Subaltern studies Italia

L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

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lunedì 15 febbraio 2021

COSTRUIRE GLI “STATI GENERALI” DELL’OPPOSIZIONE di CLASSE

 

da Coordinamento Nazionale delle Sinistre di Opposizione

Care/i compagne/i,
è sicuramente evidente a tutti noi la rilevanza del cambio politico intervenuto con la formazione del governo Draghi. Un governo che è diretta espressione del capitalismo e della grande finanza, italiani ed europei.
L’ampia unità nazionale che si è raccolta attorno al nuovo esecutivo non è solamente un episodio di clamoroso trasformismo ma la misura della comune subordinazione al capitale finanziario di tutti i partiti di governo. Dai partiti europeisti liberali sino ai partiti di cosiddetta marca sovranista.
L’enfatica celebrazione mediatica di Mario Draghi indica l’investimento centrale della classe dominante nel nuovo esecutivo, come strumento di riorganizzazione del capitalismo italiano e del suo rilancio. Sul piano dei rapporti di classe, a partire dallo sblocco dei licenziamenti, sotto la pressione diretta di Confindustria; ma anche sul piano europeo e internazionale, nel segno di una forte sottolineatura atlantista.
Ogni sostegno accordato al nuovo governo da parte di forze della sinistra politica come da parte delle direzioni sindacali ci pare in profonda contraddizione con tutte le ragioni del lavoro. E viceversa tutte le rivendicazioni più elementari dei lavoratori e delle lavoratrici, a partire dalla difesa della salute e del lavoro, militano contro il governo Draghi.
Per questo crediamo importante che fuori e contro l’unità nazionale attorno a Draghi prenda forma il più vasto fronte unitario di azione di tutte le sinistre di opposizione e di classe, sociali, politiche e sindacali, estranee al campo liberale come alla “galassia sovranista”. Superando ogni logica di primogenitura, di autosufficienza, di auto centratura, ci pare sia il momento di costruire gli “Stati Generali” dell’opposizione di classe.
Non è in discussione naturalmente la piena autonomia politica e organizzativa di ogni soggetto, nella consapevolezza delle diversità esistenti. L’esigenza che qui vogliamo sottolineare è un’altra: quella di fare fronte comune contro il governo dal versante dei lavoratori e delle lavoratrici; quella di una unità d’azione delle nostre organizzazioni che si ponga al servizio della ricostruzione di una opposizione di massa. L’unica in grado di alzare un argine e di incidere sui rapporti di forza, tanto più a fronte del nuovo scenario politico.

Ci rivolgiamo dunque a tutte le organizzazioni della sinistra di classe, e a tutti i circuiti dell’avanguardia che già si pongono sul terreno dell’opposizione e già sollevano con diverse modalità il tema dell’unità delle lotte, per discutere insieme su come fare fronte comune. Per quel che ci riguarda siamo pienamente disponibili a superare la nostra stessa esperienza di coordinamento dentro un fronte d’azione più largo.

La preparazione comune di una manifestazione nazionale unitaria contro il governo di tutta l’opposizione di classe – da discutere e definire congiuntamente – ci pare possa essere un banco di prova importante dell’unità d’azione.
Coordinamento nazionale delle sinistre di opposizione
(Comunisti in Movimento, Fronte Popolare, La Città Futura, Partito Comunista Italiano, Partito Comunista dei Lavoratori, Partito Marxista-Leninista Italiano)


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domenica 14 febbraio 2021

Libertà per Abdullah “Apo” Ocalan

 

di Rosella Simone

C’è un uomo chiuso da 21 anni in una cella di isolamento di una fortezza su un’isola, le uniche voci umane autorizzato ad ascoltare sono quelle dei suoi carcerieri. Si chiama Abdullah Ocalan e deve essere un uomo speciale perché pur sottoposto a tortura quotidiana (questo è la sostanza dell’isolamento) non è impazzito. O forse sì, visto che, in quelle condizioni estreme, ha saputo immaginare e proporre un futuro di pace in questo pianeta dove i cosiddetti sani sembrano impegnati soprattutto a distruggerlo. Ocalan dal carcere parla a tutti noi di convivenza democratica tra etnie diverse, del ruolo essenziale delle donne nel costruire pace e libertà, di ecologia, di etica ed estetica come categorie fondanti della politica. Alcuni si chiederanno, ma non era il capo di una banda di terroristi nazionalisti denominato PKK? Dal 1984 al 1999, Ocalan è stato a capo del movimento di liberazione nazionale Pkk a ispirazione marxista del popolo curdo. Una “insurrezione” che nel tempo, grazie a Ocalan, ha cambiato fisionomia culminata nel 2013 nella dichiarazione unilaterale di cessate il fuoco e, soprattutto, su una cambio di paradigma elaborato nel tempo del carcere che lo ha portato a ipotizzare una soluzione politica alla questione curda all’interno del Confederalismo democratico.
Qualcuno potrebbe cinicamente pensare : “Il carcere gli ha fatto bene, ha smesso di volere una nazione curda sulla canna del fucile”. Il carcere non fa bene, solo pochi riescono ad usarlo per capire di più invece di odiare di più, forse ci sono riusciti solo Antonio Gramsci e Abdullah Ocalan. In tempi e modi diversi hanno saputo ribaltare le logiche del presente e prefigurare spicchi di futuro. Ocalan ha intuito una via per la dignità umana capace di andare oltre la guerra. Ma c’è voluto la caduta dell’Unione sovietica e la fine del bipolarismo per capire la tossicità del concetto di Stato-nazione e del patriarcato. Ha, insomma, intravvisto e teorizzato una idea di pace e tolleranza al di là della brutalità e l’arroganza espressa dei potenti d’0ccidente che, dopo la prima guerra mondiale, avevano rilegato un popolo, i curdi (e non solo), a cittadini di secondo ordine (i cosiddetti turchi di montagna) scorporandolo dentro i confini di quattro stati differenti (Turchia, Siria, Armenia, Iraq). Confini inventati e tracciati con il righello al solo scopo di garantire in quell’area una instabilità permanente.
Si, è vero, al tempo in cui gli ultimi stati coloniali si prendevano la loro libertà con le armi anche il popolo curdo sotto il comando di Ocalan ha preso le armi e chiesto una patria. Il PKK era allora un esercito di librazione nazionale che agiva soprattutto in Turchia e con basi di sicurezza in Siria. Poi nel 1998 i rapporti tra Siria e Turchia si sono fatti più precari e i due paesi si sono trovati sull’orlo del conflitto. La Turchia chiede alla Siria la consegna di Ocalan che non lo consegnerà ma gli intimerà di lasciare il paese. Inizia così una oscura sequenza di tradimenti e vigliaccherie perpetrati da vari stati: dalla Russia che prima lo accoglie e dopo pochi giorni lo caccia, dall’Italia dove approda il 12 dicembre 1998 accompagnato da Ramon Mantovani, deputato di Rifondazione comunista, alla Germania che non ne chiede la estradizione per non molestare Erdogan e i milioni di turchi che vivono in Germania.
Arrivato in Italia Ocalan si consegna alla autorità italiane e chiede asilo politico al governo italiano di D’Alema. In Turchia è in vigore la pena di morte e questo vieterebbe all’Europa democratica di concedere l’estradizione. Ma chi osa mettersi contro il dittatore turco? Il 16 gennaio 1999 Ocalan viene convinto a partire per Nairobi dove sarà trafugato dagli agenti dei Servizi segreti turchi del Milli Istihbarat Teskilati, fatto salire su un aereo privato, portato in Turchia e rinchiuso nel carcere di massima sicurezza di Imrali, un’isola del mar di Marmara. Condannato a morte, la pena verrà commutata dopo qualche anno in ergastolo rafforzato, di fatto all’isolamento perpetuo.
Il Comitato per la Prevenzione della Tortura (CPT) che ha potuto visitarlo una prima volta nel 2016 e la seconda nel 2019 ha rivelato che i quattro prigionieri, nel frattempo se ne sono aggiunti altri tre tutti in isolamento: “Sono stati tenuti in isolamento 159 ore su 168 a settimana, comprese 24 ore al giorno nei fine settimana” affermando che "un tale stato di cose non è accettabile". Il CPT ha lamentato inoltre l'assenza quasi totale di visite familiari negli ultimi anni a Ocalan e il rifiuto delle richieste di visite dei suoi avvocati dal 2019.
Eppure Ocalan, pur contando sulla dedizione di tutto il popolo curdo, continua a parlare di confederalismo democratico, di rivoluzione delle donne e di ecologia invece che di guerra. In un contesto come quello medio orientale tartassato dai conflitti propone un orizzonte di pace e di tolleranza e depone le armi e la patria che ipotizza non ha più confini territoriali ma confini morali, ed è per questo che è veramente pericoloso nei confronti del potere assoluto, delle smanie di espansione sulla terra e sul mare di Recep Tayyip Erdogan. Un personaggio oggettivamente pericoloso ma che le democrazie europee trattano con i guanti bianchi per paura che milioni di migranti resi tali della prepotenza economica e neocoloniale di cinesi, statunitensi, emirati arabi ed europei, ci invadano per sfuggire la fame, le guerre, le carestia e i loro governi corrotti tenuti in piedi a forza di sovvenzioni straniere.
Sebbene in galera da 21 anni, il più lungo isolamento al mondo, la sua gente non ha dimenticato Ocalan, è la loro bandiera. Il popolo lo segue come la speranza di un mondo in divenire dove la forza non sia la sola legge e la solidarietà prevalga. Sono un popolo strano i curdi, hanno attraversato mille sofferenze cercando rispetto, vita, libertà. Non odiano ma sono impegnati a smascherare la tossicità del modello patriarcale capitalista.
Ocalan è in carcere in isolamento totale perché ce lo ha messo Erdogan ma tenercelo e anche l’interessata indifferenza dell’occidente che lo vuole in galera a marcire da solo perché quel suo modo di porsi e di pensare è antagonista all’egoismo dell’occidente. Un Occidente che ha usato i curdi come carne da macello quando servivano per difenderlo dalla jihad sunnita per poi mollarli appena non erano più utili. Anche per questo non lo lasciano uscire e per questo noi lo vogliano libero.
Il pensiero di Ocalan viene alla luce con tutto il suo spessore nell’esperienza di autogestione del Rojava. La liberazione per via politica della donna dai gravami oppressivi e atroci delle società medio orientali viene sostituita dal protagonismo organizzato delle donne in tutte le sfere della vita sociale e politica anche nella forma del loro armamento e di reparti femminili. Ciò che abbiamo visto nei mesi scorsi e che vediamo della resistenza allo Stato Islamico da parte delle curde e dei curdi del Rojava è quanto già il PKK praticava da Tempo.
Oggi dai suoi scritti possiamo dire che il suo pensiero rappresenta il socialismo del ventunesimo secolo e anche dopo 21 anni di carcere Ocalan rimane sempre più il punto di riferimento del popolo curdo, ma anche un punto di riferimento per tutti quelli che lottano per una società diversa.
Oggi è compito di tutti i democratici chiedere la libertà di Ocalan. Le feroci condizioni di carcerazione a cui è sottoposto da 21 anni, l’isolamento più lungo della storia, devono terminare. Dopo ben 8 anni i suoi avvocati hanno potuto incontrarlo nel maggio del 2019 quando il governo turco aveva dovuto cedere di fronte a uno dei più grandi scioperi della fame che aveva visto in Turchia il coinvolgimento di più di 7000 persone.
Oggi è arrivato il momento di chiedere la LIBERTA’ DI OCALAN. 
Vi chiediamo di firmare e di far firmare la piattaforma CHANGE al link 
 
 
e di diffondere la campagna per la raccolta delle firme con tutte le iniziative possibili.
Il mondo intero si è entusiasmato per quei miliziani semidisarmati, per quelle ragazze e quei ragazzi del PYD curdi- siriani che hanno difeso l’Occidente dal terrorismo fondamentalista sunnita in nome di una idea di società democratica e comunitaria ispirata dal loro leader APO salvo poi abbandonarli non appena i governi di Russia, Unione Europea, Stati Uniti li hanno ritenuti non funzionali ai loro interessi geopolitici. Così come hanno abbandonato alla violenza dello stato turco i prigionieri curdi e i democratici turchi della Turchia.
Non abbandoniamoli anche noi. Firmate e fate firmare l’appello per la liberazione di Ocalan.



martedì 9 febbraio 2021

LA RESA e l'avvento dei Draghi - analisi sul nuovo scenario politico (Alboresi-Dubla-Giannini)

 

Whatever it takes Costi quel che costi è il motto del drago dei poteri forti / sempre la sinistra di classe deve ripartire dalla mobilitazione popolare —ora, più di prima, bisogna difendersi dal virus e dai poteri delle oligarchie capitaliste.

Mauro Alboresi, segretario naz. del PCI, 3 febbraio 2021

(..) Oggi la posta in palio è ancora quella del chi sarà chiamato a pagare il prezzo di quella crisi per tanta parte mai risolta, e da un anno drammaticamente amplificata sul piano economico e sociale dalla pandemia da Covid-19, del chi sarà chiamato a gestire le politiche largamente eterodirette dall’Unione Europea attraverso il “combinato-disposto” rappresentato dal Recovery fund e dal Recovery plan, a garantirne la finalizzazione a favore di quegli stessi gruppi.

Politiche largamente finanziate attingendo a prestiti, alla cui restituzione l’Italia, che evidenzia un debito pubblico in rilevante crescita, sarà comunque chiamata, e sullo sfondo, con la riproposizione del “ce lo chiede l’Europa”, aleggia il ripristino del patto di stabilità europeo ad oggi sospeso.

Il venire meno del governo Conte bis, stante anche alcune sue eterodossie (si al memorandum con la Cina relativamente alla nuova via della seta, no al ricorso al MES per la spesa sanitaria) suona anche come una scelta volta a normalizzare il quadro politico dato in una chiave pienamente europeista ed atlantista.

Da più parti si sottolinea che l’affermazione del governo “tecnico” rappresenta una sorta di “abdicazione della politica” dal proprio ruolo, dalla propria funzione, in realtà quanto si prospetta, al di là del carattere che gli si attribuisce, è un atto compiutamente politico, pienamente dentro la logica che sostanzia il processo di Unione Europea affermatosi, che contempla tra l’altro una progressiva riduzione del ruolo e della funzione dei governi, dei parlamenti.

(..) Ciò che serve, lo abbiamo più volte sottolineato, non sono generici appelli agli interessi del Paese, all’unità, né la promozione di governi cosiddetti tecnici.

Servono politiche in assoluta discontinuità rispetto a quelle date, a quelle prospettate, le une e le altre, infatti, muovono all’interno di un quadro di compatibilità dato dai cosiddetti poteri forti, entro cui gli interessi del blocco sociale al quale noi guardiamo, che assumiamo come riferimento, non possono trovare risposta.

Insistiamo: occorre promuovere, attorno ad una qualificata piattaforma alternativa, la più ampia unità d’azione possibile tra tutte le soggettività politiche e sindacali che non si rassegnano alla situazione data, la più ampia mobilitazione sociale, proporsi di acquisire il massimo consenso. (..)

da "Un altro Mario a garanzia dell'Unione Europea"
https://www.ilpartitocomunistaitaliano.it/un-altro-mario-a-garanzia-dellunione-europea/

LA RESA dei CONTE

l’inettitudine dei 5stelle, che si scinderanno ulteriormente, è direttamente proporzionale alla protervia delle oligarchie capitaliste, di cui Draghi è espressione massima. Hanno avuto gioco facile con l’eclettismo parolaio grillino, un miscuglio di demagogia anticasta e populismo penale qualunquista, con i Bonafede, il poltronista Di Maio, l’Azzolina, il già Toninelli e compagnia cantando, con i massimi teologi sacerdoti inforca-forca a senso unico Travaglio e Scanzi, personaggi culturalmente di destra estrema. Renzi il saudita, ex demagogo di provincia neopopulista al servizio dei poteri forti in servizio permanente (ricordate l’abolizione dell’art.18, il Job act, la legge sulla scuola-azienda, ecc..?) partorito dai boy-scout, dalla DC e dal PD, votato nel 2014 dal 40% degli elettori, gli stessi che lo schifano adesso, ha fatto leva sull’intransigenza, non certo sui principi o sulle timide misure assistenziali confuse e insufficienti ma comunque positive (reddito di cittadinanza, ristori, proroghe fiscali) o sui tenui primi tentativi di smarcarsi dagli interessi delle multinazionali aprendosi a Cina e Russia, varati dal governo Conte, ma sugli insulsi attacchi allo stato di diritto e alle prerogative costituzionali nonché all’attaccamento ai posti di potere dei pentastellati.

Whatever it takes Costi quel che costi è il motto del drago dei poteri forti / sempre la sinistra di classe deve ripartire dalla mobilitazione popolare —ora, più di prima, bisogna difendersi dal virus e dai poteri delle oligarchie capitaliste. fe.d. 

da    https://www.facebook.com/ferdidubla

Fosco Giannini, direttore di CUMPANIS

editoriale “Dopo Conte, l’avvento dei Draghi”

(..) possiamo razionalmente definire l’attacco al governo Conte 2 un ulteriore attacco del fronte USA-NATO alla nostra autonomia nazionale; che possiamo definire l’avvento di Draghi (l’uomo dell’Euro, delle grandi banche mondiali, degli USA e della NATO) come una “strana” commistione unificante di interessi del doppio imperialismo USA-Ue; che possiamo definire Renzi come un meschino e pavido strumento in mano a queste due potenze; che possiamo anche definire le forze, come il PD, che spostano tutto il male sulle spalle di Renzi, (dio acceca chi non vuole vedere) come le forze servili che continueranno, con Draghi, a genuflettersi ai due padroni. Fine ingloriosa che non auspichiamo per il M5S, che ha la possibilità di riscattarsi, opponendosi al governo Draghi, e recuperare e rafforzare una propria identità anticapitalista.
Per ultimo un monito alle forze comuniste e antimperialiste : esse dovrebbero, in una fase così problematica, segnata dal “golpe” strisciante perpetrato dai poteri forti internazionali e dall’immensa sofferenza sociale presente nel Paese, avviare - ora! - seri processi di unificazione, a cominciare dalla lotta unitaria contro l’inquietante stato di cose presenti. Se non ora quando? Così, spesso, si chiudeva, un tempo. E oggi più che mai questa domanda si fa pregnante.

 da https://www.cumpanis.net/dopo-conte%2c-l%e2%80%99avvento-dei-draghi.html