tuniche) che Lazzaretti predispose per un ingresso in Arcidosso, fu, unitamente ad altri reperti, conservato per circa un secolo nel lascito che Cesare Lombroso aveva destinato al Museo di antropologia criminale di Torino, e trasferito, successivamente, almeno in parte, nel Centro studi David Lazzaretti di Arcidosso.

rielaborazione estratto da Wikipedia di #SubalternStudiesItalia

Il libro

- Nello Nanni, Vita e pensiero di David Lazzaretti. Il profeta della terza era, C&P Adver Effigi, 2014


/scheda/

L'autore ricostruisce la leggibilità e la trasmissione della vicenda del Lazzaretti oltre i due schieramenti che la hanno in qualche modo colonizzata (David come eretico o come comunista inconsapevole) restituendo la parola a lui, a David, alla sua biografia singolare e alla biografia collettiva ... un secolo e mezzo di fonti, molte delle quali inedite, alle quali Nello Nanni attribuisce il compito di evidenziare la trama del racconto: una esperienza biografica dentro la storia ma dotata di un'aura metastorica... Fare cose semplici è una cosa molto difficile, richiede un percorso di formazione, di sintesi e raggiungimento del senso più profondo. Così mi sembra questo libro, anch'esso frutto di un percorso complesso e in un certo senso di una volontà di testimonianza e di comunicazione del religioso come capace ancora di stupore e di conoscenza. Contiene DVD sulla vita di David Lazzaretti "A tutti i popoli del Mondo" di Michele Nanni (100 min.).


Pietro Clemente cit. prefazione

 

Una vita religiosa sembra dirci Anna Innocenti Periccioli deve arrivare al cuore e alla mente senza il filtro della ragione o della teologia, affidarsi all’accoglienza e alla comprensione umana del limite, all’emozione e allo stupore. (..) Una esperienza biografica dentro la storia ma dotata di un’aura ‘ metastorica’, vissuta con la capacità di chi cerca di stare nella storia come se non ci stesse, come se dovesse in essa affermare un altro tempo, ritorcere il tempo del secolo a favore di quello della luce del messaggio. (..)

 

Nello Nanni cit. Introduzione

 

Il Lazzaretti, antropologicamente, aveva scarsi legami con il secolo in cui visse: come giustamente una volta notò Padre Ernesto Balducci, non era l’uomo dei cento anni, ma piuttosto l’uomo dei mille anni. Non poteva essere compreso con l’ottica consueta della storiografia, perché non era un personaggio storico, ma metastorico, i cui punti di riferimento cioé, attingendo ad un passato anche molto remoto, sfioravano il presente per proiettarsi nel futuro: in parole semplici, un profeta. Nei secoli del materialismo e della supponenza scientifica, come poteva essere apprezzato il messaggio di un barrocciaio, la cui formazione culturale, per di più, apparteneva ad una società arcaica come quella dei pastori e dei contadini Amiatini?

 

 

Gramsci, Lazzaretti e i subalterni

 

L’opera «fondamentale» sul Lazzaretti è quella di Giacomo Barzellotti, che nella 1° e 2a edizione (presso Zanichelli) era intitolata Davide Lazzaretti e che fu ampliata e in parte modificata nelle successive edizioni (Treves) col titolo Monte Amiata e il suo Profeta. + (..) libro del Barzellotti, che ha servito a formare l’opinione pubblica italiana sul Lazzaretti, sia niente altro che una manifestazione di patriottismo letterario (– per amor di patria! – come si dice) che portava a cercar di nascondere le cause di malessere generale che esistevano in Italia dopo il 70, dando, dei singoli episodi di esplosione di tale malessere, | spiegazioni restrittive, individuali, folcloristiche, patologiche ecc. La stessa cosa è avvenuta piú in grande per il «brigantaggio» meridionale e delle isole. (..) Gli uomini politici non si sono occupati del fatto che l’uccisione del Lazzaretti è stata di una crudeltà feroce e freddamente premeditata (in realtà il Lazzaretti fu fucilato e non ucciso in conflitto: sarebbe interessante conoscere le istruzioni riservate mandate dal governo alle autorità): neanche i repubblicani se ne sono occupati (ricercare e verificare) nonostante che il Lazzaretti sia morto inneggiando alla repubblica (il carattere tendenzialmente repubblicano del movimento, che era tale da poter diffondersi tra i contadini, deve aver specialmente contribuito a determinare la volontà del governo di sterminarne il protagonista), forse per la ragione che nel movimento la tendenzialità repubblicana era bizzarramente mescolata all’elemento religioso e profetico. Ma appunto questo miscuglio rappresenta la caratteristica principale dell’avvenimento perché dimostra la sua popolarità e spontaneità. (..) le masse rurali, in assenza di partiti regolari, si cercavano dirigenti locali che emergevano dalla massa stessa, mescolando la religione e il fanatismo all’insieme di rivendicazioni che in forma elementare fermentavano nelle campagne. (..) Il dramma del Lazzaretti deve essere riannodato alle «imprese» delle cosí dette bande di Benevento, che sono quasi simultanee: i preti e i contadini coinvolti nel processo di Malatesta pensavano in modo molto analogo a quello dei Lazzarettisti, come risulta dai resoconti giudiziari (cfr per es. il libro di Nitti sul Socialismo Cattolico dove giustamente si accenna alle bande di Benevento: vedere se accenni al Lazzaretti). In ogni modo, il dramma del Lazzaretti è stato finora veduto solo dal punto di vista dell’impressionismo letterario, mentre meriterebbe un’analisi politico-storica. (..) 


+ cfr. Antonio Gramsci, Quaderni dal carcere, Q.25 par.1 (ed.Gerratana, Einaudi; 1975, pp. 2279-2283)


·         Giacomo Barzellotti, David Lazzaretti di Arcidosso (detto il santo), Bologna: Zanichelli, 1884 (nuova ed. con il titolo: Monte Amiata e il suo profeta, Milano: Fratelli Treves, 1909)

 

Privilegiando l'antropologia criminale come la pseudo-scienza classista di Cesare Lombroso e come per il brigantaggio meridionale, scrive Gramsci, anche per Lazzaretti è mancato un approccio di studio storico-politico che avrebbe potuto evidenziare le materiali condizioni di vita delle popolazioni nella costruzione di uno Stato unitario fondato sulla disuguaglianza e su un modello di sviluppo forgiato da una classe dirigente post-risorgimentale che ha lasciato volutamente i gruppi subalterni ai margini della storia.

 

a cura di Subaltern Studies Italia









mercoledì 7 dicembre 2022

LA SOCIETA' REGOLATA, NEXT REVOLUTION DI GRAMSCI

 

Antonio Gramsci, Quaderni dal carcere

 

Nella dottrina dello Stato → società regolata, da una fase in cui Stato sarà uguale Governo, e Stato si identificherà con società civile, si dovrà passare a una fase di Stato - guardiano notturno, cioè di una organizzazione coercitiva che tutelerà lo sviluppo degli elementi di società regolata in continuo incremento, e pertanto riducente gradatamente i suoi interventi autoritari e coattivi. Né ciò può far pensare a un nuovo «liberalismo», sebbene sia per essere l’inizio di un’era di libertà organica. Quaderno 6 (VIII) 1930-1932 Miscellanea § 88. Stato gendarme - guardiano notturno, ecc. (ed.Gerratana, Einaudi, 1975, pag.764)


Marx inizia intellettualmente un’età storica che durerà probabilmente dei secoli, cioè fino alla sparizione della Società politica e all’avvento della Società regolata. Solo allora la sua concezione del mondo sarà superata (concezione della necessità, superata da concezione della libertà). Quaderno 7 (VII) 1930-1931 Appunti di filosofia II e Miscellanea § 33. Posizione del problema. (ed.Gerratana, Einaudi, 1975, pag.882)

 

Transizione dallo Stato integrale alla società regolata. Il tema è quello dei fini ultimi sottesi alla filosofia della prassi. In particolare, Gramsci riprende e per certi aspetti conduce a livello di categorizzazione concettuale le tesi di Lenin sul deperimento dello Stato socialista destinato a condurre verso la società socialista, dove la società si autogoverna senza più bisogno di interventi coercitivi. E si riconnette implicitamente al Marx dell'autogoverno comunista in cui  "il libero sviluppo di ciascuno è la condizione per il libero sviluppo di tutti", all'autogoverno dei produttori del I libro de Il Capitale, al Marx ammiratore della Comune di Parigi.

Nelle note carcerarie ritroviamo l’idea di un processo in cui la contrazione dello Stato è direttamente proporzionale allo sviluppo della società regolata. La società regolata è una società autodeterminata, lo «Stato-coercizione si può immaginare esaurentesi» passando per una fase intermedia; una fase di

Stato-guardiano notturno, cioè di un’organizzazione coercitiva che tutelerà lo sviluppo degli elementi di società regolata in continuo incremento, e pertanto riducente gradatamente i suoi interventi autoritari e coattivi. Né ciò può far pensare a un nuovo “liberalismo”, sebbene sia per essere l’inizio di un’era di libertà organica.

 

"Nel Libro primo del Capitale, Marx chiarì che il «principio fondamentale» di questa «forma superiore di società» sarebbe stato il «pieno e libero sviluppo di ogni individuo». Ne La guerra civile in Francia, espresse la sua approvazione per le misure adottate dai comunardi che lasciavano «presagire la tendenza di un governo del popolo per il popolo». Più precisamente, nelle sue valutazioni circa le riforme politiche della Comune di Parigi, egli ritenne che «il vecchio governo centralizzato avrebbe dovuto cedere il passo, anche nelle province, all’autogoverno dei produttori». L’espressione venne ripresa negli Estratti e commenti critici a «Stato e anarchia» di Bakunin, dove specificò che un radicale cambiamento sociale avrebbe avuto «inizio con l’autogoverno della comunità»." 
(Marcello Musto, Il comunismo secondo Marx, in Su la testa, vol. 2021, n. 4, pag.92)

 

Libertà organica, dunque, da non confondere con la libertà individualistica. Libertà organica che significa tendenza a realizzare attraverso un «nuovo “conformismo dal basso”» una società in cui libertà e necessità coincideranno, dove la distanza tra autonomia e responsabilità e tra personalità libera e conformità al dovere tenderà ad annullarsi. + La società regolata teorizzata da Gramsci è una comunità incentrata sull’«uomo-collettivo».

 

+ Come sottolinea Nicola Badaloni, «si tratta di incorporare la volontà individuale in quella collettiva, col minimo di costrizione compatibile col maturarsi della nuova civiltà dei produttori»,

cfr. Nicola Badaloni, Il marxismo di Gramsci, Einaudi, 1977, p. 168.


a cura di Subaltern studies Italia







lunedì 5 dicembre 2022

LA PRESENZA di DE MARTINO

 

per report seminario Avetrana “Gramsci e gli studi subalterni in Italia”, biblioteca “Agnese Carlone”, 4.12.2022 #SubalternStudiesItalia


L’attualità della ricerca di Ernesto de Martino


La crisi della presenza come annientamento della soggettività. La complessa categoria ermeneutica di de Martino, poteva prendere la piega della discussione scolastica del debito esistenzialistico o dell’ontologia filosofica dell’essere-esserci di Heidegger; nella nostra discussione seminariale, invece, è apparsa insieme alle ombre dei braccianti del sud che alle 5 del mattino, prelevati da caporali se andava bene, si recavano nei campi prima della luce dell’alba per una misera paga. Ci è apparsa nelle sembianze degli invisibili precari di oggi, gioventù senza contributi a inseguire sogni, nelle cassiere dei nostri supermercati, in bicicletta a consegnare pizze, sulla gru dell’Ilva nella tempesta di vento, nei migranti disperati approdati sulle nostre coste salentine da clandestini, fortunati di non essere in fondo al mare; e nelle mani nere e rosse dei profughi di Capitanata alla raccolta dei pomodori. La labilità della presenza connette l’inchiesta antropologica dei subalterni alla latitudine Sud dell’Occidente alla filosofia dell’apocalisse. Attualità di de Martino fuori dall’Accademia e per strada, alla ricerca del suo escatòn, il riscatto subalternista. (fe.d.)

 



Ciò che rischia di perdere la presenza è il manifestarsi della storicità della condizione umana, lo sporgere di tale storicità nei momenti critici dell’esistenza. Al limite, ogni esperienza di una situazione «nuova» è critica, ed è nuova ogni situazione che, in una società data, pone in essere per la coscienza la distanza fra l'accadere in senso naturale (che è o può essere contrario all’uomo) e il far accadere in senso culturale (che tende a decidere le situazioni secondo valori umani, secondo iniziative innestate in tradizioni dell’operare). Quando una situazione ha luogo nel vuoto di qualsiasi tradizione culturale del comportarsi realisticamente efficace (come nelle grandi catastrofi naturali, nelle malattie mortali e nella morte), è la stessa presenza che si perde, che resta senza margine dell'operare, e dilegua.

Da Ernesto de Martino, Presenza, vitalità, storicità in La fine del mondo, Einaudi, Torino, 2019, p. 454




Nella composizione fotografica Ernesto de Martino è con la sua compagna Vittoria De Palma in auto mentre gira il Salento del circondario di Galatina per l’inchiesta antropologico culturale sul rito della taranta, poi pubblicata nel 1961 con il titolo “La terra del rimorso”. Siamo nella tipica canicola agostana salentina del 1959.



giovedì 1 dicembre 2022

Gramsci e gli studi subalterni in Italia. Seminario ad Avetrana (novembre-dicembre 2022)


Ad Avetrana (TA) dal 25 novembre al 18 dicembre 2022 il seminario su “Antonio Gramsci e gli studi subalterni in Italia”. Grazie all’Associazione Hortus animae, Subaltern studies Italia e la Scuola di Filosofia ‘Giulio Cesare Vanini‘ di Manduria, con il patrocinio dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Avetrana. La forma seminariale consente l’incontro collettivo e la ricerca di strada, quella dell’inchiesta sociale. Libro di testo il Quaderno 25 redatto a Formia nell’ultimo periodo della vita del filosofo marxista italiano più tradotto e letto ormai in tutto il mondo. Il metodo della filologia vivente, teorizzato dallo stesso Gramsci, non sostituisce l’”acribia filologica” dell’accademia, ma innesta la ricerca ‘dal basso’, nella vita sociale reale. Sinora “i filosofi hanno interpretato il mondo; ora si tratta di trasformarlo.”, K.Marx, XI glossa a Feuerbach, 1845.

Gli incontri (ne sono previsti 4) si tengono presso la Bilioteca Comunale "Agnese Carlone" di Avetrana.

Per informazioni e iscrizioni contattare il numero 3489188659


Il seminario di formazione collettiva su "Gramsci e gli studi subalterni in Italia" comprende anche l'analisi dei testi di e su Ernesto de Martino. Nella metodologia del seminario di autoformazione, non c’è soltanto la ricerca für ewig (pura, disinteressata) ma una forma di sapere circolare: gli strumenti teorici servono anche per l’interpretazione del presente, nel caso specifico, la conoscenza delle forme di precariato e subalternità delle società capitalistiche occidentali, come si vive la “doppia subalternità”, come, dalla accresciuta consapevolezza, è possibile un processo di liberazione e autodeterminazione individuale e collettiva. Gramsci come intelletto collettivo attivo nell’impegno politico e sociale. (#SubalternStudiesItalia)


Canale seminario Avetrana 25.11.2022 - 18.12.2022 “Antonio Gramsci e gli studi subalterni in Italia” Ass.Hortus animae in collaborazione con Subaltern studies Italia, Scuola di Filosofia G.C.Vanini - patrocinio Ass.alla Cultura Comune di Avetrana // coordinatore: prof. Ferdinando Dubla - assistente: d.ssa Roberta Galati - comunicazione: prof. Oronzo Caprino

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martedì 22 novembre 2022

Secretior philosophia. E oggi, Vanini può parlare?

 

Il filosofo libertino erudito pugliese, che girovagò come Giordano Bruno nell’Europa da frate carmelitano fino al 1612, ha necessità di essere studiato anche oltre l’accademia e l’erudizione, appunto. Se filosoficamente il confronto, l’analogia, l’accostamento, vanno elaborati naturalmente con le concezioni olistiche del Nolano, che lo precede, con il panteismo di Spinoza e i presupposti dell’Illuminismo, che lo seguono, con le suggestioni di Schopenauer, che lo cita e lo apprezza; dal punto di vista della più generale teoria politica della filosofia, andrebbe sviluppato un confronto analitico con l’anarchismo libertario, sia nella forma (i dialoghi, come quelli scritti da Errico Malatesta) sia nei contenuti. Contenuti che costarono a Vanini, come già a Bruno e in seguito agli anarchici, la persecuzione, la condanna a morte, i roghi dei corpi e dei libri. Non senza, nel caso di Vanini, avergli prima strappato con le tenaglie la lingua. Per farlo nonostante ancora parlare, oggi, tocca a noi.

Can Vanini speak?

- Il libertinismo erudito di Vanini è un libertinismo radicale, senza mediazioni con il potere, politico ed ecclesiastico. Con l’arte della dissimulazione, che permea i suoi scritti, la critica razionalista, che pone non solo in dubbio i dogmi, ma li sbeffeggia (al modo dell’’”asinità” di Giordano Bruno, “O santa asinità, santa ignoranza, santa stoltezza” - Cabala del cavallo Pegaseo) come imbroglio ideologico. Una concezione panteistica permea la riflessione filosofica sull’umano e il suo mondo, che è integralmente, olisticamente, natura senza trascendenza.

Quando GRAMSCI cita VANINI

“I grandi editori deperiscono in Italia.”

Nei suoi Quaderni del carcere, scritti tra il 1929 e il 1935, Antonio Gramsci, commentando la reazione ecclesiastica della Controriforma, si lascia andare a un’amara constatazione editoriale, nell’ambito della quale cita Vanini: “Le opere complete del Machiavelli furono stampate per l’ultima volta in Italia nel 1554, e nel 1557 il Decamerone integro; l’editore Giolito dopo il 1560 cessò di stampare anche il Petrarca. Da allora cominciano le edizioni castrate dei poeti, dei novellieri, dei romanzieri. La censura ecclesiastica infastidisce anche i pittori. (..) I grandi editori deperiscono in Italia: Venezia resiste di piú, ma infine gli autori italiani e le opere italiane (del Bruno, del Campanella, del Vanini, del Galilei) sono stampate integralmente solo in Germania, in Francia, in Olanda. Con la reazione ecclesiastica che culmina nella condanna di Galileo finisce in Italia il Rinascimento anche fra gli intellettuali.” nota +

Da notare la disinvoltura - non scontata ai tempi in cui scrive - con cui Gramsci accosta Vanini a giganti acclarati come Bruno, Campanella e Galilei.

+ Cfr. Antonio Gramsci, Quaderni dal carcere, 4 voll., Einaudi, Torino 1977, vol.III, Quaderno 17 (IV), §15, pag.1919.

Mario Carparelli, Giulio Cesare Vanini - Il filosofo, l’empio, il rogo, Liberlibri, 2021, p. 49

Giulio Cesare Vanini è un personaggio storico purtroppo poco conosciuto in Italia, ma che andrebbe riscoperto e valorizzato perché rappresenta un importante precursore del materialismo. I contenuti del suo pensiero sono incredibilmente radicali e avanzati rispetto all’epoca in cui vive, e per certi versi anche rispetto al giorno d’oggi, se si considera la cultura dominante, egemonizzata da un pensiero intriso di moralismo confessionale, e allo stesso tempo dove l’irrazionalismo superstizioso ha ampissimo spazio nel senso comune.

Il contesto storico in cui vive Vanini – nato a Taurisano (Lecce) nel 1585 e arso vivo a Tolosa nel 1619 – è quello del periodo barocco dell’Inquisizione, descritto magistralmente nella sua caccia a streghe ed eretici nel romanzo La Chimera di Sebastiano Vassalli, anche se la condanna al rogo per “ateismo e bestemmie contro il nome di Dio” di Vanini non viene inflitta dall’Inquisizione ma dal Parlamento di Tolosa, in un’epoca in cui mettere in discussione Dio era considerato un atto sovversivo anche dal potere temporale.

Adriana Bernardeschi de La città futura https://www.lacittafutura.it/unigramsci/giulio-cesare-vanini-un-precursore-del-materialismo-e-della-laicità-del-pensiero-parte-i

“L’uomo barocco è «chiuso». Le «finestre» sono cieche e artificiose. Non sul petto dovrebbero aprirsi. Ma direttamente sul cuore squarciato. Sulle sue fughe in profondità. Il segreto fonda l’uomo barocco. E, nell’ombra, o nel silenzio, lo rende libero. Nel bene e nel male”, Salvatore Nigro in Introduzione a Torquato Accetto, Della dissimulazione onesta, Einaudi, 1997

Michel Onfray, nel suo noto Trattato di ateologia, sostiene la tesi che Vanini non fosse ateo: “questo pensiero ossimorico non nega la provvidenza, il cristianesimo, il cattolicesimo, ma in compenso rifiuta nettamente l’ateismo […] Tutto ciò non ne fa un ateo […] quanto più probabilmente una specie di panteista eclettico”. La sua condanna quindi sarebbe dovuta alla sua eterodossia e non al suo ateismo., Michel Onfray, Trattato di ateologia, Fazi Editore, 2005, p. 37.

Un ambito imprescindibile per capire l’opera di Vanini è quello dell’aristotelismo naturalistico di Pomponazzi, con i suoi spunti averroistici di forte separazione fra verità e fede: anche qui ci si inserisce in un contesto di parziale giustificazione del dissimulare. La necessità di dissimulare è esplicitata da Giordano Bruno e Tommaso Campanella. Bruno, ne La bestia trionfante, la definisce “scudo della verità”. Campanella dedica ampio spazio al tema del “teatro del mondo”, di uno strutturale portare una maschera che toglieremo solo nel giorno del giudizio.

secretior philosophia  - “tutto ciò che è nuovo modifica profondamente la sensibilità”, G.C.Vanini, De admirandis naturae reginae deaeque mortalium arcanis – edizione italiana: Dei meravigliosi segreti della natura, a cura di F. P. Raimondi e L. Crudo, Congedo editore, Galatina (Lecce), p. 3.

Nelle prime pagine del De admirandis naturae reginae deaeque mortalium arcanis – una delle sue due opere fondamentali, scritta in forma di dialogo – Vanini accenna, tramite una domanda del suo interlocutore, a una sua secretior philosophia (“filosofia più segreta”). Questo avvertimento fornisce al lettore una chiave di lettura: tutto il testo è implicitamente costruito su due piani, uno dei quali (essoterico) serve da maschera all’altro (esoterico). Il concetto di scrittura “sovrapposta” è alla base dell’intrecciarsi delle tecniche di dissimulazione utilizzate da Vanini, è il filo conduttore che le lega.

La secretior philosophia è un discorso sotterraneo che appare in superficie tramite segnali che il lettore deve cogliere e collegare, i quali, suggerendo un contesto implicito, compongono un mosaico dotato di senso. Si tratta dunque di un messaggio cifrato, che solo gli iniziati sapranno decodificare.

Interessante è rilevare come la secretior philosophia vaniniana è allo stesso tempo inganno in quanto utilizza il camuffamento, e verità, che si serve dell’inganno stesso per demolire l’inganno e l’impostura che permea tutta una cultura, passata e presente. - 

Adriana Bernardeschi, - https://www.lacittafutura.it/unigramsci/giulio-cesare-vanini-un-precursore-del-materialismo-e-della-laicità-del-pensiero-parte-ii

si nollet Deus pessimas ac nefarias in orbe vigere actiones, procul dubio uno nutu extra mundi limites omnia flagitia exterminater profligaretque: quis enim nostrum divinæ potest resistere voluntati? Quomodo invito Dio patrantur scelera, si in actu quoque peccandi scelestis vires subministra? Ad hæc: si contra Dei voluntatem homo labitur, Deus erit inferior homine, qui ei adversatur, et prævalet. Hinc deducunt, Deus ita desiderat hunc mundum, qualis est, si meliorem vellet, meliorem haberet” 

“… Se Dio non volesse che si diffondessero nel mondo azioni pessime e delittuose, senza dubbio, con un sol cenno, annienterebbe e bandirebbe  fuori dai confini dell’universo ogni infamia. Chi di noi, infatti, può resistere alla volontà di Dio? E in che modo si può commettere un delitto contro la volontà divina, ammesso anche che nell’atto di peccare Dio fornisca al reo la forza per farlo? E ancora, dicono, se l’uomo cade in peccato, contro la volontà di Dio, allora questi sarà inferiore all’uomo, che riesce ad opporglisi e a prevalere su di Lui. Da ciò deducono che Dio desidera questo mondo così come è. Ché se lo volesse migliore, lo avrebbe”.

 (Amphitheatrum æternæ providentiæ, Lugduni MDCXV, p. 103 – , trad. it. F.P. Raimondi – L. Crudo, Galatina 1981, p.131).

Gli strapparono la lingua prima di soffocarlo e bruciarlo in quel di Tolosa il 9 febbraio 1619, diciannove anni dopo il rogo di Giordano Bruno. È ora che ritorni a parlare. “Ils prefiguraient la libre pensee et la raison“, si legge sulla lapide della ville francese di Toulouse. Infatti, quello che rappresentavano l’infinito e gli infiniti universi per il domenicano Giordano da Nola, erano per il carmelitano Giulio Cesare da Taurisano la materia e la natura.

 

a cura della Scuola di Filosofia “Giulio Cesare Vanini”, Manduria (TA) - https://t.me/scuolafilosofiaVanini



Giulio Cesare Vanini (Taurisano, 19 gennaio 1585 – Tolosa, 9 febbraio 1619)


placeVanini a Toulouse nel luogo del rogo





mercoledì 16 novembre 2022

I DIALOGHI DI ERRICO MALATESTA SULLA PROSSIMA RIVOLUZIONE

 

Un caffè con Malatesta

L’anarchico italiano, ‘subalternist’ per eccellenza, scriveva i suoi testi politici e filosofici anche in forma di dialogo. Celebre il dialogo ‘Al caffè’ - conversazioni sull’anarchismo, pubblicato nel 1922 per le edizioni di “Volontà”, curato da Luigi Fabbri, che comprendeva tutti quanti i dialoghi scritti da Errico Malatesta in tre successive riprese (1897 - 1913 - 1920).

I primi dieci dialoghi apparvero nel 1897 nel periodico “L’Agitazione” che usciva ad Ancona, compilato dallo stesso libertario di Santa Maria Capua a Vetere, che intanto si nascondeva per sfuggire alla caccia poliziesca, tra il Regno Unito e l’Italia. Questi dieci dialoghi furono riveduti e corretti nel 1913, quando il Malatesta, tornato ad Ancona, dirigeva il giornale Volontà, e ne aggiunse altri quattro. Nell’edizione del 1922 appaiono anche i tre dialoghi scritti in quell’anno, nei quali figurano, come interlocutori, Gino (operaio), Pippo (mutilato di guerra) e Luigi (socialista). In tutto diciassette dialoghi. Noi citiamo da un’edizione del 1961 per la “Collana libertaria” della Sargraf Appiano di Torino.

In rete potete trovarlo qui _ http://www.punk4free.org/download/ebooks/Errico.Malatesta.-.Al.Caffe.pdf

 



THE NEXT REVOLUTION

GIORGIO. Noi vogliamo che le trasformazioni sociali a cui mira la rivoluzione incomincino a realizzarsi fino dal primo atto insurrezionale. Vogliamo che il popolo prenda subito possesso della ricchezza esistente: che dichiari i palazzi dei signori dominio pubblico, e provveda per iniziativa dei più volenterosi e attivi, a che tutta la popolazione sia alloggiata il meno male possibile, e subito si metta mano, per opera delle associazioni dei costruttori, all’edificazione delle nuove case che siano stimate necessarie; vogliamo che si comunalizzino tutti i prodotti alimentari disponibili e se ne organizzi sempre per opera dei più volenterosi e sotto il controllo reale del pubblico, la distribuzione eguale per tutti; vogliamo che gli agricoltori s’impossessino delle terre incolte e di quelle dei signori e si convincano col fatto che ormai queste terre appartengono ai lavoratori; vogliamo che gli operai si sottraggano alla direzione dei padroni e continuino la produzione per conto loro e del pubblico; vogliamo che si stabiliscano subito relazioni di scambio fra le diverse associazioni produttrici ed i diversi comuni; e nello stesso tempo vogliamo che si brucino, si distruggano, tutti i titoli e tutti i segni materiali della proprietà individuale e del dominio statale. Vogliamo insomma fin dal primo momento far sentire alla massa i benefici della rivoluzione e sconvolgere le cose in modo che sia impossibile ristabilire l’ordine antico. (p.67)

(..)

CESARE. -- Ma come? Una società senza governo! Come si farebbe a vivere? Chi farebbe la legge? Chi la farebbe eseguire? GIORGIO. -- Veggo che non avete alcuna idea di quello che noi vogliamo. Per non perdere il tempo in divagazioni bisognerà che mi lasciate spiegarvi, brevemente, ma metodicamente il programma nostro; e così potremmo discutere con utile reciproco. Ma ora è tardi; incominceremo la prossima volta. (p.14)


Subaltern Studies Italia si occuperà anche di “Fra contadini” e “L’Anarchia”, che, insieme all’opuscolo “Al Caffè”, costituiscono preziosi appunti per la rivoluzione delle classi subalterne, per la chiarezza dello stile e la profondità delle argomentazioni, caratteristiche peculiari dell’anarchico campano, insurrezionalista della banda del Matese, denominato il “Lenin italiano”, morto in pieno fascismo a Roma il 22 luglio 1932, guardato a vista dalla sbirraglia fascista. Ne fu vietata la cremazione, evidentemente erano timorosi che anche le sue ceneri potessero riaccendere il fuoco della rivolta.





Errico Gaetano Maria Pasquale Malatesta (Santa Maria Capua Vetere, 4 dicembre 1853Roma, 22 luglio 1932) è stato un anarchico e scrittore italiano, tra i principali teorici del movimento anarchico.

mercoledì 9 novembre 2022

Osarono dirti empio. Alla ricerca di Giulio Cesare Vanini




L’ERUDITO LIBERTINO SALENTINO

che morì sul rogo a Tolosa, popolosa città della regione Occitania francese


- Giulio Cesare Vanini. Il filosofo, l'empio, il rogo

di Mario Carparelli, prefazione di Sossio Giametta

con uno scritto di Dario Acquaviva, Liberilibri, 2021

/scheda/

Malgrado negli ultimi anni sia stato oggetto di una vera e propria riscoperta, Giulio Cesare Vanini, chiamato dai suoi contemporanei "aquila degli atei" per gli esiti antiteologici e antimetafisici del suo razionalismo radicale, è ancora poco conosciuto in Italia. Eppure, con le sue opere e la sua testimonianza ha segnato un punto di svolta nella storia della filosofia occidentale, contribuendo alla nascita dell'Europa laica e moderna. Ex frate carmelitano, il 9 febbraio 1619, quando aveva da poco compiuto trentaquattro anni, fu condannato al rogo per «ateismo, bestemmia, empietà e altri eccessi» e fu bruciato a Tolosa in una piazza che oggi porta il suo nome. Prima di essere consegnato alle fiamme gli fu strappata la lingua, l'organo con cui aveva "offeso" Dio. In questo volume, che vuole rappresentare una prima introduzione alla sua figura e al suo pensiero, sono raccolti gli eventi fondamentali della sua appassionante vicenda umana e intellettuale. /

+ Giulio Cesare Vanini, pugliese di Taurisano, nacque il 19 gennaio 1585 e morì sul rogo a Tolosa il 9 febbraio 1619. È stato un filosofo, medico, naturalista e libero pensatore italiano, fra i primi esponenti di rilievo del libertinismo erudito.

In De admirandis Naturae Reginae Deaeque mortalium arcanis libri quatuor stampato a Parigi nel 1616 vengono riprese le tesi dell' Amphiteatrum, con precisazioni e sviluppi che ne fanno il suo capolavoro e la sintesi della sua filosofia. Viene negata la creazione dal nulla e l'immortalità dell'anima, Dio è nella natura come sua forza propulsiva e vitale, entrambi sono eterni. Gli astri del cielo sono una specie di intermediari tra Dio e la Natura che sta nel mondo sublunare e di cui noi facciamo parte. La religione vera è perciò una "religione della natura" che non nega Dio ma lo considera un suo spirito-forza.

Il 9 febbraio 1619 Vanini viene riconosciuto colpevole e condannato al rogo. Ormai isolato, braccato e abbandonato dai pochi amici rimastigli fedeli perché impotenti ad organizzare una chiara strategia in sua difesa, il filosofo salentino muore di morte atroce. Il Parlamento di Tolosa lo riconosce colpevole del reato di ateismo e di bestemmie contro il nome di Dio, condannandolo, sulla base della normativa del tempo prevista per i bestemmiatori, alla stessa pena cui erano andati incontro, in luoghi diversi ma in circostanze analoghe, certi Gilles Fremond e Jean Fontanier: gli viene tagliata la lingua, poi è strangolato e infine arso.

 

#GiulioCesareVanini, #ScuoladifilosofiaVanini, Manduria (TA)

 

SOTTO IL PIZZETTO DI VANINI  


- In qualità di martire del libero pensiero, Vanini è raffigurato in uno degli otto medaglioni in bronzo che si trovano sul basamento in granito del celebre monumento a Giordano Bruno in Campo de’ Fiori a Roma, realizzato da Ettore Ferrari e inaugurato il 9 giugno 1889. Gli altri sette medaglioni sono dedicati a Paolo Sarli, Tommaso Campanella, Pietro Ramo, Aonio Paleario, Michele Serveto, John Wyclif e Jan Hus. Nel 1991 lo storico svedese Lars Berggren ha scoperto che, proprio sotto il pizzetto di Vanini, si nasconde anche un piccolo e quasi invisibile ritratto di Martin Lutero.

Mario Carparelli, op.cit., pag. 27


Empio osarono dirti

Il grande poeta tedesco Friedrich Hölderlin ha dedicato a Vanini una struggente ode, che si intitola per l'appunto Vanini. Nell'agosto 1797 la inviò a Friedrich Schiller, affidandogliene la pubblicazione . Quest'ultimo, però, per non avere noie con la censura, non la diede mai alle stampe. L'ode di Hölderlin rimase, cos', tra le carte di Schiller, per poi confluire nel Goethe-Schiller-Archiv di Weimar, dove fu rinvenuta e pubblicata nel 1891, dopo quasi un secolo. Di seguito la traduzione italiana che ne ha fatto lo scrittore romano Giorgio Vigolo:

"Empio osarono dirti, con anatemi /

Oppressero il tuo cuore e ti legarono /

e ti dettero alle fiamme, /

O sacro uomo,oh,  

perché non riscendesti / In fiamme

dal cielo, il capo /  Dei blasfemi a colpire

e non chiamasti l'uragano, /

Che le ceneri dei barbari / Fuori della terra,

fuori della patria gittasse! / Eppure,

 quella che vivo amasti e ti accolse /

Morente, la sacra Natura si scorda /

L'agire degli uomini, e i tuoi nemici /

Tornarono come te nell'antica pace."


[F. Hölderlin, Poesie, trad.it. di G.Vigolo, Mondadori, Milano, 1982, p.35]

 



Quando Andrea Zanzotto, uno dei più grandi poeti italiani del secondo Novecento, vinse nel 2005 il prestigioso premio Friedrich Hölderlin, fece un riferimento a Vanini e all’ode dedicatagli da Hölderlin, a suo dire una delle più impressionanti: “Vanini è l’uomo che riesce a essere religioso secondo il suo stesso concetto, diventa un martire; la terra stessa, l’etere dovrebbe scendere per salvarlo, per annullare i suoi distruttori e invece la Natura tace: il senso dell’eterno tacere della Natura senza il quale non ci sarebbe la spinta all’eterno parlare della poesia.”, da L.Reitani, Intervista in occasione del conferimento del Premio Hölderlin, Pieve di Soligo, 11 ottobre 2005.

Mario Carparelli, op.cit., pp.38-39



- Mario Carparelli è ricercatore di Storia della filosofia moderna presso l’Università del Salento -



haeresis dicta philosophia - sez. canale video #SubalternStudiesItalia, servizio TG2 del 15.7.2021 con #MarioCarparelli



L’ode a Vanini di Hölderlin, 1798

Telegram vocale, l'ode letta da Ferdinando Dubla

 

In preparazione della giornata di studio con Mario Carparelli sul filosofo libertino erudito pugliese (nativo di Taurisano) Giulio Cesare Vanini della Scuola di Filosofia di Manduria a lui intitolata. #ScuolaFilosofiaGCVanini



Giulio Cesare Vanini (1585-1619) - filosofo

Friedrich Hölderlin (1770-1843) - poeta