da Angelo D'Orsi, Gramsci. Una nuova biografia,
Feltrinelli, 2017
[con
approfondimenti bibliografici]
1.Il folclore e i subalterni
2. Il quaderno dei margini della storia
3. Tradizione-modernità, subalternità-egemonia. Il lavoro di Chambers
Titoli rinominati redazionalmente per argomenti
1. Il folclore e i subalterni
- Nella stagione di Formia, l’elaborazione di Gramsci risulta decisamente
originale, secondo qualcuno, forse persino più originale che in passato, e
difficile tuttora da classificare, comunque impossibile da canonizzare.
Rimaneva certamente predominante l’impulso a occuparsi di aspetti culturali,
quelli con i quali si poteva costruire l’egemonia degli oppressi, sgominando
quella degli oppressori, per riprendere la coppia che il giovane Gramsci aveva
reso protagonista di un lontano componimento scolastico, ai tempi del liceo
cagliaritano (1.). Ma ora un’altra categoria aveva aggiunto al suo paniere
teorico, quella dei “gruppi subalterni”, destinata a enorme fortuna, oggi forse
la prima molla del “successo” gramsciano nel mondo. Aveva già introdotto, in
precedenza, il concetto di “senso comune”, come s’è detto, che con il contiguo
“buon senso” ha contaminazioni e connessioni con folclore, cultura popolare,
religione, intellettuali, e così via. Tematiche “sovrastrutturali” come si
vede, ciascuna delle quali meriterebbe un approfondimento. Un cenno merita
almeno il folclore, una questione decisamente innovativa nell’ambito del
marxismo, e che è sicuramente “elemento costituente del sistema teorico
gramsciano”, che attraversa tutta l’esistenza e la ricerca dalla prima
giovinezza in avanti. Quella di Gramsci è “un’attenzione non limitata alla pura
registrazione del fatto folclorico, ma si configura anche come indagine critica
e abbozzo di riflessione teorica”, già negli scritti giornalistici (2.). Negli
anni del carcere, l’indagine si fa più accurata e meno episodica: il folclore
viene da lui analizzato come concezione del mondo delle classi subalterne, in
contrapposizione a quella delle classi dominanti; ma si tratta di un insieme
disorganico e disgregato, che ha bisogno di organizzarsi, strutturarsi, per
giungere a rovesciare il rapporto di dominio subìto. Come è stato scritto
Gramsci è il solo della sua epoca a connettere intellettuali e popolo, a dare
ai primi il ruolo di lievito del secondo, e nel contempo a riconoscere
l’importanza del folclore, storicizzandolo, avvertendo la “necessità di
spogliare l’uomo dai suoi abiti pittoreschi e bizzarri”, trasformando “l’uomo
folclorico”, come lo chiama, in “uomo storico” (3.). Egli si distingue dagli
studiosi coevi, che non colgono il complesso dei fatti folclorici “nel contesto
del legame quotidiano con la fatica e il lavoro”: secondo Gramsci si guarda al
folclore solo in termini di curiosità da appagare, per forme “folcloristiche”, più
che “folcloriche”, le quali vengono quindi accettate soltanto come tali. Dunque
il folclore come manifestazione di arretratezza sociale e indigenza culturale,
ma anche un possibile punto di partenza per quelli che a un certo punto
cominciò a chiamare “subalterni”, sostituendoli al proletariato e alla classe
operaia. Anche il folclore è una concezione del mondo e come tale va studiato
(4.). E questi strati “marginali”, privi di coscienza di sé, possono, nella sua
visione, raggiungere livelli superiori di cultura, diventare protagonisti,
acquistando consapevolezza politica e, attraverso di essa, contribuire a
cambiare lo stato delle cose.
note
1. Gramsci Antonio.Cfr. Oppressi ed oppressori: SP, vol. I, pp. 3-5; SL, pp. 115-118; MP, pp. 35-38. SP = Scritti politici, a
cura di Paolo Spriano, 2 voll., l’Unità, Editori Riuniti, Roma 1967. SL =
Scritti dalla libertà (1910-1926), a cura di Angelo d’Orsi e Francesca
Chiarotto, Editori Riuniti, Roma 2012. MP = Masse e partito. Antologia.
1910-1926, a cura di Guido Liguori, Editori Riuniti, Roma 2016.
2. BONINELLI 2007, p. 177. BONINELLI, GIOVANNI MIMMO 2007, Frammenti
indigesti. Temi folclorici negli scritti di Antonio Gramsci, Carocci, Roma.
3. Ivi, p. 178.
4. G.M. Boninelli, “Folclore/folklore”, in Dizionario, pp. 319-322 (321).
Dizionario = Dizionario Gramsciano. 1926-1937, a cura di Guido Liguori e
Pasquale Voza, Carocci, Roma 2009.
da Angelo D’Orsi, Gramsci. Una nuova biografia, Feltrinelli, 2017,
[pag.347/348] [note da 19 a 22]
2. Il quaderno dei margini della storia
(..) alla ricerca di sentieri nuovi. In prossimità di questa tematica si situa quella relativa alla subalternità e ai subalterni, parole che si rintracciano già negli scritti giovanili. Tra il 1930 e il 1932, Gramsci cominciò, però, a “riconoscere l’importanza dello studio della subalternità nell’ordine sociale e politico”, arrivando poi, nel 1934, a una formulazione più compiuta in un quaderno speciale (il n. 25), a cui diede il titolo Ai margini della storia (Storia dei gruppi sociali subalterni) (1.). I subalterni non sono una categoria omogenea, sempre plurale, ed è persino vano cercare di fissare la parola a un’entità definita. E, un po’ come si è visto discorrendo dei marginali e del folclore, anche i subalterni sono caratterizzati da disgregazione, concetto che negli anni giovanili Gramsci aveva più volte usato per definire la società meridionale. Ci si è interrogati sul contenuto inserito nel contenitore: si può escludere l’ipotesi di un escamotage per eludere la censura che avrebbe potuto intervenire su espressioni ideologicamente connotate come “classe operaia” o “proletariato”, i quali, comunque, sono da considerare ricompresi tra i subalterni. Come si è visto più volte, per altri passaggi cruciali, Gramsci rompe le categorie usuali della letteratura marxista, e dilata il campo d’indagine. Subalterni dunque, invece di proletari, gruppi sociali piuttosto che classi, disomogeneità invece che coesione, dispersione piuttosto che organizzazione: tali caratteri li rendono impotenti; essi “subiscono sempre l’iniziativa dei gruppi dominanti, anche quando si ribellano e insorgono”. La loro stessa storia è “disgregata ed episodica”, giacché sono i vincitori a scriverla (2.). Quindi come per i marginali, il problema è, per i subalterni, arrivare all’organizzazione, alla presa di coscienza, al superamento della condizione di debolezza oggettiva, anche perché nella storia troviamo innumerevoli esempi di rivolta dei subalterni, che si associa, o suscita direttamente o meno, una reazione dei gruppi dominanti sotto forma di complotto, movimento antagonista o colpo di Stato: quasi una ricostruzione allegorica della vicenda del dopoguerra italiano, dove la disgregazione e la disorganizzazione dei subalterni ha favorito il nascere e la vittoria del fascismo. Soltanto un lungo tragitto politico, un lento lavorio culturale può ovviare a questo stato di fatto di minorità anche quando maggioranza in termini numerici. Gli intellettuali e il partito, che altro non è se non un intellettuale collettivo, sono gli strumenti per favorire e condurre in porto quel processo.
1. J. Buttigieg, “Subalterno/subalterni”, in Dizionario, pp. 826-830. Dello stesso autore, Sulla categoria gramsciana di “subalterno”, in BARATTA-LIGUORI 1999, pp. 27-38. Cfr. anche M.E. Green, Subalternità, questione meridionale e intellettuali, in SCHIRRU 2009, pp. 53-70.
2. QdC, p. 2283 (Q25, 2).
Dizionario = Dizionario Gramsciano. 1926-1937, a cura di Guido Liguori e Pasquale Voza, Carocci, Roma 2009.
BARATTA, GIORGIO – LIGUORI, GUIDO 1999 (a cura di), Gramsci da un secolo all’altro, Editori Riuniti, Roma.
SCHIRRU, GIANCARLO 2009 (a cura di), Gramsci, le culture e il mondo, Viella, Roma.
QdC = Quaderni del carcere, edizione critica dell’Istituto Gramsci, a cura di Valentino Gerratana, Einaudi, Torino 1975.
da
Angelo D’Orsi,
Gramsci. Una nuova biografia, Feltrinelli, 2017, pp.348/349 - note 23 e 24
3. Tradizione-modernità,
subalternità-egemonia. Il lavoro di Chambers
3. L’avviata e purtroppo interrotta riflessione sui subalterni appare
coerentemente con la visione più ampia del capitalismo, inteso non come
semplice elemento identificante di un modo di produzione, ma piuttosto come una
vera e propria civiltà, che Gramsci studia, da osservatore esterno e lontano,
con tutta la difficoltà del caso, nell’esempio americano. D’altronde la
società-mondo alla luce delle ultime riflessioni gramsciane sui subalterni
appare divisa in due campi che sono non tanto tradizione e modernità, quanto,
piuttosto, parte subalterna e parte egemonica.
Angelo D’Orsi, Gramsci. Una nuova biografia, Feltrinelli, 2017, pag. 349
[nota]
Cfr. I. Chambers, Il Sud, il subalterno e la sfida critica, sta in
I.Chambers, Esercizi di potere, Gramsci, Said e il postcoloniale, Meltemi,
2006, pp. 7-15.
/scheda/
Nato da un incontro di voci diverse, letterarie, storiche, politiche, interdisciplinari, il libro intende rielaborare e rilanciare l'eredità critica di Antonio Gramsci e Edward Said: il primo relegato nell'ombra dall'inerzia della cultura istituzionale, il secondo uno straniero che ha inciso solo in maniera obliqua su tale formazione. Il grande salto effettuato nel pensiero critico occidentale da Gramsci e poi rielaborato da Said è stato quello di capire che la lotta politica, culturale e storica non consiste nel rapporto tra la tradizione e la modernità, ma tra la parte subalterna e la parte egemonica del mondo.
· - - dalla recensione di Sandro Mezzadra su Il Manifesto del 4 giugno 2006
· “ Lo stesso dibattito latino-americano, d'altro canto, si è proficuamente intrecciato, in anni più recenti, con la rilettura di Gramsci avviata nel mondo anglosassone dai saggi di Stuart Hall, che hanno fatto dell'autore dei Quaderni del carcere un riferimento imprescindibile per gli studi culturali e postcoloniali. Basti ricordare, a questo proposito, i lavori dello storico indiano Ranajit Guha, fondatore dei «Subaltern Studies», e quelli di Edward Said, che proprio dalla ripresa di concetti (subalternità, egemonia) e di testi (Alcuni temi della quistione meridionale) gramsciani hanno preso l'avvio per muovere verso esiti che hanno profondamente segnato i dibattiti culturali «globali» degli ultimi anni.
Proprio Said ci ha ricordato del resto che non solo le persone, ma anche le teorie viaggiano (Traveling Theory si intitola appunto uno dei saggi più noti del grande critico palestinese, scritto nel 1982 e poi «rivisitato» nel 1994). E viaggiando possono certo «addomesticarsi», perdere la propria originaria carica di provocazione, ma possono anche «ibridarsi» in altre costellazioni storiche, geografiche e culturali, dando luogo a concatenazioni e a esiti tanto imprevisti quanto interessanti.
Varrebbe davvero la pena di saggiare in riferimento al pensiero di Gramsci l'intuizione di Said, di ricostruire in questa chiave la storia globale della sua ricezione e reinterpretazione: quel che ne deriverebbe non sarebbe soltanto la stesura di un capitolo particolarmente affascinante di storia intellettuale del Novecento, ma anche l'allestimento di un grande archivio di testi, temi e concetti a disposizione del pensiero critico contemporaneo. Un primo contributo in questo senso è offerto dal volume curato da Iain Chambers per la casa editrice Meltemi, Esercizi di potere. Gramsci, Said e il postcoloniale (pp. 140, euro 14).
Non si tratta, come scrive lo stesso curatore, di un lavoro di approfondimento accademico: piuttosto, di una raccolta di brevi interventi di diversa provenienza disciplinare (letteraria, storica, filosofica) che si propongono di indicare in modo stenografico «delle strade non ancora imboccate, degli orizzonti ancora da attraversare, nella convinzione che il senso del mondo esiste nell'atto di riconfigurarlo e, dunque, trasformarlo». Questa necessità, sottolineata da Gayatri Spivak (su cui si soffermano in particolare Lidia Curtis e Marina De Chiara), di «re-immaginare il pianeta» fa da sfondo all'intero volume, la cui trama viene dipanandosi tra l'imperativo gramsciano di «pensare "mondialmente"» e le riflessioni di Said sul cosmopolitismo e sul concetto di worldliness (al centro degli interventi di Lea Durante e Serena Guarracino). (..) il libro curato da Chambers ben si presta a essere letto come contributo a una cartografia del mondo globale contemporaneo, nel tentativo di rendere conto di quel processo di continuo rimescolamento dei confini che ne costituisce uno dei tratti salienti.”
Iain Michael Chambers (1949) è un antropologo, sociologo ed esperto di studi culturali britannico.
Membro del gruppo diretto da Stuart Hall all'Università di Birmingham, Chambers è stato uno dei principali esponenti del celebre Centro per gli Studi della Cultura Contemporanea ivi fondato, che ha dato vita a una fiorente branca della sociologia anglosassone contemporanea. Successivamente si è trasferito in Italia dove insegna Studi culturali e postcoloniali all'Università degli Studi di Napoli "L'Orientale" ed ha fondato il Centro per gli Studi Postcoloniali. È autore di numerosi volumi di successo scritti in inglese e in italiano e tradotti in diverse lingue. I suoi campi di studio spaziano dall'urbanizzazione alla cultura popolare, la musica, la memoria, la modernità.
a cura di Subaltern studies Italia