Subaltern studies Italia

L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

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lunedì 30 maggio 2022

STORIA, STORIE E CONTROSTORIA: la premessa di Domenico Losurdo

 

Il concetto di CONTROSTORIA: un’importante pagina del filosofo Domenico Losurdo (1941/2018) e della sua opera ”Controstoria del liberalismo” - la premessa metodologica

Sulla CONTROSTORIA ovvero sulla condizione e i sentimenti di quelle classi che non riescono a farsi nè sentire nè vedere.- Domenico Losurdo e la breve premessa metodologica alla “Controstoria del liberalismo” -

 

In che cosa questo libro si differenzia dalle storie del liberalismo già pubblicate e che in numero crescente continuano a vedere la luce? Riesce a produrre realmente la novità che promette nel titolo? Alla fine del percorso da lui compiuto, il lettore darà la sua risposta; l’autore può per ora limitarsi a una dichiarazione d’intenti. A formularla gli può essere d’aiuto un grande esempio. Accingendosi a scrivere la storia del crollo dell’Antico Regime in Francia, Tocqueville osserva a proposito degli studi sul Settecento: Crediamo di conoscere molto bene la società francese di quel tempo perché vediamo chiaramente quanto brillava alla sua superficie, perché possediamo fin nei particolari la storia dei suoi più celebri personaggi e perché critici geniali ed eloquenti ci hanno reso completamente familiari le opere dei grandi scrittori che la illustrarono. Ma su come venivano condotti gli affari, sulla vera pratica delle istituzioni, sulla posizione esatta delle varie classi l’una di fronte all’altra, sulla condizione e i sentimenti di quelle che ancora non riuscivano a farsi né sentire né vedere, sul fondo stesso delle opinioni e dei costumi, abbiamo soltanto idee confuse e spesso piene di errori (1). Non c’è motivo per non applicare la metodologia così brillantemente chiarita da Tocqueville al movimento e alla società di cui egli è parte integrante e autorevole. Solo perché intende richiamare l’attenzione su aspetti che ritiene sinora largamente e ingiustamente trascurati, l’autore parla nel titolo del suo libro di «controstoria». Per il resto, si tratta di una storia, di cui occorre solo precisare l’oggetto: non il pensiero liberale nella sua astratta purezza, ma il liberalismo e cioè il movimento e le società liberali nella loro concretezza. Come per ogni altro grande movimento storico, si tratta di indagare sì le elaborazioni concettuali ma anche e in primo luogo i rapporti politici e sociali in cui esso si esprime, nonché il legame più o meno contraddittorio che s’instaura fra queste due dimensioni della realtà sociale. E, dunque, nel dare avvio alla ricerca, siamo costretti a porci una domanda preliminare sull’oggetto di cui intendiamo ricostruire la storia: che cos’è il liberalismo?

D.L.

Note

1 Tocqueville (1951-), vol. II, t. 1, pp. 69-70 (L’Antico regime e la rivoluzione, d’ora in avanti AR, Prefazione).

da Domenico Losurdo, Controstoria del liberalismo (Laterza,2005) cit. da ed.digitale 2015, referre pos. 216-233

 

LA ‘FALSA COSCIENZA’ DEL LIBERALISMO


è la sua anima ’nera’: costituita da razzismo, dal colonialismo, dall’imperialismo militare del dominio senza egemonia, dai diritti umani come truffa ideologica, perorati formalisticamente e calpestati quando contrastano con i privilegi e gli interessi economici delle classi dominanti capitalistiche. La smaschera Domenico Losurdo, nella sua mirabile ’Controstoria del liberalismo’, Laterza, 2005, in cui sottolinea il metodo utilizzato per occultare la ‘falsa coscienza’: il sofisma di Talmon.


IL SOFISMA DI TALMON È UN SOFISMA


L’aura ideologica demoliberale è ricca di assiomi e sofismi, come dimostrò Domenico Losurdo e anche gonfia di retorica.

- Uno dei sofismi ancora oggi più utilizzati dalla vulgata liberal/atlantista è quello di Jacob Talmon, professore di storia moderna all’Università di Gerusalemme scomparso nel 1980, che nel 1952 diede alle stampe un testo destinato a scatenare non poche polemiche nel dibattito politico dell’epoca: ‘The Origins of Totalitarian Democracy’, in cui coniava anche i termini, riecheggiando non poco le tesi di Hannah Arendt (la prima edizione del suo ‘The Origins of Totalitarianism’ è dell’anno precedente) di ‘democrazia messianica’ e ‘messianismo politico’. L’asimmetria comparativa dei ragionamenti di Talmon è questa: da una parte i sacri princìpi del liberalismo, come se fossero veri perchè realizzati, dall’altra fatti storici interpretati in contrapposizione ai sacri princìpi; da una parte il bene della libertà, dall’altra il male del totalitarismo, dell’autoritarismo, della tirannide. Come dire: il bene è di chi lo pensa anche se non lo fa, il male è di chi lo fa, dunque lo pensa. Dalla banalità del male alla banalità del bene. Un sofisma, appunto.

Tra gli studiosi che hanno smascherato il gioco fraudolento dei tetragoni autoaffermatisi ‘liberal-democratici’ c’è stato Domenico Losurdo, secondo cui “i fatti e i misfatti del comunismo vengono messi a confronto non con i comportamenti reali del mondo che esso vuole mettere in discussione, ma con le dichiarazioni di principio del liberalismo”, [D. Losurdo, Il peccato originale del Novecento, Laterza, Bari, 1998, pag. 55]. Losurdo è stato anche autore di una mirabile ‘Controstoria del liberalismo’ (Laterza, 2005, giunta a ben otto ristampe nel 2022).

 

- L’asimmetria comparativa dei ragionamenti di Talmon è questa: da una parte i sacri principi del liberalismo, come se fossero veri perchè realizzati, dall’altra fatti storici interpretati in contrapposizione ai sacri principi; da una parte il bene della libertà, dall’altra il male del totalitarismo, dell’autoritarismo, della tirannide.

La democrazia come retorica, dunque.

 

Ferdinando Dubla, per Subaltern studies Italia





giovedì 26 maggio 2022

LES ANNALES E IL DECENTRAMENTO DEL SOGGETTO

 

UN SAGGIO SULLE ANNALES sul sito Treccani (autore non reperito) può essere spunto di comparazione con contenuti e metodologie dei Subaltern studies.

 

Il decentramento del soggetto 4.

La storiografia delle Annales e l’opera di Fernand Braudel

L’histoire-bataille, il bersaglio delle Annales

 

- I fondatori delle Annales, sia quelli della prima generazione, come Lucien Febvre e Marc Bloch, sia soprattutto quelli della seconda generazione, come Fernand Braudel, hanno costantemente individuato come proprio bersaglio un tipo di storiografia che in lingua francese assume diverse definizioni: histoire-bataille, histoire historisante, histoire événementielle. Si tratta, in sintesi, della storia politica modellata sui grandi individui (sovrani, principi, pontefici), sulle azioni che li contraddistinguono (battaglie, regni, trattati, conquiste), sulla dimensione temporale che vi corrisponde (avvenimenti, periodi brevi, vittorie e sconfitte) e sulla forma espositiva che inevitabilmente ne discende (il racconto, inteso come biografia o intreccio di biografie).

Questo modello storiografico – e qui è soprattutto Braudel a far sentire la propria voce – implica una definizione dell’“oggetto storico” che conduce a fondare la storia sull’antropologismo. Per l’histoire-bataille è, infatti, storico solo ciò che può essere ricondotto a un’origine umana. La storicità deriva quindi dalla possibilità di attribuire eventi, reperti o documenti a un soggetto umano agente. Il documento storico, in questa prospettiva, va essenzialmente interpretato, cioè pazientemente decifrato alla ricerca della intenzionalità umana che contiene o dovrebbe contenere e che gli conferisce senso.


La posizione di Marc Bloch


Le Annales hanno inizialmente opposto all’histoire événementielle la posizione di Marc Bloch, secondo cui lo storico deve compiere, nel suo lavoro, una specie di oscillazione continua in grado di ricongiungere le coscienze umane e una storia intesa come “scienza del diverso” (Apologia della storia, Torino, Einaudi, 1969, p. 41). Bloch pensa, quindi, a un oggetto storico fondamentalmente costituito dall’uomo (“Il buono storico somiglia all’orco della fiaba: là dove fiuta carne umana, là sa che è la sua preda” – Apologia della storia, p. 41), ma ritiene che la dimensione umana non consista nella psicologia o nelle gesta dei grandi individui.

La storia va invece costruita connettendo il piano individuale ai contesti che lo circondano: l’economia, la società, la religione.


La posizione di Fernand Braudel


Laddove Bloch individuava unità, rimandi e legami, Braudel non vede più possibilità di conciliazione e mostra una serie di rotture. La prima, la più celebre, riguarda la differenziazione degli strati temporali. Non vi è un’unica temporalità, ricalcata spesso sulla scala del racconto di vite individuali, ma la compresenza di tre ritmi o durate.

In primo luogo: “una storia quasi immobile, quella dell’uomo nei suoi rapporti con l’ambiente: una storia di lento svolgimento e di lente trasformazioni, fatta spesso di ritorni insistenti e di lente trasformazioni, di cicli incessantemente ricominciati [...]

storia, quasi fuori del tempo, a contatto con le cose inanimate [...] Al disopra di questa storia immobile, una storia lentamente ritmata [...] una storia sociale, quella dei gruppi e degli aggruppamenti [...] le economie e gli stati, le società, le civiltà [...] La terza parte, infine, è quella della storia tradizionale, se si vuole della storia secondo la dimensione non dell’uomo, ma dell’individuo, la storia ‘événementielle’ [...] un’agitazione di superficie, le onde che le maree sollevano sul loro potente movimento. Una storia dalle oscillazioni brevi, rapide, nervose” (Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II, Torino, Einaudi, 1986, vol. I, p. XXVII).

 

- Dimensione temporale e oggetto storico


La presenza di dimensioni temporali di lunga durata fa sorgere oggetti storici di natura differente. La serie di temperature che costituisce un clima, le linee e la conformazione degli spazi, le oscillazioni demografiche o dei valori economici sono oggetti storici che non ricevono senso da azioni o intenzioni umane, ma dalla serie che li collega. Disponendo alcuni dati in una serie di lunga durata, appaiono eventi che i contemporanei non hanno percepito come tali: si vedono apparire tendenze, curve, andamenti, che costituiscono condizioni di possibilità o di impossibilità storica. Il principio fondamentale della tripartizione proposta da Braudel consiste nell’affermare che ogni durata genera un proprio tipo di eventi. Evento, di conseguenza, non è tanto tutto ciò che conserva tracce umane e tende ad apparire mobile e mutevole, ma il prodotto della serie di elementi che appartengono a uno stesso tipo di durata. Il tempo storico, se ancora si vuole usare una definizione unitaria, è quindi costituito dal rapporto fra gli strati temporali; rapporto stridente e discorde, dato che essi non scorrono armonicamente, ma si trovano quasi sempre in disequilibrio reciproco.


- Il posto dell’uomo


L’uomo come agente storico perde ogni privilegio, perché il suo posto è di volta in volta definito dal rapporto tra la temporalità dell’esistenza umana e altre forme di durata anonime e impersonali. Se l’uomo non è più l’origine e il fulcro della storia, riportare ogni dato storico a un’esistenza umana può costruire un racconto letterariamente vivido ed emozionante, ma epistemologicamente pericoloso.

La storia dell’individuo “è la più appassionante, la più ricca di umanità, anche la più pericolosa. Diffidiamo di questa storia ancora rovente, come l’hanno sentita, descritta, vista i contemporanei, al ritmo della loro vita, breve come la nostra. Essa ha la dimensione delle loro collere, dei loro sogni e delle loro illusioni” (Civiltà e imperi del Mediterraneo, p. XXVIII). Braudel associa ripetutamente, nella Prefazione a Civiltà e imperi del Mediterraneo, la nozione di pericolo, o di sortilegio, o di maleficio, alla visione antropologizzata dei processi storici. Come nei sortilegi, appare qualcosa che, occupando tutto il campo visivo, in realtà impedisce di vedere.

“Gli avvenimenti risonanti spesso sono soltanto degli istanti, delle manifestazioni di ampi destini, e si spiegano soltanto per mezzo di questi”. (ibidem, p. XXVIII).

- Tempo: durate, movimenti, velocità


Decomporre il tempo in durate multiple, in movimenti a velocità diverse implica, e di questo Braudel è ben cosciente, frantumare il posto centrale riservato all’uomo: “siamo giunti a decomporre la storia in piani sovrapposti [...] O, se si preferisce ancora, a decomporre l’uomo” (ibidem, p. XXVIII). La storia, dice alla fine Braudel, non è sviluppo armonioso dell’umano, ma limite, condizione, differenza: “Davanti a un uomo sono sempre tentato di vederlo chiuso in un destino ch’egli fabbrica a stento, in un paesaggio che disegna dietro e davanti a lui la prospettiva infinita della ‘lunga durata’” (ibidem, vol. II, p. 1337). / fine


Fernand Braudel, Marc Bloch

Lucien Febvre, Fernand Braudel 



martedì 24 maggio 2022

Filosofia della prassi e comunismo 'etico': 100 anni Berlinguer

 

Il legame tra la filosofia della prassi di Gramsci e il comunismo ‘etico’ di Berlinguer è una ricerca critica di straordinaria attualità per il lavoro politico-culturale necessario per la trasformazione strutturale delle società capitaliste dell’occidente. - fe.d.

LA FILOSOFIA DELLA PRASSI di BERLINGUER

Enrico Berlinguer compie 100 anni. Suo punto di riferimento politico-culturale fu sempre il marxismo di Gramsci, definito creativo in quanto gli strumenti teorici, filosofici, dovevano utilizzarsi nell’esame critico della prassi e modularsi con l’obiettivo di operare concretamente nella società, da trasformare strutturalmente, incidendo nelle contraddizioni del sistema capitalistico, ponendo solide fondamenta per la transizione al socialismo in un paese dell’occidente, nelle forme e nei modi della “guerra di posizione”. La riforma intellettuale e morale, così, si coniugava con un processo rivoluzionario. L’incidenza etica di massa di questa sua caratterizzazione politica fu alla base del vero e proprio “amor di popolo” che, a cento anni, ne fa una figura cruciale del comunismo del XX secolo.

Sul canale di Subaltern studies Italia un’intervista per la RAI recuperata dalle Teche da AccasFilm, durata 3’52” https://youtu.be/7JGxRQYeSgE

 

 

#100anniberlinguer, #filosofiadellaprassi #subalternstudiesitalia





martedì 17 maggio 2022

APPADURAI: dai Subaltern ai Cultural e Postcolonial studies

 

- Tra i fondatori insieme a Guha dei Subaltern studies, l’antropologo e sociologo Arjun Appadurai (Bombay, 1949) è un analista dei processi definiti di ‘globalizzazione’, delle forme della modernità nell’epoca migrante delle de-territorializzazioni: se per Bauman la modernità è “liquida”, per Appadurai è “in polvere”. Il livello di antagonismo di questo tipo di critica postcoloniale è da ricercare nelle pieghe dell’indagine.

“Diversi studi hanno posto in evidenza come l’idea di un ethos nazionale specifico, lungi dall’essere espressione naturale di questo o quel luogo, venga invece generata e naturalizzata con grande sforzo, grazie alla retorica della guerra e del sacrificio, attraverso discipline vessatorie di uniformazione educativa e linguistica, e attraverso la soppressione di una miriade di tradizioni locali e regionali,(..)

La globalizzazione, intesa come la forma specifica in cui sono venuti a organizzarsi gli Stati, i mercati e le idee di commercio e governo, acuisce le condizioni in cui si manifesta la violenza su larga scala perché apre una potenziale rotta di collisione tra la logica dell’incertezza e quella dell’incompletezza, ognuna delle quali ha la sua forma e la sua forza. In quanto contesto generale del quadro mondiale durante gli anni Novanta, le forze della globalizzazione producono le condizioni per una diffusione praticamente planetaria dell’incertezza sociale (..). L’ansia da incompletezza (entro il progetto della totale purezza nazionale) e il senso di incertezza sociale sulla disponibilità di categorie etnorazziali sufficientemente ampie possono produrre una forma inconsulta di rinforzo reciproco, che apre la strada al genocidio.”

da Arjun Appadurai, Sicuri da morire - La violenza nell’epoca della globalizzazione, a cura di Piero Vereni, introduzione ed. digitale, Meltemi, 2017, [gli scritti raccolti nel testo sono del 2001 e 2002].

Le altre opere tradotte in italiano di Appadurai sono:

- Modernità in polvere, Raffaello Cortina Editore, 2012; prima ed. italiana fuori commercio, Meltemi Editore, 2001.

- Il Futuro come fatto culturale (ed. italiana a cura di Ugo Fabietti), Raffaello Cortina Editore, 2014.

+ // Sullo sfondo delle categorie socio-antropologiche coniate o utilizzate per interpretare la contraddizione stato-nazione e sovranità vs. nazionalismo-sovranismo su base etnica, rimane il convitato di pietra dell’imperialismo occidentale, politico-militare, a guida ‘atlantica’, che viene sempre più accompagnato dalla tendenza all’omogeneizzazione culturale delle popolazioni, per cui la risposta su base etnica diventa risposta reazionaria allo sradicamento identitario su base culturale. E’ questo, crediamo, il quadro di un’ermeneutica postcoloniale che manda ‘in frantumi’ le forme della modernità per ricollocarle nell’azione sociale politica della trasformazione contemporanea.

 

/Subaltern studies Italia/

 

Arjun Appadurai - Dal 2004 è professore presso l'univ. New York school di New York. Fondatore e presidente dell'organizzazione Partners for urban knowledge action and research, è stato inoltre tra i fondatori della rivista Public culture e del Chicago humanities institute presso l'univ. di Chicago. Nei suoi primi studi si è occupato di religione, agricoltura e cultura di massa in India. Le sue ricerche si sono in seguito focalizzate sulle dinamiche postcoloniali e sui processi di mutamento culturale tipici della modernità e della globalizzazione, sull'impatto dei mezzi di comunicazione di massa nei paesi in via di sviluppo e su tutti quei fattori che concorrono a definire il concetto di "modernità diffusa" quale condizione permanente percepita dall'individuo moderno in perenne migrazione. Si è occupato negli ultimi tempi anche dell’impatto sociale della finanziarizzazione dell’economia capitalista:

Banking on words. The failure of language in the age of derivative finance (2015; trad. it. 2016); Failure (con N. Alexander, 2019; trad. it. 2020).


Arjun Appadurai (Bombay, 1949)




martedì 10 maggio 2022

CONTRATTO SOCIALE DEL ROJAVA - Prefazione e Artt.30-34

 






Il Contratto Sociale del Rojava è stato promulgato il 20 gennaio del 2014. Il Rojava è una federazione cantonalistica di regioni autonome all'interno della porzione settentrionale della Siria, descritta come una repubblica parlamentare fondata sul pluralismo etno-culturale e il decentramento politico-economico. La forma di governo è basata sul confederalismo democratico formulato da Abdullah Öcalan, ispiratosi ai principi del municipalismo libertario e dell'ecologia sociale teorizzati dal pensatore socialista libertario statunitense Murray Bookchin.



Carta del contratto sociale del Rojava

Prefazione

Noi popoli che viviamo nelle Regioni autonome democratiche di Afrin, Cizre e Kobane, una confederazione di curdi, arabi, assiri, caldei, turcomanni, armeni e ceceni, liberamente e solennemente proclamiamo e adottiamo questa Carta. Con l’intento di perseguire libertà, giustizia, dignità e democrazia, nel rispetto del principio di uguaglianza e nella ricerca di un equilibrio ecologico, la Carta proclama un nuovo contratto sociale, basato sulla reciproca comprensione e la pacifica convivenza fra tutti gli strati della società, nel rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, riaffermando il principio di autodeterminazione dei popoli. Noi, popoli delle Regioni autonome, ci uniamo attraverso la Carta in uno spirito di riconciliazione, pluralismo e partecipazione democratica, per garantire a tutti di esercitare la propria libertà di espressione. Costruendo una società libera dall’autoritarismo, dal militarismo, dal centralismo e dall’intervento delle autorità religiose nella vita pubblica, la Carta riconosce l’integrità territoriale della Siria con l’auspicio di mantenere la pace al suo interno e a livello internazionale. Con questa Carta, si proclama un sistema politico e un’amministrazione civile fondata su un contratto sociale che possa riconciliare il ricco mosaico di popoli della Siria attraverso una fase di transizione che consenta di uscire da dittatura, guerra civile e distruzione, verso una nuova società democratica in cui siano protette la convivenza e la giustizia sociale.

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Articolo 30: Ogni cittadino gode dei seguenti diritti: 1. Alla sicurezza personale in una società pacifica e stabile. 2. All’istruzione gratuita e obbligatoria primaria e secondaria. 3. Al lavoro, alla sicurezza sociale, alla salute e a un alloggio adeguato. 4. Alla tutela della maternità e dell’infanzia. 5. All’assistenza sanitaria e sociale per i disabili, gli anziani e le persone con bisogni speciali.

Articolo 31: Tutti i cittadini hanno la libertà di religione e di culto, a livello individuale e come collettivo. Sono proibite le persecuzioni per motivi religiosi.

Articolo 32: A. La Carta garantisce la libertà di associazione, incluso il diritto di formare e di iscriversi a partiti, associazioni, sindacati, e/o organizzazioni della società civile. B. Nel garantire la libertà di associazione, la Carta protegge l’espressione politica, economica e culturale delle comunità, a garanzia della diversità sociale e culturale della popolazione delle Regioni autonome. C. La religione yezida è una religione riconosciuta, e i diritti dei suoi fedeli alla libertà di associazione e espressione sono esplicitamente protetti. La religione e la vita culturale e sociale degli yezidi potranno essere regolamentati dalla legge.

Articolo 33: La Carta garantisce a ognuno la libertà di cercare, ricevere e diffondere informazioni e di comunicare idee, opinioni ed emozioni sia oralmente, sia per iscritto, sia per mezzo di rappresentazioni iconografiche.

Articolo 34: I cittadini hanno libertà di assemblea, di manifestazione pacifica e di sciopero.

ripreso da Ivan Grozny Compasso, Kobane dentro. Diario di guerra sulla difesa del Rojava, Agenzia X, 2015

Organizzare Comitati per la Confederazione democratica del Rojava ”Un altro Occidente”




UN ALTRO OCCIDENTE
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domenica 8 maggio 2022

LA PACE PERENNE - i pensieri di Mao Tse Tung

 

se si vuole la pace, bisogna sconfiggere l’imperialismo

La guerra, questa mostruosità del massacro reciproco tra gli uomini, alla fine sarà eliminata con lo sviluppo della società umana, e ciò potrà avvenire in un futuro non molto distante.(..) Quando il progresso dell’umanità sarà giunto all’eliminazione delle classi, all’eliminazione dello Stato, non ci saranno più guerre, non ci saranno più né guerre controrivoluzionarie né guerre rivoluzionarie, né guerre ingiuste né guerre giuste: quella sarà un’epoca di perenne pace per l’umanità. Il nostro studio delle leggi della guerra rivoluzionaria scaturisce dal nostro proponimento di eliminare tutte le guerre: questa è la linea che distingue noi comunisti da tutte le classi sfruttatrici.

· Il nostro paese e tutti i paesi socialisti vogliono la pace, i popoli di tutti i paesi del mondo vogliono la pace. Sono soltanto certi gruppi del capitale monopolistico di un piccolo numero di paesi imperialistici, che fanno assegnamento sulle aggressioni per i loro profitti, che sono assetati di guerra e non vogliono la pace.

· In tutti i paesi del mondo si discute oggi se scoppierà o non scoppierà la Terza guerra mondiale. Nei confronti di questo problema anche noi dobbiamo essere mentalmente preparati, dobbiamo fare un’analisi. Noi siamo fermamente per la pace e contro la guerra. Ma se l’imperialismo è deciso a scatenare una guerra, non dobbiamo avere paura. Il nostro atteggiamento nei confronti di questo problema è lo stesso che abbiamo nei confronti di ogni sconvolgimento: primo, ci opponiamo; secondo, non abbiamo paura.

da Mao Tse-Tung Il libretto rosso. Pensieri di Mao, e.book @2016 Fermento, a cura di Paolo Mallizi, §Guerra e Pace



martedì 3 maggio 2022

IL TEMPO e LA STORIA di Iain Chambers

 

Ernesto de Martino, riprendendo Gramsci, aveva collocato un nuovo tempo della storia, nel 1949, nell’”irrompere” del mondo popolare subalterno [http://ferdinandodubla.blogspot.com/2020/07/ernesto-de-martino-intorno-una-storia.html].

Iain Chambers lo pone nel varcare “la soglia del mondo” nella modernità, focus ermeneutico degli studi subalterni e della critica postcoloniale e con i volti e le culture della migrazione disperata che inserisce l’”altrove” nelle appartenenze identitarie. - fe.d.



Registrare la volubile contestualizzazione del tempo, apprezzare la costruzione culturale di come viene rappresentato il tempo: i linguaggi e i limiti di ciò che normalmente definiamo storia. Se tutto ciò che trapassa è destinato a far parte della storia, è ugualmente vero che la storia non registra tutto ciò che passa. La storia del “tempo” è anche la “storia” del tempo. Concezioni differenti della temporalità, nonchè contestualizzazioni differenti dell’organizzazione sociale e semantica, si sono ritrovate storicamente sottomesse alla modernità occidentale. (..) Noi non facciamo la storia secondo modalità che scegliamo liberamente, come giustamente ci ricorda Karl Marx. La storia stessa deriva dall’atto di incorporazione che forse è possibile comprendere meglio come atto di interpretazione. (..) La denuncia di Marx contiene un annuncio critico, filosofico. (..)

Questo tipo di conoscenza del passato, nonchè del presente, data l'egemonia di cui gode al momento, e malgrado i tentativi subalterni di contrastarla, non si può cancellare con un colpo di spugna. E' tuttavia possibile riconoscerne i limiti, ciò che la "storia" istituzionale stessa rappresenta e reprime, e inscriverli in ulteriori e contrastanti contestualizzazioni del tempo. Ciò vorrebbe dire sottrarre la modernità alla tirannia di una razionalità onnipotente e all'universalismo di un punto di vista unico e lineare, al fine di impostarne i termini, i linguaggi, le comprensioni e i desideri su un terreno più aperto, e quindi spostarsi in un mondo che non si può ricondurre alla sua identità (Wellmer, Endspiele Die Unversöhnliche Moderne: Essays Und Vorträge, Suhrkamp Verlag,1993). (..)

Si tratta invece, di ritoccare il senso della narrazione, la testimonianza del tempo, della vita, contro i poteri strutturali che ci incasellano in maniera diversa e diseguale.(..)




- L’edificio fondato dalla storiografia occidentale non viene spazzato via, persiste e sopravvive, ma ora viene assillato da una serie di interrogativi; la sua struttura viene frantumata da un movimento culturale imprevisto e scossa dalla presenza di nuovi abitanti storici cui precedentemente non si prestava attenzione. La storia che scaturisce da questo edificio non offre più la rivelazione di un destino astratto, né corrisponde perfettamente all’articolazione di strutture socioeconomiche verificabili: adesso ospita una temporalità più sregolata creata dalla produzione sociale di una posizione nel tempo. (..) il passato irrompe nel presente non soltanto per annunciare l’altro lato della modernità, quello represso, ma anche per piantare le radici di un turbamento più sregolato. La modernità non diviene semplicemente più complessa a causa dell’aggiunta di quanto non era stato riconosciuto, risulta irrimediabilmente disfatta da tematiche che non è più in grado di contenere. L’arcaico, dato come perso nella nebbia dei tempi, fa la sua comparsa nel bel mezzo della modernità, apportando un senso diverso, una diversa direzione. Sorprendentemente si ripropone l’assenza, “la perdita” del mondo del passato rispetto al quale il presente misura il proprio “progresso”, per tormentare la modernità”.

 

Ian Chambers, Sulla soglia del mondo. L'altrove dell'Occidente, Meltemi, 2003 (1.ed.or. 2001), pp.23-24, 28-29





Iain Michael Chambers (1949) è un antropologo, sociologo ed esperto di studi culturali britannico.
Membro del gruppo diretto da Stuart Hall all'Università di Birmingham, Chambers è stato uno dei principali esponenti del celebre Centro per gli Studi della Cultura Contemporanea ivi fondato, che ha dato vita a una fiorente branca della sociologia anglosassone contemporanea. Successivamente si è trasferito in Italia dove insegna Studi culturali e postcoloniali all'Università degli Studi di Napoli "L'Orientale" ed ha fondato il Centro per gli Studi Postcoloniali.


"Sin dai primi anni Ottanta, il postcolonialismo ha sviluppato un corpus di scritti il cui obiettivo principale è cambiare i modi dominanti di pensare i rapporti tra mondo occidentale e non occidentale. Ma che cosa significa questa affermazione? Prima di tutto rovesciare l’immagine del mondo così come ci appare oggi. Significa guardare dall’altra parte della fotografia, provare a capire come sia diversa la percezione del mondo."

ROBERT J. C. YOUNG , Introduzione al postcolonialismo, Meltemi, 2005 (ed.or.2003) pag. 8