Subaltern studies Italia

L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

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mercoledì 27 dicembre 2023

VEDI ALLA VOCE: ANTONIO SAVASTA

 




La biografia di Antonio Savasta, il pentito per eccellenza delle Brigate Rosse, attraversa il periodo 1973-1982, nove anni cruciali della storia del nostro paese, definiti “anni di piombo”. 

 

Ferdinando Dubla - VEDI ALLA VOCE ANTONIO SAVASTA, BRIGATE ROSSE - DAMNATIO MEMORIAE E NARRAZIONI

 

Bozza matrice originale della voce “Antonio Savasta” proposta a Wikipedia dallo storico dei Subaltern Studies Italia Ferdinando Dubla. Il pentito eccellente delle Brigate Rosse produsse, con le sue confessioni, una narrazione documentale diretta dell’organizzazione combattente in nome del comunismo negli anni 1973-1982, anno del suo arresto. La storia delle Brigate Rosse finisce il 28 gennaio 1982, ma politicamente Savasta ratifica una sconfitta già avvenuta nelle sue premesse teoriche, di cui prende coscienza ancor prima delle torture a cui fu sottoposto dalla squadra del “prof. De Tormentis”. La raccolta delle sue confessioni, volume Ottantacinquesimo doc.XXIII nr.5 1993, allegato alla relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla strage di via Fani del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati, è la più credibile e attendibile fonte diretta di una vicenda storica che va sottratta sia alla damnatio memoriae che ne oscura le ragioni sociali ed esistenziali (e che colpisce in particolare proprio Savasta, messo all’indice come delatore e collaborazionista da una parte e come terrorista spietato e irriducibile dall’altro, graziato dal potere dominante che egli combatteva solo per i suoi servigi); sia alla narrazione egemone dei presunti vincitori, mediata sempre da interpolazioni indirette che ne mascherano le ragioni politiche e le spiegazioni storiche.

link permanente: https://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Bozza:Antonio_Savasta_(terrorista)&oldid=137040177

 

‘ALI DI PIOMBO’ in Occidente: riappropriamoci della riflessione

- L’inchiesta sociale deve essere permanente, secondo la lezione di Panzieri e dei ‘Quaderni Rossi’, ma, per non cadere nell’empirismo, deve riguardare non solo la composizione di classe, dei gruppi subalterni, ma anche la ricerca storico-politica delle tracce in elenco per lo storico ‘integrale’ (Gramsci, Q.25). Abbiamo chiamato la nostra inchiesta sulla lotta armata in nome del comunismo del ventennio 1968/1988 in Italia, ‘ali di piombo’ in occidente: i cosiddetti ‘anni di piombo del terrorismo rosso’, denominati così dalla narrazione dominante. Perchè il sogno rivoluzionario si rivelò un incubo autodistruttivo? Forse perchè la sconfitta era inscritta in partenza, in un difetto di analisi, di inchiesta, appunto. Il principale dei quali, ci sembra, il credere possibile la transizione al socialismo nel cuore dell’Occidente imperialista attraverso una ’guerra di movimento’, e cioè non l’insorgenza insurrezionale spontanea ma la ‘guerra di lunga durata’ come sfida militare armata frontale con lo Stato della borghesia imperialista, sebbene con le tecniche della guerriglia e della compartimentazione metropolitana.

Una categoria politica contrapposta alla ‘guerra di posizione’ che Antonio Gramsci aveva consegnato alla riflessione dei Quaderni come motore rivoluzionario in occidente. Per centinaia di giovani del movimento della sinistra antagonista degli anni ‘70 significò un ‘salto esistenziale’. Compresi quelli che, irriducibili sempre nella loro militanza, hanno concluso la loro parabola con un pentimento. Perchè tutti in qualche forma si sono pentiti, dando ragione di quel peccato d’origine. La damnatio memoriae peggiore, però, è stata riservata proprio a loro, a cui il potere ha chiesto non la confessione dei reati, ma la resa politica tombale, il ripudio delle idee per cui avevano combattuto.

Una narrazione, dunque, che deve andare alle fonti: quelle dirette dei protagonisti, non degli esegeti, o, peggio, dei mediatori per conto delle classi dominanti. Riappropriamoci di questa riflessione.

COME FU POSSIBILE

“Come era possibile che noi ci definissimo rivoluzionari, dicessimo di combattere contro uno Stato repressivo e dittatoriale e di voler abolire le carceri, e poi uccidevamo e sequestravamo?” (Antonio Savasta)

Nel suo epilogo (..) il movimento delle BR, dissanguato dagli arresti che proseguivano più veloci dei suoi ritmi di ricambio al vertice, indebolito dalle scissioni, si ritrovò nell’esecutivo della sua maggiore componente (BR-PCC) una persona che, sottoposta a tortura dopo la cattura, mandò in carcere qualche centinaio di persone… Ma questa dialettica dell’azione reciproca nella violenza, se ci si pensa, agisce ben prima, e in modi tanto poco vistosi quanto sottili. Che peso può avere, in un’organizzazione che combatte, il dubbio, ovvero il pensiero problematico? Questa esigenza può solo autoreprimersi o essere emarginata. (..) vi sono anche dei limiti “esistenziali” della condizione umana.

da Vincenzo Guagliardo, Di sconfitta in sconfitta - Considerazioni sull'esperienza brigatista alla luce di una critica del rito del capro espiatorio, ed. Colibrì, 2012, pag. 26 e pag.32.

 

[dopo l’omicidio Taliercio, 6 luglio 1981] Emilio (Antonio Savasta, ndr) sapeva di aver toccato il fondo e che nulla sarebbe stato più come prima. (..) Quella notte Emilio vomitò e vomitò e vomitò.  Ma il mattino dopo disse a se stesso che doveva andare avanti. Che non poteva mollare i compagni. Anche se quello che aveva appena fatto lo aveva marchiato per sempre. (..) Soprattutto la notte, gli incubi cominciarono ad agitare i suoi sogni. Gli occhi impauriti, disperati ma dignitosi e spaventosamente vivi della sua vittima, se li sentiva addosso di continuo.

Cfr. Nicola Rao, Colpo al cuore - Dai pentiti ai “metodi speciali”: come lo Stato uccise le BR. La storia mai raccontata, Sperling & Kupfer, 2011, cit. da eBook, § corrispondenti

 

La sentenza della Corte di Appello di Perugia, Pres. Ricciarelli, viene emessa il 15 ottobre 2013, 

 

https://ilmanifesto.it/tortura-di-stato-il-modello-italiano

 

a proposito della condanna per calunnia ad Enrico Triaca, revocata: «Un funzionario all’epoca inquadrato nell’Ucigos e rispondente al nome di Nicola Ciocia, dopo aver sperimentato pratiche di waterboarding nei confronti di criminalità comune, le utilizzò all’epoca del terrorismo nei confronti di alcuni soggetti arrestati, al fine di sottoporre costoro ad una pressione psicologica che avrebbe dovuto indebolirne la resistenza e indurli a parlare. In più occasioni tali pratiche furono utilizzate nelle fasi del sequestro Dozier e…propiziarono la liberazione del generale…. Può dirsi acclarato che lo stesso funzionario, conosciuto con il nomignolo di professor De Tormentis (a quanto pare affibbiato dal Vice Questore Improta) fu chiamato a sottoporre alla pratica del waterboarding anche Enrico Triaca che, del resto, il 19 giugno aveva narrato di essere stato sottoposto a un trattamento esattamente corrispondente a quel tipo di pratica speciale, a base di acqua e sale con naso tappato».

 

 

 

ANTONIO LIBERA TUTTI : Savasta, l’irriducibile pentito di una storia finita, quella delle BR 

 

 

“Io in questo processo e in altri devo rispondere di singoli reati, omicidi. Ma io sono stato e sono l’espressione di contraddizioni politiche di questa città. Noi siamo il frutto di questa società. È stato durissimo portare avanti una linea politica che è costata morti, vite umane da una parte e dall’altra. Non è stata la determinazione di killer prezzolati, ma di uomini che pensavano di lottare per una società completamente libera dallo sfruttamento, dalla mercificazione dei rapporti umani, sociali, affettivi. (..) Le ragioni per le quali sono entrato nelle Br, sono le stesse, storiche, che hanno portato molti militanti dei movimenti extraparlamentari e dell’area dell’autonomia a fare una scelta analoga. Si trattava di vivere completamente all’interno del ghetto rappresentato dal quartiere, in cui l’unica prospettiva è la disoccupazione… Agli inizi del ‘77, io, Emilia Libéra e Renato Arreni ci offrimmo alle Br “. 

 

Antonio Savasta, testimonianza in Antonio M. Baggio, Cercando di capire (anche se non è facile), Messaggero di Sant’Antonio, nr.5, 3/02/1983. Qui tutto l’articolo 

 

https://www.antoniomariabaggio.it/wp-content/uploads/2017/11/1983-Cercando-di-capire-anche-se-non-è-facile-MESSAGGERO-DI-SANT_ANTONIO-5_1983.pdf

 

La nostra pagina con tutti i post sinora pubblicati:

http://www.lavoropolitico.it/inchiestasociale.htm

#LavoroPolitico Tag.:  #alidipiomboinoccidente 



giovedì 7 dicembre 2023

L’ESISTENZIALE È POLITICO: “Diego” - “Emilio” e Antonio Savasta

 




Non v’è delazione non v’è confessione non v’è una rivelazione che possa aver sconfitto i gruppi di lotta armata organizzata “per il comunismo” in Italia in una parabola di anni che va dalla fine degli anni ‘60 agli inizi degli anni ‘80. 

L’emblema di questo assunto è la figura di Antonio Savasta, nomi di battaglia "Diego" ed "Emilio" ( foto in alto, al processo Dozier, Corte d'Assise di Verona, 8-25 marzo 1982)

DISFATTA E LIBERAZIONE

da Nicola Rao, Colpo al cuore. Dai pentiti ai «metodi speciali»: come lo Stato uccise le BR. La storia mai raccontata., Sperling e Kupfer, 2011, cit. da formato e.book, §corrispondente

[Giorgio = Giovanni Ciucci - Emilio = Antonio Savasta]

La porta si staccò dagli infissi come un foglio di carta. Grosse figure nere e mascherate, con in testa caschi che sembravano scafandri, li travolsero come un uragano. Due di loro andarono direttamente nell’altra stanza, dove Giorgio teneva sotto tiro Dozier. Lo colpirono in testa con il calcio di una pistola. Giorgio stramazzò a terra. Avrebbe avuto il tempo di sparare all’ostaggio, come prevedeva il regolamento delle Br, ma non se l’era sentita. In quel momento, a uno degli agenti partì un colpo di pistola che, per fortuna, si conficcò nel muro. Emilio e gli altri erano a terra, legati e incappucciati. Li avevano portati fuori dalla casa e lasciati sul pianerottolo. Nel frattempo stavano arrivando Improta, De Francisci, Genova e tutti gli altri per il sopralluogo nel covo. Dozier era già in questura a Padova quando De Francisci telefonò  al ministro dell’Interno Rognoni. «Ministro, abbiamo liberato Dozier.» «Ma chi? Noi?» chiese Rognoni. «Sì, sì, noi, la polizia, da soli.» Il ministro tirò il più lungo sospiro della sua vita. Poi prese il telefono rosso, quello collegato solo con il Quirinale e palazzo Chigi, e avvertì Pertini e Spadolini. Era fatta. [..]

«Come cazzo ti chiami? Qual è il tuo nome di battaglia?» cominciarono a domandare altri agenti ai quattro terroristi catturati. Le richieste erano accompagnate da calci in tutte le parti del corpo. Dopo l’ennesimo calcio, quello che sembrava il capo del gruppo rispose: «Il mio nome di battaglia è Emilio e mi chiamo Antonio Savasta».

 

Antonio Savasta a processo, Verona, 8 marzo 1982

 

La liberazione del generale Dozier dall‘abitazione padovana che un gruppo armato delle BR-PCC (la colonna veneta delle Brigate rosse per il Partito Comunista Combattente, capeggiata da Antonio Savasta) teneva in ostaggio, il 28 gennaio 1982, pose fine alla storia politica di quella organizzazione. Savasta, già provato dall’omicidio Taliercio, non attese le torture, che pure ci furono (è documentato) per confessare ciò che sapeva, cosciente della fine del ‘sogno rivoluzionario’. La liberazione di Dozier fu una disfatta per le BR. Ma non fu Savasta a provocarla, che, anzi, con quell’azione aveva voluto colpire ‘il cuore dell’imperialismo’, riallacciandosi al movimento di massa contro i missili a Comiso e le installazioni NATO in Italia, riprendendo dunque un filo non più autoreferenziale; semmai egli impersonò la necessità della storia, che aveva la sconfitta nelle sue stesse origini, nel velleitarismo strategico e ideologicamente ‘fossile’ dell’interpretazione di una possibile ‘guerra di movimento’ nel cuore dell’Occidente capitalista e nella catena imperialista. Iniziano proprio così gli anni del “riflusso”. Perchè fu una slavina, che coinvolse anche chi non aveva condiviso le scelte, avventuriste, militariste e omicidiarie delle BR, come la sinistra di classe erede delle lotte del ‘68 e degli anni ‘70 o che si era opposto con tutta la durezza del non-riconoscimento nè politico nè sociale (nel senso di non riconoscere comunque il fenomeno armato “in nome del comunismo” nemmeno spia di un malessere sociale) come il PCI, relegato sulla difensiva. È dunque un nodo storico-politico molto importante, ancora da studiare con profondità analitica.


 

Antonio Savasta nasce a Roma il 30 dicembre 1955. - Giovanissimo militante attivista a Centocelle, periferia sud-est romana, entra nelle Brigate Rosse insieme alla sua allora compagna Emilia Libera alla fine del 1976, reclutato da Bruno Seghetti. Ha ventuno anni, una formazione politica sul campo, nelle lotte di quartiere, “La politica era una condizione necessaria e veniva vissuta in tutti gli aspetti della vita. Si lottava per la casa, per il lavoro nelle fabbriche, contro il carovita, per la scuola “aperta al popolo”, attuando mobilitazioni come occupazioni e autoriduzioni, con picchetti che impedivano il distaccamento delle utenze.”, Luciano Vasapollo e Luigi Rosati, Centocellaros (ediz. Efesto, 2022) cit. da https://contropiano.org/news/cultura-news/2022/06/11/centocelle-e-le-lotte-socio-politiche-viste-dai-centocellaros-0150107


dove si potrebbe dire che “l’esistenziale è politico”.


o    La rabbia in corpo per le ingiustizie e i soprusi della società capitalista, per i crimini dell’imperialismo, si rappresenta sempre come parte di un collettivo, in cui studenti, operai, lavoratori precari e occasionali, si identificano nel gruppo di lavoro politico, in cui la socializzazione si fonde con l’affermazione identitaria. Savasta, diplomato al liceo classico “Gaetano De Sanctis”, frequenta sia l’Università sia il lavoro come marginale, non è la figura dell’operaio-massa del Nord o sradicato del Sud,  è la nuova figura dell’antagonista sociale dei quartieri periferici della metropoli, militante dei gruppi e centri sociali della sinistra di classe. Finchè mantiene legami di massa, è la figura del ribelle metropolitano. Il salto politico alla clandestinità è ideologico, dunque si percepisce come rivoluzionario, perchè esistenziale. 


Così ricostruisce la sua biografia politica Nicola Rao:

 

Un brigatista in carriera. Nato e cresciuto in un quartiere della periferia romana, la sua parabola è quella di un’intera generazione di brigatisti. Prima la militanza in Potere Operaio, poi nei gruppi del terrorismo diffuso impegnati nell’antifascismo militante, quindi l’ingresso nelle Br, prima come referente di quartiere, poi universitario. È lui a custodire la Renault 4 in cui sarà fatto ritrovare il corpo senza vita di Aldo Moro in via Caetani. È lui a uccidere a colpi di lupara il tenente colonnello dei carabinieri Antonio Varisco sul lungotevere. È lui, su incarico del capo supremo Mario Moretti, a tentare di costituire una colonna sarda delle Br, per assaltare le carceri speciali dell’isola e liberare i capi storici dell’organizzazione. Ed è sempre lui che viene spedito da Moretti in Veneto per dar vita a una nuova stagione di sangue. È ancora Savasta a interrogare e poi a massacrare l’inerme e indifeso Giuseppe Taliercio. Così come è lui l’inquisitore di Dozier. Nel momento in cui viene catturato, Emilio (il suo nome di battaglia) è il numero tre dell’organizzazione, componente del massimo organo delle Br (il comitato esecutivo) e il più giovane tra i dirigenti del gruppo. (Nicola Rao, cit. § corrispondente

 

 

- Quando Savasta viene catturato in via Pindemonte, a Padova, il 28 gennaio 1982, dove insieme al gruppo delle BR - per il Partito Comunista Combattente, tiene prigioniero il generale della NATO Dozier, ha 26 anni. Verrà torturato insieme agli altri, ma le sue confessioni scaturiranno da un tormento interiore che era diventato sempre più insopportabile dopo l’assassinio di Taliercio, dirigente Montedison di Marghera, il 5 luglio del 1981. Savasta impersona un errore politico grave, se ne accorge compiutamente quando è “nelle mani del nemico”, ma per lui è una specie di catarsi. Quel passaggio dalle lotte di movimento al partito armato, infatti, da sogno rivoluzionario in pochi anni è diventato incubo autoreferenziale, militarista, in una logica che di politico ha solo una fraseologia liturgica, costituita com’è da spari, omicidi, isolamento dalla classe operaia (Guido Rossa, sindacalista PCI, colpito da Riccardo Dura in modo spregevole, perchè “delatore”, Genova, 24 gennaio 1979) ammazzamenti di compagni ‘sospetti’ di aver ceduto, scissioni frazionistiche con odii e rancori interni. Le sue confessioni sono il risultato non la causa di una sconfitta annunciata. Quello Stato che era stato presuntivamente colpito al cuore paradossalmente usciva più forte, più autoritario e repressivo, poteva anche torturare mettendo a tacere tutto l’antagonismo politico e sociale. E quando Savasta parla ai processi, “le cose che io so ve le ho già dette” ripete, cfr. udienza del processo alla rivista dell'Autonomia «Metropoli» (1987)

in https://italia-podcast.it/podcast/spazio-70/brigate-rosse-interrogatorio-del-pentito-antonio-s


alla sfera del politico i suoi inquisitori sono poco interessati, benchè egli si sforzi, con fastidio, di far comprendere che proprio senza quella sfera i fatti non hanno storia e diventano incomprensibili. Perchè l”esistenziale è politico”.

Rassegna fotografica dal programma Sky “Il sequestro Dozier. Un’operazione perfetta”, cfr.



una docu-serie che ricostruisce il rapimento del generale James Lee Dozier da parte delle Brigate Rosse tra dicembre del 1981 e gennaio del 1982. La docu-serie, realizzata da Dazzle, è scritta da Davide Azzolini, Fulvio Bufi e Massimiliano Virgilio, con la regia di Nicolangelo Gelormini. Per la prima volta, senza reticenze, si parla delle torture a cui furono sottoposti i prigionieri catturati per estorcere rivelazioni, da parte della ‘squadra’ speciale guidata da Nicola Ciocia, alias il prof. “De Tormentis”.


 Emanuela Frascella e Antonio Savasta


 

su questo stesso blog-

LA CAREZZA DI SAVASTA

 

su Telegram

https://t.me/lavoropolitico/236   Ruggero Volinia, le cui rivelazioni portarono alla liberazione del generale Dozier - a processo, 8 marzo 1982

https://t.me/lavoropolitico/237  Antonio Savasta ed Emilia Libéra - processo Dozier, 8-25 marzo 1982

https://t.me/lavoropolitico/238  Emanuela Frascella ed Emilia Libéra durante il processo Dozier, 8-25 marzo 1982

https://t.me/lavoropolitico/241 In un’altra ‘gabbia’, gli ‘irriducibili’ Cesare di Lenardo e Alberta Biliato, processo Dozier, Corte d’assise Verona, 8-25 marzo 1982

 



 

martedì 5 dicembre 2023

LA CLASSE OPERAIA VA ALL’INFERNO: LA "PALAZZINA LAF" DI MICHELE RIONDINO

 





Taranto - Dopo l’anteprima romana, il 22 novembre 2023 è stata proiettata in prima assoluta a San Giorgio Jonico al Cine multisala Casablanca il film di Michele Riondino, figlio di questa terra (bellissima la colonna sonora di Diodato, “La mia terra” ) PALAZZINA LAF.

Una ricostruzione neorealista ma con moderno linguaggio cinematografico del mobbing operaio e la discriminazione di classe all’interno dell’Ilva di Taranto alla fine dei 90 del secolo scorso, anni in cui si propalava la scomparsa della classe e dunque della sua centralità politica. Ma si era fatta invisibile per le classi dominanti nel dominio del senso comune. La classe c’era, eccome, era all’inferno, era alla Palazzina LAF. Un film dunque dal solido impianto civile e “engagè” diceva Sartre, impegnato, dagli echi grotteschi, arrabbiati e per questo rivoluzionari, che rimandano a “La classe operaia va in paradiso“ di Elio Petri del 1973, e Gian Maria Volontè che oggi veste i panni del siderurgico Caterino Lamanna - Michele Riondino.

 

Accanto all'attore e regista tarantino in sala anche  Claudio Virtù, uno dei mobbizzati del 1997 all’Ilva di Taranto e autore di un libro dal medesimo titolo da cui è stata tratta la sceneggiatura. “Naturalmente ambientalista, sono figlio di operai e un operaista, mi hanno chiesto di occuparmi di cinema e non di politica o di sindacato, ebbene ho fatto cinema, per amore della mia città. Ne è scaturita una critica al cinismo e all’indifferenza, al menefreghismo e all’arrivismo, il vano blandire il padrone, ma nello stesso tempo la necessità di accrescere la coscienza di classe e la consapevolezza civica diffusa, registrando la crisi di rappresentativitá del sindacato in fabbrica. La figura di Caterino Lamanna, che porta il nome di uno dei primi confinati di reparto alla FIAT, è l’emblema di tutte le contraddizioni che la presenza siderurgica e la protervia padronale porta in una città baciata dal mare e dalla natura, da quelle ambientali a quelle sociali del Sud operaio. / fe.d.

 

La mia città, in una sorta di autoanalisi, sta metabolizzando il racconto del film e ne sta traendo conclusioni molto importanti.

Il mio film però non è solo per Taranto, per i tarantini.

Palazzina laf vuole raccontare la condizione dei lavoratori delle nostre fabbriche, vuole parlare del silenzio che c’è attorno e dentro alle nostre fabbriche.

Il mio film parla dei lavoratori: di quelli che difendono la propria dignità, il proprio ruolo e le proprie competenze e di quelli che sono disposti a vendere la propria dignità e i propri colleghi pur di ricoprire un ruolo che non gli compete.

Il mio film è un urlo di rabbia nei confronti della politica (soprattutto di sinistra) e del sindacato per aver abbandonato la dimensione umana del lavoratore e averlo ridotto a una semplice tessera sindacale. Michele Riondino, 4.12.2023

 

La recensione di Paola Casella, del "Quotidiano di Puglia", 2.12.2023


Ho visto Palazzina Laf: film crudo, realistico e soprattutto coraggioso. Quella vicenda è consegnata alla storia, ma non è ancora troppo lontana nel tempo. L’interpretazione di Michele Riondino è magistrale, ha impersonato il protagonista, Caterino Lamanna, con l’anima ed ogni fibra del suo corpo, per l’intensità della sua espressione mi ha ricordato in qualche tratto Eduardo De Filippo.

Bravissimi Elio Germano, che ha dato vita a Giancarlo Basile, un personaggio che resterà ormai nella storia del cinema, e tutti gli altri attori che hanno messo a nudo in modo autentico e credibile l’umanità dei personaggi.

Al centro della storia il primo caso di mobbing della storia d’Italia, il diritto ad un lavoro degno, accennato il dramma sanitario.

Struggente l’interpretazione di Diodato nella colonna sonora che è una poesia d’amore in musica per la nostra terra.

In primo piano nel film la fabbrica, il suo inferno, il quartiere Tamburi, la masseria, che mi è sembrata quella di Vincenzo Fornaro; la città si è vista, invece, solo sullo sfondo, bellissima, ma lontana e, all’epoca, ancora ignara della sua condizione, della sua forza e soprattutto del nuovo destino che ormai pretende. -

 

Ottima recensione quella della giornalista Paola Casella, ma voglio solo fare una considerazione: nel 1997, anno in cui è ambientato il film, la popolazione di Taranto forse non si sa pensare ancora senza la grande fabbrica siderurgica, ma ignara non lo era: la consapevolezza in particolare ecologica crescerà sempre di più, meno nelle classi dirigenti politiche, “tutti si abbeverano alla mamma Italsider” era un motto che si sentiva spesso, per indicare che un’intera città era legata e dipendeva dalla monocultura dell’acciaio, che dà benessere ‘a tutti’ e da cui la classe politica dominante e “im-prenditori” scassati “prendono prebende”. La vicenda della palazzina LAF scuote ancor di più le coscienze, rimette al centro la posizione della classe operaia, alle prese in quegli anni con la privatizzazione del ‘polo siderurgico strategico’: tanto strategico da essere svenduto dal governo Dini a un padrone senza scrupoli, mentre la città era governata dal ‘citismo’ e l’estrema destra egemone, sindaco Gaetano De Cosmo. Pochi allora compresero, questo sì, che quella vicenda di mobbing operaio alludeva a una necessaria svolta storico-politica, l’unità di cittadini e lavoratori, per riprendere in mano il destino del proprio territorio. Ma c’è chi non lo comprende ancora adesso. 

- Il 26 novembre 2017 ci lasciava precocemente Alessandro Leogrande, scrittore e giornalista d’inchiesta tarantino dalla parte degli ultimi. Anche l’ultimo film dell’attore e regista Michele Riondino, anche lui di Taranto, PALAZZINA LAF, è dedicato a lui. Anche la recente cura editoriale delle poesie del poeta-operaio Pasquale Pinto di Stefano Modeo per Marcos y Marcos (”La terra di ferro”) va inscritta in un lascito ”alessandrino”.

Perché noi, in queste terre, gli siamo tutti debitori. Amava Pasolini, Alessandro, studiava Gramsci, utilizzava molte loro analisi e categorie per capire il presente dell’emarginazione sociale, delle storie di chi non ha voce per raccontarle. Pagine dolenti le sue, necessarie però al riscatto dei subalterni. E un atto d’amore per i sud senza latitudine. 

 

Ci sono città che diventano specchio del paese, delle sue trasformazioni, dei suoi nodi irrisolti, dei suoi fallimenti, delle sue cadute, delle sue ansie di riscatto. Taranto è una di queste: singolare laboratorio urbano, stretto tra le ciminiere dell’Ilva e il mare che si apre davanti ai suoi palazzi, emblema dello sviluppo novecentesco e del suo rifluire verso una crisi profonda. Taranto è una città a strati. Una città in cui i piani storici, temporali, sociologici si accavallano, spesso nascondendosi a vicenda. L’essere stata una antica capitale della Magna Grecia, un porto del Mediterraneo avvezzo al meticciato e alle più disparate dominazioni straniere, è solo uno di questi strati: uno strato sempre più difficile da afferrare, che sprofonda nei meandri della Storia e sovente ritorna sotto forma di sogno o pulsione nascosta. Ma la città che conosciamo, quella che oggi si estende come una grigia lingua di cemento per diversi chilometri all’apice del golfo che prende il suo nome, è in realtà una città profondamente novecentesca, segnata dalla grande industria e dalle politiche di sviluppo che l’hanno determinata. Negli ultimi decenni dell’Ottocento, subito dopo l’Unità d’Italia, Taranto aveva poco più di trentamila abitanti. Essi abitavano per lo più nell’antica isola, la città vecchia. Con la costruzione dell’Arsenale militare è iniziato il caotico sviluppo economico e urbanistico che l’ha poi contraddistinta per tutto il ventesimo secolo. Proprio sul fallimento di quell’apparato militar-industriale, è stato in seguito edificato il sogno siderurgico, la nuova industria di Stato che ha fatto di Taranto la città più operaia del Mezzogiorno. Di quella fucina prometeica, incistata sulle rive dello Ionio, solo molto tempo dopo si sono raccolti i cocci. 

Alessandro Leogrande, 2013, da “Fumo sulla città”, Fandango, cit. ed. digitale Feltrinelli 2022, §corrispondente


- Il film di Riondino PALAZZINA LAF è dedicato ad Alessandro Leogrande. Crediamo sia proprio l’opera da noi citata ad aver costituito una prima sceneggiatura del film, corroborata da un altro testo che per l’attore e ora anche regista di terra jonica è stato fonte di ispirazione per l’intera vicenda e il profilo dei personaggi: PALAZZINA LAF - Mobbing: la violenza del padrone, di Claudio Virtù (in foto accanto a Michele Riondino alla prima di Taranto) per le edizioni Archita, 2001, testo ormai introvabile e da ristampare per una sua distribuzione su larga scala.


#LavoroPolitico #PalazzinaLAF #mobbing #classeoperaia

 



 

C’è ora anche da annoverare il libro del poeta-operaio (dell’Ilva) Pasquale Pinto, curato da Stefano Modeo per Marcos y Marcos “La terra di ferro e altre poesie (1971-1992)“ https://www.leparoleelecose.it/?p=38661

oltre che il saggio di Salvatore Romeo “L'acciaio in fumo-L'Ilva di Taranto dal 1945 a oggi”, per Donzelli, 2019, che sta diventando un classico storiografico di storia dell’industria, indispensabile per la memoria operaia.

Per l’analisi politico-sociologica cfr. su questo blog

 

Mutazione antropologica e paradigma produttivistico: il caso-Taranto e l'analisi marxista

 



 

 

a cura di Ferdinando Dubla


domenica 26 novembre 2023

SIONISMO, IMPERIALISMO e CAPITALISMO

 





Cos’è il sionismo? Un’ideologia, una teoria politica? Non è un’ideologia, perchè nel suo atto di fondazione (“Lo Stato ebraico” di Theodor Herzl, giornalista di origini ungheresi naturalizzato austriaco, del 1896) c’è la rivendicazione nazionalista ma non delle basi sociali di uno Stato ispirato a precise idealità valoriali. È dunque una teoria politica nazionalista, sviluppatasi poi in termini teologici e religiosi nella sua parte egemone di legittimità di occupazione territoriale. È esistito infatti un sionismo socialista (Moses Hess, ma anche David Ben-Gurion) che verso gli anni trenta mise in ombra il "sionismo politico" sia sul piano internazionale sia nel Mandato britannico della Palestina, dove i sionisti socialisti predominavano tra le molte istituzioni dello Yishuv, la comunità ebraica del periodo precedente all'indipendenza, soprattutto nella federazione sindacale nota come Histadrut. E il sionismo cosiddetto “revisionista”, di Vladimir Žabotinskij, leader dell'Organizzazione Nazionale Militare sionista Irgun con il progetto di una legione ebraica in Palestina, anticomunista e ispirato dal fascismo, tant’è che il leader del revisionismo italiano - Leone Carpi- negli appunti del suo discorso per il Congresso revisionista del 1935 a Vienna, ribadiva le affinità col fascismo in quanto ideologia nazionale. L’egemonia del sionismo politico si è avuta nella storia proprio per la sovrapposizione del fondamentalismo integralista religioso nella sfera politica, legittimando la statualità nazionalista in termini biblici, in realtà coprendo gli interessi imperialisti occidentali a guida USA-NATO nei confronti del mondo arabo, con una progressiva e violenta colonizzazione funzionale geostrategicamente ed economicamente, al capitalismo internazionale. / fe.d. #subalternstudiesitalia 

 

 IL CONFLITTO TRA IL SIONISMO e il POPOLO PALESTINESE

è certamente più complesso della battaglia contro l’apartheid, anche se in entrambi i casi abbiamo un popolo che ha pagato o che paga ancora un prezzo pesantissimo fatto di spoliazione, pulizia etnica, occupazione militare e profonda ingiustizia sociale. Gli ebrei sono un popolo con una tragica storia di persecuzione e genocidio; poichè sono legati dalla loro antica fede alla terra di Palestina, il loro “ritorno” a una patria promesso dall’imperialismo inglese parve a buona parte del mondo (ma soprattutto a un Occidente cristiano responsabile dei peggiori eccessi dell’antisemitismo) come un risarcimento eroico e giustificato per ciò che avevano sofferto. Ma per anni pochi hanno prestato attenzione alla conquista della Palestina da parte delle forze ebraiche o alla popolazione araba già presente che ne pagava i costi esorbitanti, con la distruzione della sua società, l’espulsione della maggioranza e l’odioso sistema giuridico - in pratica una forma di apartheid - che ancora la sottopone a discriminazione all’interno di Israele e nei territori occupati. (..) Due popoli in una terra, oppure uguaglianza per tutti, oppure una testa un voto, oppure un’umanità comune affermata in uno stato binazionale.

Edward Said, Al-Arham, 1-7 marzo 2001 e Al-Hayat, 2 marzo 2000

#EdwardSaid

 

 

 

Edward Said (Gerusalemme, 1935 - New York, 2003)

 

cfr. anche su questo blog:

 

EDWARD SAID: INTERPRETARE L’OGGI CON LE LENTI DELLA STORIA

 

EDWARD SAID tra Oriente ed Occidente

 

 

La politica di occupazione israeliana in Palestina


Palestinian Academic Society for the Study of International Affairs (PASSIA) | passia.org
Traduzione a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

2023

[Avvertenza della redazione: le cifre e i dati dell'occupazione militare israeliana in Palestina contenuti in questo quadro sintetico sono aggiornati al 2022. Pur non comprendendo gli eventi del 2023, precedenti e successivi al 7 ottobre scorso, forniscono tuttavia una misura dell'impatto che tali pratiche hanno sulle condizioni di vita del popolo palestinese]


Uccisioni e ferimenti

- Le cifre relative a morti e feriti variano a seconda delle fonti. Secondo il PCBS, dalla Nakba del 1948 al 5 maggio 2021, sono stati uccisi oltre 100.000 Palestinesi e Arabi (all'interno e all'esterno della Palestina) (PCBS, Comunicato stampa sulla 73esima commemorazione annuale della Nakba palestinese, 10 maggio 2021).

- Il seguente grafico mostra il numero di Palestinesi uccisi dalle forze israeliane o da coloni/civili dallo scoppio della prima Intifada nel dicembre 1987, come monitorato dal gruppo israeliano per i diritti umani B'Tselem. (Le cifre non comprendono: i palestinesi cittadini di Israele uccisi dalle forze israeliane; gli attentatori suicidi palestinesi; i palestinesi morti a causa dei ritardi nel ricevere trattamento medico, per esempio bloccati ai checkpoint)

 



- Secondo l'OCHA, 136 Palestinesi sono stati uccisi dalle forze israeliane (Cisgiordania: 99, Striscia di Gaza: 32 Israele: 4) e 3 dai coloni nel 2022, al 10 ottobre. Del totale, 35 erano minori di 18 anni (2 ragazze e 33 ragazzi) e 8 donne. Sul versante israeliano, 13 persone sono state uccise da palestinesi (Cisgiordania: 4, Israele: 9): 4 forze armate, 9 civili (OCHA, Dati sulle vittime, 10 ottobre 2022).

- Nello stesso periodo, 8.321 Palestinesi sono stati feriti (Cisgiordania: 8.300, Striscia di Gaza: 19, Israele: 2), la maggior parte dei quali dalle forze israeliane. Almeno 826 del totale erano minori. Sul lato israeliano, 110 persone sono state ferite da palestinesi (Cisgiordania: 86, Israele: 24): 30 forze armate, 80 coloni e civili (Ibid.). - Tra il 2000 e il settembre 2022, 2.220 bambini sono stati uccisi a causa della violenza militare israeliana o dei coloni, tra cui 547 di età compresa tra 0 e 8 anni. La maggior parte (1.709) è stata uccisa a Gaza. Queste cifre non includono i bambini coinvolti nelle ostilità. Nel 2022, 22 bambini sono stati uccisi a settembre (per dettagli e aggiornamenti: https://www.dci-palestine.org/child_fatalities_statistics).

- Le autorità israeliane hanno detenuto circa 1 milione di Palestinesi da quando è stato fondato lo Stato di Israele nel 1948 e oltre 650.000 Palestinesi dal 1967 (Addameer).

- Dal 1967, quasi 1 milione di Palestinesi sono stati arrestati da Israele, tra cui 17.000 donne e 50.000 bambini, e sono stati emessi oltre 54.000 ordini di detenzione amministrativa (Commissione per gli Affari dei Detenuti e degli Ex-Detenuti, citata in Anadolu Agency, 5 giugno 2021), di cui 9.500 solo dal 2015 (Palestinian Prisoner's Society).

- Al 18 ottobre, Israele aveva detenuto circa 5.300 Palestinesi nel 2022, tra cui 620 bambini e 111 donne. Del totale, 2.353 erano abitanti di Gerusalemme e 1.610 erano detenuti in via amministrativa (Palestinian Prisoner's Society).

- Nei primi nove mesi del 2022, Israele ha emesso oltre 1.610 ordini di detenzione amministrativa per i Palestinesi. (www.addameer.org/) e ha condotto 2.481 operazioni di arresto in Cisgiordania (https://www.ochaopt.org/poc/13-26-september-2022).

- I prigionieri politici palestinesi (chiamati da Israele "prigionieri di sicurezza") sono detenuti in 18 prigioni (Damon, Hadarim, HaSharon, Rimonim, Ayalon, Nitzan, Neve Tirza, Ramleh, Ashqelon, Gilboa, Shatta, Megiddo, Ofer, Ayala, Ohalei Kedar, Eshel, Ketziot/Negev, Nafha e Ramon), 3 centri di detenzione (Salem, Huwwara e Gush Etzion) e 4 centri di interrogatorio (Haifa, Petah Tikva, Ashkelon e Al-Moskobiya a Gerusalemme). Inoltre, esiste un tribunale militare a Ofer (Addameer).

- Bambini in detenzione: Mentre un bambino israeliano non può essere condannato a una pena detentiva fino all'età di 14 anni, secondo la legge civile, le forze israeliane possono mandare in prigione i bambini palestinesi all'età di 12 anni, secondo la legge militare. Secondo il DCI, oltre 8.000 bambini palestinesi sono stati detenuti e processati nel sistema di detenzione militare israeliano dal 2000, in media 500-700 ogni anno. A giugno 2022, 137 bambini di età compresa tra i 12 e i 17 anni erano detenuti, tra cui 1 ragazza e 5 in detenzione amministrativa (DCI Palestina, https://www.dci-palestine. org/bambini_in_detenzione_israeliana).

- Dal 1967 e fino a settembre 2022, 230 Palestinesi sono morti nelle carceri israeliane, di cui 2 nel 2022: l'ex prigioniero Ihab Al-Kilani, di Nablus, è morto il 16 maggio a causa di un cancro derivante da negligenza medica al momento della sua detenzione, e Saadia Farajallah, 68 anni, di Idna, vicino a Hebron, è morta il 2 luglio a Damon (Palestinian Prisoners Club).

- Sebbene l'Alta Corte di Giustizia israeliana abbia vietato l'uso della tortura arbitraria come metodo di interrogatorio il 6 settembre 1999, essa è ancora praticata, compresi l'isolamento, la privazione del sonno, le aggressioni fisiche e sessuali, le posizioni di stress, i lunghi interrogatori, le minacce, l'impedimento delle visite dei familiari e degli avvocati. Dal 2001, oltre 1.300 denunce presentate da vittime di tortura sono state presentate al Ministero della Giustizia, ma solo due sono state esaminate e nessuna ha portato a un'incriminazione (PCATI, Tortura in Israele 2021, Rapporto sulla situazione, 2021).

Espropriazione e distruzione di terreni e proprietà

- Nel corso della Nakba del 1948, Israele ha espropriato circa 17.178.000 dunum (1.000 dunum=1 km2 ) di terra ai Palestinesi e, tra il 1950 e il 1966, altri 700.000 dunum ai Palestinesi rimasti nel territorio del nuovo Stato. Dopo la guerra del 1967, Israele ha espropriato 849.000 dunum di terra palestinese, di cui oltre 400.000 dunum appartenevano a Palestinesi sfollati dalla Cisgiordania e dalla Striscia di Gaza durante la guerra (Badil, Survey of Palestinian Refugees and Internally Displaced Persons (2010-2012), Vol. VII, 2012).

- Israele controlla oltre l'85% della terra della Palestina storica (rispetto al 6,2% durante il Mandato britannico) (PCBS, Comunicato stampa, 73esima commemorazione annuale della Nakba palestinese, 10 maggio 2021).

- Nel corso del 2021, Israele ha confiscato 25.365 dunum di terra palestinese in Cisgiordania, ha distrutto 2.931 dunum (per la maggior parte tramite l'immersione in acque reflue o acqua, in misura minore tramite ruspe, vandalismo, spruzzatura di sostanze chimiche e incendi dolosi) e 17.755 alberi, e ha demolito 93 pozzi e serbatoi d'acqua ("Violazioni israeliane contro alcune risorse naturali nel corso del 2021", Land Research Center, febbraio 2022).

- Un database su tutte le leggi e le proposte di legge israeliane che promuovono l'annessione della Cisgiordania occupata a Israele è disponibile qui: https://www.yesh-din.org/en/legislation/.

Residenza, chiusure e restrizioni di movimento

- Nel giugno 1967, subito dopo l'occupazione dei Territori palestinesi, Israele ha condotto un censimento in cui solo i Palestinesi che erano allora presenti nei Territori palestinesi occupati (TPO) sono stati registrati come residenti legali nel registro della popolazione e successivamente hanno ricevuto carte d'identità.  Da allora, Israele ha mantenuto il pieno controllo dell'anagrafe, nonostante gli Accordi di Oslo richiedessero il suo trasferimento - insieme ad altre questioni civili - all'Autorità Palestinese per le Aree A e B. Le persone non iscritte all'anagrafe possono unirsi legalmente alle loro famiglie e risiedere in Cisgiordania solo dopo l'approvazione di Israele per l'unificazione familiare, che tuttavia non è un diritto acquisito, ma un atto 'benevolo' delle autorità israeliane. Dal 1967, queste hanno cancellato o rifiutato la registrazione, la residenza e le richieste di unificazione familiare di decine di migliaia di Palestinesi, per lo più con la motivazione di essere rimasti fuori dal Paese per troppo tempo (www.hamoked.org/files/2011/ 114221_eng.pdf).

- L'Autorità Palestinese non può emettere carte d'identità valide senza coordinarsi con Israele, lasciando migliaia di palestinesi senza documenti, compresi coloro che hanno riportato coniugi e figli dall'estero nei TPO coloro che cercano di cambiare il loro indirizzo da Gaza alla Cisgiordania e coloro che non si sono registrati all'età di 16 anni. Negli anni '90, Israele ha fissato una quota annuale per le autorizzazioni all'unificazione familiare, con un picco di circa 4.000 unità. Sulla scia della Seconda Intifada nel 2000, il processo di unificazione è stato di fatto interrotto. Nel 2007, Israele ha aperto la questione dell'unificazione familiare come gesto di buona volontà nei confronti dell'Autorità palestinese, esaminando circa 50.000 richieste e approvandone 32.000. Tra il 2010 e il 2018, sono state approvate solo cinque richieste. Nel 2022, c'erano ancora centinaia di richieste non evase. I cittadini stranieri coniugi di Palestinesi della Cisgiordania non possono aprire un conto bancario o lavorare legalmente. Se lasciano il Paese, potrebbero non essere autorizzati a tornare. Nel gennaio 2022, Israele ha promesso di 'legalizzare' lo status di 9.500 palestinesi e stranieri senza documenti che vivono nei TPO.

- Dal marzo 1993, ai palestinesi della Cisgiordania e della Striscia di Gaza è stata imposta una chiusura generale, negando loro l'ingresso in Israele e a Gerusalemme, la libertà di movimento all'interno della Cisgiordania e l'accesso ai luoghi di culto, al lavoro e ai servizi medici, educativi e di altro tipo. Coloro che entrano 'illegalmente' o aiutano altri a farlo rischiano il carcere e le sanzioni. La politica di chiusura di Israele non rispetta il diritto internazionale, secondo il quale Gerusalemme Est è parte integrante della Cisgiordania, e gli Accordi di Oslo, che considerano il Territorio palestinese come un'unica unità territoriale.

- Per spostarsi tra la Cisgiordania, la Striscia di Gaza e Gerusalemme Est o per viaggiare all'estero, la maggior parte dei palestinesi deve ottenere dei permessi da Israele, che sono validi solo per determinati periodi, orari, scopi e persone e possono essere annullati in qualsiasi momento. Particolarmente limitato è l'accesso alle strade dei coloni, alle aree vicine o controllate dagli insediamenti e alla terra e ad altre risorse naturali. In alcune aree della Cisgiordania, i palestinesi devono persino ottenere permessi speciali di 'residenza' per poter rimanere nelle loro case e/o accedere alla loro terra.

Demolizioni di case

- Durante la Nakba del 1948, Israele ha distrutto circa 52.000 case e strutture palestinesi e altre 56.500 dal 1967 nei TPO (https://icahd.org/).

- Tra il 2009 e la metà di ottobre 2022, Israele ha distrutto 8.867 strutture palestinesi in Cisgiordania, sfollando oltre 13.000 persone e colpendo i mezzi di sussistenza di 160.784 persone. Del totale delle strutture distrutte, 1.569 erano finanziate da donatori, 1.725 erano situate a Gerusalemme, 6.973 erano situate nell'Area C e 169 nelle Aree A e B (OCHA, Dati su demolizioni e sfollamenti in Cisgiordania, 14 ottobre 2022).

- Solo nel 2021 (al 14 ottobre), Israele ha distrutto 697 strutture in Cisgiordania, sfollando 836 persone e colpendo oltre 25.500 altre. Del totale, 105 strutture erano finanziate da donatori, 558 si trovavano nell'Area C, 111 a Gerusalemme, 241 erano unità residenziali e 229 strutture agricole (OCHA, Dati su demolizioni e sfollamenti in Cisgiordania, 14 ottobre 2022).

- Secondo B'Tselem, dal 2006 al 31 agosto 2022, Israele ha demolito almeno 4.803 unità abitative palestinesi in Cisgiordania (esclusa Gerusalemme Est) per mancanza di permessi, lasciando 8.115 persone (di cui 4.092 minori) senza casa. Altre 280 unità sono state distrutte per punizione, lasciando 1.358 persone senza casa, e 1.891 per "scopi militari", lasciando 13.444 persone senza casa. Nei primi 8 mesi del 2022, sono state distrutte 487 unità abitative in Cisgiordania, di cui 98 a Gerusalemme e il 96,5% del totale perché costruite "illegalmente" (https://statistics.btselem.org/en/intro/demolitions).

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2023: 80% della popolazione di #Gaza è stata sfollata. 74% sono bambini e donne. Non potranno tornare perché Israele ha distrutto le loro case.

 



 

Palestina: cronologia della vergogna - di Milad Jubran Basir

La Palestina, come il resto del mondo arabo, è stata sotto il dominio ottomano dal 1516 fino al 1914, quattrocento anni.

 

1917 – Dichiarazione Balfour: il 2 novembre, il governo britannico promette a Lord Rotschild la creazione di un “focolare nazionale per il popolo ebraico” in Palestina. All’epoca solo il 4% della popolazione è di religione ebraica, mentre il 20% è costituito da cristiani e il 76% da musulmani.

 

1919 – Il Congresso Nazionale Palestinese respinge la dichiarazione di Balfour e chiede l’indipendenza della Palestina.

 

1922 – La Società delle Nazioni affida alla Gran Bretagna il Mandato sulla Palestina. L’amministrazione britannica incoraggia l’immigrazione ebraica.

 

1947 – Il 29 novembre, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, per mezzo della risoluzione 181, approva il Piano di partizione della Palestina tra uno Stato per gli arabi palestinesi e uno per gli ebrei, ed assegna a questi ultimi il 56% della Palestina, mentre all’epoca rappresentano il 33% della popolazione e detengono solo il 6% delle terre.

 

1948 – I britannici rinunciano al Mandato lasciando il problema in mano alle Nazioni Unite.

 

1948-1949 – Il 14 maggio 1948 Israele proclama la propria indipendenza: per i palestinesi è la Nakba (Catastrofe), che costringe 800mila palestinesi all’esodo mentre 531 villaggi vengono rasi al suolo. L’11 dicembre, l’Onu adotta la Risoluzione 194 con cui chiede a Israele di consentire il ritorno dei rifugiati.

 

1967 – Tra il 5 e il 10 giugno, durante la guerra dei Sei Giorni contro gli arabi, Israele occupa il resto della Palestina storica, cioè la Cisgiordania, la Striscia di Gaza e Gerusalemme est. Il 22 novembre, la Risoluzione 242 delle Nazioni Unite esige il ritiro di Israele dai Territori Occupati.

 

1982 – Il 6 giugno Israele lancia contro il Libano la cosiddetta “Operazione Pace in Galilea”. Tra il 16 e il 18 settembre, milizie libanesi protette dall’esercito invasore israeliano entrano nei campi profughi di Sabra e Shatila e massacrano oltre tremila palestinesi, per lo più vecchi, donne e bambini.

 

1987 – L’8 dicembre nei Territori occupati esplode la Prima Intifada, sollevazione popolare nonviolenta, per chiedere l’autodeterminazione e l’indipendenza del popolo palestinese.

 

1988 – Il 15 novembre, durante la sessione del Consiglio Nazionale Palestinese dell’Olp riunito ad Algeri, Yasser Arafat proclama lo Stato indipendente di Palestina sui confini del 4 giugno 1967.

 

1993-1995 – Gli Stati Uniti promuovono tra i rappresentanti della Palestina e quelli di Israele una serie di incontri, noti come Accordi di Oslo, che si interpretano come il primo passo verso la creazione di uno Stato palestinese. Durante il cosiddetto “processo di pace”, Israele raddoppia il numero degli insediamenti illegali nei territori palestinesi.

 

2000 - La visita provocatoria di Ariel Sharon (allora capo dell’opposizione parlamentare in Israele) sulla Spianata della Moschea di Gerusalemme provoca l’inizio della Seconda Intifada.

 

2000 - L’iniziativa di pace della Lega Araba offre a Israele il riconoscimento e la pace in cambio del ritiro dai Territori occupati nel 1967 e di una soluzione al problema dei rifugiati palestinesi. Israele ignora la proposta, invade tutte le città palestinesi e comincia la costruzione del muro dell’apartheid (2002).

 

2003-2004 – Il presidente Yasser Arafat è in stato d’assedio all’interno della Muqata di Ramallah. Il 9 luglio la Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja dichiara che “la costruzione del muro e il regime che lo accompagna sono contrari al diritto internazionale”. L’11 novembre 2004 l’intenzione di eliminare Yasser Arafat culmina con la sua morte.

 

2008-2009 – Israele compie una brutale aggressione contro il popolo palestinese nella Striscia di Gaza, assassinando 1.500 palestinesi e ferendone 5.500. Migliaia di abitazioni, centri commerciali, scuole e luoghi di culto vengono distrutti.

2010 - Le forze di occupazione israeliana continuano con la confisca di terre e proprietà dei palestinesi in Cisgiordania e a Gerusalemme Est per la costruzione degli insediamenti di coloni israeliani. La politica di Israele a Gerusalemme si basa sulla pulizia etnica, culturale e religiosa dei palestinesi.

 

2012 – Il 14 novembre, Israele lancia un’altra offensiva militare aerea contro la Striscia di Gaza che dura una settimana. La cosiddetta “operazione Pilastro di Difesa” causa la morte di 167 palestinesi. Il 29 novembre l’Assemblea Generale dell’Onu, con il voto favorevole di 138 Paesi compresa l’Italia, approva la Risoluzione A/RES/67/19 che riconosce la Palestina come Stato Osservatore delle Nazione Unite.

 

2014 – L’8 luglio Israele scatena un’altra devastante aggressione contro Gaza che dura fino al 26 agosto. La cosiddetta “Operazione Margine di Protezione” uccide 2.104 palestinesi, tra cui 495 bambini e 253 donne.

 

2015 – Il 30 settembre, 119 paesi, compresa l’Italia, votano a favore dell’innalzamento della bandiera palestinese sul Palazzo dell’Onu.

 

2016 – Il 18 ottobre l’Unesco approva una risoluzione intitolata “Palestina occupata” che riguarda la città vecchia di Gerusalemme. La risoluzione, al fine di tutelare il patrimonio culturale palestinese, riconosce il “Monte del Tempio” con il solo nome arabo Haram al Sharif (Spianata delle Moschee), definisce Israele una “potenza occupante” e critica il modo in cui gestisce l’accesso ai luoghi sacri; chiede ad Israele di rispettare lo status quo della città di Gerusalemme in vigore prima del settembre del 2000 (la Spianata delle Moschee sotto il controllo del ministero giordano degli Affari islamici e dei luoghi sacri). Il 23 dicembre, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, approva, con l’astensione degli Stati Uniti, la risoluzione 2334 che condanna gli insediamenti israeliani.

 

2017 – Il 14 gennaio il presidente Abu Mazen inaugura l’Ambasciata dello Stato di Palestina presso la Santa Sede. Il 27 maggio, dopo 40 giorni di digiuno, termina uno dei più imponenti scioperi della fame mai portati avanti dai detenuti nelle carceri israeliane, cui partecipano 1.800 prigionieri palestinesi. Il 6 dicembre il presidente Usa Trump proclama Gerusalemme capitale di Israele. Con la sola eccezione degli Usa e il voto favorevole dell’Italia, il Consiglio di Sicurezza il 18 dicembre respinge la decisione di Trump, con la risoluzione ripresa e approvata dall’Assemblea Generale delle Nazione Unite il 21 dicembre dello stesso anno.

 

2018 – Il 30 marzo la popolazione palestinese di Gaza intraprende la “Grande Marcia del Ritorno”, subendo una tremenda repressione da parte dell’esercito israeliano che causa più di 200 morti e migliaia di feriti. Il 18 luglio la Knesset (il Parlamento israeliano) approva una legge che qualifica Israele come “Stato – nazione del popolo ebraico”. Il 31 agosto gli Usa decidono di uscire dall’Unrwa, l’agenzia dell’Onu per l’assistenza ai profughi palestinesi, fondata nel 1949, l’8 settembre di annullare lo stanziamento annuale per i sei ospedali palestinesi di Gerusalemme Est, e il 10 settembre di chiudere la sede dell’Olp a Washington.

 

2020 – Il governo israeliano, con il sostegno del presidente degli Usa Trump, annuncia la sua intenzione di annettere parte della Cisgiordania, annuncio mai realizzato finora grazie alla reazione del popolo palestinese e alle proteste di tanti Paesi. Il presidente dell’Anp Abu Mazen ha reagito duramente all’annuncio del governo israeliano di essere pronto ad annettere parte della Cisgiordania, dichiarando “finiti” tutti gli accordi con Israele e Stati Uniti.

 da Sinistra Sindacale nr. 19/2023

a cura di Ferdinando Dubla

 

su questo blog:

 

LA PROMESSA DELLA TERRA _ SUL FUTURO DELLA PALESTINA