Subaltern studies Italia

L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

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domenica 30 gennaio 2022

Antropologia visuale di Ernesto de Martino-video [Subalternist]

 

Rare foto in video della spedizione in Lucania (1955-1956) e nel Salento (1959) di Ernesto de Martino.

I viaggi nel Sud di Ernesto De Martino Di Arturo Zavattini · 1999 Dall'inchiesta a Tricarico del giugno 1952 alla ricerca sul tarantismo nel Salento del 1959, passando per la "spedizione" in Lucania del 1952 e le successive ricerche del 1956 e del 1959, in quella stessa regione, Ernesto de Martino praticò da antesignano quella che oggi si usa indicare come "antropologia visuale".

A.Gramsci - Il Q.25 - Ai margini della storia (Storia dei gruppi sociali subalterni) - video [IT] [ENG]

 

SUBALTERN SOCIAL GROUPS - Gramsci in ambito internazionale: l’ispirazione nei Subaltern studies - A Critical Edition of Prison Notebook 25

Antonio Gramsci. Edited and translated by Joseph A. Buttigieg and Marcus E. Green.

video [IT] [ENG] durata 6'46"

mercoledì 26 gennaio 2022

LA PROSA DELLA CONTRO-INSURREZIONE

 

di Luca Cangemi


- Dall’appassionata ricerca storiografica del collettivo dei subalternist, tra documenti e testimonianze, come petizioni, costituzioni di delegazioni, dichiarazioni e richieste scritte che precedevano molteplici insurrezioni contadine e operaie, differenti tra loro sia per il contesto che per le caratteristiche dei partecipanti -dal dining+1 di Rangpur verso Deby Sinha, al bidroha+2 di Barasat, dallo hooligan+3 dei Santal, alla “rivolta blu“ dei coltivatori che estraevano il colore indaco - emerge una presa di coscienza consapevole e motivata. Tutte le forme di lotta venivano “inaugurate da lunghe e intense consultazioni tra le rappresentanze delle masse contadine locali” +4, a riprova del fatto che non si trattava di “una sorta di riflesso automatico, ossia una risposta istintiva e sconsiderata a sofferenze fisiche di vario tipo” +5, come la fame, le torture o il lavoro forzato: l’insurrezione era un’iniziativa politica.

L’accento sulla parola <politica> evidenzia la tensione creativa degli storici subalternist tra analisi marxista e critica della modernità indiana, coloniale e postcoloniale; respingere lo storicismo e la categoria di <pre-politico>, sotto cui anche la storiografia marxista aveva classificato le ribellioni contadine, è un atto di denuncia verso ogni narrazione universalista. L’utilizzo delle categorie analitiche eurocentriche ha, dunque, impedito di ri/scrivere la storia indiana: “come ha potuto la storiografia inoltrarsi in questo vicolo cieco senza mai riuscire a trovare una via d’uscita? Per articolare una risposta bisognerebbe iniziare analizzandone nello specifico gli elementi costitutivi, esaminando le sue cesure, giunture e cuciture, quelle che potremmo definire le sue cicatrici, che ci indicano la materia di cui la storiografia dell’India coloniale è fatta e le modalità con cui essa è stata assorbita nella fabbrica della scrittura.” +6.

 

+1Dhing: rivolta.

+2Bidroha: sollevazione.

+3Hool: ribellione

+4 R.GUHA, La prosa della contro-insurrezione, in Id.e Spivak, Subaltern Studies, Modernità e (post) colonialismo, Ombre Corte, 2002

+5Ibidem.

+6Ibidem.

cit. in Luca Cangemi, L’elefante e la metropoli - L'India tra storia e globalizzazione, Dedalo, 2012, pag.55

 

 

SAID, L'ORIENTALISMO e LA PROSA di GUHA

Dov’è  l’altrove?

La filologia, per usare il lessico gramsciano, è espressione metodologica dell'inconfondibile «individualità» dei fatti; come Gramsci trasforma l'astrazione della filologia, isolata dalle dinamiche della realtà, in «filologia vivente», come adesione empatica alla vita della collettività, così Said costruisce, attraverso una metodologia filologica, una critica radicale di ogni fondamentalismo, dall'orientalismo costruito dalla modernità europea, fino al pensiero unico del capitale globale. Una definizione volutamente politica, proprio perché di attività e forze di natura politica è frutto l'orientalismo, scuola di interpretazione il cui oggetto «per caso» l'oriente, le sue civiltà e i suoi popoli, vera e propria «dottrina politica», imposta dal farsi della modernità occidentale, per cancellare ogni irriducibilità di «altri» mondi e culture.                     Luca Cangemi




domenica 23 gennaio 2022

LA “ROTTURA“ di ALTHUSSER

 

Il filo unitario della filosofia di Marx e la “linea di displuvio” principale. Cesare Luporini e l’Ideologia Tedesca di Marx.

L’opera dei ‘giovani’ Marx ed Engels (la redigono nel 1845 e la lasciano alla ‘critica roditrice dei topi’) contiene un’importante annotazione senza la quale neanche gli scritti successivi avrebbero costituito sviluppo e approfondimento: “Si possono distinguere gli uomini dagli animali per la coscienza, per la religione, per tutto ciò che si vuole; ma essi cominciarono a distinguersi dagli animali allorché cominciarono a produrre i loro mezzi di sussistenza, un progresso che è condizionato dalla loro organizzazione fisica.“ (Libro primo, I. Feuerbach A. L’ideologia in generale e in particolare l’ideologia tedesca).
E’ l’essenza stessa della filosofia di Marx ed Engels.
/Subaltern studies Italia/, 18/01/2022

Cesare Luporini: la “rottura epistemologica” e l’evoluzione teorico-politica del giovane Marx
(dall’Introduzione all’edizione 1975 dell’Ideologia tedesca, Editori Riuniti, pp.XIX-XX)
Le tesi su Feuerbach e la Ideologia tedesca vengono così a trovarsi sulla linea di displuvio principale, quella che separa un Marx ancora filosofo-ideologo, benché già pervenuto al comunismo, dal Marx che alla ideologia e al filosofismo viene sostituendo una teoria scientifica (su cui potrà fondarsi il materialismo storico e la "critica" della economia politica). Come è noto questo passaggio rappresenta per Althusser una vera e propria "rottura epistemologica". (..) La periodizzazione proposta da Althusser, ed il modo in cui egli la elabora, hanno il merito di impedire di confondere la evoluzione delle posizioni teoriche di Marx con le tappe della sua evoluzione politica (almeno fino a quando i due aspetti non si unifichino in piena reciproca corrispondenza). Ma tale merito è anche un limite, come mi è già accaduto di dire. Si rischia infatti, attraverso "letture separate" del Marx politico e del Marx teorico, di non vedere, anche per il suo periodo giovanile, quanto, di fatto, la evoluzione politica, ed i problemi che essa genera, abbia contributo alla evoluzione teorica. Sono arrivato alla convinzione che questo nesso è invece decisivo e che l’obliterarlo può condurre ad una ricostruzione deformante, nel senso di un astrattismo e scolasticismo filosofici, in cui gli elementi più dinamici e propulsivi (connessi con l’esperienza reale, prima politica, e poi politico-sociale) dell’evoluzione "giovanile" di Marx, corrono il pericolo di andare perduti. Cesare Luporini

leggi tutto http://www.lavoropolitico.it/luporiniit(1).doc




domenica 9 gennaio 2022

SUBALTERN SOCIAL GROUPS - Gramsci in ambito internazionale: l’ispirazione nei Subaltern studies

 



SUBALTERN SOCIAL GROUPS

A Critical Edition of Prison Notebook 25 

Antonio Gramsci. Edited and translated by Joseph A. Buttigieg and Marcus E. Green. Columbia University Press, agosto 2021

 

Un’edizione critica del Quaderno 25, reso centrale dalle interpretazioni degli autori dei Subaltern studies (in primis quelle di Ranajit Guha e Gayatri Spivak) e di molti studiosi e ricercatori della critica postcoloniale e dei Cultural studies. La cura per la Columbia University Marcus E. Green sulla falsariga delle traduzioni di Joseph Buttigieg. “L'idea per questo volume è emersa nell'estate del 2006. All'epoca, Joseph A. Buttigieg stava preparando il volume 3 dei Quaderni del carcere per la pubblicazione e io stavo scrivendo l'ultimo capitolo della mia tesi di dottorato. Joe mi ha inviato le bozze delle traduzioni degli appunti del volume 3 che riguardavano il mio lavoro sui gruppi subalterni, e ho condiviso con lui una traduzione del quaderno 25 che avevo completato e iniziato ad annotare. Dato il crescente interesse per gli studi subalterni, Joe ha ritenuto utile pubblicare il Quaderno 25 insieme alle varie note di Gramsci legate al tema dei gruppi subalterni in un unico volume, separato dalla sua edizione critica completa dei Quaderni del carcere. Abbiamo lavorato al progetto di tanto in tanto nel corso degli anni, ma a causa delle responsabilità professionali, non siamo stati in grado di dedicarvi molta attenzione fino al periodo successivo al suo ritiro dall'Università di Notre Dame nel 2017.”, si legge nelle note introduttive di Green.

- prima dell’edizione curata da Joseph Buttigieg <Prison Notebooks> (Columbia University Press, 1992-2007), i Quaderni dal carcere di Gramsci erano conosciuti in lingua inglese tramite miscellanee, come nel 1971 la pubblicazione di <Selections from Prison Notebooks> [Intl Pub Co Inc], ancora oggi molto conosciuta e utilizzata. Per cui gli autori dei Subaltern studies e della critica postcoloniale formano la loro interpretazione dei concetti gramsciani su questi scritti e traduzioni. Il libro curato da Green vuole colmare alcuni limiti che possano aver influito o ancora influire sulle interpretazioni. E lo fa con rigore cronologico e acribia filologica. E’ dunque un testo importantissimo per la conoscenza della filosofia di Gramsci nel mondo e la sua attualizzazione non solo in ambito accademico, ma per l’impegno politico-sociale. Comunque, a nostro avviso, a parte la complessa traducibilita’ delle categorie gramsciane, è l’ottica degli studi a prevalere: i ‘subalternist’ vanno oltre “l’acribia filologica” per impostare una diversa narrazione e interpretazione, aprendo orizzonti conoscitivi non piu’ ’mediati’ dall’egemonia delle classi dominanti.- fe.d.

 

scheda editoriale [ENG] e Google translate [IT]

Antonio Gramsci is widely celebrated as the most original political thinker in Western Marxism. Among the most central aspects of his enduring intellectual legacy is the concept of subalternity. Developed in the work of scholars such as Gayatri Spivak and Ranajit Guha, subalternity has been extraordinarily influential across fields of inquiry stretching from cultural studies, literary theory, and postcolonial criticism to anthropology, sociology, criminology, and disability studies. Almost every author whose work touches upon subalterns alludes to Gramsci is formulation of the concept. Yet Gramsci is original writings on the topic have not yet appeared in full in English.

[IT]

Antonio Gramsci è ampiamente celebrato come il pensatore politico più originale del marxismo occidentale. Tra gli aspetti più centrali della sua duratura eredità intellettuale c'è il concetto di subalternità. Sviluppato nel lavoro di studiosi come Gayatri Spivak e Ranajit Guha, la subalternità è stata straordinariamente influente in campi di indagine che vanno dagli studi culturali, teoria letteraria e critica postcoloniale all'antropologia, sociologia, criminologia e studi sulla disabilità. Quasi tutti gli autori il cui lavoro tocca i subalterni si riferiscono alla formulazione del concetto di Gramsci. Eppure gli scritti originali di Gramsci sull'argomento non sono ancora apparsi integralmente in inglese.

[ENG]

Among his prison notebooks, Gramsci devoted a single notebook to the theme of subaltern social groups. Notebook 25, which he entitled On the Margins of History (History of Subaltern Social Groups), contains a series of observations on subaltern groups from ancient Rome and medieval communes to the period after the Italian Risorgimento, in addition to discussions of the state, intellectuals, the methodological criteria of historical analysis, and reflections on utopias and philosophical novels. This volume presents the first complete translation of Gramscis notes on the topic. In addition to a comprehensive translation of Notebook 25 along with Gramscis first draft and related notes on subaltern groups, it includes a critical apparatus that clarifies Gramscis history, culture, and sources and contextualizes these ideas against his earlier writings and letters. Subaltern Social Groups is an indispensable account of the development of one of the crucial concepts in twentieth-century thought.

[IT]

Tra i suoi appunti carcerari, Gramsci dedicò un solo quaderno al tema dei gruppi sociali subalterni. Il Quaderno 25, che ha intitolato “Ai margini della storia (Storia dei gruppi sociali subalterni),” contiene una serie di osservazioni sui gruppi subalterni dall'antica Roma e dai comuni medievali al periodo successivo al Risorgimento italiano, oltre a discussioni sullo stato, gli intellettuali, i criteri metodologici dell'analisi storica, e riflessioni su utopie e romanzi filosofici. Questo volume presenta la prima traduzione completa delle note di Gramsci sull'argomento. Oltre a una traduzione completa del Quaderno 25 insieme alla prima bozza di Gramsci e alle relative note sui gruppi subalterni, include un apparato critico che chiarisce la storia, la cultura e le fonti di Gramsci e contestualizza queste idee rispetto ai suoi scritti e lettere precedenti. “Gruppi sociali subalterni“ è un resoconto indispensabile dello sviluppo di uno dei concetti cruciali del pensiero del ventesimo secolo.






venerdì 7 gennaio 2022

GENEALOGIA di un concetto: il ‘moderno Principe‘ di Gramsci


                              


Index:

1. CHI E’ IL ‘MODERNO PRINCIPE’ nel giovane GRAMSCI

2. IL ‘MODERNO PRINCIPE’ E I SUBALTERNI

3. LA NECESSITÀ DELL’ ORGANIZZAZIONE, DELL’ASSOCIAZIONISMO e del LAVORO COLLETTIVO

  •  Quaderno 13 (XXX) 1932-1934


«Il nostro “Machiavelli” sono le opere di Marx e Lenin, e non la redazione della “Voce repubblicana” e l’on. Arturo Labriola che, d’altronde, arieggiano messer Niccolò Machiavelli solo nel senso dei versi: Dietro l’avello di Machiavello/giace lo scheletro di Stenterello» (A.Gramsci, ottobre 1926, in La costruzione del Partito Comunista 1923-1926, Einaudi,1972, p. 351).

 

SCRITTI POLITICI e QUADERNI

Già da un primo attento esame delle lettere inviate da Gramsci nel 1923-1924 ai compagni italiani mi apparve come il nucleo più consistente delle note dal carcere avesse la sua genesi proprio in questi anni. L’esame degli scritti politici del periodo 1924-1926 e la visione dei documenti dell’archivio del Partito Comunista italiano non solo mi confermarono ulteriormente questa ipotesi, ma mi indussero alla conclusione che molti luoghi dei Quaderni divenivano veramente comprensibili solo se rapportati ad esperienze ed avvenimenti politici determinati. Si rivelava così la legittimità di un rapporto di integrazione reciproca fra scritti politici e note dal carcere che, senza cancellare l’esistenza di una evoluzione, più o meno marcata a seconda dei casi, permetteva di giungere ad un’interpretazione dell’opera di Gramsci assai più ricca di determinazioni e di riferimenti storici reali, tale da offrire simultaneamente una base più solida per nuove valutazioni del suo contributo teorico.

Leonardo Paggi, Antonio Gramsci e il moderno Principe, Editori Riuniti, 1970, pag. XV 

 

1. CHI E’ IL ‘MODERNO PRINCIPE’ nel giovane GRAMSCI

“la libertà è l’aspirazione di tutto il genere umano; ma, se il fine è immutato, ciò che varia è il mezzo: per chi non partecipa della proprietà, l’unico strumento disponibile è l’associazione, l’organizzazione. ‘Invece di una proprietà individuale, preoccupati di lasciare maggiore possibilità per l’avvento della proprietà collettiva, della libertà per tutti, perché tutti uguali dinanzi (..) allo strumento di lavoro.” L’associazione diventa per il diseredato la forma esteriore della sua immortalità e quanto essa è più forte ‘tanto più vicina è l’ora di riscuotere allo sportello della Storia’”.

da Leonardo Paggi, ivi, pag.138. La citazione da Gramsci: Scritti giovanili (1914-1918), Torino,1958, pag.216.

 

2. IL ‘MODERNO PRINCIPE’ E I SUBALTERNI

Il ‘moderno Principe’ per Gramsci, riannodando l’intera sua riflessione, è l’organizzazione ‘principe’ della classe, il superamento del primitivismo e della spontaneita’ che la bloccano al livello economico-corporativo, strumento emancipatorio della coscienza di classe, da formarsi “molecolarmente” nella prassi politica, partito Comunista che si organizza come ‘intellettuale collettivo’ ed esprime la linea politica per la trasformazione rivoluzionaria. Per cui, organico al ‘moderno Principe’ è la classe stessa prima della sua rappresentanza nelle forme storiche in cui si struttura. Nella riflessione di Formia del Quaderno 25, le modalità disgregate con cui i subalterni, gruppi diversi di classe allargata (dai braccianti ai contadini ai diseredati urbani) esprimono l’oggettività delle loro condizioni materiali, la loro episodicita’ di resistenza all’egemonia delle classi dominanti, che tendono ad annientarne anche l’identità culturale, diventano ricerca attiva per lo storico ‘integrale’ per il tramite di tracce di iniziativa autonoma, che proprio il ‘moderno Principe’ deve rendere organiche alla coscienza di classe delle forze motrici della rivoluzione. Il blocco storico per la società autoregolata è alternativo così ad un intero paradigma di civiltà, quello imperialistico e capitalistico occidentale, che, oltre il processo trasformativo del presente, riscrive la narrazione dei senza storia, quella dei subalterni. - fe.d.

(..) “ Gramsci ricostruisce l’evoluzione politica dei subalterni verso il superamento della propria condizione, che diventa compiuta quando i subalterni si fanno Stato. E questo è il risultato di un percorso che ha nel partito un proprio perno, e nel rovesciamento dell’egemonia nella società civile e dei rapporti di forza nella società politica la via che conduce ad un nuovo Stato.”,

 Paolo Capuzzo, da Gramsci, le culture e il mondo, Viella 2009, ed. digitale, paragrafo titolo corrispondente

 

3. LA NECESSITÀ DELL’ ORGANIZZAZIONE, DELL’ASSOCIAZIONISMO e del LAVORO COLLETTIVO saranno alla base della riflessione di Gramsci nei Quaderni sul Machiavelli e il ‘moderno Principe’.

- La ricerca di Gramsci muove da un tentativo di individuare il fondamento oggettivo dell’associazionismo: individualismo e collettivismo sono due tendenze che incessantemente si affrontano nel seno della società, riconducibili rigorosamente a processi oggettivi. “La classe borghese si è redenta dalla schiavitu’ feudale affermando i diritti dell’individuo alla libertà e all’iniziativa. La classe proletaria lotta per la sua redenzione, affermando i diritti della collettività, del lavoro collettivo, contrapponendo alla libertà individuale, all’iniziativa individuale, l’organizzazione delle iniziative, l’organizzazione delle libertà.”

da L. Paggi, ivi, pag.137, cit. da Gramsci, ivi, pag.186

 

  • Quaderno 13 (XXX) 1932-1934 Noterelle sulla politica del Machiavelli

Il moderno principe, il mito-principe non può essere una persona reale, un individuo concreto, può essere solo un organismo; un elemento di società complesso nel quale già abbia inizio il concretarsi di una volontà collettiva riconosciuta e affermatasi parzialmente nell'azione. Questo organismo è già dato dallo sviluppo storico ed è il partito politico, la prima cellula in cui si riassumono dei germi di volontà collettiva che tendono a divenire universali e totali. (..)

Ed. Einaudi, 1975, vol.III, pag. 1558

§ 7. Quistione dell’«uomo collettivo» o del «conformismo sociale». Compito educativo e formativo dello Stato, che ha sempre il fine di creare nuovi e piú alti tipi di civiltà, di adeguare la «civiltà» e la moralità delle piú vaste masse popolari alle necessità del continuo sviluppo dell’apparato economico di produzione, quindi di elaborare anche fisicamente dei tipi nuovi d’umanità. Ma come ogni singolo individuo riuscirà a incorporarsi nell’uomo collettivo e come avverrà la pressione educativa sui singoli ottenendone il consenso e la collaborazione, facendo diventare «libertà» la necessità e la coercizione?

Ed. Einaudi, 1975, vol.III, pp.1565/1566

§ 21. Continua del «Nuovo Principe». Si è detto che protagonista del Nuovo Principe non potrebbe essere nell’epoca moderna un eroe personale, ma il partito politico, cioè volta per volta e nei diversi rapporti interni delle diverse nazioni, quel determinato partito che intende (ed è razionalmente e storicamente fondato a questo fine) fondare un nuovo tipo di Stato.

Ed.Einaudi, 1975, vol.III, pag.1601

 

- sulla stesura del Quaderno 13 e 18 di Gramsci cfr. anche Guido Liguori, Quaderno 13 e Quaderno 18 - Noterelle sulla politica del Machiavelli - Niccolò Machiavelli II, IGS ITALIA, SEMINARIO SULLA STORIA DEI QUADERNI DEL CARCERE (28 OTTOBRE 2016) in https://www.igsitalia.org/images/Q13-e-Q18-Liguori.pdf









giovedì 6 gennaio 2022

LO SGUARDO CULTURALE di HOMI K.BHABHA: oltre le frontiere della storia


 la narrazione dei margini e il ‘terzo spazio’, ibridita’ e ambivalenza dello stato-nazione

di Ferdinando Dubla, Mariella Pandolfi, Homi K.Bhabha

La coscienza nazionale, che è cosa diversa dal nazionalismo, è la sola cosa che potrà darci una dimensione internazionale. Franz Fanon, I dannati della terra, Feltrinelli,1966, pag.251

- Il lavoro di ricerca di Bhabha si incentra sulla possibilità di ridefinire il canone della modernità occidentale attraverso la prospettiva degli studi postcoloniali. Un ruolo centrale nella sua analisi è ricoperto dalla teorizzazione di un ‘terzo spazio’, un luogo teorico e simbolico dove gli antagonismi tra dominatori e dominati si annullano nel concetto di ‘ibridità culturale’, che include la differenza e rappresenta il presupposto per un incontro costruttivo tra culture senza più gerarchie imposte. La crisi dello stato-nazione non è dunque un assioma, ma si palesa non solo con la limitazione della sovranità politica di ogni singolo paese per poteri sovranazionali tipici del colonialismo, ma con la difesa sterile dei propri confini presunti ’identitari’ dalle altre culture. Sullo sfondo, irrisolta politicamente nelle analisi di Bhabha, è la questione dell’egemonia nei rapporti di potere internazionali, dell’imperialismo e dei contrasti interimperialistici, di cui però il discorso culturale non è mero riflesso, ma parte fondamentale dell’analisi. - (Ferdinando Dubla)

- IL TERZO SPAZIO NON E’ ESCLUSO

L'altro sguardo e il paradosso antropologico

di Mariella Pandolfi

- Il paradosso antropologico

La carta "costituzionale" di ogni percorso antropologico sembra contenere fin dalle sue origini un double bind o un paradosso che, in quest'ultimo decennio, ha provocato reazioni e attacchi pressanti da parte del pensiero post-strutturalista.

Il paradosso è di avere costruito da un lato una teoria capace di sfidare tutti gli etnocentrismi prodotti lungo il cammino del pensiero europeo e dall'altro di aver messo in atto pratiche che, anche se in modo non esplicito o sapientemente occultato, hanno in ultima analisi aderito al "progetto coloniale".

Se vogliamo seguire la linea della sfida del pensiero di Homi Bhabha e non perdere il senso politico espresso dalle sue opere dobbiamo lasciarci guidare dai mille granuli di quelle teorie radicali, oggi in larga misura prodotte da pensatori non occidentali, che ci spingono a non nasconderci più dietro i veli di raffinate produzioni letterarie o di neutrali metodologie scientifiche.

Le teorie e gli studi postcoloniali si inseriscono infatti in un ampio dibattito che nelle ultime due decadi ha attraversato e scosso le università americane, assediando le scienze sociali in particolare e, più in generale, tutta la produzione del sapere occidentale.

Homi Bhabha costruisce attraverso i suoi scritti provocatori e seducenti un progetto politico culturale certo non estraneo a quella tradizione antropologica italiana che, in prima linea fin dagli anni '50, combattè il lato "oscuro" della pretesa neutralità delle scienze sociali. Ma su questi ritorneremo.

Quindi le teorie dell'etnocentrismo critico (De Martino) e del terzo spazio (Bhabha) sono destinate nel prossimo futuro ad un dialogo "forte", così come la lettura di Gramsci che, lasciata l'Italia, trova oggi maggior fortuna e originalità nell’India contemporanea. -

* Mariella Pandolfi - Introduzione all’edizione italiana (Meltemi, 1997) di Nazione e narrazione, a cura di Homi K. Bhabha, una raccolta di saggi curata dal sociologo indo-statunitense dei cultural studies che, interrogandosi sulla narrazione della storia dei popoli, ha dimostrato che i processi del dominio globale imperialista priva di senso culturale, e di classe, i limes dello stato-nazione.

- Maria Rosaria (Mariella) Pandolfi, già full Professor ora Professore emerito presso Université-de-Montréal, antropologa, filosofa e psicologa, ha studiato Cultural anthropology presso l’ École des hautes études en sciences sociales (EHESS) e filosofia all’Orientale di Napoli, dove è tornata a risiedere. I suoi interessi di ricerca includono teorie contemporanee in antropologia, antropologia medica, politica del corpo, violenza e passioni sociali, intervento umanitario e militare nei Balcani postbellici ed ex-socialisti. -

 POST/MODERN - POST/COLONIAL - POST/

- Negli ‘interstizi’ della ‘ibridita’ culturale’: HOMI K. BHABHA

Un maestro della critica postcoloniale che riconfigura il linguaggio decostruendo il lessico della storia dominante. Anche il senso dell'appartenenza politico-statuale, come quello culturale, è costruito discorsivamente: è narrativizzato. E’ in questa stessa narrazione che va individuata la nuova soggettività dei subalterni.

/Subaltern studies Italia/ rassegna di studi culturali

/scheda/

The Location of Culture - Homi K. Bhabha

Copyright Year 1994, by Routledge

Homi K. Bhabha, I luoghi della cultura, Meltemi, 2006 - traduzione di Antonio Perri

- Le riflessioni di uno tra i maggiori theorist del nostro tempo, in una straordinaria raccolta di saggi. Questo libro è di altissimo livello sia per la vastità dei riferimenti letterari - Toni Morrison, Nadine Gordimer, Conrad, Walcott - sia per lo spessore dei teorici analizzati - Benjamin, Said, Foucault, Fanon - sia infine per la capacità di Bhabha di ri-definire la modernità occidentale a partire dalla prospettiva postcoloniale, la prospettiva delle comunità marginali, che vivono "negli interstizi" del sistema-mondo. Con questo obiettivo l'autore elabora una genealogia della postmodernità: i testi coloniali e postcoloniali infatti - dai documenti d'archivio della ribellione indiana alle pagine de I versi satanici - non ci raccontano la storia dello "sviluppo ineguale". Eppure dobbiamo pur rappresentarlo quest'universo che esprime una nuova consapevolezza - di razza, genere, generazione, istituzioni, ambiente geopolitico, orientamento sessuale - e nuova rivendicazione identitaria. E perché dobbiamo rappresentare questo insopprimibile bisogno di pensare a una teoria dell'ibridità culturale e della differenza sociale che vada oltre il rapporto Sé/Altro. In conclusione, è ormai urgente individuare i veri luoghi della cultura: quegli spazi in cui si sviluppano innovative forme di solidarietà e di conflitto lungo il processo in cui si costruisce una nuova società.

Così ha recensito il libro Toni Morrison: "Bhabha appartiene a quel piccolo gruppo di intellettuali che occupa le posizioni più avanzate dell'indagine teorica sul rapporto tra letteratura e cultura. Qualunque seria riflessione sulla ricerca poscoloniale/postmoderna non può oggi prescindere da un confronto con il suo pensiero".

tratto da Booklet news

- Homi K. Bhabha è nato a Bombay nel 1949, e dopo aver insegnato a Londra e in diverse università americane riveste attualmente la prestigiosa carica di Chester D. Tripp Professor in the Humanities all'università di Chicago, ed è considerato uno degli intellettuali più significativi del secondo dopoguerra. Meltemi ha pubblicato nel 1997 la traduzione del volume da lui curato Nazione e narrazione (1990).

"L'intento di Nazione e narrazione è quello di esplorare l'ambivalenza di Giano del linguaggio nella costruzione del discorso della nazione, eminentemente bifronte. Questo approccio trasforma la familiare immagine del dio bifronte in un'opera di portentoso sdoppiamento, che indaga lo spazio della nazione nel corso dell'articolarsi di elementi: là dove i significati possono essere parziali perchè in medias res, la storia può essere "a metà" perchè colta nel suo farsi e l'autorità culturale ambivalente, perchè sorpresa nel momento ancora incerto in cui "compone" la propria potente immagine. Se non si tiene conto di questa performatività insita nel linguaggio delle narrazioni della nazione, è difficile comprendere perchè  Edward Said  indichi una sorta di  "pluralismo analitico" come la forma di attenzione critica che consente di cogliere gli effetti  culturali della nazione: quest'ultima infatti, in quanto forma di elaborazione culturale (in senso gramsciano) dà impulso ad una narrazione ambivalente che sviluppa al massimo l'aspetto produttivo della cultura come forza di "subordinazione, rottura, diffusione e riproduzione come pure di produzione, creazione, impulso e guida". [E.Said, The World, The Text and The Critic (Cambridge, Mass, Harvard University Press, 1983), pag.171].

"E' solo quando la nazione occidentale diventa uno degli angoli bui della terra - per riprendere la famosa frase di Conrad - che possiamo iniziare ad esplorare nuovi luoghi, dai quali scrivere storie di popoli e costruire teorie della narrazione. Ad ogni istante, la questione della differenza culturale emerge come sfida alle nozioni relativistiche di diversità delle culture, rivelando i limiti della modernità. (..) L'America conduce all'Africa; le nazioni dell'Europa e dell'Asia si incontrano in Australia, i margini della nazione ne spostano il centro; le genti della periferia ritornano per riscrivere la storia e la narrativa della metropoli." Homi K. Bhabha 

da Nazione e narrazione (a cura di Homi K. Bhabha), Meltemi, 1997, pp.36-37, 40-41.


Homi K.Bhabha (Bombay,1949)






martedì 4 gennaio 2022

PER una STORIA del COLLETTIVO SUBALTERN STUDIES (2)

 

precedente in blog 22 agosto 2021

di Paolo Capuzzo

extract.

Contadini e subalterni in Ranajit Guha

 

- Ranajit Guha, il fondatore dei Subaltern Studies, appartiene a una generazione precedente rispetto a quella della maggior parte degli esponenti del gruppo, come Chakrabarty, Chatterjee, Spivak. I suoi riferimenti culturali erano ben lontani da quelli dei teorici degli studi postcoloniali nell'ambito dei quali sarebbe stata poi recepita la sua opera. Nei suoi lavori sulla storia delle ribellioni contadine, infatti, Guha faceva riferimento alle opere di Mao degli anni Venti sulla centralità e l'autonomia delle rivolte contadine nello Hunan, allo strutturalismo, sia sul versante antropologico di Lévi-Strauss, sia su quello linguistico di Roman Jakobson, e infine a Gramsci, dal quale egli mutuava una serie di concetti, in particolare quelli di subalternita’ ed egemonia. Tra queste varie influenze, quella di Gramsci sembra avere una posizione speciale nell'elaborazione di Guha. Gramsci è l'unico autore che viene citato nella breve prefazione al primo volume dei Subaltern Studies intesa a spiegare le finalità di questo nuovo progetto scientifico. Qui Guha mostra di accogliere la nozione relazionale di subalterno che è stata elaborata da Gramsci, vale a dire che la subalternità sta sempre in relazione con un'egemonia e che questa condiziona evidentemente le modalità attraverso le quali si esprime l'insubordinazione sociale: «I gruppi subalterni subiscono sempre l'iniziativa dei gruppi dominanti, anche quando si ribellano e insorgono: solo la vittoria "permanente" spezza, e non immediatamente, la subordinazione». Ma non è tanto in questa molto citata presentazione che va cercata l'influenza di Gramsci in Guha, quanto piuttosto nelle sue voluminose ricerche. Accanto all'opera di animatore del collettivo Subaltern Studies, infatti, Guha ha scritto libri importanti che mostrano una straordinaria capacità di coniugare l'innovazione tematica e teorica con un'ampia ricerca archivistica e, soprattutto, con un grande acume nell'interpretazione delle fonti, quanto mai necessario per chi si arrischia nel difficile compito di scrivere la storia dei subalterni sulla base degli archivi prodotti dai dominatori. I subalterni, infatti, per definizione, non producono le proprie fonti; di essi parlano le fonti di chi cerca di mantenerli in uno stato di soggezione. Eppure Guha è riuscito a riconoscere la soggettività dei subalterni negli archivi e nei racconti dei dominatori. Queste tracce sono state lasciate dai subalterni proprio nel momento in cui hanno scelto di rovesciare l'ordine che li condannava alla miseria e alla sottomissione. Il libro del 1983, con il quale Guha ha avviato una nuova stagione della storiografia sull'India coloniale, si intitola Aspetti elementari della rivolta contadina nell'India coloniale, e rinvia fin dal titolo al testo di Durkheim sulle forme elementari della vita religiosa. Dall'analisi di un gran numero di rivolte che hanno avuto come protagonisti i contadini indiani tra la fine del Settecento e l'inizio del Novecento, e dal loro confronto con analoghe sollevazioni avvenute altrove, soprattutto in Europa e in Cina, Guha ha cercato di costruire la grammatica elementare che ne definisce i caratteri. Alcuni elementi di base, infatti, ritornano in tutte le rivolte e sono in grado di definire un linguaggio politico e delle modalità di azione che rappresentano la specificità della politica dei contadini-subalterni. In quest'opera uscita quasi contemporaneamente all'avvio delle prime pubblicazioni dei volumi dei Subaltern Studies, l'ispirazione gramsciana mi sembra permeare l'intero testo. Guha rende esplicito, fin dall'avvio del suo testo, il dissenso da Hobsbawm e da tutte le letture che negano valore politico alle rivolte contadine: quale che sia la sua validità per altri paesi, la nozione di rivolta contadina prepolitica poco aiuta a comprendere l'esperienza dell'India coloniale perché non c'era nulla nei movimenti militanti delle sue masse rurali che non fosse politico. E sarebbe stato difficile accadesse altrimenti, date le condizioni nelle quali si trovarono a lavorare, vivere e concepire il mondo. Guha sostiene infatti che queste letture presuppongono il linguaggio della politica occidentale, vale a dire l'idea che la coscienza politica implichi necessariamente una leadership chiara e coerente e un'organizzazione, mentre il linguaggio politico dei contadini indiani si era elaborato sulla base di una propria specificità culturale, esprimendosi attraverso modalità d'azione coerenti con quell'elaborazione." Guha prendeva perciò in seria analisi le espressioni della cultura contadina, così come Gramsci aveva preso sul serio il folclore, come espressione della concezione del mondo delle classi subalterne.

+ la citazione di Gramsci è dal Quaderno 25 § 2, ed. Einaudi, 1975, p. 2283.

 

 

Gramsci in India e i Subaltern Studies

Il richiamo a Gramsci nei Subaltern Studies non ha nulla di rituale o di meramente simbolico, ma investe invece il cuore dell'elaborazione delle categorie e degli strumenti analitici di questa corrente storiografica. E utile sottolineare gli scarti tra la visione gramsciana dei subalterni e quella dei Subaltern Studies per capire come il pensiero di Gramsci sia stato assunto produttivamente in contesti di ricerca e da posizioni teoriche molto lontane da quelle della tradizione interpretativa che ci è più consueta; riflettere cioè sulle peculiarità di questa nuova appropriazione del pensiero gramsciano, sul perché certe sue idee siano state utilizzate e altre no. Riflettere sul carattere selettivo dell'appropriazione del pensiero gramsciano può insegnare molto perché ci permette di comprendere nuovi punti di vista, che contribuiscono all'elaborazione di un pensiero critico all'altezza delle sfide poste da un mondo globalizzato. Gramsci è stato forse il primo marxista occidentale a manifestare un interesse autentico per la cultura popolare. E non si trattava certo di un interesse accademico perché nulla nel pensiero di Gramsci poteva avere un tratto semplicemente accademico. L'interesse per la cultura popolare era eminentemente politico perché in essa si manifestava una produzione di significati e interpretazioni del mondo che provenivano dalle classi subalterne. Se la strategia politica comunista voleva avere a che fare con delle masse concrete, insomma, doveva ascoltare questi significati e riferirsi a essi. È un passaggio importante perché significa riconoscere l'eterogeneità del mondo popolare, rispettarne le ragioni, farne il perno di un'azione politica.

(..) “ Gramsci ricostruisce l’evoluzione politica dei subalterni verso il superamento della propria condizione, che diventa compiuta quando i subalterni si fanno Stato. E questo è il risultato di un percorso che ha nel partito un proprio perno, e nel rovesciamento dell’egemonia nella società civile e dei rapporti di forza nella società politica la via che conduce ad un nuovo Stato.”,

Paolo Capuzzo, da Gramsci, le culture e il mondo, Viella 2009, paragrafo titolo corrispondente

Paolo Capuzzo è docente di Storia contemporanea all'università di Bologna