Subaltern studies Italia

L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

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martedì 31 gennaio 2012

La quiete prima della tempesta

Queste prime settimane del 2012 si vanno configurando come periodo di quiete che precede la tempesta: molti sono gli indizi che l'area occidentale stia incubando stravolgimenti storico-economico-politici di livello straordinario rispetto agli ultimi decenni trascorsi. Tenersi attenti e pronti ad adeguate risposte diventa sempre più vitale per le classi popolari.
INDIZI ECONOMICI: i sistemi economici occidentali non sono ripartiti dopo la crisi del 2008, sopravvivono accumulando debito e stampando carta moneta a iosa con in aggiunta azioni di saccheggio delle ricchezze altrui (Libia). A seguito di ciò le nuove potenze economiche, i Paesi Brics, Cina innanzitutto, si allontanano dalle monete occidentali e rompono il ricatto degli acquisti di materie prime solo in dollari, iniziando gli scambi in altre monete. Questo per gli USA è insostenibile, e spiega l'attacco condotto contro l'euro come una valuta alternativa; euro che ha intrapreso la strada americana della stampa di cartamoneta per coprire i debiti, attutire, rinviare la crisi del modello capitalista. Negli ultimi mesi stiamo assistendo ad un crollo senza precedenti del commercio internazionale di merci via mare ( Baltic Dry Index) e ad un costante calo dei volumi scambiati sulle borse americane; al 31 dicembre gli Usa hanno già superato il tetto massimo legale di debito pubblico, tetto già rialzato l'estate scorsa, gli indici manifatturieri non crescono, il valore degli immobili cala ancora, la disoccupazione cresce, la sopportabilità sociale delle classi popolari diminuisce repentinamente. Ogni mese gli Stati occidentali si presentano sul mercato del denaro e chiedono centinaia di miliardi: "Per favore, chi compra il nostro debito?". Siamo nella fase storica in cui una parte sempre più crescente delle popolazioni occidentali prende atto che il modello capitalistico è in fallimento e che comincia a non garantire nemmeno le condizioni minime di sopravvivenza delle proprie popolazioni. Non basteranno le profezie maya per nascondere il fallimento del capitalismo. E' più probabile che in questo contesto si faccia strada il progetto disperato del capitalismo occidentale di far saltare il "tavolo da gioco", generare il caos, far precipitare la situazione economica e politica internazionale, contando sulla propria supremazia politico-militare. A Marzo o a fine estate/inizi autunno sono i periodi più gettonati.
INDIZI POLITICI: la politica di generare il caos, inaugurata cavalcando le "primavere arabe", continuata con l'occupazione della Libia e con l'estensione della guerra afghana al territorio pakistano, si trova ora di fronte alla Siria ed alle porte dell'Iran. L'obiettivo che traspare è creare un grande medio-oriente a direzione Usa-Saudita che si inneschi minaccioso al centro dell'Asia a ridosso di Cina e Russia. L'adesione dell'Unione Europea alle pesanti sanzioni contro Siria ed Iran confermano lo stato di sudditanza della UE verso gli USA (nonostante che i contraccolpi di un possibile blocco anticipato delle forniture petrolifere dall'Iran colpirebbero solo l'Europa). L'invio di navi da guerra USA sia di fronte alle coste iraniane sia della Cina, unitamente alla campagna mediatica per impedire l'elezione di Putin sono gli ulteriori tasselli alla politica di accerchiamento di Cina e Russia. Con altre due carte di scorta da usare in futuro: la carta curda in medioriente e quella tibetana in asia centrale.
Che questi scenari potenziali di guerra vadano presi altamente in considerazione anche per l'Italia mi sembra privo di dubbio: la Nato non si può permettere le iniziali titubanze di Berlusconi /Eni nella partecipazione alla guerra libica. A questo ci ha già pensato Obama che, due ore dopo l'incarico a Monti, gli ha telefonato per pretendere, e ottenere, che il nuovo Ministro della Difesa italiano fosse l'Ammiraglio Di Paola, comandante Nato del Mediterraneo, e che il nuovo Ministro degli Esteri fosse Terzi, l'ex ambasciatore italiano negli USA. La presenza per la prima volta nella storia della Repubblica di un ministro in uniforme non lascia presagire nulla di buono e conferma l'alta probabilità di nuovi scenari di guerra in cui l'Italia resterà coinvolta. Conferma altresì la natura non tecnica ma ferocemente imperialista e antipopolare di questo governo. In questo contesto, solo il timore di montanti rivolte popolari può impedire che la tempesta diventi diluvio apocalittico.
Il nostro ruolo soggettivo può essere solo quello di preparare e sostenere le tendenze alla rivolta, spazzando via ogni disarmante illusione "tecnica".
Luigi Ambrosi
maestro elementare

lunedì 23 gennaio 2012

I 91 anni del PCI: l'articolo di Alexander Hoebel

Novantuno anni sono passati dalla fondazione del Partito comunista d’Italia, eppure
l’esperienza storica di quello che diventerà poi il partito comunista più forte dell’intero Occidente
conserva una sua notevole attualità. Non perché il contesto generale non sia completamente
cambiato, non solo rispetto al 1921 ma anche al mondo e all’Italia degli anni ’60 e ’70; né
perché i problemi e le sfide con cui oggi i comunisti devono misurarsi siano gli stessi di allora.
Ma perché è l’ispirazione di fondo di quella esperienza che rimane valida e conserva una
grande utilità per l’oggi; l’ambizione di trasformare radicalmente questo paese nel quadro di una
lotta mondiale per l’emancipazione, ma anche alcune specifiche linee guida di tipo strategico.

Limitiamoci a due esempi. Primo, la politica di massa, o meglio l’ispirazione di massa della
politica del partito, che il Pcd’I, eccettuati alcuni momenti ben determinati, seppe conservare per
quasi tutta la sua storia. È la politica di Gramsci e del gruppo ordinovista già prima della
fondazione del partito, allorché seguono e dirigono la lotta degli operai torinesi e l’esperienza
dei Consigli di fabbrica, ponendosi al fianco dei lavoratori, all’interno della classe operaia e dei
suoi organismi; è la politica tratteggiata dalle Tesi di Lione, allorché Gramsci si preoccupa in
primo luogo di individuare le forze motrici della rivoluzione italiana, le classi sociali e gli spezzoni di classi sociali con i quali il proletariato industriale avrebbe potuto e dovuto allearsi
per rovesciare lo stato di cose presente: un’analisi, questa delle forze sociali del cambiamento,
che dovremmo tornare a fare con rinnovata attenzione. E ancora: è la politica seguita dal Pcd’I
durante il fascismo, prima con la difesa delle organizzazioni di classe - cellule di partito e
sindacali, organismi di mutuo soccorso ecc. -, ancorché clandestine; poi affiancando a tale
prezioso lavoro quello altrettanto importante all’interno delle organizzazioni di massa del regime
- sindacati e dopolavoro in primis -, appunto per non isolarsi, per non perdere il legame con quei
lavoratori che il fascismo tentava di irreggimentare e organizzare anche nel tempo libero, ma
che - facendo leva sulle contraddizioni materiali e il conflitto insopprimibile degli interessi di
classe - i comunisti potevano ancora mobilitare, facendo seguire alle lotte rivendicative
un’azione di chiarificazione politica e ideologica che consentisse di acquisire al partito stesso gli
elementi più vivaci del proletariato. È questa la politica - elaborata e guidata da uomini come
Gramsci, Togliatti, Longo e tanti altri - che consente al Pcd’I di rimanere una forza viva e
radicata persino nelle condizioni difficilissime imposte dal fascismo; è questa la politica di
Camilla Ravera, Teresa Noce e di tante altre donne, dirigenti comuniste di primo piano, che
tennero vivo il legame con le masse femminili. Ed è grazie a questo lavoro che i comunisti
giungono alla Resistenza come una forza non estranea alla parte più cosciente delle masse
popolari, il che consente loro di porsi alla testa della lotta di liberazione, con uomini come
Longo, Secchia, Amendola e molti altri, giovani come Eugenio Curiel che nel fuoco della lotta
riflettevano sulla democrazia progressiva
e su come trasformare il Paese quando la guerra fosse finita.

La stessa ispirazione legata alla politica di massa è rilanciata dal “partito nuovo” a partire dal
1944, è anzi forse il cuore stesso del progetto togliattiano: un partito di masse, fortemente
radicato nella classe operaia e nel mondo del lavoro salariato in genere, che con le sue cellule
nei luoghi di lavoro, con le sue sezioni e Case del popolo nei territori, tenesse sempre vivo il
legame organico con le masse popolari, costituendo uno straordinario strumento di educazione
politica di massa ma anche una scuola continua per quadri e dirigenti, che a quelle masse, ai
loro problemi e alle loro esigenze dovevano rapportarsi quotidianamente. Questa ispirazione
sopravvisse alla morte di Togliatti, fu portata avanti dal Pci di Luigi Longo, nella trasformazione
tumultuosa vissuta dal Paese negli anni ’60, con la capacità di cogliere i segnali nuovi, usare i
nuovi strumenti comunicativi, dirigere o quanto meno avere una presenza organica in lotte
essenziali di quegli anni come le grandi lotte operaie del 1966-70 o la mobilitazione contro la
guerra del Vietnam, riuscendo stabilire un dialogo non settario né subalterno con lo stesso
movimento studentesco. Questa politica di massa giunge fino al Pci di Berlinguer, sebbene in
diversi passaggi la dialettica tra mobilitazione dal basso e azione politica “dall’alto” (vertici tra
partiti, incontri tra dirigenti ecc.) vide prevalere in modo eccessivo il secondo termine; e tuttavia
quel Pci era ancora un partito profondamente radicato tra i lavoratori e nelle masse popolari, in
grado di mobilitare masse enormi sul terreno antifascista, nelle lotte per la pace e nel conflitto
sociale, fino ad aggregare attorno a sé più del 40% della popolazione italiana in difesa della scala mobile.

Il secondo esempio è quello della politica culturale, ossia di come il Pci sia riuscito
pazientemente a costruire le linee guida e gli strumenti concreti per incidere nella cultura e
anche nel senso comune del Paese, il che costituiva uno degli elementi centrali - anche se
certo non il solo - della strategia dell’egemonia. La formidabile operazione di politica culturale
condotta attorno al pensiero di Gramsci, per la sua popolarizzazione più vasta possibile; la
creazione di strumenti essenziali come l’Istituto Gramsci, con le sue sezioni di lavoro, e di una
serie di riviste, in grado di portare avanti un’elaborazione alta, frutto di specifiche competenze,
che poi serviva anche alla politica del partito, alla elaborazione della sua strategia e delle sue
proposte programmatiche. E ancora, il rapporto fecondo con larga parte dell’intellettualità
progressista italiana, non solo marxista o comunista (si pensi alle relazioni ai convegni
gramsciani affidate a Eugenio Garin), e al tempo stesso il confronto continuo con quanto il
marxismo e il movimento comunista e antimperialista producevano sul terreno culturale; la
consapevolezza che il campo della ricerca ha un’autonomia e la necessità di strumenti propri
che sono diversi da quelli strettamente politici; e che tuttavia alla politica sono essenziali proprio
in quanto quel lavoro di elaborazione e ricerca viene condotto in modo rigoroso, andando al di
là della contingenza politica quotidiana.

Politica di massa e politica culturale di alto livello erano dunque aspetti complementari
nell’esperienza del Pci, due facce della stessa medaglia, due componenti indispensabili della
strategia dell’egemonia. L’elaborazione e le competenze si legavano al programma e alle
proposte politiche e legislative del partito – un partito che, seguendo l’indicazione togliattiana,
proponeva sempre le proprie soluzioni ai problemi, anziché limitarsi a un’azione di mera
propaganda – e al tempo stesso contribuivano alla costruzione di un nuovo senso comune di
massa, formavano in modo innovativo milioni di persone.

Si tratta di due momenti essenziali dell’azione politica che oggi abbiamo l’urgente necessità di rilanciare nelle forme e con gli strumenti opportuni. Anche per questo, riflettere sull’esperienza
del Pci e applicare il meglio di quegli insegnamenti al mutato contesto è qualcosa che serve
moltissimo ai comunisti di oggi, a quelli che vogliono cambiare questo paese e il mondo nel XXI secolo.

Alexander Hoebel, coordinatore scientifico dell'Associazione Marx XXI°

lunedì 16 gennaio 2012

Cesare Luporini e l'Introduzione all'Ideologia tedesca di Marx ed Engels

Stralci dall’articolo pubblicato da Guido Liguori sull’Unità del 1 maggio 2000 dal titolo: “Quando l’ideologia godeva di rispetto”

Il termine (ideologia, ndr) nasce - come è noto - in Francia, in ambiente sensista, tra Sette e Ottocento, ad opera di Destutt de Tracy, che con esso indica lo studio dell'origine delle idee come branca della zoologia. Ma acquista subito una accezione spregevole grazie a Napoleone il quale, infastidito per le critiche mosse alla sua politica "imperialista" dal gruppo di intellettuali raccolti attorno a de Tracy, li taccia di essere solo "degli ideologi", cioè intellettuali astratti, che non capiscono di politica. Questa accezione negativa dell'ideologia permane a lungo, ma acquista anche, pochi decenni dopo, ben altro spessore. Grazie a Marx ed Engels, che riprendono il termine per indicare una rappresentazione della realtà distorta dalla collocazione di classe e dagli interessi del soggetto che la produce. In un libro del 1845-46 che rimane però a lungo inedito: "L'ideologia tedesca", appunto. Ed è questo libro che vorremmo qui segnalare. O più precisamente, il fatto che dopo molti anni esso torna in libreria (pagine XCII
551, lire 48.000) grazie agli Editori Riuniti, nella stessa prestigiosa Biblioteca del pensiero moderno, la collana in cui apparve nel 1967 con una introduzione di Cesare Luporini, anch'essa oggi ripubblicata. Di nuovo vi è da segnalare la grafica della copertina, completamente rinnovata e molto elegante, tale da non far rimpiangere quella "storica" (a bande bianche, rosse e nere) di Bruno Munari.
Libro importante e dalla storia complicata, "L'ideologia tedesca". Il grosso manoscritto nel 1846 rimase infatti inedito, non trovando un editore, abbandonato dagli stessi autori - come ingenerosamente ricordò Marx nel 1859 - "alla critica roditrice dei topi".Il primo capitolo, su Feuerbach, venne pubblicato in russo solo nel 1924 e in tedesco due anni dopo, seguendo l'andamento del manoscritto. Ma quando nel 1932 il libro vide finalmente la luce nella sua interezza, il "primo capitolo" non era più quello già conosciuto, risultando l'ordine del testo alterato, poiché il curatore, il sovietico Adoratskij (a cui si deve l'incisivo titolo, che compare però anche nell'indice e nel corpo dell'opera, per mano dei due autori), volle editare lo scritto secondo un piano di pubblicazione che Marx ed Engels avevano ideato ma non messo in atto. L'edizione di Adoratskij è rimasta in piedi fino al 1965 quando gli studiosi arrivarono alla conclusione che i criteri adottati nel '32 erano errati, o comunque molto incerti e discutibili, per cui non rimase che ripristinare l'ordine originale, "spaziale", del manoscritto inedito che Marx ed Engels avevano lasciato. (..)
Perché è importante "L'ideologia tedesca"? In primo luogo vengono in mente tante celeberrime affermazioni di Marx ed Engels che molti conoscono e citano e che sono contenute in quest'opera: "Non è la coscienza che determina la vita, ma la vita che determina la coscienza"; "Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presenti"; la "società civile è il vero focolare, il teatro di ogni storia"; "Le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti"; e, ancora a proposito dell'ideologia: "Se nell'intera ideologia gli uomini e i loro rapporti appaiono capovolti come in una camera oscura, questo fenomeno deriva dal processo storico della loro vita, proprio come il capovolgimento degli oggetti sulla retina deriva dal loro immediato processo fisico". E così via. (..) Più in sostanza, "L'ideologia tedesca" segna per molti, con le coeve "Tesi su Feurbach", il passaggio alla maturità di Marx. Anche per il mirabile schizzo storico in cui il succedersi delle varie epoche è segnato dal passaggio da un modo di produzione all'altro. Ciò che gli uomini sono, dicono qui gli autori, "dipende dalle condizioni materiali della loro produzione". A questo proposito, bene hanno fatto gli Editori Riuniti a riproporre l'ampia introduzione luporiniana del '67, che ha oggi anche essa il sapore di un piccolo classico. Luporini non vi parla quasi per niente del libro in questione, ma ricostruisce mirabilmente (con riferimenti impliciti ed espliciti alle discussioni degli anni 60 con Althusser, Della Volpe ed altri in merito al momento in cui Marx sarebbe diventato "davvero" marxista) il percorso compiuto dal giovane Marx ed Engels per giungere a quella fondamentale resa dei conti con la loro "anteriore coscienza filosofica", staccandosi cioè dalla "sinistra hegeliana", sottoponendo compiutamente a critica la filosofia (l'ideologia) di Feuerbach, Bauer, Stirner, ecc. (..)
"L'ideologia tedesca" resta (.) un grande classico, non solo per il marxismo ma per la filosofia politica moderna. (..)

sabato 14 gennaio 2012

CESARE LUPORINI: MATERIALISMO STORICO E COMUNISMO CRITICO

Lavoro Politico ha ripubblicato in formato digitale l’introduzione di Cesare Luporini all’edizione italiana dell’ Ideologia Tedesca di Marx ed Engels (Editori riuniti, 1975, con la traduzione di Fausto Codino). E’ un’analisi insuperata del capolavoro dei fondatori del socialismo scientifico, e che loro avevano lasciato alla “critica roditrice dei topi” (scritta nel 1845, venne pubblicata per la prima volta solo nel 1932 in URSS). Questo documento è importante anche per la caratterizzazione dell’interpretazione di Luporini, che spiega come in quest’opera vi sia una compiuta germinazione del materialismo marx-engelsiano e di come, inoltre, il comunismo non possa in sé non contenere la categoria di ‘criticità’, cioè di continuo esame dialettico dello ‘stato di cose esistente’ e prospettarne una dissoluzione rivoluzionaria che trova le sue stesse radici nella storia. Nella prefazione degli autori del manoscritto, si legge l’importante affermazione: “si possono distinguere gli uomini dagli animali per la coscienza, per la religione, per tutto ciò che si vuole; ma essi cominciarono a distinguersi dagli animali allorchè cominciarono a produrre i loro mezzi di sussistenza. (..) Producendo i loro mezzi di sussistenza, gli uomini producono indirettamente la loro stessa vita materiale.” E’dunque l’essere sociale a determinare la coscienza, non viceversa, come nelle filosofie solo “interpretative” del mondo. In quest’opera straordinaria v’è dunque il passato, il presente e il futuro dell’umanità e, nonostante “le idee dominanti siano quelle della classe dominante”, Cesare Luporini con questa mirabile introduzione ricongiunge la riflessione dei maestri del marxismo al necessario avvenire della speranza rivoluzionaria.
http://www.lavoropolitico.it
http://www.lavoropolitico.it/ideologiatedesca.pdf

mercoledì 4 gennaio 2012

BIM ( BOOM ) BAM E' INIZIATO IL 2012

La giornata di ieri è stata calda sul fronte della rete. Domina nei commenti la vicenda Equitalia che oscura tutte le altre notizie. Aumenta la benzina e gli spread rimangono sopra i 500 punti. Suicidi di imprenditori e di pensionati taglieggiati dall'inps, cittadini sfrattati da Equitalia per non aver pagato 63 euro, migranti che per ottenere la cittadinanza devono pagare 200 euro e caccia f 35 che valgono 20 miliardi. Dopo i pacchi bomba, i botti del 31 dicembre, arrivano le buste con proiettili firmate A di anarchia contro Equitalia. In rete a migliaia mettono il mi piace ( attenti a quello che scrivete ), segno che Equitalia ha fatto incazzare tutti, anche le nonne. Grillo fiuta l'aria, e scrive che bisogna capire la violenza contro gli esattori. Il resto della classe politica abbocca, e lo condanna. Insomma se questo 2012 è l'anno della crisi questo è iniziato alla grande, almeno sul piano della polemica "elettrica". Per il resto lotte continue, operai di Fincantieri in strada a Palermo, Ancona e Genova. Lavoratori della Seviral occupano i treni e lavoratrici della Omsa resistono. In tutto questo rimbalzare di notizie sta per iniziare il secondo tempo del Governo Monti.
Sul sole 24 ore si legge che il 9 gennaio Monti - dopo una breve vacanza natalizia - incontrerà le parti sociali per avviare la riforma del lavoro e le liberalizzazioni. Monti questa volta non vuole strappi, ma non vuole nemmeno perdere troppo tempo per contrattare. Cosa abbia in mente non è dato ancora sapere, certo è che l'Europa si aspetta flessibilità ( cioè libertà di licenziare) . Il PD vive questa fase di attesa con enorme terrore, anche perchè chi rischia di spaccarsi è proprio il partito di Bersani. Il PDL fa sapere di essere "innamorato" della proposta Ichino (PD), e se i democratici dicono che non vogliono sentir parlare di art.18, Gianfranco Fini e l'udc dicono che per loro non ci sono pregiudizi. Tutti hanno paura delle tensioni sociali, i "servizi" fanno sapere che nella crisi ci può essere chi cavalchi tutto questo malessere. Gli anarco insurrezionalisti. Sarà forse un caso, ma guarda caso bombe, proiettili e polemiche arrivano ancora una volta al momento giusto...

da www.controlacrisi.org