Subaltern studies Italia

L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

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martedì 19 ottobre 2021

LE TRACCE IN ELENCO non sono più IN ELENCO - testo, traduzione e decostruzione del Gramsci della Spivak

 

LE TRACCE IN ELENCO non sono più IN ELENCO

Il Gramsci della Spivak, stretto tra la ‘forclusione’ lacaniana e l’’informante nativo’, è decostruito nel linguaggio

 

Antonio Gramsci:

- Criticare la propria concezione del mondo significa dunque renderla unitaria e coerente e innalzarla fino al punto cui è giunto il pensiero mondiale piú progredito. Significa quindi anche criticare tutta la filosofia finora esistita, in quanto essa ha lasciato stratificazioni consolidate nella filosofia popolare. L’inizio dell’elaborazione critica è la coscienza di quello che è realmente, cioè un «conosci te stesso» come prodotto del processo storico finora svoltosi che ha lasciato in te stesso un’infinità di tracce accolte senza beneficio d’inventario. Occorre fare inizialmente un tale inventario. - (Quaderno 11 par.12, ed. Gerratana, Einaudi, 1975, pag.1376). -

- § 2. Criteri metodologici. La storia dei gruppi sociali subalterni è necessariamente disgregata ed episodica. È indubbio che nell’attività storica di questi gruppi c’è la tendenza all’unificazione sia pure su piani provvisori, ma questa tendenza è continuamente spezzata dall’iniziativa dei gruppi dominanti, e pertanto può essere dimostrata solo a ciclo storico compiuto, se esso si conchiude con un successo. I gruppi subalterni subiscono sempre l’iniziativa dei gruppi dominanti, anche quando si ribellano e insorgono: solo la vittoria «permanente» spezza, e non immediatamente, la subordinazione. In realtà, anche quando paiono trionfanti, i gruppi subalterni sono solo in istato di difesa allarmata (questa verità si può dimostrare con la storia della Rivoluzione francese fino al 1830 almeno). Ogni traccia di iniziativa autonoma da parte dei gruppi subalterni dovrebbe perciò essere di valore inestimabile per lo storico integrale; da ciò risulta che una tale storia non può essere trattata che per monografie e che ogni monografia domanda un cumulo molto grande di materiali spesso difficili da raccogliere.

(Quaderno 25, ed. Gerratana, pp.2283/2284). -

 

Gayatri Chakravorty Spivak:

/ “Mentre il Nord continua apparentemente ad «aiutare» il Sud – così come in precedenza l’imperialismo «civilizzava» il Nuovo Mondo –, l’apporto cruciale del Sud nel sostenere lo stile di vita del Nord, famelico di risorse, è forcluso per sempre. Nei pori di questo libro indicherò che il modello dell’informante nativo attualmente forcluso sia la più povera donna del Sud. Ma il periodo e i testi da noi presi in considerazione in questo capitolo produrranno, per citare la straordinaria intuizione di Gramsci, l’informante/i nativo/i come un luogo di tracce non in elenco” (G.Spivak, Critica della ragione postcoloniale - Verso una storia del presente in dissolvenza, Meltemi, 2004, p. 32 - ed.originale: A Critique of Postcolonial Reason, Harvard University Press, 1999). /

 

La critica:

- E a proposito di egemonia, che dire della citazione di Gramsci con cui si chiude il passo citato? Il lettore italiano, dopo aver attraversato con una certa fatica pagine tanto ostili (l’autrice scrive come se le desse fastidio avere un lettore, come nella tradizione derridiana da cui proviene, del resto), pensa di trovarsi finalmente in un porto sicuro. Solo che, dopo averci un po’ pensato, viene il dubbio su dove si trovi in Gramsci questa cosa dell’informatore nativo come un luogo di tracce non in elenco (oltre che su cosa significhi un «luogo di tracce non in elenco», site of unlisted traces). Sfoglia e risfoglia i Quaderni, non si trova niente del genere. Nel libro di Spivak il riferimento torna molto più avanti, in una lunga nota dedicata alla costruzione di una episteme di genere: «è qualcosa di paragonabile all’“inventario senza tracce” di Gramsci» (Spivak 2004, p. 297; Gramsci’s «inventory without traces», Spivak 1999, pp. 285-6). Il testo qui rimanda alla Selection from the Prison Notebooks pubblicata nel 1971 da Q. Hoare e G. Nowell Smith; l’edizione italiana rimanda invece all’edizione Gerratana dei Quaderni, individuando la fonte reale della citazione. Si tratta del Quaderno 11, e in particolare del passo in cui Gramsci invita a praticare un «conosci te stesso» inteso come coscienza delle tracce lasciate in ciascuno di noi dalla storia specifica dei gruppi sociali cui si appartiene: consapevolezza, dunque, del Sé come «prodotto del processo storico finora svoltosi che ha lasciato in te stesso un’infinità di tracce accolte senza beneficio d’inventario. Occorre fare inizialmente un tale inventario» (Gramsci 1975, p. 1376). Spivak coglie bene uno degli spunti gramsciani che più si avvicina a una teoria della soggettività subalterna. Ma entrambe le sue espressioni sono fuorvianti: site of unlisted traces è una sua parafrasi, e inventory without traces, virgolettato e con il riferimento bibliografico, non cita in realtà la traduzione letterale e corretta di Hoare e Nowell Smith ma ne inverte il senso (Gramsci parla di tracce senza inventario e non di un inventario senza tracce, che è un nonsense). Ma soprattutto, sfugge il nesso di tutto ciò con la forclusione. Che Gramsci (col suo storicismo inflessibile e la sua scrittura limpida e rigorosa) sia stato assunto come una sorta di antenato totemico della Theory è una di quelle ironie della storia che attiravano ogni tanto l’attenzione del pensatore sardo. -

da Fabio Dei, Di Stato si muore? Per una critica dell’antropologia critica, sta in STATO, VIOLENZA, LIBERTÀ - La «critica del potere» e l’antropologia contemporanea a cura di Fabio Dei e Caterina Di Pasquale, Donzelli, 2017 ed.digitale, s.i.p. [note espunte].

 

/ Subaltern studies Italia /



Antonio Gramsci (1891/1937)


Gayatri Chakravorty Spivak (Calcutta, 24 febbraio 1942)

giovedì 14 ottobre 2021

The Thought of Gramsci - IL PENSIERO DI GRAMSCI NEI SUBALTERN STUDIES

 

IL PENSIERO DI GRAMSCI NEI SUBALTERN STUDIES

 

MARIANNA SCARFONE

 

Le circostanze politiche ed accademiche della ricezione

 

La ricezione del pensiero di Gramsci nel mondo anglofono ha inizio alla fine degli anni Cinquanta, con la traduzione di una parte dei suoi scritti, raccolti nell’antologia The modern Prince and other writings (1) .

E nell’ambiente dello History Group di Londra e i dei rappresentanti della New Left britannica che matura un primo interesse “internazionale” verso la figura di Gramsci: il pensiero del comunista sardo influenza e trasforma la cultura del marxismo inglese, alimenta in esso nuove prospettive - la history from below, lo studio della storia delle classi subalterne e delle ribellioni e il culturalism - suggerisce nuove strategie - la terza via e le alleanze sociali - e introduce l’analisi dell’ideologia, del discorso e del senso comune.

Anche la ricezione indiana del pensiero di Gramsci pone l’accento sull’approccio teorico gramsciano che va al di la del determinismo legato al dato economico, compiendo uno sforzo di analisi delle sovrastrutture, della dimensione culturale ed egemonica delle relazioni di potere. L’attenzione degli intellettuali

indiani si rivolge in particolare al concetto di egemonia, alla categoria di gruppi subalterni, al rapporto tra classi subalterne e classi dominanti e alle rappresentazioni che queste ultime e gli intellettuali tradizionali che le supportano forniscono dei subalterni.

Prima di considerare l’influenza che la lettura di alcuni passaggi dei Quaderni del carcere ha avuto per la nascita e lo sviluppo del collettivo dei Subaltern Studies, prima di analizzare l’uso che gli storici indiani hanno fatto di alcuni concetti gramsciani e le rielaborazioni originali che ne hanno proposto al pubblico internazionale, è opportuno tracciare brevemente le condizioni e le tappe della comparsa e dell’ingresso di Gramsci nel Subcontinente indiano. Non va dimenticato che si tratta di un “ingresso” circoscritto alla formazione culturale e alla cultura politica di un milieu ristretto e geograficamente situato, e limitato in particolare all’universo accademico (2), anche se, evidentemente, radicale, critico verso la cultura

dominante.

In India Bhabani Sen, importante leader del Partito Comunista indiano, offre una recensione in bengalese di The Modern Prince and Other Writings, sulla rivista della sinistra indiana ≪Parichay≫. Susobhan Chandra Sarkar, storico impegnato politicamente, detentore di “una posizione centrale nella diffusione di idee progressiste” (3)  e nella loro “vernacolizzazione intellettuale” (4)  nell’ambiente universitario di Calcutta, è il primo ad analizzare e a diffondere a livello accademico il pensiero di Gramsci. Alla fine degli anni Cinquanta inizia a discutere l’opera del filosofo italiano nelle sue lezioni al Presidency College di Calcutta (Ranajit Guha, “fondatore” dei Subaltern Studies, e tra i suoi studenti (5),  prosegue lo studio delle elaborazioni gramsciane durante il decennio successivo, giungendo a pubblicare nel 1968 sul periodico di Delhi ≪Mainstream≫ The Thought of Gramsci (6), “il primo resoconto esauriente prodotto in India del pensiero di Gramsci” (7), pensiero che, nelle parole di Sarkar, “ha senza dubbio arricchito l’arsenale del marxismo e merita perciò oggi lo studio piu serio”(8).

E in seguito alla pubblicazione di quest’articolo - e grazie alla traduzione in inglese di altre opere gramsciane, sempre piu intensa a partire dagli anni Settanta (9) - che anche nel dibattito intellettuale indiano va consolidandosi la presenza di Gramsci: diversi contributi vengono pubblicati in riviste di argomento politico e seminari e workshop vengono organizzati intorno alla figura del filosofo italiano (10).

 

In questo processo di ricezione, che si fa dunque piu sostenuto nel corso degli anni Settanta, per maturare nel decennio successivo, il ruolo giocato dal Collettivo dei Subaltern Studies  è senza dubbio significativo. Il Collettivo si costituisce sul finire degli anni Settanta, per iniziativa di studiosi afferenti a diverse discipline (soprattutto storici), residenti in parte in India ed in parte nel Regno Unito e raccolti attorno alla figura di Ranajit Guha, di una generazione piu anziano rispetto agli altri componenti del gruppo. A partire dal 1982 pubblicano una serie di volumi (sino ad oggi dodici) dal titolo Subaltern Studies. Writings on South Asian History and Society.

Se il titolo e l’obiettivo del progetto storiografico sono esplicitati nella prefazione al primo volume, non bisogna dimenticare le circostanze politiche concrete che i protagonisti di quest’avventura editoriale, intellettuale e politica collettiva si trovarono a sperimentare in quegli anni, a fianco di migliaia di “subalterni in rivolta”.

 

note

1. L. MARKS, The Modern Prince and Other Writings, Lawrence and Wishart, London 1957.

2. I due partiti comunisti infatti, autonomi in seguito alla scissione del 1964, uno legato all’URSS (Partito Comunista Indiano) e l’altro alla Cina (Partito Comunista Indiano Marxista), restarono piuttosto indifferenti alle suggestioni del comunista sardo.

3. B. DE, “Susobhan Chandra Sarkar”, in Essays in Honour of Professor S. C. Sarkar, People’s Publishers House, Delhi 1976, pp. xvii-l (p. xvii).

4. Ibidem, p. xxx.

5. Proprio a Susobhan Sarkar, Guha dedichera la sua prima importante monografia: R. GUHA, Rule of Property for Bengal: an Essay on the Idea of Permanent Settlement, Mouton, Paris 1963.

6. S.C. SARKAR, “The Thought of Gramsci”, in Mainstream, 2 novembre 1968, pp. 17-26.

7. B. DE, “Susobhan Chandra Sarkar”, cit., p. xlviii.

8. S.C. SARKAR, “The Thought of Gramsci”, cit., p. 26.

9. A. GRAMSCI, Letters from Prison (a cura di L. LAWNER), Harper & Row, New York 1973; A. GRAMSCI, Selections from Political Writings, Lawrence and Wishart, London 1977-1978; A.GRAMSCI, Selections from Cultural Writings (a cura di D. FORGACS e G. N. SMITH), Lawrence and Wishart, London 1985.

10. S. DUTTA GUPTA, “Gramsci’s presence in India”, in International Gramsci Society Newsletter, n.3, marzo 1994, pp. 18-21.


da Gramsci in Asia e in Africa

a cura di Annamaria Baldussi e Patrizia Manduchi

Atti del Convegno Gramsci in Asia e in Africa
Cagliari 12-13 febbraio 2009

AIPSA ed. Anno: 2010

pag.208/210





sabato 9 ottobre 2021

SE IL POST è ANTI : i Postcolonial studies

 

“Milioni di persone sono state uccise a causa del loro marxismo; nessuno invece rischierà mai di morire per il proprio decostruzionismo.”

cit. da Michael Ryan, Marxism and Deconstruction - A Critical Articulation, Johns Hopkins Univ Pr., 1984.

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 Miguel Mellino, La critica postcoloniale. Decolonizzazione, capitalismo e cosmopolitismo nei postcolonial studies, Meltemi, 2021 

scheda:

"Postcoloniale" è ormai diventato uno dei termini chiave della teoria sociale. Sulla scia di questo successo, negli ultimi anni, soprattutto nei paesi anglosassoni, ha preso corpo un imponente campo transdisciplinare di studi e di ricerche socioculturali su alcune delle questioni più urgenti del mondo globale contemporaneo: quello dei postcolonial studies. Tuttavia, in Italia, postcoloniale e postcolonialismo non sempre appaiono come nozioni chiare e ben definite. Talvolta si presentano come contenitori capaci di promuovere concezioni e orientamenti teorici, epistemologici e politici intrinsecamente contraddittori. Questo volume si propone come una genealogia critica degli studi postcoloniali e offre al lettore i contorni di un dibattito finora recepito nel nostro paese in modo frammentario. Passando in rassegna le tematiche più ricorrenti e il lavoro degli autori più impegnati in questo campo – Said, Bhabha, Spivak, Hall, Gilroy, Young, Clifford, Appadurai –, l'autore intende mettere in luce sia lo sviluppo storico del postcolonialismo, sia il suo rapporto con le principali correnti della teoria sociale: il marxismo, il postmodernismo, il decostruzionismo, il post-strutturalismo. A partire dall'approfondimento di alcuni concetti chiave – cosmopolitismo, globalizzazione, colonialismo, diaspora, critica culturale – sostiene quindi che il futuro di un campo di studi eminentemente politico come quello dei postcolonial studies non potrà che dipendere dalle posizioni che vi emergeranno in riferimento ai conflitti più pregnanti del mondo odierno.

- dalla prefazione dell’autore:

Piano piano mi rendevo conto che il prefisso post non andava qui preso alla lettera. Possiede valenze del tutto diverse, possiamo dire “metaforiche”. Il post di postcoloniale si presenta come un’altra provocazione postmoderna, ironica e tragica allo stesso tempo (cfr. Gandhi 1998, pp. 5-9). Più che indicare una frattura o un distacco netto nei confronti del passato, sta qui a significare, in una sorta di ritorsione epistemologica lyotardiana, proprio il contrario: l’impossibilità di un suo superamento date le dinamiche neocoloniali che hanno caratterizzato la maggior parte dei processi storici di decolonizzazione formale, simboleggia quindi la persistenza della condizione coloniale nel mondo globale contemporaneo (Spivak 1990, p. 166; Childs, Williams 1997, pp. 1-23). Post sembra, dunque, la prosecuzione di Anti con altri mezzi: […] il postcoloniale va concepito come un insieme di pratiche discorsive (anche) di resistenza al colonialismo, alle ideologie colonialiste e alle loro forme contemporanee di dominio e di assoggettamento. (Adam, Tiffin, a cura, 1991, p. XII) È questa senza dubbio l’accezione più convincente e stimolante del termine. Il ritorno negli ultimi anni di un imperialismo occidentale aggressivo e intollerante, imperniato su una logica “civilizzazionista” (Gilroy, in Mellino 2004) perversa e manichea e su forme di accumulazione del capitale in parte di nuovo primitive e selvagge, non fa che sancire la sua fruibilità o attendibilità euristica o epistemologica. Ma le ambiguità della critica postcoloniale non finivano con questo chiarimento, né si poteva ridurre la sua Weltanschauung al valore semantico di una singola parola. Per avere un’idea meno superficiale di questa prospettiva, il significato del termine postcoloniale andava necessariamente messo in rapporto con i discorsi postcoloniali sulla storia, sul capitalismo, sulla cultura, sul cosmopolitismo, sul marxismo, sul razzismo. Senza uno sguardo panoramico, per così dire, si correva il rischio di banalizzare e di fraintendere buona parte del messaggio e delle posizioni che i critici postcoloniali cercavano di promuovere. Lo scopo principale di questo libro è quindi cercare di offrire al lettore i contorni di un dibattito recepito finora in Italia in modo del tutto frammentario.

[da Id. e ibidem, ed.digitale]


note biblio:


Leela Gandhi Postcolonial Theory
A critical introduction Routledge, 1998

Gayatri Chakravorty Spivak The Post-Colonial Critic: Interviews, Strategies, Dialogues Routledge, 1990

Peter Childs Patrick Williams An Introduction To Post-Colonial Theory Routledge, 1997

Ian Adam, Helen Tiffin Past the Last Post: Theorizing Post-colonialism and Post-modernism,   University of Calgary Press, 1991

Miguel Mellino
Quale prospettiva per i "Cultural Studies"? Conversazione con Paul Gilroy in
Studi culturali, 1/2004, giugno, Il Mulino




Miguel Mellino (Buenos Aires,1967) è docente di Studi Postcoloniali e Relazioni Interetniche all'Università di Napoli L'Orientale. Tra le sue pubblicazioni, Stuart Hall: Cultura, Razza e Potere (Ombre Corte 2015), Cittadinanze Postcoloniali. Appartenenze, razza e razzismo in Italia e in Europa (Carocci, 2012), Post-Orientalismo - Said e gli studi postcoloniali. Meltemi, Roma 2009.


venerdì 8 ottobre 2021

SCOTELLARO-LUCANO

 

LUCANO, SCOTELLARO e IL PENSIERO MERIDIANO

di Stefano Modeo


- La condanna di Mimmo Lucano fa rabbrividire per la sua enorme portata, così come gettano in un enorme sconforto il volto e le parole conclusive dello stesso ex sindaco di Riace: «Ora posso anche morire, non c'è pace né giustizia.»

Ancora una volta la biografia di Mimmo Lucano non può che ricordarmi Rocco Scotellaro, il quale ne L'uva puttanella (Laterza 1955) criticò fortemente anche il potere giudiziario. In un passo, infatti, il poeta lucano racconta la percezione che il giudice dà di sé e del contesto in cui agisce:

«Il mio giudice mi disse: “Dite se è una persecuzione politica, ma datemi le prove”. Io lo guardai, un secondo, con l’occhio del suo antenato e con quello di suo figlio. Gli vidi i baffi neri e la fede al dito, le labbra di creta e i suoi occhi scattavano come persiane. Avrei voluto parlargli d’altro, non gli risposi […].

Tutti i giudici erano dei pendoloni carichi, le cui lance segnavano il tempo, le ore e i minuti e scoppiavano all’ora voluta dal potere esecutivo. Le pochissime volte che qualcuno di loro si ribellò e volle funzionare secondo le leggi scritte e decantate sulle lapidi, la sveglia si ruppe prima di suonare.

Un giudice che non si spiega le cose e deve seguire il carro del potere, è lo scrivano del carabiniere semianalfabeta, è uno schiavo principe o no che può gustare soltanto il cibo che gli portano, è un meccanismo»

Eppure questo meccanismo si può turbare, lo possono dimostrare i numerosi sit-in e flash mob che già da ieri hanno preso ad organizzarsi spontaneamente. Alla portata politica di questa condanna serve una risposta che ribalti i rapporti di forza. E qui torna alla mente, necessario - poiché è sempre il Sud del mondo, direttamente o indirettamente, ad essere sotto scacco - ''Il pensiero meridiano'' e le parole di Franco Cassano:

«Il pensiero meridiano è dall'altra parte del mondo. Se il sud deve riconquistare la sua capacità di parola deve mettere al centro la giustizia, far capire che nessuna sicurezza può stare seduta su disuguaglianze così spietate. [...] Ad un grande squilibrio occorre reagire con una grande spallata nel senso contrario. Chi vuole l'equilibrio deve oggi sporgersi e compensare lo squilibrio andando dall'altra parte, deve provare, come propone Ngugi wa Thiong'o, a Spostare il centro del mondo. La misura non è quindi prudenza o un banale «giusto mezzo», ma una costruzione complessa e coraggiosa, che mira a salvare la molteplicità delle forme di vita, restituendo a ciascuna di esse con un solo gesto il suo valore e la sua finitezza.»

 

2 OTTOBRE 2021


Rocco Scotellaro (1923/1953) e Mimmo Lucano 



mercoledì 6 ottobre 2021

Carla Pasquinelli e lo sguardo dell'Occidente

 

#Carla #Pasquinelli #antropologa, si confronta con la critica alle forme della modernità e del dominio coloniale nell’interiorizzazione che l’Occidente ne fa per riprodurre narrazioni di violenza senza giustizia. All’incrocio tra Subaltern studies (con la lezione demartiniana) e postcolonial studies (richiamandosi al rapporto potere/sapere in Foucault e alle dinamiche dell’egemonia di Gramsci, così come alla violenza discorsiva della narrazione dell’Altro per l’autorappresentazione occidentale dell’orientalismo nella critica di Edward Said, ma con molte implicite suggestioni decostruzioniste proprie della filosofia di J.Derrida e della G. Spivak) nell’introduzione alla raccolta di saggi da lei curata, Occidentalismi, cerca di legare i nessi che possono condurre a un nuovo itinerario culturale, quello della critica postcoloniale alla subalternità, in nome non solo di una necessaria rivoluzione di sistema (capitalistico, imperialistico, occidentale) ma di un intero paradigma di civiltà, a partire dalla logica discorsiva che ne rivela l’essenza: in questa va inquadrata l’accusa di ‘disciplinamento’ imputata alla costruzione degli Stati-nazione e allo stesso statuto epistemologico delle scienze sociali.

/ Subaltern studies Italia /

 

LO SGUARDO DELL’OCCIDENTE

(..) lo sguardo che l’Occidente ha rivolto per secoli sulle altre culture, per rispecchiarsi nell’ immagine deformata del proprio dominio. Ma pochi si sono soffermati su questo sguardo che é passato inosservato come le persone su cui si era un tempo posato. A richiamare la nostra attenzione su di esso sono stati i postcolonial studies - quell’insieme composito di testi e autori impegnati a decostruire quei paradigmi della Modernitá che hanno fornito le strutture di accoglienza e di sostegno al dominio coloniale.

Per loro quello sguardo é diventato il simbolo stesso della violenza dell’Occidente, una “violenza epistemologica” , su cui il colonialismo ha fondato parte del suo dominio. É stato il filtro, che ha selezionato le persone, negando ai più dignità e riconoscimento, ed elargendo ad alcuni, non so quanto fortunati, condiscendenza e complicità. Ma é stato anche il tramite dei rapporti quotidiani tra colonizzatori e colonizzati, così come si venivano dispiegando secondo le logiche di una ordinaria violenza.

Uno sguardo panottico - per riprendere la metafora foucaultiana - a cui era stata affidata non tanto la sorveglianza di moltitudini diseredate, che per rendere docili sembravano bastare la miseria e l’esclusione, quanto il compito di mantenere le distanze, di dosarle, e soprattutto di fare capire ai colonizzati che erano fatti di una pasta differente da quella dei loro padroni.

La sua cabina di regia era situata al punto di incontro tra due paradigmi forti della modernità: lo Stato-Nazione e le scienze sociali, due istituzioni disciplinanti il cui effetto combinato ha configurato un nuovo spazio discorsivo all’interno del quale si é consumata l’appropriazione unilaterale del mondo circostante da parte dell’Occidente sotto il segno della violenza. Una violenza che non é però riconducibile a una mera logica di potere, spoliazione e assoggettamento delle popolazioni colonizzate, ma rimanda a una rete piú ampia di riferimenti, enunciati e rappresentazioni discorsive che contribuivano a rafforzare e riprodurre le strutture politiche ed economiche del dominio coloniale.


 Said, l’orientalismo e la costruzione discorsiva dell’Altro 

 - È così che sono state costruite le rappresentazioni delle altre culture: a partire dalla centralità del nostro sguardo, che ha conferito loro sostanza e identità ritagliate su misura di tutto ciò che noi rifiutavamo di essere. Quelle Afriche fantasma, quegli Orienti misteriosi, quei Paradisi dei mari del sud che, sedotti dalla fascinazione esotica di un altrove immaginario, abbiamo sovrapposto alla concretezza del dominio che gli imperi coloniali esercitavano su di essi sommando così violenza a violenza, secondo un sistema di classificazione che contrapponeva il mondo del colonizzatore a quello del colonizzato come due essenze irriducibili l’una all’altra. Attribuendo agli altri tutto quello che non volevamo essere ma di cui avevamo bisogno per poter essere.

La costruzione discorsiva dell’Altro colonizzato è stata parte intrinseca della comprensione del Noi, che ha potuto rappresentarsi come moderno, civilizzato, superiore, sviluppato e progressivo solo in rapporto a un Altro - secondo una convenzione consolidata per indicare quanti vivono al di fuori dei confini storici, politici, culturali dell’Occidente - che è stato raffigurato come la negazione di tutto quello che l’Europa immaginava o desiderava essere. Siamo debitori a Edward Said di questa folgorante intuizione, che traspare dalle pagine del suo Orientalismo, anzi ne costituisce il supporto, poiché senza la rifrazione deformante del nostro sguardo sull’Oriente la cultura europea non avrebbe né quella forza né quella identità che le viene da una contrapposizione ad esso frontale e senza remissione.

L’Orientalismo così come ce lo presenta Said non è altro che la metafora di quella violenza che ha nutrito il nostro sapere dell’Altro. Solo facendo dell’Oriente “una sorta di sé complementare e, per così dire, sotterraneo”, l’Occidente si è potuto garantire una porta di accesso al sapere di sé. Perché la violenza che ha alimentato le discipline - e che le discipline hanno a loro volta alimentato - non ha plasmato solo la rappresentazione degli altri ma anche la propria. Fuori dalle nostre teste e dai nostri libri l’Oriente non esiste, non più dell’Occidente.

Sono entrambi un’invenzione dell’Occidente. Ovvero non sono “qualcosa che semplicemente c’è”, bensì l’espressione di <<uno stile di pensiero fondato su una distinzione sia “ontologica” sia “epistemologica” tra l’Oriente da un lato e l’Occidente dall’altro>>. Una distinzione, anzi una contrapposizione che ha costituito il vertice ottico adottato stabilmente da quanti - scrittori, filosofi, economisti, funzionari e amministratori coloniali- si sono occupati di quella nebulosa di saperi, significati, stereotipi, strategie di dominio che ha preso il nome di Orientalismo. Ma attenzione, non si tratta di una astrazione e nemmeno di una fantasia degli europei, << quanto piuttosto di un corpus teorico e pratico nel quale, nel corso di varie generazioni, è stato effettuato un imponente investimento materiale>>. Un investimento che - tiene a precisare Said- <<ha fatto dell’orientalismo, come sistema di conoscenza dell’oriente, un filtro attraverso il quale l’Oriente è entrato nella coscienza e nella cultura occidentale >>.

da Occidentalismi, Carocci ed., 2005, pp.8/9


il testo citato da Carla Pasquinelli è Edward Said, “Orientalismo”, (ed.originale in lingua inglese, Pantheon books, 1978, 1ed. it. Bollati Boringhieri, 1991, 2ed. it. Feltrinelli, 2002, entrambe le ed.it. tradotte da Stefano Galli)


Carla Pasquinelli (Firenze,1939 - antropologa)

cop. ed.2005

Edward Said (1935/2003) 


lunedì 4 ottobre 2021

GRAMSCI, STUART HALL e i CULTURAL STUDIES

 

Il soggetto fa la differenza? L’approccio di Stuart Hall a Gramsci (Cultural Studies)

 

- Stuart McPhail Hall (1932/2014) è considerato lo studioso più rappresentativo dei Cultural studies (scuola di Birmingham).

Giamaicano naturalizzato britannico, sociologo della comunicazione, studiò l’influenza dei media, in particolare Tv e programmi televisivi, sul senso comune di massa. Negli anni Cinquanta fu uno dei fondatori dell'influente New Left Review. Su invito di Hoggart, Hall aderì al Centre for Contemporary Cultural Studies presso l'Università di Birmingham nel 1964: Hall prese il posto di Hoggart come direttore del Centro nel 1968 e vi rimase fino al 1979. Durante la sua direzione vennero tenuti in grande considerazione gli studi culturali inerenti ai concetti di razza e di genere. Uno dei concetti fondamentali nelle analisi sui media da parte di Hall è quello di ideologia, termine ripreso dagli scritti di Karl Marx e Friedrich Engels (presente in particolare in Ideologia Tedesca, 1845 e ne Il Capitale). Nel 1979 Hall abbandonò il Centro e divenne docente universitario di Sociologia alla Open University; tra i suoi testi reperibili in italiano, Politiche del quotidiano. Culture, identità e senso comune, pubblicato da Il Saggiatore nella collana Cultural studies nel 2006. Uno dei riferimenti di Stuart Hall fu il pensiero di Antonio Gramsci.

/ Subaltern studies Italia /

"Tutti noi scriviamo e parliamo da un tempo e da un luogo particolari, da una storia e da una cultura specifiche. Quanto diciamo è sempre “in situazione”, posizionato. Sono nato in Giamaica, dove ho trascorso la mia infanzia e la mia adolescenza. Appartenevo a una famiglia del ceto medio-basso dell’isola. Ho vissuto tutta la mia vita da adulto in Inghilterra, all’ombra della diaspora nera: “nel ventre della bestia”. Scrivo sullo sfondo del lavoro di una vita nel campo dei Cultural Studies. E se questo mio intervento appare del tutto centrato sull’esperienza della diaspora e delle sue narrazioni di dislocazione, può essere utile ricordare che ogni discorso è “situato” e che il cuore ha le sue ragioni."

(S.Hall, “Identità culturale e diaspora”, in Id., Il soggetto e la differenza, a cura di M. Mellino, Roma, Meltemi, 2006, p.244.)

"La sua è un'opera raffinata, certamente interna al paradigma marxista. Tuttavia, egli ha in gran parte rivisto, rinnovato e affinato diversi aspetti di quell'impianto teorico per adeguarli alle relazioni sociali contemporanee, quelle del XX secolo. La sua opera, quindi, ha direttamente a che fare con la questione dell'"adeguatezza" delle teorie sociali esistenti, poichè il suo maggiore contributo teorico può essere individuato nella complessificazione dei problemi e delle prospettive teoriche esistenti." (..)

“Gramsci non era un ‘teorico puro’. Il suo non è il lavoro di un accademico ‘di scuola’. Dall'inizio alla fine, era ed è rimasto un intellettuale politico e un militante socialista sullo scenario politico italiano. I suoi scritti "teorici" sono un prodotto di questo impegno organico nella società del suo tempo e avevano come scopo principale non certo lo sviluppo di obiettivi accademici astratti, ma l’arricchimento della ‘pratica politica.” (..) Gramsci è stato artefice di un marxismo autenticamente 'aperto', avendo sviluppato un buon numero di intuizioni della teoria marxista di fronte a nuovi problemi e nuove condizioni."

(S. Hall, “L'.importanza di Gramsci per lo studio della razza e dell’etnicità”, in Id., Il soggetto e la differenza, cit., pp. 185-186).



Stuart McPhail Hall (1932/2014)