Subaltern studies Italia

L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

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domenica 6 novembre 2016

Divieto di giustizia: i processi a Sabrina Misseri e Cosima Serrano si sono mostrati una contro-logica giudiziaria


Vincenzo Postiglione e Massimo Prati hanno scritto un articolo in cui smontano, tassello dopo tassello, la grottesca tesi accusatoria che ha fatto condannare due innocenti, Sabrina Misseri e Cosima Serrano, all’ergastolo. 
Si sono basati sugli atti, non sulle chiacchiere.
È la dimostrazione scientifica, oltre che dell'innocenza di Sabrina Misseri e Cosima Serrano, del fatto che la "giustizia" si fa guidare dal pregiudizio e dai teoremi inquisitori indimostrati, non pagando mai il fio della trasformazione della democrazia dei diritti in oligarchia castale. Sabrina e Cosima non sono Galileo e Giordano Bruno, ma quei giudici impuniti e "assassini" della vita delle persone assomigliano agli inquisitori e tagliagole del Medioevo. Rileggersi "I Diavoli di Loudun" di A. Huxley, e farne lettura obbligatoria per i concorsi moderni per diventare inquisitori.

Le motivazioni del giudice Susanna De Felice sono un cane che morde la sua stessa coda e rafforzano la certezza dell'innocenza di Sabrina Misseri e Cosima Serrano...


Quando sono uscite le motivazioni della sentenza d’Appello per l’omicidio di Sarah Scazzi ho lasciato cadere coltello e forchetta sul piatto e con occhi sgranati ho fissato lo schermo del televisore che proiettava l’immagine della giornalista del TG1 intenta ad annunciare la notizia. Finalmente, dopo più di 365 giorni – tempo irragionevole e indegno di una nazione civile come l’Italia, considerata la culla del Diritto – il giudice Susanna De Felice aveva consegnato le motivazioni delle condanne in cancelleria.

Leggendole mi sono definito un masochista, perché se si conoscono bene le carte non si può non rimanere angustiati e frustrati per le narrazioni fantasiose racchiuse in un faldone di 1200 e passa pagine, degne di chi è accusato di più stragi di mafia, atte a dimostrare qualcosa che alla luce di quanto emerso in dibattimento non c’è mai stato.

Cerchiamo di capirci qualcosa analizzando i vari punti.

COSIMA SERRANO ANDÒ AL LAVORO 
Vi ricordate la spada di Damocle messa sul capo di Cosima per più di cinque anni? Lei aveva dichiarato di essersi alzata attorno alle tre del mattino per recarsi al lavoro e di essere tornata alle 13:30. Ma i magistrati e i giudici di primo grado non le hanno creduto. Anzi, hanno fatto di questo dato il punto di forza dell’accusa perché dimostrava che Cosima era una bugiarda e quindi tutto quello che dichiarava corrispondeva al falso. Peccato, però, che la De Felice abbia contraddetto l’asseverazione del giudice Trunfio scrivendo, testuali parole: “Questa Corte, pur condividendo la valutazione di falsità che dell’alibi di Cosima Serrano è stata effettuata nella sentenza impugnata, ritiene di dover dar credito all'imputata con riferimento alla circostanza inerente lo svolgimento di attività lavorativa la mattina del 26 agosto 2010”.

Quindi Cosima non mentì quando disse che andò a lavorare e ai procuratori raccontò la pura verità. Perché contraddirla dandole della bugiarda? Ah, già…non possiamo dimenticare la testimonianza “de relato” di Anna Pisanò, la “supertestimone” della procura, la quale avrebbe appreso dalla collega di lavoro di Cosima dell’assenza in campagna della donna in quanto quel giorno i camion adibiti al trasporto del raccolto non sarebbero stati scaricati. Raccontò il fatto mesi dopo, quando collegò la confidenza al ricordo di non aver visto l’Opel Astra di Cosima parcheggiata davanti al cancello di via Deledda. La procura le credette sulla parola senza verificare né interrogare la collega di lavoro. Eppure il giudice De Felice ha almeno avuto il buonsenso di affidarsi, in questo caso, ai fatti: alla testimonianza del datore di lavoro della donna, nonché a colui che l’accompagnò a casa. Chi più di lui poteva sapere se fosse andata al lavoro? Visto che Cosima ha detto la verità, dovremmo ora supporre che a mentire sia stata la Pisanò...

IL MOVENTE
La De Felice si è tenuta fedele al mosaico dei moventi precedenti, anche se ne ha aggiunto uno alludendo ad un presunto segreto che, si badi bene, non è mai emerso. Enfatizzare la storiella della gelosia e le pagine di diario di un’adolescente, in cui si dice insicura del fatto che un uomo le piaccia o gli voglia bene come amico e che "odia" Sabrina perché non la fa più uscire con lei quando c’è lui, non è sufficiente, così come è irrilevante che abbia raccontato al fratello del rapporto sessuale interrotto fra la cugina e Ivano (a cui Sabrina stessa non diede peso, come dimostrato dalla serata del 21 agosto quando discutendone attribuì la colpa a Claudio e non alla cuginetta con cui andò poi al karaoke). Per condannare all'ergastolo bisogna dare una valida giustificazione a un litigio violento che per l'accusa sarebbe poi sfociato in efferato omicidio. Il giudice è ben consapevole che il litigio sarebbe potuto scaturire quella mattina, quando le cugine erano in casa sole e ci sarebbero stati più motivi per litigare, anziché nel pomeriggio quando con molta probabilità sarebbero state al mare con Mariangela. E sa benissimo che per coinvolgere e condannare Cosima per aver partecipato al delitto serve un movente valido. Allora si butta sulla psicologia spicciola e senza aver fatto fare alcuna perizia scrive che la donna sarebbe stata talmente inviperita dai problemi coniugali e dai controversi rapporti con la figlia, che Sarah avrebbe aggiunto due gocce... quelle giuste giuste per far traboccare il vaso. La prima goccia scaturirebbe dalle dichiarazioni di Concetta Serrano, in particolare nel fatto che Sarah stesse mostrando una certa autorità, autorità che avrebbe mandato in bestia la zia avvezza a sgridarla senza aspettarsi alcuna replica. La seconda si troverebbe in un presunto segreto che Sarah avrebbe minacciato di rivelare. Qual è il segreto? Secondo lo stesso giudice che ne scrive, non si sa e non importa di saperlo!

GLI ORARI E LA RICOSTRUZIONE DEL DELITTO
Quando Sarah Scazzi scomparve, l’unica informazione certa fu quella dell’orario in cui uscì da casa. I carabinieri e i procuratori avevano bisogno di sapere quando la ragazzina uscì per strada e per questo convocarono i testimoni principali, ossia coloro che quel giorno erano in casa Scazzi. Si parla di Concetta Spagnolo Serrano, la madre, Giacomo Scazzi, il padre, e Maria Pantir, la badante rumena che assisteva il nonno. Questi testi sentiti nell'immediato collocarono l’uscita di Sarah all'incirca alle 14:30. Più preciso fu il papà, che riuscì a fornire un lasso temporale circoscritto in circa 20-25 minuti, ovverosia dal momento in cui Sarah comunicò alla madre di aver ricevuto il messaggio della cugina Sabrina Misseri al momento in cui quest’ultima, arrivata a casa Scazzi, gli chiese se Sarah fosse ancora lì. Lui rimase costernato e subito le rispose: «Ma come non è arrivata? Se è uscita poco fa!». A dare conferma dell’orario furono i tabulati telefonici e le testimonianze di Sabrina Misseri e Mariangela Spagnoletti. Le dichiarazioni di ambedue, in particolare di Mariangela, sono dirimenti ai fini di stabilire gli orari.

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