Subaltern studies Italia

L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

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domenica 27 marzo 2022

IL FANTASMA del DONBASS di Sara Reginella


La GEOPOLITICA che vi tacciono.

 

In realtà la guerra in corso tra Russia e Ucraina è guerra alla Russia dichiarata dagli USA, combattuta dalla NATO, servente l’UE, una volta annullata la Germania. E’ guerra del gas e per il gas. E’ guerra perché gli USA vogliono riconquistare il dominio politico tramite il dominio militare, avendo perso l’egemonia economica.

 

/Subaltern studies Italia/

 

 

LA DIFFERENZA

 

da Sara Reginella, autrice di ”Donbass - la guerra fantasma

nel cuore d'Europa”, Exorma ed., 2021

 

- Per me non c'è differenza tra il dolore di un bambino ucraino, di un bambino del Donbass o di un piccolo palestinese.

In questo percorso, mi limito a condividere la mia esperienza con chi è interessato a capire.

Cosa c'è da capire, al di là dell'odio e delle etichette?

Alcuni fatti, di cui non si parla nei grandi media, ovvero: come ti scateno una guerra, esportando la democrazia.

Tra la fine del 2013 e l'inizio del 2014, a Kiev, in Ucraina, c'è stato un violento cambio di governo fomentato dall'Occidente e attuato con una manovalanza neonazista. Lo mostro nelle immagini dei miei reportage: politici occidentali sul palco a Kiev e ruspe, catene, spranghe, lanciafiamme contro la polizia nella piazza centrale e nelle strade della capitale.

Chi all'inizio manifestava pacificamente è stato tradito.

Il Donbass si è opposto a tutto ciò e con un referendum ha autoproclamato le Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk. L'Ucraina ha risposto con le armi, con il congelamento delle pensioni agli anziani, ai disabili e col blocco degli stipendi agli statali in Donbass.

Nei primi mesi del conflitto, la popolazione russofona ha iniziato a morire letteralmente di fame.

Interi villaggi sono stati distrutti nelle regioni del Donbass, negli scontri tra le milizie popolari e l'esercito ucraino.

Gli scontri sono continuati per otto anni, ma grazie alla diplomazia, con gli accordi di Minsk il conflitto è passato da un livello di alta intensità a un livello di bassa intensità.

Purtroppo però, si è continuato a morire. Per troppo tempo. E si è arrivati allo scorso anno.

Con l'esercitazione Defender Europe 2021, la più grande mai tenuta dalla fine della guerra fredda, la NATO ha schierato il proprio contingente militare lungo i confini della Federazione Russa.

Quest’ultima ha risposto mobilitando le proprie forze armate e ha chiesto ripetutamente garanzie sulla fine dell'attività militare nelle repubbliche ex sovietiche e sulla fine dell'oggettivo accerchiamento militare che perdura da trent'anni. Perché tale richiesta?

Perché un missile della NATO piantato sul territorio ucraino, che in pochi minuti è in grado di raggiungere Mosca, così come un missile russo piantato ai confini con gli U.S.A., che in pochi minuti è in grado di raggiungere Washington, in termini di equilibri di forze geopolitiche e sicurezza internazionale fa la differenza.

Chi sta nelle stanze dei bottoni conosce queste differenze.

Nonostante ciò, dall'Occidente non giunge alcun tipo di rassicurazione.

Piuttosto, si alza il tiro: alla fine del 2021, alla richiesta di garanzie da parte della Russia, gli Stati Uniti rispondono con lo stanziamento di altri fondi per gli armamenti in Ucraina.

Si attende un feroce attacco contro il Donbass dove in otto anni migliaia di cittadini, da apolidi hanno richiesto e ottenuto la cittadinanza russa.

Ma l'esercito russo entra in Donbass.

Il 24 febbraio 2022, in Occidente le persone si svegliano e scoprono che c'è una guerra.

Da quel giorno, il dolore del popolo ucraino diventa il nostro dolore.

extract. da Sara Reginella FB

 

MAIDAN e DONBASS, è da qui che parte la guerra

 

- Il movimento filoeuropeista, già protagonista della Rivoluzione Arancione, si era inserito a fianco del movimento di protesta in atto contro la crisi economica e la corruzione. Poi si erano aggiunti partiti e gruppi della destra ultranazionalista, come Svoboda e Pravy Sektor, il cosiddetto "Settore Destro”. All'interno di questo movimento di protesta, che fu chiamato "Euromaidan", iniziarono così a sventolare, accanto a quelle europee, bandiere rosso-nere del settore destro e drappi giallo-blu del partito Svoboda. Quest'ultimo, inizialmente denominato Partito nazional sociale ucraino, dal nome del Partito nazionalsocialista di Hitler, fu fondato nel 1991 da Andrij Parubiy, l'attuale presidente della Rada, il parlamento ucraino. Il wolfsangel, simbolo usato dalla divisione tedesca SS Das Reich, era anche il simbolo ufficiale del partito, poi sostituito nel 2014 da una surreale mano gialla.

Le proteste connesse al movimento Euromaidan portarono a febbraio 2014 a un violento colpo di stato, perlopiù descritto dai media occidentali come una rivoluzione democratica contro il presunto dittatore ucraino (democraticamente eletto) Viktor Yanukovyč.

In risposta a ciò, ad aprile dello stesso anno, nelle regioni di Donetsk e Lugansk, in Donbass, territorio del sud-est ucraino al confine con la Russia, dove le posizioni del movimento Euromaidan non erano condivise e il nuovo governo era considerato illegittimo, avvenne qualcosa di inaspettato. Furono

occupati gli istituti pubblici e la popolazione fece un salto indietro

nel tempo. Esplosero gli orologi e bruciarono i calendari: l'autoproclamazione delle Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk sancì, in quelle aree, il tentativo di ritornare a un'essenza passata, quella del mondo precedente alla dissoluzione dell'Unione Sovietica. L'Ucraina si spaccò ed ebbe inizio un conflitto che vide le milizie separatiste delle Repubbliche popolari del Donbass scontrarsi contro l'esercito ucraino del nuovo governo di Kiev. Si era tornati ai tempi della guerra fredda, una “nuova” guerra fredda in cui il ruolo dei "cattivi" veniva assegnato agli abitanti del Donbass, accusati di terrorismo e colpevoli di essersi opposti a quei movimenti filoeuropeisti e filoamericani che, a loro avviso, avrebbero contribuito alla svendita delle proprie terre. So che in questi luoghi di confine è molto forte e radicato il sentimento di appartenenza all’universo russo, quel mondo che avevo iniziato ad esplorare negli anni precedenti lo scoppio del conflitto. (..)

Una parte del mondo, infatti, vedeva la rivolta di Maidan come una rivoluzione democratica e la reazione separatista del Donbass come una svolta terroristica, veicolata dall'occupazione militare russa. L'altra parte del mondo vedeva, invece, gli eventi di Maidan come connessi a un colpo di stato e la risposta separatista del Donbass come una forma legittima di resistenza antifascista.

 

da Sara Reginella, Donbass - La guerra fantasma nel cuore d’Europa

pp.16/17 e 19

 




Sara Reginella nasce ad Ancona nel 1980. Lavora come psicologa a indirizzo clinico e giuridico e come psicoterapeuta. È regista e autrice di reportage di guerra. I suoi lavori integrano l’interesse per le dinamiche psicologiche con l’attenzione per l’attualità.

Post FB 

giovedì 17 marzo 2022

IL GRANDE SPIRITO, di Sergio Rubini: LO SPIRITO DEI SIOUX NELLA TARANTO DELL’ILVA

 





Tra i palazzi del quartiere Tamburi di Taranto, a ridosso delle ciminiere dell’ imponente e sfiammeggiante impianto siderurgico più grande d’Europa, si consuma la vita di Cervo Nero, l’ultimo nativo. La sua alienazione è da sradicamento, perdita della presenza, che può reintegrarsi solo con il grande spirito dell’appartenenza ancestrale, mentre nel mondo intorno si uccide per il profitto, il denaro, il falso amore, la produzione e ci si rincorre a vuoto sulle terrazze contigue dei condomini popolari con un’umanità violenta perchè dolente, con vero impazzimento sociale. Il film più demartiniano di Sergio Rubini con un superbo Rocco Papaleo.

 MOVIE SUBALTERN

 In esclusiva sul canale You Tube di Subaltern studies Italia

durata 1’57”

 

Girato a Taranto, sullo sfondo dell’ imponente Ilva sulla città e sulle vicende umane, il film è uscito nelle sale cinematografiche italiane il 9 maggio 2019. Un piccolo malvivente decide di appropriarsi del bottino di una rapina effettuata in città. Inseguito dai suoi ex complici, ferito, si rifugia in una terrazza, dove vive Renato (Rocco Papaleo) un uomo con problemi psichici, che si crede un Sioux e si fa chiamare Cervo Nero. È proprio quest’ultimo il vero rappresentante dello spirito del film: come i nativi americani, è lo sradicamento del senso di appartenenza ad avergli fatto smarrire ‘la presenza’, di demartiniana memoria. Nasce così un sodalizio e un'amicizia che aiuta entrambi a sopravvivere in un mondo reale più triste e violento del far west immaginato da Renato.

https://youtu.be/fl5PzHet9dM

 


venerdì 11 marzo 2022

MA QUESTO MONDO NON È PIÙ MAGICO: De Martino, guerra e 'dramma della presenza'

 

L’intento di superare, con lo sguardo etnologico filosofico, visioni parziali, a modo di vedere di de Martino, della pluridimensionità e onnilateralità dell’umano, proprio per la composizione di un necessario nuovo umanesimo, ha reso la sua riflessione non più solo legata e funzionale al riscatto dei gruppi subalterni, ma ‘disinteressata’ (fur ewig, aveva scritto Gramsci per se stesso) e profonda, perché capace di ipotizzare spiegazioni sulla ‘condizione umana’ che, sulla base delle indagini e ricerche documentali sulle classi subalterne del Mezzogiorno d’Italia e il loro mondo, durate per l’intera sua vita di studioso (e con le categorie interpretative in particolare dell’ethos del trascendimento e della destorificazione del negativo) si rivelava e manifestava nelle materiali condizioni dell’esistenza dei popoli e delle loro culture. - fe.d.

De Martino, guerra e ‘dramma della presenza’

da Fabio Dei


-Presenza è per de Martino l’unità del Sé, l’autonomia dell’individuo rispetto al mondo e agli altri e la capacità di agire attivamente. Questo bene fondamentale, che la nostra cultura dà per scontato, è in realtà una trasformazione storica. C’è stata un’epoca, quella della magia, in cui la presenza non era garantita e andava ogni volta difesa e riaffermata dalla comunità e dalla cultura di fronte alle pressioni del “negativo“. E anche oggi, in condizioni particolari di incombenza del negativo (come possono essere quelle della guerra), la presenza può entrare in crisi e aver bisogno di essere riscattata attraverso l’azione dei riti e dei simboli.

È difficile sottrarsi all’impressione che il “dramma“ della presenza perduta e riconquistata messo in scena nel suo libro abbia a che fare con la tragedia della guerra, con il disfarsi e rinascere del soggetto occidentale che essa ha prodotto. Quello della magia è un mondo arcaico, ma può ripresentarsi nel presente: “In una situazione di particolari sofferenze e privazioni, nel corso di una guerra, di una carestia, eccetera., l’esserci può non resistere alla tensione eccezionale, e può quindi di nuovo aprirsi al dramma esistenziale magico“ [de Martino 1948,156 nota]. + Un autorevole commentatore osserva che la teoria della crisi e del riscatto culturale della presenza è il modo peculiare di de Martino di parlare alla crisi contemporanea legata alla guerra. “Quel che accade è una specie di transfert, la carica emotiva inespressa viene proiettata sull’oggetto, la labilità e la precarietà vissute nel presente diventano le costanti essenziali del mondo magico (…) Questo transfert fa sì che “Il mondo magico” costituisca in qualche modo un “riscatto della presenza” del mondo occidentale”. [Cases, 1973]. ++

da Fabio Dei, Cultura popolare in Italia. Da Gramsci all’Unesco, Il Mulino, 2018, pp.70-71.

+ E. de Martino, Il mondo magico. Prolegomeni a una storia del magismo, Einaudi

++ C.Cases, Introduzione, in E. de Martino, cit., ed. Boringhieri, pp.vii-lii.






mercoledì 9 marzo 2022

Alienazione e libertà nel giovane Marx

 

Alienazione e libertà nel giovane Marx. Attualità di un problema filosofico, Città del Sole, 2021

Abstract

Mentre da un lato sembra non esserci alternativa al capitalismo liberista su scala globale, dall'altro problematiche sempre più complesse e di vasta portata come quelle a cui stiamo assistendo (la pandemia, il riscaldamento atmosferico, le ondate migratorie) rendono sempre più urgente un ripensamento del sistema produttivo. La lezione di Marx ritorna qui attuale in quanto ci permette di cogliere il principio di alienazione dietro a questa situazione: siamo consapevoli che il nostro stile di vita non è compatibile con le risorse del pianeta, ma allo stesso tempo non riusciamo a intravedere alcuna concreta via d'uscita. Le cose seguono il loro corso naturale senza alcuna interferenza da parte dei cittadini, processi in atto da secoli agiscono sotterraneamente senza una direzione o uno scopo ben precisi, crisi periodiche spezzano l'illusione di una qualsivoglia forma di progresso lineare. Di fronte all'evidenza dei fatti più recenti, un punto rimane da chiarire: in che misura può dirsi libera una società votata all'autodistruzione che preferisce sacrificare se stessa invece che correggere i propri distorti meccanismi?




Non esiste alcuna autonomia individuale che non sia allo stesso tempo anche autonomia politica: subire gli eventi del mondo senza avere voce in capitolo, e conformarsi lentamente allo status quo senza rendersene conto, è la definizione esatta di alienazione secondo Marx. Una condizione dunque che non indica affatto uno stato mentale soggettivo, ma un rapporto di forza strutturato nell'essenza stessa del capitalismo - rapporto di forza che ancor oggi definisce la nostra sudditanza nei confronti del mercato.
dall'Introduzione

Elvis Zoppolato (1992) è un filosofo, professore e giornalista freelance di origine friulane. Laureato in filosofia a Venezia e a Bologna, nel 2016 ha partecipato al progetto Erasmus, studiando per un anno a Lisbona: qui, grazie al professor José Barata-Moura, si è avvicinato alle tematiche del marxismo. Appassionato di scrittura e tematiche sociali, ha cominciato poi a occuparsi di giornalismo, pubblicando su Manifesto, Fatto Quotidiano, Left, Micromega, Lettera43 e altri giornali minori. Nel 2019 è partito come volontario internazionale per il Brasile, dove ha lavorato come educatore in un istituto per l'infanzia nelle favelas. Vive e insegna a Udine.


domenica 6 marzo 2022

LE CENERI DI PIER PAOLO

 

100 ANNI

 

In vita non era così amato come in morte, un intellettuale artista ’polimaterico’ pluridisciplinare, mai allineato, spietato con la classe piccolo-borghese, di cui detestava l’ipocrisia e quello che successivamente sarà chiamato il ‘politicamente corretto’. Sapeva guardare lontano, forse troppo, come tutti i visionari. Intersecava i piani, letterario, estetico, cinematografico, iconico, psicologico, sociologico: per questo i critici ne scelgono una parte, a volte si divertono a contrapporle. Chi non ama il Pasolini dei romanzi sulle borgate, ad es., dà i voti al Pasolini degli anni ‘50, quello anche delle ceneri di Gramsci, un capolavoro assoluto. È il Pasolini ’subalternist’, che avrà nel film ”Accattone” nel 1961 il suo apice, che costituirà anche il suo esordio alla regia. Lo indichiamo ai giovani, che non lo hanno avuto come noi affianco e insieme: Pier Paolo è un vostro/nostro compagno di strada. / fe.d.

-Ricordiamo il Pasolini ‘subalternist’. Dell’intellettuale ‘organico’ alle classi subalterne aveva la responsabilità sociale, lo sviluppo del senso critico, la tensione partecipativa che lo spingeva oltre la pagina (Eraldo Affinati), la commozione poetica dinanzi alle “ceneri di Gramsci”, un capolavoro della letteratura del Novecento.

/Subaltern studies Italia/

 

in questo blog:

- dove scri­ve­rebbe oggi Pier Paolo Paso­lini? Allora poteva sfer­rare attac­chi ad alzo zero con­tro i potenti dalla prima pagina del prin­ci­pale quo­ti­diano ita­liano che già da due anni ospi­tava le sue inau­dite pro­vo­ca­zioni. Lì poteva dirsi orgo­glio­sa­mente comu­ni­sta. E pra­ti­care la libertà dell’intellettuale senza riguardi per diplo­mazie e opportunità. Alberto Burgio,


Se ieri Pasolini, oggi…, http://ferdinandodubla.blogspot.com/2014/11/se-ieri-pasolini-oggi.html

 

- L’espressione “mutazione antropologica” è di Pier Paolo Pasolini, e, come categoria interpretativa, appartiene al piano filosofico, esistenziale e antropologico. Ciò che può cogliersi dall’officina poetica e politica pasoliniana, è che la critica alla società borghese deve cogliere l’onnipervasita’ dei suoi dis/valori in crisi di legittimità, non solo in termini di classe, perché concernono una modificazione della natura umana permanente, sebbene questa trasformazione avvenga in senso culturale. MUTAZIONI PASOLINIANE e strumenti analitici per un cambio di “paradigma“, (Ferdinando Dubla, Edgar Morin, Federico Sollazzo) - 

http://ferdinandodubla.blogspot.com/2020/09/mutazioni-pasoliniane-e-strumenti.html

 

- La trasformazione dell’essere umano da naturale ad artificiale, nella crisi apocalittica della perdita di senso del suo rapporto con la natura, che dunque cambia la sua natura interna. PASOLINI, DE MARTINO e LA FINE DEL MONDO, di Daniele Balicco, presentazione Fe.Dubla

http://ferdinandodubla.blogspot.com/2020/11/pasolini-de-martino-e-la-fine-del-mondo.html

 

- PP Pasolini, la critica all'egemonia della borghesia e all'omologazione ideologica, di Lucio Garofalo

http://ferdinandodubla.blogspot.com/2020/11/pp-pasolini-la-critica-allegemonia.htmlInizio modulo

 

Fine modulo

Nella storia c'è sia la natura sia la cultura dell'essere umano, strettamente intrecciate tra loro. La luce, dunque, per Pasolini, è solo della cultura ed è dentro di noi, nella rinuncia alle false consolazioni.

 

non padre, ma umile

fratello - già con la tua magra mano

delineavi l'ideale che illumina

(ma non per noi: tu morto, e noi

morti ugualmente, con te, nell'umido

giardino) questo silenzio. Non puoi,

lo vedi?, che riposare in questo sito

estraneo, ancora confinato.

 

 

«Mi chiederai tu, morto disadorno,

d'abbandonare questa disperata

passione di essere nel mondo?»

 

Pier Paolo Pasolini, Le ceneri di Gramsci, 1957






mercoledì 2 marzo 2022

L’APOCALISSE di DE MARTINO

 

Circondato da venti di guerra e, nei primi anni ‘60 del Novecento, dalla sua trasformazione possibile e da alcuni evocata, da ‘guerra fredda’ a conflitto globale nucleare, l’antropologo partenopeo intensificò i suoi studi e le sue analisi sulle apocalissi culturali e la ‘fine del mondo’, scritti e appunti che furono riordinati e pubblicati dodici anni dopo la sua morte, nel 1977, da Einaudi, con una prefazione di Clara Gallini. Erano, quegli appunti, uno sguardo sul mondo infinitamente grande e il microcosmo interiore, esistenziale, dell’essere umano. E la cultura, le culture, come mediatrici tra quello e queste. L’intento di superare, con lo sguardo etnologico filosofico, visioni parziali, a suo modo di vedere, della pluridimensionitá e onnilateralità dell’umano, proprio per la composizione di un necessario nuovo umanesimo, ha reso la sua riflessione non più solo legata e funzionale al riscatto dei gruppi subalterni, ma ‘disinteressata’ (fur ewig, aveva scritto Gramsci per se stesso) e profonda, perché capace di ipotizzare spiegazioni sulla ‘condizione umana’ che, sulla base delle indagini e ricerche documentali sulle classi subalterne del Mezzogiorno d’Italia e il loro mondo, durate per l’intera sua vita di studioso (e con le categorie interpretative in particolare dell’ethos del trascendimento e della destorificazione del negativo) si rivelava e manifestava nelle materiali condizioni dell’esistenza dei popoli e delle loro culture. Affatto una cesura, dunque, tra la ricerca e la riflessione analitica, ma una linea di continuità per l’indagine complessiva del rapporto tra storia, natura e cultura. A riprova di questo, un passo del primo testo impegnativo dell’antropologo, pubblicato da Laterza nel 1941, “Naturalismo e storicismo nell’etnologia”, in cui muove alla critica del naturalismo etnologico sperimentando gli strumenti dello storicismo crociano, dimostrando al contempo la sua inadeguatezza e insufficienza ermeneutica per l’auspicata apertura del confronto con le correnti antropologiche che si affacciavano alla contemporaneità, culturaliste e strutturaliste in primis. (+ cfr. Carla Pasquinelli, paragrafo in nota).

E’ bene dunque che di questo grande autore dei Subaltern studies italiani, non venga prodotto uno “spezzatino” [storicista crociano, meridionalista sul campo (marxista, gramsciano), filosofo delle apocalissi culturali, dell’ontologia ed esistenzialista (critico di Marx e Gramsci)], consegnandolo alle elucubrazioni accademiche astratte e sterilmente sganciato dalla prassi e dunque da una feconda interlocuzione con il presente. Possiamo sostenere che è proprio questo passo scritto dal giovane de Martino a consegnarcelo per intero, tra l’inizio del suo itinerario e l’apocalissi, tra l’angoscia esistenziale e il riscatto dei subalterni, tra la fine dei paradigmi di civiltà e la ‘fine del mondo’.

 

IL DRAMMA STORICO DELL’OCCIDENTE

 

“La nostra civiltà è in crisi: un mondo accenna ad andare in pezzi, un altro si annunzia. Naturalmente, come accade nelle epoche di crisi, variamente si atteggiano le speranze e variamente si configura il “quid maius” che sta per nascere. Tuttavia una cosa è certa: ciascuno deve scegliere il proprio posto di combattimento, e assumere le proprie responsabilità. Potrà essere lecito agire male: non operare, non è lecito. Ciò posto, quale è il compito dello storico? Tale compito è sempre stato, ed ora più che mai deve essere, l’allargamento dell’autocoscienza per rischiararare l’azione”.

E.de Martino, Naturalismo e storicismo nell'etnologia, Laterza, 1941, pag.12

 

sul blog: Le tre edizioni de ‘La fine del mondo’ di Ernesto de Martino

http://ferdinandodubla.blogspot.com/2020/07/interpretazioni-dellapocalisse-le-tre.html

 

Su Academia: l’edizione Laterza 1941 di ‘Naturalismo e storicismo nell’etnologia” in formato pdf

https://www.academia.edu/53008889/Ernesto_De_Martino_Naturalismo_e_Storicismo_nelletnologia_ed_Laterza_1941

 

paragrafo in nota

Carla Pasquinelli su “Naturalismo e storicismo nell’etnologia” (1941) di Ernesto de Martino

Cfr. anche http://ferdinandodubla.blogspot.com/2021/09/ernesto-de-martino-naturalismo-e.html



Del tutto trascurato il peso che sul giovane de Martino hanno esercitato quelle correnti culturali, con cui come storico delle religioni si è venuto a trovare in contatto.

È attraverso un ambito come questo, meno soggetto all’egemonia crociana e come tale più aperto ad una circolazione e ad uno scambio culturale altrimenti in altri campi gravemente compromesso, che de Martino è potuto venire a conoscenza di temi e correnti del pensiero europeo, come la psicoanalisi, la fenomenologia e l’esistenzialismo, che verranno progressivamente assumendo negli anni successivi un peso dominante all’interno della sua metodologia e della sua riflessione, ma che sono già allora largamente presenti. (..)

A spingerlo in tale direzione certamente non era stata estranea l’influenza esercitata da Adolfo Omodeo, presso cui de Martino compì larga parte della sua formazione. (..)

Estendere la metodologia storicista alla etnologia non significa però per de Martino soltanto riscattare tale disciplina alle impasse della impostazione naturalistica, ma anche e soprattutto fornire allo storicismo un nuovo terreno di indagine all’interno del quale provare la propria consistenza metodologica e culturale e magari arricchire attraverso la conoscenza di nuovi mondi, di nuove società storiche una metodologia nata e maturatasi esclusivamente all’interno della cultura occidentale.

da Carla Pasquinelli, Croce e lo “storicismo eroico”, sta in Ernesto De Martino: riflessioni e verifiche, incontro-dibattito 15-17 dicembre 1975, a cura dell’Istituto Gramsci - sezione di Firenze e Istituto Ernesto De Martino - Milano, resoconto dattilografato Istituto Gramsci - Firenze, pp. 9,11, 16-17.


Carla Pasquinelli, (n.1939), antropologa



LA STRAGE DI ODESSA - 2 maggio 2014

 

AL FIANCO dei POPOLI

 

Chi paga le conseguenze di ogni guerra sono le popolazioni e le opere dovute all’alacre lavoro delle donne e degli uomini del mondo ed è per questo che ogni guerra è ingiusta. I media con l’elmetto, invece di far comprendere, storicamente e politicamente, e spingere per soluzioni pacifiche, costruiscono il “nemico” come il male assoluto da abbattere, il mostro che attacca la civiltà. Non è così, oggi come ieri.

Pensiamo che la Russia debba trovare altre strade che non quelle armate per difendere le repubbliche popolari indipendenti del Donbass e i diritti dei popoli di lingua e cultura russe, ma riteniamo altresì che l’accerchiamento USA-NATO alla Russia che utilizza l’Ucraina come avamposto di una politica di aggressione sviluppata, a sua volta, servendosi di milizie neonaziste violente e squadriste in funzione anticomunista, sia inaccettabile.- fe.d.

 

 

 

LA STRAGE di ODESSA - 2 maggio 2014

 

Riportiamo la voce che abbiamo contribuito a creare e sviluppare su Wikipedia nella sua redazione attuale e che può essere salvata in formato .pdf - link

https://it.wikipedia.org/.../page/pdf/Strage_di_Odessa

https://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Speciale:DownloadAsPdf&page=Strage_di_Odessa&action=show-download-screen

/Subaltern studies Italia/

 

La strage di Odessa è un massacro avvenuto il 2 maggio 2014 ad Odessa presso la Casa dei Sindacati, [1] in Ucraina, ad opera di estremisti di destra, neonazisti e nazionalisti ucraini ai danni dei manifestanti che si opponevano al nuovo governo instauratosi nel Paese in seguito alle rivolte di piazza di Euromaidan. In concomitanza del rogo, preceduto e seguito da linciaggi e violenze nei confronti degli aggrediti, trovarono la morte almeno 48 persone tra impiegati della Casa dei Sindacati, manifestanti contrari al nuovo governo, o favorevoli al separatismo, simpatizzanti filo-russi e membri di partiti di estrema sinistra.

 

ANTEFATTI

Con le rivolte di Euromaidan a Kiev, sostenute anche da milizie di estrema destra, [2] il presidente ucraino filo-russo Viktor Janukovyč venne destituito e sostituito da una "Giunta" filo-occidentale. Questo cambio di regime provocò la reazione dei sostenitori di Janukovyč e di una parte della popolazione ucraina contraria alla svolta filo-occidentale (tra cui i membri del Partito Comunista dell'Ucraina). Il 2 maggio 2014 si ebbero quindi anche ad Odessa scontri di piazza tra le fazioni contrapposte.

IL MASSACRO

In seguito agli scontri, in cui erano intervenute anche frange paramilitari nazionaliste (in particolare quelle di "Pravyj Sektor") [3], i manifestanti antigovernativi si rifugiarono nella Casa dei Sindacati. Questi manifestanti vennero seguiti ed aggrediti ferocemente all'interno dell'edificio dai sostenitori di Euromaidan e dai militanti di estrema destra, che successivamente circondarono l'edificio e appiccarono il fuoco. [4]

Nell'incendio che ne scaturì trovarono la morte 42 persone (34 uomini, 7 donne e un ragazzo di diciassette anni) [5], alcune delle quali del tutto estranee ai fatti in quanto si trovavano all'interno dell'edificio per ragioni di lavoro. Gli estremisti di destra impedirono ai vigili del fuoco di accedere all'area per poter intervenire. I pochi che riuscirono in maniera fortunosa a fuggire dall'incendio furono linciati dai militanti neonazisti che circondavano il palazzo.[6] Alla fine del rogo i testimoni trovarono i corpi carbonizzati dei manifestanti aggrediti e cadaveri di donne seviziate e violentate, tra cui una donna incinta strangolata con dei cavi telefonici.[6] Si scoprì che tra le vittime del massacro vi erano anche persone colpite da armi da fuoco e mutilate con armi da taglio.[4]

 

 

CONSEGUENZE

Il nuovo governo ucraino a capo di Oleksandr Turčynov è Arsenij Jacenjuk si limitò a parlare di una fatalità che era costata la vita a circa 30 persone. La stampa vicina al nuovo governo attribuì l'incendio ai manifestanti filo-russi. Ben presto questa versione venne smentita dalle testimonianze dei sopravvissuti e di vari osservatori.[4] Ad oggi (2022) nessun processo è stato intentato per la strage.

 

NOTE

 

1. Posizione dell'UE sulla strage di Odessa, su europarl.europa.eu, 7 novembre 2014.

2. La strage senza colpevoli e il lato oscuro di Odessa, su ilgiornale.it, 9 giugno 2017.

«Vennero bruciati vivi, bastonati a morte e presi a fucilate dagli assedianti. Sotto gli occhi delle telecamere di mezzo mondo, il linciaggio si consumò in diretta tv senza che le autorità cittadine facessero nulla per impedire quell'orrore.».

3. L'incendio di Odessa e la stampa italiana, su Globalist. URL consultato il 23 febbraio 2022.

4. La strage di Odessa e la stampa italiana: censura di guerra?, su L'HuffPost, 5 maggio 2014.

5.https://www.ohchr.org/Documents/Countries/UA/OHCHRThematicReportUkraineJan2014-May2016_EN.pdf

6. La strage di Odessa e le ipocrisie dell’Occidente, su Panorama, 9 maggio 2014.


l'incendio alla casa dei sindacati di Odessa - 2 maggio 2014