Subaltern studies Italia

L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

Powered By Blogger

venerdì 22 marzo 2019

LA RINASCITA


continuiamo a credere che la sinistra di classe del nostro paese e, in maniera particolare, i comunisti italiani in essa, abbiano bisogno di un giornale di raccordo, di collegamento, di identità, programmatico e valoriale, strumento di battaglia politica, strumento di riflessione teorica, mezzo di emancipazione militante e di massa. Come la Rinascita, appunto, di cui vi proponiamo la prima pagina dello storico primo numero, che indicava il programma. Era il giugno del 1944 e lo redasse Palmiro Togliatti. 
Grazie alla biblioteca Gino Bianco di Forlì per il suo prezioso lavoro 





mercoledì 20 marzo 2019

L'ARCANO DELLA FORMA DI MERCE


- L'arcano delle merci, secondo Marx (I libro de Il Capitale), è la principale componente della sua "grandezza di valore", cioè il tempo di lavoro necessario a produrre la merce stessa. Nella merce è occultata, in sintesi, la dicotomia tra produttore e prodotto, cioè il rapporto sociale dominante del sistema capitalista, che ha nel valore di scambio la sua determinazione essenziale rispetto ai valori d'uso della merce. Lo scambio tra una tonnellata di ferro e due libbre d'oro è possibile dunque all'interno di un rapporto sociale, astraendo dal loro valore d'uso. Il feticismo consiste nella sostituzione della relazione tra esseri umani e il loro lavoro con una relazione tra cose.
- L’arcano della forma di merce consiste dunque semplicemente nel fatto che tale forma rimanda agli uomini come uno specchio i caratteri sociali del loro proprio lavoro trasformati in caratteri oggettivi dei prodotti di quel lavoro, in proprietà sociali naturali di quelle cose, e quindi rispecchia anche il rapporto sociale fra produttori e lavoro complessivo come un rapporto sociale di oggetti, avente esistenza al di fuori dei prodotti stessi. (K.Marx)

L'arcano delle merci si pone all'interno della categoria di reificazione, un punto forte di congiunzione con il giovane Marx dei Manoscritti del 1844 e la categoria di alienazione, dimostrazione concreta che nel filosofo di Treviri è indisgiungibile la metodologia dello scienziato dell'economia politica da ciò che aveva costituito la sua "anteriore coscienza filosofica", l'impostazione umanistica dell'analisi sociale. Disvelare la struttura dei rapporti di produzione  diventa compito rivoluzionario unitario nella prassi cosciente, in quanto la coscienza (di classe) si libera di apparenze fenomeniche che ne occultano il ruolo mai astrattamente teoretico di dinamica storica della trasformazione, effettiva e concreta.
György Lukács, nel saggio ”La reificazione e la coscienza del proletariato“ (contenuto in Storia e coscienza di classe, del 1923), coglie la potenza della categoria marxiana: la reificazione nel capitalismo è data dal prevalere della formalizzazione, cioè dal predominio di una astratta razionalità, scissa dai concreti rapporti sociali e dal loro processo di riflessione del dominio di classe.
  «Non a caso entrambe le grandi opere della maturità di Marx che si accingono a presentare la società capitalistica iniziano con l’analisi della merce. Infatti, non esiste problema che non rimandi in ultima analisi a questa questione e la cui soluzione non debba essere ricercata in quella dell’enigma della struttura della merce … L’essenza della struttura di merce consiste nel fatto che un rapporto, una relazione tra persone riceve il carattere della cosalità e quindi un’”oggettualità spettrale” che occulta nella sua legalità autonoma, rigorosa, apparentemente conclusa e razionale, ogni traccia della propria essenza fondamentale: il rapporto tra uomini … Questo trasformarsi in merce di una funzione umana rivela con la massima pregnanza il carattere disumanizzato e disumanizzante del rapporto di merce»
(G. Lukács, Storia e coscienza di classe, Sugarco,1988, pp.107-108).

La mercificazione dei rapporti umani è, oggi, uno degli aspetti più devastanti delle forme in cui appare il dominio di classe nel sistema capitalista. (fe.d.)



giovedì 7 marzo 2019

Teoria e pratica pedagogica in Nadezna Krupskaja (1917/1939)


aggiornamento, 8 marzo 2019
contributo di Ferdinando Dubla
scritto per : [wiki] [bene comune]

N.K. Krupskaja (1869/1939), rivoluzionaria educatrice sovietica 

Teoria e pratica pedagogica 

In questi anni, assieme a figure come Lenin e Lunačarskij, partecipa come pedagogista alla realizzazione di una nuova scuola, cercando di rendere attuale la riflessione di Marx sull'esigenza di un "uomo nuovo" sviluppato "onnilateralmente" attraverso l'abitudine al lavoro collettivo e una preparazione politecnica, prendendo le distanze dalla "scuola del lavoro" di Georg Kerschensteiner. Questa scuola (trudovaja škola) introdotta dalla riforma del 1918, viene definita di "cultura generale e politecnica" e si propone di integrare lavoro intellettuale e lavoro manuale (produttivo). Secondo alcuni studiosi, questo progetto ebbe difficoltà nell'integrazione con il lavoro intellettuale sistematico e non direttamente finalizzato alla produzione, artigianale o su scala industriale, che avrebbe portato alla realizzazione pratica degli ideali marxisti.[17]
L'ulteriore riforma scolastica del 1923 introduce infatti importanti modifiche, in particolare ridefinisce gli scopi della scuola, individuandoli non più nell’autoformazione della personalità, ma nella formazione del comunista e del lavoratore. La Krupskaja diresse, presiedendo il GUS, il Soviet scientifico di Stato interno al Ministero dell'Istruzione (Narcompros), sia la redazione del Nuovo Statuto della Scuola Unica di Lavoro, sia i Nuovi Programmi di insegnamento. La formazione dell' "uomo collettivo" non poteva considerarsi l’esito scontato dell’autosviluppo, non poteva nascere dalla spontaneità, ma richiedeva un sistematico intervento di tipo pedagogico. La nuova metodologia, chiamata “metodo dei complessi”, si riagganciava alla pedagogia scientifica e in particolare era influenzata dalle idee di Ovide Decroly. L’intero sistema educativo, dalla scuola elementare all’università, si articolava per complessi di idee, progressivamente sempre più ricchi di specificazioni, il cui filo conduttore però rimaneva sempre la prospettiva marxista.
Per tutto il periodo dell'edificazione socialista, e in particolare dopo la morte di Lenin nel 1924, cercò di stimolare la formazione politecnica, l'educazione sociale e la pedagogia del collettivo, nonché di rendere concreta l'aspirazione della Pedagogia di Lev Tolstoj di una scuola statale pubblica e popolare e di metodi didattici improntati alla libertà, creatività e autonomia, da Krupskaja considerati fondamentali per la formazione di una disciplina cosciente, come quelli praticati già a Jasnaja Poljana ma, soprattutto, nello stesso periodo, dalle esperienze pedagogiche di Anton Semenovyč Makarenko.
Il suo sforzo di pedagogista fu volto a indirizzare e rafforzare le strutture giovanili come l'Organizzazione dei pionieri di tutta l'Unione, che raggruppava bambini dai 9 ai 14 anni e il Komsomol, l'Unione comunista leninista della gioventù pansovietica, nell'intento di attualizzare nel concreto il leninismo attraverso metodologie pedagogiche finalizzate al primato della politecnicizzazione. La Krupskaja teorizzava il superamento della separazione tra teoria e prassi, scienza, tecnica e cultura, propria, a suo parere, delle pedagogie praticate nel mondo capitalista borghese, funzionali alla divisione in classi della società.
Una Risoluzione del Partito Comunista del 4 luglio 1936, escluse le ore di lavoro dal piano didattico delle scuole, spostando il rapporto a favore dello studio e dell’istruzione non direttamente indirizzata alla professionalizzazione, rendendo così più equilibrato l’intero sistema scolastico. La cosiddetta “pedologia”, termine con cui si intendeva la psicologia sperimentale applicata alle metodologie didattiche attiviste, fu dichiarata una “pseudoscienza”, ed anche la Krupskaja, aperta, seppur criticamente, ai contributi della pedagogia attivistica, prese le distanze da essa, continuando a sviluppare l’idea del politecnicismo.[18] L'"uomo collettivo", sviluppato "onnilateralmente", doveva divenire l'"uomo nuovo" dell'epoca della società comunista.
Negli anni 1937-38, la Krupskaja redasse anche lo Statuto del giardino d'infanzia, approvato dal Commissariato del popolo per l'istruzione, in cui sottolineava la necessità, anche per l'attività prescolastica, dell'educazione sociale, "perché il gioco e tutte le altre attività sviluppino [nei bambini] il senso del collettivismo, li abituino ad agire in modo organizzato, a rispettare le regole interne."[19]
17. ^ F. Cambi, Le pedagogie del Novecento, 2006
18^ A. Daziano,La scuola nell'Unione Sovietica, Feltrinelli, 1963, pag.17 
19.^ N. K. Krupskaja, Scritti di pedagogia, ed. Progress Mosca, 1978, pag. 74



martedì 5 marzo 2019

RICOSTRUIRE la SINISTRA di CLASSE


ordine del giorno, mercoledì 6 marzo 2019

ricostruire la sinistra di classe in Italia è una responsabilità storica, perché unica vera alternativa alla tenaglia qualunquista-fascistoide falsosovranista e l'orda servo-liberista. (fe.d.)


Un evento editoriale: i Manoscritti economico-filosofici del 1844 di Karl Marx


la riproposizione di un nuovo umanesimo nel marxismo, passa dalla lettura e analisi dei manoscritti del 1844, pubblicati solo nel 1932. Essi vanno interpretati non alla luce degli scritti successivi (Althusser e la "rottura epistemologica") ma nella loro densità autonoma e attualizzazione per l'indagine del presente. Tramite la centrale categoria di alienazione, Marx si pone come pensatore olistico e umanistico, e proprio per questo, rivoluzionario. (fe.d.) 

Tratto dall’Introduzione di Ferruccio Andolfi a Karl MarxManoscritti economico-filosofici del 1844, Edizione commentata, a cura di Ferruccio Andolfi e Giovanni Sgro’, Orthotes editrice.


Manoscritti economico-filosofici sono appunti di lettura presi a Parigi, tra il marzo e il settembre 1844, da un giovane e colto tedesco, appena ventiseienne, che era sul punto di varcare il confine tra critica filosofica e lotta politica. Nella capitale francese Karl Marx era giunto dall’ottobre dell’anno precedente per curare l’organiz­zazione degli Annali franco-tedeschi, cioè della rivista attorno a cui si raccolsero per breve tempo i Giovani hegeliani di sinistra. Le sue note di lettura rappresentano il risultato di un primo intenso studio dell’economia politica e di un confronto con la filosofia di Hegel, vista come elaborazione speculativa dello stesso punto di vista dell’eco­nomia politica. Ma attestano insieme una vasta conoscenza delle teorie socialiste e comuniste e delle relative esperienze associative. Da quando, quasi un secolo più tardi, queste note furono pubblicate per la prima volta, nel 1932, divennero uno dei testi più dibattuti da studiosi e militanti comunisti di diverso orienta­mento.
Il carattere fram­mentario dei Manoscritti, il fatto che non fossero destinati a formare un libro, l’incompiutezza delle argomentazioni – tutto ciò non ne rende agevole la lettura, ed è abbastanza sorpren­dente che in genere gli editori si siano poco impegnati a fornire strumenti che aiutassero a ricostruire i contesti discorsivi delle lunghe trascri­zioni e il senso dei commenti che le accom­pagnano. Tuttavia alcune parti, le pagine sul lavoro alienato, sul comu­nismo e quelle finali sulla critica della filosofia hegeliana, di comprensione relativamente immediata, sono diventati, insieme alla parte iniziale dell’Ideo­logia tedesca, uno dei mezzi privi­legiati per l’accesso al pensiero filosofico di Marx.
Alcuni celebri esponenti del marxismo critico occidentale salutarono l’evento della pubblicazione come occasione per rinnovare l’immagine di Marx appiattita per decenni sul suo opus magnum, il Capitale. I manoscritti ebbero ugualmente una rece­zione entusiasta da parte dei dissidenti dei paesi comunisti, che utilizzarono le tesi sull’alienazione che vi erano contenute per denunciare il carattere alienato dei regimi da cui erano oppressi. Sul fronte opposto gli ideologi dei paesi comunisti dell’area sovietica, e, in Occidente, i rappresen­tanti del cosiddetto antiumanesimo teorico relegarono l’opera nella preistoria del marxismo, che si inaugurerebbe invece proprio con quella specie di ritrattazione che assai presto, negli anni 1845-46, Marx avrebbe fatto, nelle Tesi su Feuerbach e nell’Ideologia tedesca, del proprio passato filosofico. Con la nota tesi «L’essere [Wesen] umano è l’insieme dei rapporti sociali» Marx, secondo l’opinione di uno dei principali campioni di quest’ultimo fronte, Louis Althusser, si sarebbe decisamente immesso sulla via della «scienza» dei rapporti sociali, abbando­nando ogni elucubrazione intorno alle essenze […]
Partirei proprio dalle parti meno discorsive, corrispondenti a letture e studi fino a quel momento così poco familiari a Marx ch’egli sente la necessità di riportare nei suoi quaderni lunghe trascrizioni di economisti classici (Smith, Ricardo, Say, Sismondi ecc.) e di analisti della vita sociale del tempo come Edmund Buret, Charles Pecqueur, Walter Schulz.
In negativo, coloro che espungono i Manoscritti dal canone del marxismo vero e proprio, si basano sul fatto che il loro autore non è ancora giunto ad accettare la teoria ricardiana del valore-lavoro, su cui avrebbe innestato la propria teoria del pluslavoro e del plusvalore. Con uno strano accanimento essi sostenevano, e in alcuni casi continuano tuttora a sostenere, che una teoria dell’alienazione in cui lo sfruttamento non sia associato al fenomeno del plusvalore non ha senso né soprattutto efficacia, e finisce per risolversi in una vuota denuncia del carattere “disumano” del capitalismo.
Far dipendere la purezza ed efficacia pratica di un’intera visione del mondo dall’accettazione di un singolo “dogma” quale quello della teoria del valore, è abbastanza curioso e fa ricordare le battaglie teologiche per l’ortodossia cristiana, quando si ragionava sul “filioque”, ovvero sul giusto modo di intendere la processione dello spirito santo dal padre e dal figlio.
Comunque si può notare che pur in assenza dell’adesione alla teoria del valore Marx trova fin da ora una via per caratterizzare l’economia fondata sulla proprietà privata come un’economia mirante in modo esclusivo alla valorizzazione del capitale. C’è in questi manoscritti, ma continuerà a esserci in ogni fase successiva degli studi economici di Marx, una insi­stenza sulla teoria ricardiana del “reddito netto”.
Comunque si può notare che pur in assenza dell’adesione alla teoria del valore Marx trova fin da ora una via per caratterizzare l’economia fondata sulla proprietà privata come un’economia mirante in modo esclusivo alla valorizzazione del capitale. C’è in questi manoscritti, ma continuerà a esserci in ogni fase successiva degli studi economici di Marx, una insi­stenza sulla teoria ricardiana del “reddito netto”.
In che cosa consisteva questa teoria attorno a cui si svolgeva un confronto tra il “cinico” Ricardo e i seguaci “sentimentali” di Sismondi? Ricardo rifiutava di considerare come indice di ricchezza di una nazione il suo reddito lordo, cioè l’insieme dei beni utili prodotti, e chiariva che essa consiste piuttosto nel reddito netto, che fornisce la base per la tassazione di un paese, ed è del tutto indipendente dalla quantità di lavoratori che lo producono. Se grazie a qualche innovazione tecnologica fosse possibile avere lo stesso reddito netto mettendo all’opera un numero minore e anche esiguo di lavoratori, per la nazione ciò sarebbe indifferente, in quanto appunto la sua ricchezza consiste in tale reddito netto.
Queste affermazioni erano state contestate da economisti “umanisti”, quali Sismondi o come il suo seguace Buret, entrambi citati da Marx. Sismondi, propugnatore di una economia che integrasse in sé la preoccupazione per la felicità degli individui, aveva rimarcato la disumanità di una prospettiva come quella di Ricardo, secondo la quale si poteva arrivare al paradosso che se il re d’Inghilterra potesse ricavare lo stesso reddito netto di poniamo 2000 sterline, facendo totalmente a meno di esseri umani, manovrando ad esempio una manovella, non ci sarebbe nessuna ragione di lamentarsi.
La posizione assunta da Marx è piuttosto singolare, anche se esemplifica bene il suo stile argomentativo. Egli cita le reazioni sentimentali di Sismondi e dei suoi seguaci, per denunziare a sua volta la disumanità dell’economia politica, ma si rifiuta in definitiva di seguirli sul loro stesso terreno. E prende, sia pure in via provvisoria, le parti di Ricardo, il cui cinismo riflette, e quindi permette di comprendere, il cinismo reale degli stessi comportamenti economici moderni. Dicevo in via provvisoria, perché Marx antivede un tempo in cui, una volta che il principio ricardiano della produzione per la produzione abbia consentito quel gigantesco incremento di ricchezza che è necessario per soddisfare i bisogni crescenti della specie umana, allora sarà possibile reintrodurre il punto di vista della felicità degli individui, finalmente riconciliato con quello della produ­zione.
Naturalmente restiamo in diritto di dubitare, sulla base di evidenze relative allo spirito del capitalismo, che, se il punto di vista della felicità degli individui non viene immediatamente tenuto in conto, ci sia mai modo di recuperarlo. Questo ci intro­duce a un’altra questione sollevata nei Manoscritti, quella del rapporto tra economia e morale. Su questo piano Marx mo­stra di avere una posizione ambivalente: da un lato appunto denuncia l’«infamia morale» dell’economia politica ma nello stesso tempo l’«ipocrisia» della morale che introduce consi­derazioni uma­nitarie in un territorio irrimediabilmente compro­messo dal principio dell’interesse. La morale esistente è con­siderata cioè una proiezione della stessa economia politica che la permea coi suoi criteri di interesse e di avidità di guadagno.
Nessun cambiamento è possibile, se non viene affidato a una trasformazione pratica radicale, che sopprima l’economia poli­tica, pratica e teorica, e la stessa morale esistente. Sembrerebbe, di nuovo, che di morale si possa propriamente parlare solo dopo che questo passaggio sia avvenuto. Altrimenti ogni affermazione ragionevole sull’unità degli interessi, osserva Marx nelle coeve note su Mill, diventa un «infame sofisma».



domenica 3 marzo 2019

PRAXIS è LAVORO POLITICO, il MARXISMO è una concezione OLISTICA


La concezione materialistica della storia è una visione olistica del mondo, degli esseri umani, delle societa', teorizzata da Marx ed Engels. Si basa sull’unita’ di teoria e pratica, sulla comprensione critica e analitica della storia e sulla trasformazione strutturale, dunque rivoluzionaria, del presente. Una rivista che si richiami alla "filosofia della praxis", come la indicarono Antonio Labriola e Antonio Gramsci, contribuisce a costruire la necessaria azione politica per la trasformazione rivoluzionaria. Il lavoro politico necessario, oggi.
Praxis o prassi, è termine filosofico che indica l'unità di teoria e pratica, dunque concetto olistico. Nel marxismo indica l'unità di teoria rivoluzionaria e conseguente pratica politica. Il termine "filosofia della praxis", Gramsci lo mutua da Antonio Labriola, che lo utilizza nel suo "Discorrendo di socialismo e filosofia", del 1897. Gramsci usa questa espressione non solo per non citare direttamente Marx nella restrizione carceraria per i suoi eventuali lettori censori, ma perché crede fermamente nell'efficacia dell'espressione, in particolare nella sua valenza antidealistica: l'astrazione fine a se stessa non è trasformatrice, indica una separatezza propria dell'intellettuale che giustifica o assolve l'esistente. Per trasformarlo, come già indicato da Marx nella XI glossa a Feuerbach, è necessaria l'azione rivoluzionaria.

LA PRASSI DI GRAMSCI
Nel QUADERNO 11 Gramsci osserva che la sperimentazione è metodo proprio di chi non pensa astrattamente il puro pensiero, in quanto la verifica continua delle idee nella pratica realizza appunto l'unità di teoria e prassi (cfr. pag.1449 ed. Gerratana). Dunque, se "prassi" è teoria unita all'azione pratica degli uomini collettivamente intesi come storia, la teoria assume la connotazione di riflessione sulla stessa prassi, e non è mai astratta e separata teoresi. La sperimentazione consente inoltre di non chiudere la filosofia marxista in una totalità dogmatica di congerie di concetti, ma di aprirla ad un incessante interrogarsi nella interpretazione della realtà, evitando nello stesso tempo l'estremo relativismo scettico: si potrebbe dire, dal 'dubbio metodico' all'aperta ricerca 'metodica', cioè sistematica ma dialettica, 'filologica' ma analitica dell''insieme'. (fe.d.)

sabato 2 marzo 2019

PRAXIS è MARXISMO OGGI


La concezione materialistica della storia è una visione del mondo, degli esseri umani, delle societa', teorizzata da Marx ed Engels. Si basa sull’unita’ di teoria e prassi e sulla comprensione critica e analitica della storia e sulla trasformazione strutturale, dunque rivoluzionaria, del presente. Una rivista che si richiami alla "filosofia della praxis", come la indicarono Antonio Labriola e Antonio Gramsci, contribuisce a costruire la necessaria azione politica per la trasformazione rivoluzionaria. Il marxismo, oggi. 
Praxis o prassi, è termine filosofico che indica l'unità di teoria e pratica. Nel marxismo indica l'unità di teoria rivoluzionaria e conseguente pratica politica. Il termine "filosofia della praxis", Gramsci lo mutua da Antonio Labriola, che lo utilizza nel suo "Discorrendo di socialismo e filosofia", del 1897. Gramsci usa questa espressione non solo per non citare direttamente Marx nella restrizione carceraria per i suoi eventuali lettori censori, ma perché crede fermamente nell'efficacia dell'espressione, in particolare nella sua valenza antidealistica: l'astrazione fine a se stessa non è trasformatrice, indica una separatezza propria dell'intellettuale che giustifica o assolve l'esistente. Per trasformarlo, come già indicato da Marx nella XI glossa a Feuerbach, è necessaria l'azione rivoluzionaria. (fe.d.)