Subaltern studies Italia

L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

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domenica 26 maggio 2024

Subaltern studies: #radicalcriticaltheory, il pensiero critico trasformativo

 



* #radicalcriticaltheory, radicale perchè critica alla radice (‘critica critica’) e analizza le stesse teorie critiche del capitalismo, del colonialismo [esterno/interno] come strategia dell’imperialismo.

 

“Ogni traccia di iniziativa autonoma da parte dei gruppi subalterni dovrebbe perciò essere di valore inestimabile per lo storico integrale." - Antonio Gramsci - Q.25 (XXIII), 1934, Ai margini della storia (Storia dei gruppi sociali subalterni)

 

- Subaltern Studies si configurano come svelamento di "tracce" in antitesi ai meccanismi di costruzione della storia come modalità egemone di relazione con il passato (e sono "tracce" culturali in assenza o disgregazione dell'autonomia politica), un tentativo dunque di esplorazione anche delle differenti modalità di relazione tra scrittura e passato. Una teoria critica radicale di origine maoista, di impianto marxista, creativamente gramsciana.



PENSIERO CRITICO TRASFORMATIVO

le teorie critiche radicali (radical critical theories) cercano di analizzare i sistemi capitalistici e le loro contraddizioni per una trasformazione rivoluzionaria attraverso l’azione politica. Superano la dicotomia ortodossia-riadeguamento degli strumenti analitici marxisti, da cui indubbiamente derivano, con l’inchiesta sociale, premessa metodologica indispensabile per la conoscenza delle condizioni reali e materiali delle classi subalterne. Le teorie critiche radicali non esistono compiutamente e consapevolmente in questa forma, se non nell’esperienza del collettivo indiano promosso, animato e sviluppato negli anni 80 del Novecento, dallo storico di origine bengalese Ranajit Guha, con i Subaltern Studies. Universalizzare questa esperienza, oltrepassando le specificità particolari nelle quali ed entro le quali si è caratterizzata la loro esperienza di studio e analisi, non può essere demandato solo alla ricerca accademica, sebbene realizzata in prestigiose Università statunitensi. È necessario porre in essere la critica del criticismo compatibile con il falso assioma della coniugazione fra democrazia e capitalismo, caratterizzazioni della democrazia sociale imperniata sull’autodeterminazione politica e culturale e imperialismo. È la critica del criticismo con cui Marx ed Engels nel 1844 (“La Sacra famiglia”, ma il titolo originario era solo ‘Critica della critica critica’)  * svilupparono la matrice di ogni teoria critica radicale al sistema dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo.

 

L’idea di subalternità come oggi è intesa e diffusa trova le sue origini nel contesto politico-culturale del Regno Unito degli anni Settanta, dove la ricerca di nuove vie al marxismo e lo sviluppo di un approccio militante alla cultura avevano aperto la stagione dei Cultural Studies. In questo quadro un gruppo di storici inglesi e indiani, influenzati dalla 'history from below' e alla ricerca di nuovi paradigmi, diede vita al nucleo di quello che negli anni Ottanta sarebbe diventato il Subaltern Studies group. Ranajit Guha, da fondatore del collettivo, informò il gruppo di quelle che erano state le sue ricerche verso una nuova epistemologia in grado di comprendere i caratteri della coscienza contadina e popolare. Di formazione maoista e vicino all’esperienza naxalita, Guha modellò la sua idea di popolo attraverso i filoni indiani di pensiero populista e la definizione di cultura plebea di Edward P. Thompson, per farne un elemento che potesse prendere il ruolo della classe sociale nell’analisi storica dell’India ed evitare le insidie del riduzionismo economico – pur mantenendo allo stesso tempo l’enfasi necessaria sulle condizioni di dominio e sfruttamento.

Giacomo Tarascio, Tra margini e subalternità - Una chiave politica gramsciana per pensare il mezzogiorno, in Consecutio rerum, a.VII nr.14 (2 / 2022-2023), pag. 121

 

NEL MAGGIO MAOISTA L’INCONTRO CON GRAMSCI

Maggio 1967, i maoisti di Naxalbari insorgono. Non trovano appoggio e anzi, vengono avversati dai due Partiti Comunisti dell’India. Trovano però il sostegno e l’attenzione dello storico Ranajit Guha (1923-2023) il futuro fondatore, nel 1982, dei Subaltern studies nella forma del collettivo di ricerca. Guha è studioso di Gramsci e in particolare legherà gli eventi dell’Asia meridionale al Quaderno 25 di Formia, scritti nel 1934-35,  “Ai margini della storia-Storia dei gruppi sociali subalterni“.



- Quando i naxaliti insorsero, nel maggio 1967, Ranajit Guha aveva 44 anni. In quel momento si incrociarono i contadini guidati da Charu Majumdar, Kanu Sanyal e Jangal Santhal contro i latifondisti locali, nella regione del Bengala occidentale, epicentro il villaggio di Naxalbari e lo storico fondatore dei Subaltern studies, la serie di studi e ricerche che caratterizzò una conricerca collettiva, il Subaltern studies group, dal 1982 al 1989 nella sua prima serie edita personalmente proprio da Guha. [prospetto] In quel maggio lo storico bengalese, già dottore di ricerca all’Università di Calcutta, aveva pubblicato “A rule of property for Bengal: an essay on the idea of permanent settlement”, Paris [etc.], Mouton & Co., 1963. Il saggio sull’idea di “insediamento permanente” per il Bengala trovava nei guerriglieri maoisti il suo inveramento insorgente.




Cfr. “Ranajit Guha e le tracce dello storico integrale”,  http://ferdinandodubla.blogspot.com/2023/06/ranajit-guha-e-le-tracce-dello-storico.html

e

“Alle origini dei Subaltern Studies: come nacquero dai margini di Gramsci”, in particolare il § ‘Partiti comunisti indiani e movimento Naxal’,

http://ferdinandodubla.blogspot.com/2021/07/alle-origini-dei-subaltern-studies-come.html

 

entrambi a cura dell’autore.

- Ma l’insorgenza non è rivoluzione. È un moto di ribellione spontaneo guidato, nel caso naxalita, dalla teorizzazione maoista della ‘scintilla della prateria’ per innescare una guerra rivoluzionaria di lunga durata. Come la ‘lunga marcia’ dello stesso Mao (ottobre 1934 - ottobre 1935), in realtà una ‘ritirata strategica’, stoica ed eroica, per sfuggire all’accerchiamento dei nazionalisti del Kuomintang. L’insorgenza non è rivoluzione, questo il giudizio dei due partiti comunisti indiani dell’epoca, dunque va avversata come avventurismo. Il Guha, che simpatizzava più che con la prassi politica con le scaturigini ideali dei marxisti-leninisti indiani, si inizia invece a interrogare se l’insorgenza, la stessa insorgenza naxalita, non sia una tappa del lungo processo rivoluzionario per l’”insediamento permanente”, il radicamento politico che segue al radicamento culturale. In una parola, l’autonomia contadina, di classe, affermata come segno di rottura del dominio delle classi dominanti e di conquista egemonica. Anzi, se si seguono le tracce di questa autonomia contadina nella dominazione coloniale inglese dell’India, lo storico può integralmente ricostruire la rivoluzione come processo nel segno della soggettivazione e autonomia di classe. È qui che Guha ha incontrato Antonio Gramsci. (+) Il Gramsci del Quaderno 25 di Formia, redatti nell’ultimo periodo della sua vita, il 1934-1935, in particolare il §5: “I gruppi subalterni subiscono sempre l'iniziativa dei gruppi dominanti, anche quando si ribellano e insorgono: solo la vittoria "permanente" spezza , e non immediatamente, la subordinazione. (..) Ogni traccia di iniziativa autonoma da parte dei gruppi subalterni dovrebbe perciò essere di valore inestimabile per lo storico integrale., Antonio Gramsci, Quaderni dal carcere, Quaderno 25, ed. Einaudi, 1975, pag.2283/2284.

Ferdinando Dubla

(+) Ranajit Guha: l”adattamento” di Gramsci nei Subaltern studies, cfr. http://ferdinandodubla.blogspot.com/2021/07/ranajit-guha-ladattamento-di-gramsci.html

 

le ribellioni dei contadini indiani acquisiscono un ruolo centrale, come tracce di iniziativa autonoma: i gruppi subalterni si costituiscono all’interno del loro spazio politico, dove si strutturano in maniera eterogenea in base alla propria composizione sociale, mobilitandosi su di un piano orizzontale e violento a differenza delle élites, strutturate all’opposto su di un piano verticale e legalista. Dunque, i subalterni si configurano come soggetto politico nel momento della contrapposizione al potere in un processo negativo/passivo, ma mantenendo allo stesso tempo una coscienza autonoma che li separa dai condizionamenti dello stesso potere. Questo processo di soggettivizzare la ribellione si configura in continuità con il modo di intendere la subalternità da parte del collettivo, non costituendo una contraddizione in quanto subordinato alla necessità di far emergere il principio di comunità. Infatti, all’interno dell’insorgenza contadina la comunità si pone come il carattere sociale fondamentale, attraverso il quale ogni atto di insorgenza è politicamente intenzionale e frutto di una coscienza collettiva anche se ispirato per negazione del potere.

Giacomo Tarascio., op.cit., pag.123

L'insorgenza alimenta l'appartenenza. L'"insediamento permanente" si configura come contrapposizione alle élites non solo in termini di racconto storico, ma in termini di narrazione del presente come trasformazione sociale radicale, con una soggettivazione di classe e dei gruppi subalterni (tutto ciò che non è élite) che si oppone al dominio senza egemonia, in quanto soggettivazione, delle classi dominanti.

 

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sabato 11 maggio 2024

NON RIUSCIAMO A RESPIRARE - Gli editoriali di Lavoro Politico (maggio 2024)

 




Oltre le botte alle Università a studenti e docenti perchè manifestano contro il genocidio israeliano in corso a Gaza con la complicità degli States che riforniscono di dollari e armi l’esercito dello stato ebraico blaterando ‘mi dispiace’, in Ohio un altro caso George Floyd: Frank Tyson, afroamericano di 53 anni, è morto sotto la custodia della polizia a Canton, dopo che un agente lo ha bloccato a terra con il ginocchio sul collo e poco dopo aver gridato "non riesco a respirare".

- I valori ‘superiori’ della civiltà dell’imperialismo guerrafondaio impediscono la democrazia, la soffocano, la uccidono. Sono incompatibili, a Rafha come a Canton. I princìpi con cui vanno alla guerra e alla repressione non sono quelli illuministi sbandierati per truffa ideologica, sono la sintomatologia evidente della ‘fascistizzazione’, tendenza inevitabile, come comprese Turi Toscano nel movimento del ‘68, * delle società capitaliste dell’ineguaglianza sociale, incompatibili con la democrazia sostanziale. Ma noi, noi vogliamo respirare. / fe.d.

* La riflessione di ‘Turi’ Toscano è forse il lascito più fecondo dell’organizzazione indubbiamente più rappresentativa dei gruppi studenteschi del ’68:  le sue asciutte analisi sul PCI, mai sbrigative e liquidatorie, la categoria della ‘fascistizzazione’, che lo avvicina in modo evidente al pensiero di Pietro Secchia, così come anche la sua insistenza sulla necessità della formazione dei quadri, l’applicazione creativamente marxista e maoista all’analisi politica di fase in Italia, rendono necessario il rilevare alcune sue notazioni particolari. La categoria di ‘strategia della tensione’, per Toscano, era inadeguata per articolare una progressiva politica delle classi dominanti italiane, e dell’imperialismo nel suo complesso, volta a svuotare tutte le sostanziali prerogative democratiche della Costituzione; non il ‘colpo di Stato’, comunque sempre incombente e immanente nelle fasi acute di scontro sociale come arma della borghesia in difficoltà,  ma progressiva ‘fascistizzazione’, l’illegalità e il sovversivismo delle classi dirigenti che rispondono all'offensiva di classe: un recupero forte, ‘concreto’, dell’analisi gramsciana e della intera riflessione di Secchia dopo la Liberazione.

 

edit.maggio 2024

Campeggio eco.terronista contro il G7 in Puglia - si moltiplicano i momenti e movimenti antagonisti contro i predatori della terra. Il collettivo @gsim_coordinamento invita tutte le persone che ascoltano il concerto al campeggio ecoterronista che ci sarà in Puglia dal 12 al 16 giugno: contro il G7, per le nostre terre, per le nostre case, per il diritto a vivere in un sud libero da questo sistema capitalista. https://www.facebook.com/reel/771399644780723

L’esperienza del Collettivo Di Fabbrica - Lavoratori Gkn Firenze è un’esperienza straordinaria e drammatica insieme. Essa va conosciuta, sostenuta, rivendicata come avanguardia di classe organizzata in questo paese, qualità conquistata sul campo, nel cuore del conflitto sociale.

Dimostra da una parte la forza e l’intelligenza di classe dirigente dell’intero movimento dei subalterni e dei subordinati all’imperio delle multinazionali, dall’altra l’inettutidine neoliberista e la truffa ideologica delle classi dominanti e di governo. Ma il collettivo non può vincere da solo. Esso ha già vinto per quello che ha realizzato. Spetta all’intera sinistra, quella che ancora esiste e che predica le massime e recita la Costituzione in occasione del 25 aprile e del 1.maggio, assumersi la responsabilità storica di un esito favorevole al lavoro e ai lavoratori, quelli che ancora resistono alle dismissioni dall’alto e alle consunzioni di ogni battaglia prolungata. La fabbrica sociale ed ecologica è già realtà, non il futuro chissà quando delle parole con cui ricamiamo i nostri interventi.

Grazie per l’intervento a Taranto per Uno Maggio Taranto Libero E Pensante.



Turi Toscano, nato ad Acireale l'8 novembre 1938, morì in un incidente stradale in Jugoslavia il 24 marzo 1976

 

vedi

Salvatore 'Turi' Toscano

 

PARTITO DI CLASSE E PROBLEMA DEL GOVERNO

29 febbraio 1976

in Lavoro Politico_linearossa - Materiale documentario



giovedì 9 maggio 2024

NON C’È PACE TRA GLI ALTOFORNI_SUL ROMANZO OPERAIO DI FABIO BOCCUNI

 



di Ferdinando Dubla

 

Credeva nel lavoro, nonno Pietro, credeva che il lavoro fosse l’elemento determinante per l’emancipazione delle classi subalterne e credeva che la fabbrica fosse lo strumento principale di quell’emancipazione. Aveva una fiducia smisurata nella classe operaia ed era orgoglioso di averne fatto parte; sosteneva che, un giorno, prima o poi, la classe operaia sarebbe riuscita finalmente a cambiare il Paese, a cambiare il mondo addirittura. Non avrebbe avuto nulla in contrario se io, suo nipote, in futuro avessi raccolto la sua eredità di operaio: «Deciderà lui…» diceva. «Deciderà lui, in base alle sue capacità e alle sue aspirazioni.», Fabio Boccuni, “La settimana decisiva - Memorie dall’ultima fabbrica”, bookabook, 2024, digit. § corrispondenti

 

Nel 1989 l’editore Piero Lacaita di Manduria, con quell’intuizione culturale straordinaria che lo contraddistingueva, mandava alle stampe “Il metalmezzadro - Gli anni della crisi e dello sviluppo dell’area jonico salentina” di Antonio Romeo. Quando scrive questo saggio, Romeo, uomo dalle forti radici nella sua terra, Castellaneta, aveva concluso il suo mandato politico da Senatore della Repubblica per il Partito Comunista Italiano dal 1983 e si era dedicato a quella che oggi definiremmo inchiesta storica, contornata dalla stessa memoria dell’autore, documento di prima mano e testimonianza diretta di attivo dirigente provinciale comunista negli anni dell’Italsider di Stato (1960-1989). Gli anni successivi saranno gli anni della privatizzazione dell’asset suderurgico considerato strategico per le sorti produttive dell’intero paese. Ebbene, Romeo, in quel saggio divenuto abbastanza famoso, riprende da Walter Tobagi la categoria di ‘metalmezzadro’, per indicare non solo la composizione del nuovo operaio-massa di ‘ferro’ addetto alla produzione d’acciaio nell’inferno delle siviere, ma anche per indicarne la bidirezionalità della sua provenienza e del suo ascendente: la terra. Dunque anche il suo rapporto (finanche psicologico) con la fabbrica e il territorio. Di vocazione contadina mezzadrile e marinara, proprio come Castellaneta e la sua marina, quella Castellaneta che ora dava giovani terroni alle officine di fuoco sulla terra degli ulivi. “Non c’è pace tra gli ulivi” aveva titolato il suo film, capolavoro del neorealismo, il regista Giuseppe De Santis nel 1950. E dieci anni anni dopo, proprio tra gli ulivi e gli schiamazzi di entusiasmo proprio di tutti, era nato il IV Centro siderurgico, nella distesa di ulivi tra il territorio della placida e bizantina Massafra e la salubre (per l’aria) collinetta che torreggia dopo il declivio della valle d’Itria. Il metalmezzadro non proveniva solo dalla terra, ma ritornava alla terra. Nelle ore libere e liberate dal fardello della produzione strategica degli altiforni e anche dalle lotte sindacali, le vertenze, i conflitti con la direzione statale, per i propri diritti, per i troppi infortuni, per le morti e la sicurezza, per i fumi e l’inquinamento. Che avevano portato il terrone a conquistare progressivamente una coscienza politica. Anzi, più propriamente di classe, in quanto componente ne era anche l’orgoglio di appartenenza.

Il libro di Fabio Boccuni, La settimana decisiva - Memorie dall’ultima fabbrica, bookabook 2024, è un diario composto negli anni dell’Ilva privata, un diario personale di una storia collettiva. Del metalmezzadro in fabbrica ora c’è poca traccia, se non nelle memorie di chi la fabbrica la ha materialmente costruita. La memoria operaia, che pure l’attività sindacale che Luca Russo, il protagonista autobiografico di Fabio, conduce, dovrebbe tramandare, come quella di nonno Pietro, è fioca, sottotraccia, troppo silenziosa. E il nuovo operaio non è nè massa nè sociale, per riprendere le categorie del primo e secondo ‘operaismo’, nè il metalmezzadro di Tobagi e di Romeo. È il giovane piuttosto della ‘società liquida’ di Bauman, alla ricerca del ‘posto’ per poter vivere la sua vita di consumatore. E anche il sindacato non è più lo stesso.

Non è all’offensiva, è sulla difensiva. E la città? Alla ricerca dell’antico spirito guerriero spartano, cancellato dalla storia ma ripreso per ‘brand’ turistico mercatista, prende sempre più coscienza che l’industria del progressivo cammino emancipatorio, il progresso lineare della civiltà, non dà il lavoro e basta (e lo dà sempre di meno) ma dà morte, tumori, intossicazioni, distruzione di antiche vocazioni, produttive e culturali, quelle vere, non la guerra degli spartani, ma molto di più la Taranto ricostruita dalle sue fondamenta distrutte dai Saraceni nel caldo agosto del 927 e ricostruita, forse cinquant’anni dopo, da Niceforo II Foca.

 

  È che questo ‘paradigma di civiltà’, come argutamente avvertiva Pasolini, produce una ‘mutazione antropologica’. Da qui anche la scomparsa del ‘metalmezzadro’. La distruzione del retroterra socio-culturale non è specifico della città dei due mari, ma dell’intero sistema del profitto capitalista della in-civiltà industriale su cui basa l’intera sua impalcatura finanziaria e speculativa. Non si tratta di nostalgia passatista fuori tempo, ma la constatazione che questa in-civiltà, così ben analizzata da Marx, ha come conseguenza una mutazione antropologica degli esseri umani. Nel caso specifico, da operai-contadini o legati alla terra, a operai-consumatori del proprio tempo storico indifferenti al riscatto dei subalterni. Quali subalterni, poi? se Gramsci spende pagine nel Quaderno 25 per avvertire della necessità di ricompattare un esercito ‘disgregato’, frantumato anche dall’egemonia del senso comune, l’apparenza dell’integrazione ai valori capitalisti è forte e depotenzia la volontà del riscatto. Si è cioè subalterni due volte: per posizione e ruolo sociale e per mentalità. Ma anche questo si può rovesciare: il vuoto del presente di Luca è nel passato della memoria e l’inevitabile speranza del futuro, inevitabile perchè la speranza non è illusione, come vogliono far credere, ma istinto e passione. E con quella i conti si devono fare.

LA SCRITTURA DEV’ESSERE OPERAIA


E se la scrittura ‘operaia’ rappresentasse in sè questa speranza? Non era un altro pugliese, la ‘tuta blu’ Tommaso Di Ciaula, era il 1978, a mettere in discussione l’intermediazione intellettuale per la rabbia del terrone costretto in fabbrica? Sembrava l’inizio di un filone, lo scrittore-operaio, appunto, insieme ad altri nel magma degli anni ‘70, come i preti-operai, i poeti-operai, tutti operai, la fine degli intellettuali come tradimento dei chierici, lo sberleffo all’accademia come cinghia di trasmissione del dominio culturale delle classi egemoni. Pure l’intellettuale ‘organico’ di Gramsci entrava in crisi.

Una scrittura asciutta, diaristica, che si fa documento, fonte diretta di narrazione della classe, senza intermediazioni, interpretazioni, interpolazioni, critica, ermeneutica del testo. Come nella tradizione dei Subaltern Studies (Ranajit Guha e Gayatri Chakravorty Spivak) “Can the workers Speak?” - Non c’è mediazione: la scrittura si fa operaia, l’operaio si fa scrittore. La storia è di chi vive la propria condizione, in fabbrica e fuori dalla fabbrica. La storia, è di chi fa la storia.

Luca Russo (Fabio Boccuni) non è più il “metalmezzadro”, l’esorcista della memoria, che affonda nel cosmopolitismo le sue radici culturali, espiando la colpa sociale della cancellazione dell’identità. Qui e ora l’dentità viene riaffermata, nella sua aspra e cruda contraddizione. Per quella che è, ma che non sarà più già domani. Perchè così nacque ed è già morta l’urbe operaia siderurgica. Ed è da qui che bisogna ripartire.

 

Chi parlerà di voi uomini rossi senza età senza bestemmie? Chi parlerà dei vostri Natali accanto alla ghisa lontano dai canneti ove vivono gli ultimi gabbiani?

Pasquale Pinto, poeta-operaio,  (1940/2004)

da  «La terra di ferro e altre poesie (1971 – 1992)», a cura di Stefano Modeo, Marcos y Marcos, 2023

 

 

LA CLASSE NON C’È PIÙ: IL “COSTO DEL LAVORO” ALL’ILVA DI TARANTO

dal romanzo di Fabio Boccuni “La settimana decisiva - Memorie dall’ultima fabbrica”, bookabook, 2024

- Gianluigi aveva appena ventitré anni, era morto colpito alla testa da una pesante trave di ferro staccatasi a seguito di uno scontro tra due carriponte.

Era morto per una casualità, nella zona parcheggio della campata, alla fine del suo turno di lavoro, dopo aver fatto il suo dovere. Negli anni ne morirono molti altri: Domenico, di ventisei anni, schiacciato tra due tubi di acciaio al reparto tubificio due; Andrea, di diciannove anni, operaio di una ditta dell’appalto, colpito alla testa da un grosso martello mentre faceva la manutenzione all’altoforno numero quattro; Silvio, di trentotto anni, al quale crollò un ponteggio sotto i piedi, facendolo precipitare al suolo; Valerio, di trentatré anni, schiacciato da un tubo nel reparto tubificio longitudinale; Luca, di cinquantacinque anni, rimasto incastrato in uno dei nastri trasportatori; Claudio, di ventinove anni, morto schiacciato da un locomotore; Ciro, di quarantadue anni, precipitato da una pensilina nell’area cokerie; Antonio, di quarantacinque anni, colpito da un gancio di una gru al reparto acciaieria uno; Giacomo, di ventitré anni, operaio di una ditta di appalto con contratto a termine, morto schiacciato da un rullo che stava manutenendo; Alessandro, di trentacinque anni, colpito da un getto di ghisa incandescente al reparto altoforno numero due; Francesco, di ventinove anni, spazzato via da un tornado insieme alla gru sulla quale stava lavorando nel reparto portuale. Morti a cui nessuno avrebbe più dato la parola. Ricordati appena, talvolta usati, all’occorrenza. Quanti ce n’erano stati dalla nascita della fabbrica? Non si sa, nessuno lo sapeva con certezza, nessuno era mai riuscito a contarli con precisione. Come se morire in fabbrica fosse un rischio da calcolare, come se fosse una cosa normale, un prezzo da pagare.




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sabato 4 maggio 2024

SAVASTA E IL GIUDICE - GLI INTERROGATORI - I PAESI 'ENUCLEATI' e LA PROCEDURA DEL CONGELAMENTO (7.2)

 



Continuano le nostre trascrizioni degli interrogatori del pentito Antonio Savasta dagli atti di Camera e Senato - VIII legislatura -  Commissione parlamentare d’inchiesta sulla strage di via Fani sul sequestro e l’assassinio di Aldo Moro e sul terrorismo in Italia.      
 -Due linguaggi sideralmente lontani, quello dell’ex irriducibile giovanissimo dirigente delle BR - per il PCC e i giudici che lo interrogano. Con esiti a volte esilaranti, nonostante la tragicità degli avvenimenti che si cerca di inquadrare. Come nel caso dei ‘paesi enucleati’ e ‘la procedura di congelamento’. Per inciso, si parla di quest’ultima a proposito della sua non applicazione da parte dell’organizzazione delle BR al caso di Anna Laura Braghetti, la prestanome dell’appartamento in cui fu tenuto sequestrato Aldo Moro. La stessa Braghetti che, negli atti che stiamo trascrivendo, nell’udienza del 4 maggio 1982, prima della deposizione di Savasta, rivolta al Presidente così si esprime: “Adesso parla l’infame Savasta, a cui manca di vendere solo sua madre! Noi ritorniamo in carcere”. Il Presidente acconsente.

-Senato della Repubblica - Camera dei deputati VIII legislatura - Commissione parlamentare d’inchiesta sulla strage di via Fani sul sequestro e l’assassinio di Aldo Moro e sul terrorismo in Italia - Atti giudiziari - Interrogatori resi da Antonio Savasta a varie autorità giudiziarie, Roma, 1993

-Interrogatorio del 3 maggio 1982-

Savasta e il Giudice (7.2) - passaggi d’interrogatorio

I PAESI “ENUCLEATI”

Savasta (S.) - Le maggiori contraddizioni esistono nel Mediterraneo; perciò riguardano anche la possibilità di autodeterminazione dei popoli, la possibilità di avere un interlocutore che non sia l’America, sempre nella prospettiva di collaborazione con paesi che hanno tutto l’interesse politico e materiale ad appoggiare movimenti che mettano in seria discussione l’imperialismo americano.

Presidente (P.) - Se ho capito bene, voi come organizzazione vi siete schierati per i paesi produttori di petrolio contro l’avvio dei programmi nucleari enucleando, tra i paesi produttori di petrolio, quelli che avrebbero potuto appoggiare la vostra organizzazione. È questo il senso?

(S.) - Sì, nel futuro sì.

(P.) - Quali erano i paesi da voi enucleati?

(S.) - Ancora non c’era stata un’analisi a quel livello.

(P.) - Lei fa parte di un’organizzazione e sulla sua bocca risuonano continuamente le parole “analisi politica”, “livello politico” e via discorrendo. Fa parte di un’organizzazione estremamente politicizzata, stando a quanto lei dice; ed io presumo che lo sbarramento nucleare per favorire i paesi produttori di petrolio non sia fatto a caso.

(S.) - No, certo: significa giocare su alcune contraddizioni. L’identificazione di un paese che potrebbe, in futuro, dare un appoggio all’organizzazione, non può essere fatta a priori: bisogna vedere come queste contraddizioni si sviluppano, qual è il peso di questi paesi.

 

LA PROCEDURA DEL CONGELAMENTO

- Giudice a latere (G.): Lei ha parlato, a proposito di Morucci e Faranda, della procedura del congelamento. Desidererei sapere se nel vostro linguaggio questo termine “congelamento” ha un significato più generale, nel senso che abbraccia altre situazioni oltre a comprendere le persone da controllare che possono avere contatti con persone estranee all’organizzazione.

- Savasta (S.): Il concetto di congelamento è generale, è prendere una serie di precauzioni. Congelare un compagno significa bloccargli qualsiasi attività politica dentro l’organizzazione, questo il più delle volte avviene per motivi di sicurezza. Quando è possibile che un compagno è scoperto dalla polizia, in questo caso vengono tagliati tutti i rapporti politici, viene mantenuto solo un rapporto politico che viene gestito unicamente dal regolare responsabile, cioè quello della direzione di colonna. Attraverso un appuntamento, che noi chiamavamo strategico, vi è l’incontro tra il congelato, che è in pericolo, ed il regolare. Il congelato può anche presentarsi, ma è l’organizzazione che non si presenta, perchè a monte ha dato delle valutazioni ancora di pericolo; allora questa persona può essere ancora congelata per l’organizzazione. Questo vuol dire che il compagno non svolge alcuna attività politica, non intrattiene rapporti con altri compagni e ha il dovere di comportarsi normalmente, cioè di svolgere la sua attività sociale, cercando però di capire se è pedinato, come è pedinato, con che frequenza è pedinato e da chi. Quando avviene il contatto egli farà una relazione della situazione. Se permane il congelamento c’è soltanto una sintesi del dibattito politico avvenuto in quella situazione. Vi sono due casi: o il compagno non si ritiene all’altezza per il passaggio a regolare, e si continua pertanto a mantenere questo stato di congelamento, oppure viene ritenuto all’altezza e allora si preparano tutte le cose che servono per farlo passare in clandestinità. In questo lasso di tempo sono comunque interrotti tutti i rapporti politici e il compagno non svolge nessuna attività politica all’interno dell’organizzazione.

- (G.): La decisione di adottare l’una o l’altra decisione da chi è assunta?

- (S.): Dalla direzione di colonna. Essa ha la responsabilità politica.

- (G.): La direzione di colonna decide.

- (S.): Veramente si sente la persona in questione, le si pone il problema, le si riporta il giudizio politico che la direzione di colonna ha espresso, e si fa la proposta: lavorare ancora nell’organizzazione e quindi diventare clandestino oppure essere congelato, finchè l’organizzazione ha deciso che questo rapporto non è pericoloso.

 

Senato della Repubblica - Camera dei deputati VIII legislatura - Commissione parlamentare d’inchiesta sulla strage di via Fani sul sequestro e l’assassinio di Aldo Moro e sul terrorismo in Italia - Atti giudiziari - Interrogatori resi da Antonio Savasta a varie autorità giudiziarie, Roma, 1993, pp. 228-229.



trascrizione e titoli: Ferdinando Dubla, #irriducibilepentito capitolo 7 paragrafo 2

leggi 7.1

SAVASTA E IL GIUDICE - GLI INTERROGATORI - IL COLLETTIVO (7.1)

 

libro in progress. E.book

http://lavoropolitico.it/irriducibilepentito.htm

 

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